Mr e Mrs Dursley, di Privet Drive numero 4, erano orgogliosi di
poter affermare che erano perfettamente normali, e grazie tante.
Erano le ultime persone al mondo da cui aspettarsi che avessero a che
fare con cose strane o misteriose, perché sciocchezze del genere
proprio non le approvavano.
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Mr Dursley era direttore di una ditta di nome Grunnings, che
fabbricava trapani. Era un uomo corpulento, nerboruto, quasi senza
collo e con un grosso paio di baffi. Mrs Dursley era magra, bionda e
con un collo quasi due volte più lungo del normale, il che le tornava
assai utile, dato che passava gran parte del tempo ad allungarlo
oltre la siepe del giardino per spiare i vicini. I Dursley avevano un
figlioletto di nome Dudley e secondo loro non esisteva al mondo un
bambino più bello.
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Possedevano tutto quel che si poteva desiderare, ma avevano anche
un segreto, e il loro più grande timore era che qualcuno potesse
scoprirlo. Non credevano che avrebbero potuto sopportare che qualcuno
venisse a sapere dei Potter. Mrs Potter era la sorella di Mrs
Dursley, ma non si vedevano da anni. Anzi, Mrs Dursley faceva
addirittura finta di non avere sorelle, perché Mrs Potter e quel
buono a nulla del marito non avrebbero potuto essere più diversi da
loro di così. I Dursley rabbrividivano al solo pensiero di quel che
avrebbero detto i vicini se i Potter si fossero fatti vedere nei
paraggi. Sapevano che i Potter avevano anche loro un figlio piccolo,
ma non lo avevano mai visto. E il ragazzino era un'altra buona
ragione per tenere i Potter a distanza: non volevano che Dudley
frequentasse un bambino di quel genere.
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Quando i coniugi Dursley si svegliarono, la mattina di quel martedì
grigio e coperto in cui inizia la nostra storia, nel cielo nuvoloso
nulla faceva presagire le cose strane e misteriose che di lì a poco
sarebbero accadute in tutto il paese. Mr Dursley scelse canticchiando
la cravatta da giorno più anonima del suo guardaroba, e Mrs Dursley
continuò a chiacchierare ininterrottamente mentre con grande sforzo
costringeva sul seggiolone Dudley che urlava a squarciagola.
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Nessuno notò il grosso gufo bruno che passò con un frullo d'ali
davanti alla finestra.
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Alle otto e mezzo, Mr Dursley prese la sua valigetta
ventiquattr'ore, sfiorò con le labbra la guancia della moglie, e tentò
di dare un bacio a Dudley, ma lo mancò perché, in quel momento, in
preda a un furioso capriccio, il pupo stava scagliando i suoi fiocchi
d'avena contro il muro. ‘Piccolo monello!’ commentò ridendo
Mr Dursley mentre usciva di casa. Salì in macchina e percorse a
marcia indietro il vialetto del numero 4.
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Fu all'angolo della strada che notò le prime avvisaglie di qualcosa di strano: un gatto che leggeva una mappa. Per un attimo, Mr Dursley
non si rese conto di quel che aveva visto; poi girò di scatto la
testa e guardò di nuovo. C'era un gatto soriano ritto sulle zampe
posteriori, all'angolo di Privet Drive, ma di mappe neanche l'ombra.
Ma che diavolo aveva per la testa? La luce doveva avergli giocato
qualche brutto tiro. Si stropicciò gli occhi e fissò il gatto, che
gli ricambiò l'occhiata. Mentre l'auto girava l'angolo e percorreva
un tratto di strada, Mr Dursley tenne d'occhio il gatto nello
specchietto retrovisore. In quel momento il felino stava leggendo il
cartello stradale che indicava Privet Drive. No, lo stava guardando;
i gatti non sanno leggere le mappe e neanche i cartelli stradali. Mr
Dursley si riscosse da quei pensieri e allontanò il gatto dalla
mente. Mentre si dirigeva in città, non pensò ad altro che al grosso
ordine di trapani che sperava di ricevere quel giorno.
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Ma una volta giunto ai sobborghi della città, avvenne qualcos'altro
che gli fece uscire di mente i trapani. Fermo nel solito ingorgo del
mattino, non poté fare a meno di notare che in giro c'erano un sacco
di persone vestite in modo strano. Gente con indosso dei mantelli. Mr
Dursley non sopportava le persone che si vestivano in modo
stravagante: bisognava vedere come si conciavano certi giovani!
Immaginò che si trattasse di qualche stupidissima nuova moda. Mentre
tamburellava con le dita sul volante, lo sguardo gli cadde su un
capannello di quegli strampalati, vicinissimo a lui. Si stavano
bisbigliando qualcosa tutti eccitati. Mr Dursley sentì montargli la
rabbia nel constatare che ce n'erano un paio tutt'altro che giovani.
Ma che roba! Quello lì doveva essere più anziano di lui, e portava un
mantello verde smeraldo! Che faccia tosta! Poi però gli venne in
mente che potesse trattarsi di qualche sciocca trovata. Ma certo! Era
gente che faceva una colletta per qualche motivo. Sì, doveva essere
proprio così. In quella, il traffico riprese a scorrere e alcuni
minuti più tardi Mr Dursley giunse al parcheggio della Grunnings con
la mente di nuovo tutta presa dai trapani.
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Nel suo ufficio, al nono piano, Mr Dursley sedeva sempre con la
schiena rivolta alla finestra. Se così non fosse stato quella mattina
avrebbe avuto ancor più difficoltà a concentrarsi sui suoi trapani.
Lui non vide i gufi volare a sciami in pieno giorno, ma la gente per
strada sì. E li additavano, guardandoli a bocca aperta, passare a
tutta velocità, uno dopo l'altro sopra le loro teste. La maggior
parte di quella gente non aveva mai visto un gufo neanche di notte.
Ciononostante, Mr Dursley ebbe il privilegio di una mattinata
perfettamente normale, del tutto immune dai gufi. Uscì dai gangheri
con cinque persone diverse. Fece molte telefonate importanti e
qualche altro urlaccio. Fino all'ora di pranzo, il suo umore si
mantenne ottimo. A quel punto decise che, per sgranchirsi le gambe,
avrebbe attraversato la strada per andarsi a comperare una ciambella
dal fornaio di fronte.
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Aveva completamente dimenticato la gente con il mantello fino a che
non ne superò un gruppetto proprio accanto al fornaio. Mentre
passava, scoccò loro un'occhiata furente. Non sapeva perché, ma
avvertì un certo disagio. Anche questi bisbigliavano tutti eccitati,
ma di bossoli per la colletta nemmeno l'ombra. Fu passandogli accanto di ritorno dal fornaio, con in mano l'involto di un'enorme ciambella,
che colse qualcosa di quello che stavano dicendo.
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‘I Potter, proprio così, è quel che ho sentito...’ ‘... già, il figlio, Harry...’ Mr Dursley si fermò di colpo. Fu invaso dalla paura. Si voltò a
guardare il capannello di maldicenti come se volesse dire loro
qualcosa, ma poi ci ripensò.
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Attraversò la strada a precipizio e raggiunse in tutta fretta il
suo ufficio; intimò alla segretaria di non disturbarlo per nessuna
ragione, afferrò il telefono, e aveva quasi finito di fare il numero
di casa quando cambiò idea. Mise giù il ricevitore, si lisciò i
baffi, pensando... no, era stato uno stupido. Potter non era poi un
nome così insolito. Era certo che esistessero miriadi di persone
chiamate Potter che avevano un figlio di nome Harry. E poi, ora che
ci pensava, non era neanche tanto sicuro che suo nipote si chiamasse
proprio Harry. Del resto, non lo aveva neanche mai visto. Avrebbe
potuto chiamarsi Harvey. O Harold. Non c'era ragione di impensierire
Mrs Dursley; se la prendeva tanto ogni volta che le si parlava della
sorella! E non poteva darle torto: se l'avesse avuta lui, una sorella
così... E tuttavia, quella gente avvolta nei mantelli...
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Quel pomeriggio trovò molto più difficile concentrarsi sui suoi
trapani, e quando lasciò l'ufficio alle cinque in punto era ancora
talmente assorto che, appena varcata la soglia, andò a sbattere
dritto dritto contro una persona.
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‘Scusi’ bofonchiò, mentre il poveretto - un uomo anziano e
mingherlino - inciampava e per poco non finiva lungo disteso. Ci
volle qualche secondo perché Mr Dursley si rendesse conto che l'uomo
indossava un mantello viola. L'ometto però non aveva affatto l'aria
di essersela avuta a male per essere stato quasi scaraventato a
terra. Al contrario, il volto gli si illuminò di un largo sorriso e
con una vocina stridula che destò l'attenzione dei passanti disse:
‘Non si scusi, mio caro signore, perché oggi non c'è niente che possa
turbarmi! Si rallegri, perché Lei-Sa-Chi finalmente se n'è andato!
Anche i Babbani come lei dovrebbero festeggiare questo felice,
felicissimo giorno!’ A quel punto, il vecchietto abbracciò Mr Dursley cingendolo alla
vita e poi si allontanò.
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Mr Dursley rimase lì impalato. Era stato abbracciato da un perfetto
sconosciuto. Gli tornò anche in mente che quel tale lo aveva chiamato
‘Babbano’, qualsiasi cosa volesse dire. Era esterrefatto. Si affrettò
a raggiungere la macchina e partì alla volta di casa, sperando di
aver lavorato di fantasia, cosa che non aveva mai sperato prima perché
non approvava le fantasie.
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Non appena ebbe imboccato il vialetto del numero 4 di Privet Drive,
la prima cosa che scorse - e che certo non contribuì a migliorare il
suo umore - fu il gatto soriano che aveva visto la mattina. Seduto
sul muro di cinta del giardino. Era assolutamente certo che fosse
quello della mattina: aveva gli stessi segni intorno agli occhi.
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‘Sciò!’ gli gridò Mr Dursley.
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Il gatto non si mosse. Si limitò a fissarlo con sguardo severo. Mr
Dursley si chiese se normalmente i gatti si comportavano così. Cercando di riprendersi, entrò in casa. Era ancora deciso a non dire
niente alla moglie.
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Mrs Dursley aveva avuto una buona giornata, in tutto e per tutto
normale. A cena, gli raccontò per filo e per segno i guai che la
signora Della-Porta-Accanto aveva con la figlia, e poi che Dudley
aveva imparato una nuova frase: ‘Neanche per sogno!’ Mr Dursley cercò
di comportarsi normalmente. Una volta messo a letto Dudley, se ne andò
nel soggiorno appena in tempo per sentire l'ultimo telegiornale:
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‘E infine, da tutte le postazioni gli avvistatori di uccelli
riferiscono che oggi, sull'intero territorio nazionale, i gufi hanno
manifestato un comportamento molto insolito. Sebbene normalmente
escano di notte a caccia di prede e ben di rado vengano avvistati di
giorno, fin dall'alba sono stati segnalati centinaia di gufi che
volavano in tutte le direzioni. Gli esperti non sanno spiegare
perché, tutt'a un tratto, i gufi abbiano modificato il loro ritmo
sonno/veglia’. Lo speaker si lasciò andare a un sorrisetto. ‘Molto
misterioso. E ora, la parola a Jim McGuffin per le previsioni del
tempo. Si prevedono altri scrosci di gufi, stanotte, Jim?’
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‘Francamente, Ted’ rispose il meteorologo, ‘su questo non so dirti
niente, ma quest'oggi non sono stati soltanto i gufi a comportarsi in
modo strano. Gli osservatori di località distanti fra loro come il
Kent, lo Yorkshire e Dundee mi hanno telefonato per informarmi che,
al posto della pioggia che avevo promesso ieri, hanno avuto un
diluvio di stelle cadenti. Chissà? Forse si è festeggiata in anticipo
la Notte dei Fuochi. Ma, gente, la Notte dei Fuochi è soltanto tra
una settimana! Comunque, posso assicurare che stanotte pioverà’.
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Mr Dursley rimase seduto in poltrona, come paralizzato. Stelle
cadenti in tutta la Gran Bretagna? Gufi che volano di giorno? Gente
misteriosa che si aggira dappertutto avvolta in mantelli? E quelle
voci, quei bisbigli sui Potter...
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Mrs Dursley entrò in soggiorno portando due tazze di tè. Non c'era
niente da fare: doveva dirle qualcosa. Si schiarì nervosamente la
voce. ‘Ehm, Petunia, mia cara... non è che per caso hai sentito tua
sorella, ultimamente?’
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Come aveva previsto, Mrs Dursley assunse un'aria esterrefatta e
adirata. In fin dei conti, erano abituati a far finta che non avesse
una sorella. ‘No’ rispose seccamente. ‘Perché?’
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‘Mah, non so... al telegiornale hanno detto cose strane’ bofonchiò
Mr Dursley. ‘Gufi... stelle cadenti... e oggi, in città, un sacco di
gente strampalata...’ ‘E allora?’ sbottò Mrs Dursley. ‘Niente, pensavo soltanto... forse... qualcosa che avesse a che
fare con... hai capito, no?... con lei e i suoi’.
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Mrs Dursley sorseggiò il tè a labbra strette. Mr Dursley si
chiedeva intanto se avrebbe mai osato dirle di aver sentito
pronunciare il nome ‘Potter’. Decise che non avrebbe osato. E invece,
con il tono più naturale che gli riuscì di trovare, disse: ‘Il
figlio... dovrebbe avere la stessa età di Dudley, non è vero?’
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‘Suppongo di sì’ rispose Mrs Dursley, rigida come un manico di
scopa. ‘E, com'è che si chiama? Howard, no?’ ‘Harry! Che poi è davvero un nome volgare, se proprio lo vuoi
sapere’.
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‘Eh già’ disse Mr Dursley con il cuore che gli si faceva pesante
come il piombo. ‘Sono proprio d'accordo’.
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Salirono in camera per andare a dormire senza più dire una parola
sull'argomento. Mentre la moglie era in bagno, Mr Dursley si avvicinò
guardingo alla finestra della camera da letto e sbirciò fuori, nel
giardino. Il gatto era ancora lì. Stava scrutando Privet Drive, come
se aspettasse qualcosa.
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La sua fantasia galoppava troppo? Tutto questo poteva avere
qualcosa a che fare con i Potter? Se sì... cioè, se veniva fuori che
loro erano parenti di una coppia di... be', non credeva proprio di
poterlo sopportare.
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Si misero a letto. Lei si addormentò subito, ma lui rimase lì
steso, con gli occhi sbarrati, a rigirarsi tutto quanto nella mente.
L'ultimo, confortante pensiero che ebbe prima di addormentarsi fu
che, se anche i Potter avevano veramente qualcosa a che vedere con
quella faccenda, non era affatto detto che dovessero farsi vivi con
lui e sua moglie. I Potter sapevano molto bene quel che lui e Petunia
pensavano di loro e di quelli della loro risma... Non vedeva proprio
come potessero venire coinvolti, di qualsiasi cosa si trattasse - e
qui sbadigliò e si girò dall'altra parte - la cosa non poteva
riguardarli... Ma si sbagliava di grosso.
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Se Mr Dursley era scivolato in un sonno agitato, il gatto, seduto
sul muretto di fuori, non dava alcun segno di aver sonno. Sedeva
immobile come una statua, con gli occhi fissi e senza batter ciglio
sull'angolo opposto di Privet Drive. E non ebbe il minimo soprassalto
neanche quando, nella strada accanto, la portiera di una macchina
sbatté forte, né quando due gufi gli sfrecciarono sopra la testa.
Dovette farsi quasi mezzanotte prima che il gatto facesse il minimo
movimento.
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Un uomo apparve all'angolo della strada che il gatto aveva tenuto
d'occhio; ma apparve così all'improvviso e silenziosamente che si
sarebbe detto fosse spuntato da sotto terra. La coda del gatto ebbe
un guizzo e gli occhi divennero due fessure.
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In Privet Drive non s'era mai visto niente di simile. Era alto,
magro e molto vecchio, a giudicare dall'argento dei capelli e della
barba, talmente lunghi che li teneva infilati nella cintura.
Indossava abiti lunghi, un mantello color porpora che strusciava per
terra e stivali dai tacchi alti con le fibbie. Dietro gli occhiali a
mezzaluna aveva due occhi di un azzurro chiaro, luminosi e
scintillanti, e il naso era molto lungo e ricurvo, come se fosse
stato rotto almeno due volte. L'uomo si chiamava Albus Silente.
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Albus Silente non sembrava rendersi conto di essere appena arrivato
in una strada dove tutto, dal suo nome ai suoi stivali, risultava
sgradito. Si dava un gran da fare a rovistare sotto il mantello, in
cerca di qualcosa. Sembrò invece rendersi conto di essere osservato,
perché all'improvviso guardò il gatto, che lo stava ancora fissando
dall'estremità opposta della strada. Per qualche ignota ragione, la vista del gatto sembrò divertirlo. Ridacchiò tra sé borbottando:
‘Avrei dovuto immaginarlo’.
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Aveva trovato quel che stava cercando nella tasca interna del
mantello. Sembrava un accendino d'argento. Lo aprì con uno scatto, lo
tenne sollevato e lo accese. Il lampione più vicino si fulminò con un
piccolo schiocco. L'uomo lo fece scattare di nuovo, e questa volta si
fulminò il lampione appresso. Dodici volte fece scattare quel suo
‘Spegnino’, fino a che l'unica illuminazione rimasta in tutta la
strada furono due capocchie di spillo in lontananza: gli occhi del
gatto che lo fissavano. Se in quel momento qualcuno - perfino
quell'occhio di lince di Mr Dursley - avesse guardato fuori della
finestra, non sarebbe riuscito a vedere niente di quel che accadeva
in strada. Silente si fece scivolare di nuovo nella tasca del
mantello il suo ‘Spegnino’ e si incamminò verso il numero 4 di Privet
Drive, dove si mise a sedere sul muretto, accanto al gatto. Non lo
guardò, ma dopo un attimo gli rivolse la parola.
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‘Che combinazione! Anche lei qui, professoressa Mcgranitt?’
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Si voltò verso il soriano con un sorriso, ma quello era scomparso.
Al suo posto, davanti a lui c'era una donna dall'aspetto piuttosto
severo, che portava un paio di occhiali squadrati della forma
identica ai segni che il gatto aveva intorno agli occhi. Anche lei
indossava un mantello, ma color smeraldo. I capelli neri erano
raccolti in uno chignon. Aveva l'aria decisamente scombussolata.
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‘Come faceva a sapere che ero io?’ chiese. ‘Ma, mia cara professoressa, non ho mai visto un gatto seduto in
una posa così rigida’.
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‘Anche lei sarebbe rigido se fosse rimasto seduto tutto il giorno
su un muretto di mattoni’ rimbeccò la professoressa Mcgranitt. ‘Tutto il giorno? Quando invece avrebbe potuto festeggiare? Venendo
qui mi sono imbattuto in una decina e più di feste e banchetti’.
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La professoressa Mcgranitt tirò su rabbiosamente col naso.
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‘Eh già, sono proprio tutti lì che festeggiano’ disse con tono
impaziente. ‘Ci si sarebbe potuti aspettare che fossero un po' più
prudenti, macché... anche i Babbani hanno notato che sta succedendo
qualcosa. Lo hanno detto ai loro telegiornali’. E così dicendo si
voltò verso la finestra buia del soggiorno dei Dursley. ‘L'ho sentito
personalmente. Stormi di gufi... stelle cadenti... Be', non sono mica
del tutto stupidi. Prima o poi dovevano notare qualcosa. Stelle
cadenti nel Kent... Ci scommetto che è stato Dedalus Lux. sempre
stato un po' svitato’.
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‘Non gli si può dar torto’ disse Silente con dolcezza. ‘Per undici
anni abbiamo avuto ben poco da festeggiare’.
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‘Lo so, lo so’ disse la professoressa Mcgranitt in tono irritato.
‘Ma non è una buona ragione per perdere la testa. Stanno commettendo
una vera imprudenza, a girare per la strada in pieno giorno senza
neanche vestirsi da Babbano, e scambiandosi indiscrezioni’.
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A quel punto, lanciò a Silente un'occhiata obliqua e penetrante,
sperando che lui dicesse qualcosa; ma così non fu. Allora continuò:
‘Sarebbe un bel guaio se, proprio il giorno in cui sembra che
Lei-Sa-Chi sia finalmente scomparso, i Babbani dovessero venire a
sapere di noi. Ma siamo proprio sicuri che se n'è andato, Silente?’ ‘Sembra proprio di sì’ rispose questi. ‘Dobbiamo essere molto
grati. Le andrebbe un ghiacciolo al limone?’
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‘Un che?’ ‘Un ghiacciolo al limone. un dolce che fanno i Babbani: io ne vado
matto’.
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‘No grazie’ rispose freddamente la professoressa Mcgranitt, come a
voler dire che non era il momento dei ghiaccioli. ‘Come dicevo, anche
se Lei-Sa-Chi se ne è andato veramente...’
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‘Mia cara professoressa, una persona di buonsenso come lei potrebbe
decidersi a chiamarlo anche per nome!! Tutte queste allusioni a
"Lei-Sa-Chi" sono una vera stupidaggine... Sono undici anni che cerco
di convincere la gente a chiamarlo col suo vero nome: Voldemort’. La
professoressa Mcgranitt trasalì, ma Silente, che stava scartando un
ghiacciolo al limone, sembrò non farvi caso. ‘Crea tanta di quella
confusione continuare a dire "Lei-Sa-Chi". Non ho mai capito per
quale ragione bisognasse avere tanta paura di pronunciare il nome di
Voldemort’.
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‘Io lo so bene’ disse la professoressa Mcgranitt, in tono a metà
fra l'esasperato e l'ammirato. ‘Ma per lei è diverso. Lo sanno tutti
che lei è il solo di cui Lei-Sa... oh, d'accordo: Voldemort... aveva
paura’.
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‘Lei mi lusinga’ disse Silente con calma. ‘Voldemort aveva poteri
che io non avrò mai’. ‘Soltanto perché lei è troppo... troppo nobile per usarli’.
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‘Meno male che è buio. Non arrossivo tanto da quella volta che
Madama Chips mi disse quanto le piacevano i miei nuovi paraorecchi’. La professoressa Mcgranitt scoccò a Silente un'occhiata penetrante,
poi disse: ‘I gufi sono niente in confronto alle voci che sono state
messe in giro. Sa che cosa dicono tutti? Sul perché è scomparso? Su
quel che l'ha fermato una buona volta?’
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Sembrava che la professoressa Mcgranitt avesse toccato il punto che
più le premeva di discutere, la vera ragione per cui era rimasta in
attesa tutto il giorno su quel muretto freddo e duro, perché mai - né
da gatto né da donna - aveva fissato Silente con uno sguardo così
penetrante. Era chiaro che qualsiasi cosa ‘tutti’ mormorassero, lei
non l'avrebbe creduto sin quando Silente non le avesse detto che era
vero. Ma lui era occupato col suo ghiacciolo al limone, e non
rispose.
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‘Quel che vanno dicendo’ incalzò lei, ‘è che la notte scorsa
Voldemort è spuntato fuori a Goldrick's Hollow. andato a trovare i
Potter. Corre voce che Lily e James Potter siano... siano... insomma,
siano morti’.
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Silente chinò la testa. La professoressa Mcgranitt ebbe un piccolo
singhiozzo.
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‘Lily e James... Non posso crederci... Non volevo crederci... Oh,
Albus...’
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Silente allungò la mano e le batté un colpetto sulla spalla. ‘Lo
so... lo so...’ disse gravemente.
| |
La Mcgranitt proseguì con voce tremante: ‘E non è tutto. Dicono che
ha anche cercato di uccidere il figlio dei Potter, Harry. Ma che...
non c'è riuscito. Quel piccino, non è riuscito a ucciderlo. Nessuno sa perché né come, ma dicono che quando Voldemort non ce l'ha fatta a
uccidere Harry Potter, in qualche modo il suo potere è venuto meno...
ed è per questo che se n'è andato’.
| |
Silente annuì malinconicamente.
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‘è vero?’ balbettò la professoressa Mcgranitt. ‘Dopo tutto quel che
ha fatto... dopo tutti quelli che ha ammazzato... non è riuscito a
uccidere un bambino indifeso? strabiliante... di tutte le cose che
avrebbero potuto fermarlo... Ma in nome del cielo, come ha fatto
Harry a sopravvivere?’
| |
‘Possiamo solo fare congetture’ disse Silente. ‘Forse non lo
sapremo mai’.
| |
La professoressa McGranitt tirò fuori un fazzoletto di trina e si
asciugò gli occhi dietro gli occhiali. Con un profondo sospiro,
Silente estrasse dalla tasca un orologio d'oro e lo esaminò. Era un
orologio molto strano. Aveva dodici lancette, ma al posto dei numeri
c'erano alcuni piccoli pianeti che si muovevano lungo il bordo del
quadrante. Evidentemente Silente lo sapeva leggere, perché lo ripose
di nuovo nella tasca e disse: ‘Hagrid è in ritardo. A proposito,
suppongo sia stato lui a dirle che sarei venuto qui’.
| |
‘Sì’ rispose la McGranitt, ‘anche se non credo che lei mi dirà
perché mai, di tanti posti, abbia scelto proprio questo’. ‘Sono venuto a portare Harry dai suoi zii. Sono gli unici parenti
che gli rimangono’.
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‘Non vorrà mica dire... Non saranno mica quei due che abitano lì!’
esclamò la Mcgranitt balzando in piedi e indicando il numero 4.
‘Silente... non è possibile! E' tutto il giorno che li osservo. Non
avrebbe potuto trovare persone più diverse da noi. E poi quel
ragazzino che hanno... l'ho visto prendere a calci sua madre per
tutta la strada, urlando che voleva le caramelle! Harry Potter...
venire ad abitare qui?’.
| |
‘il posto migliore per lui’ disse Silente con fermezza. ‘La zia e
lo zio potranno spiegargli tutto quando sarà più grande. Ho scritto
loro una lettera’.
| |
‘Una lettera?’ gli fece eco la Mcgranitt con un filo di voce,
tornando a sedersi sul muretto. ‘Ma davvero, Silente, crede di poter
spiegare tutto questo per lettera? Questa gente non capirà mai Harry
Potter. Lui diventerà famoso... leggendario! Non mi stupirebbe se in
futuro la giornata di oggi venisse designata come la festa di Harry
Potter. Su di lui si scriveranno volumi, tutti i bambini del mondo
conosceranno il suo nome!’
| |
‘Proprio così’ disse Silente fissandola tutto serio da sopra gli
occhiali a mezzaluna. ‘Ce ne sarebbe abbastanza per far girare la
testa a qualsiasi ragazzo. Famoso prima ancora di parlare e di
camminare! Famoso per qualcosa di cui non avrà conservato neanche il
ricordo! Non riesce a capire quanto starà meglio, se crescerà lontano
da tutto questo fino al giorno in cui sarà pronto per reggerlo?’
| |
La professoressa Mcgranitt aprì bocca per rispondere, poi cambiò
idea, inghiottì e disse: ‘Sì... sì, lei ha ragione, naturalmente. Ma
in che modo arriverà qui il ragazzo?’
| |
D'un tratto guardò il mantello di Silente come se pensasse che
Harry potesse esservi nascosto sotto. ‘Lo porterà Hagrid’.
| |
‘E a lei pare... saggio... affidare a Hagrid un compito tanto
importante?’
| |
‘Affiderei a Hagrid la mia stessa vita’ disse Silente.
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‘Non dico che non abbia cuore’ dovette ammettere la Mcgranitt, ‘ma
non verrà mica a dirmi che non è uno sventato. Tende a... Ma cosa è
stato?’
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Il silenzio che li circondava era stato lacerato da un rombo cupo.
Mentre Silente e la Mcgranitt percorrevano con lo sguardo la stradina
per vedere se si avvicinassero dei fari, il rumore si fece sempre più
forte, fino a diventare un boato. Entrambi levarono lo sguardo al
cielo e dall'aria piovve una gigantesca motocicletta che atterrò
sull'asfalto proprio davanti a loro.
| |
Pur colossale com'era, la moto sembrava niente a confronto con
l'uomo che la inforcava. Era alto circa due volte un uomo normale e
almeno cinque volte più grosso. Sembrava semplicemente troppo per
essere vero, e aveva un aspetto terribilmente selvaggio: lunghe
ciocche di ispidi capelli neri e una folta barba gli nascondevano
gran parte del volto; ogni mano era grande come il coperchio di un
bidone dei rifiuti e i piedi, che calzavano stivali di cuoio,
sembravano due piccoli delfini. Tra le braccia immense e muscolose
reggeva un involto di coperte.
| |
‘Hagrid!’ esclamò Silente con tono di sollievo. ‘Finalmente! Ma
dove hai preso quel veicolo?’
| |
‘Un prestito, professor Silente’; e così dicendo, il gigante scese
con circospezione dalla motocicletta. ‘Del giovane Sirius Black. Lui
ce l'ho qui, signore’. ‘Ci sono stati problemi?’
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‘No, signore; la casa era distrutta, diciamo, ma io sono riuscito a
tirarlo fuori prima che il posto si riempisse di Babbani. Si è
addormentato mentre volavamo su Bristol’.
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Silente e la Mcgranitt si chinarono sull'involto di coperte.
Dentro, appena visibile, c'era un bambino profondamente addormentato.
Sotto il ciuffo di capelli corvini che gli spuntava sulla fronte,
scorsero un taglio dalla forma bizzarra, simile a una saetta. ‘E' qui che...’ chiese in un bisbiglio la professoressa Mcgranitt. ‘Sì’ rispose Silente. ‘Questa cicatrice se la terrà per sempre’.
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‘E lei non può farci niente, Silente?’ ‘Anche se potessi, non lo farei. Le cicatrici possono tornare
utili. Anch'io ne ho una, sopra il ginocchio sinistro, che è una
piantina perfetta della metropolitana di Londra. Bene... Dammelo qua,
Hagrid; vediamo di concludere’.
| |
Silente prese Harry tra le braccia e si voltò verso la casa dei
Dursley. ‘Posso... posso fargli un salutino, signore?’ chiese Hagrid.
| |
Chinò la grossa e ispida testa su Harry e gli dette un bacio
rasposo per via di tutto quel pelo. Poi, d'un tratto, emise un
ululato come di cane ferito.
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‘Shhh!’ sibilò la Mcgranitt. ‘Sveglierai i Babbani!’
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‘S-s-s-scusatemi...’ singhiozzò Hagrid tirando fuori un immenso
fazzoletto tutto chiazzato e tuffandoci il viso dentro, ‘ma proprio n-n-non ce la faccio... Lily e James morti... e il povero piccolo
Harry che se ne va a vivere con i Babbani...’.
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‘Sì, certo, è molto triste, ma vedi di controllarti, Hagrid, o ci
scopriranno’ sussurrò la Mcgranitt battendogli con cautela un
colpetto sul braccio mentre Silente, scavalcando il basso muricciolo
del giardino, si avviava verso la porta d'ingresso. Depose dolcemente
Harry sul gradino, tirò fuori dal mantello una lettera, la ripose tra
le coperte che avvolgevano Harry e tornò verso gli altri due. Per un
lungo minuto i tre rimasero lì a guardare quel fagottino; Hagrid era
scosso dai singhiozzi, la professoressa Mcgranitt non faceva che
battere le palpebre, e lo scintillio che normalmente emanava dagli
occhi di Silente sembrava svanito.
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‘Be'‘ disse infine Silente, ‘ecco fatto. Non c'è più ragione che
restiamo qui. Tanto vale che andiamo a prender parte ai
festeggiamenti’.
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‘Già’ disse Hagrid con voce soffocata ‘allora io riporto la moto a
Sirius. 'Notte, professoressa Mcgranitt. Professor Silente, i miei
rispetti’.
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Asciugandosi gli occhi inondati di lacrime con la manica della
giacca, Hagrid si rimise a cavalcioni della motocicletta e accese il
motore; si sollevò in aria con un rombo e sparì nella notte.
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‘Penso che ci rivedremo presto, professoressa Mcgranitt’ disse
Silente facendole un cenno col capo. Per tutta risposta, lei si soffiò
il naso.
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Silente si voltò e si avviò lungo la strada. Giunto all'angolo, si
fermò ed estrasse il suo ‘Spegnino’ d'argento. Uno scatto, e dodici
sfere luminose si riaccesero di colpo nei lampioni, illuminando
Privet Drive di un bagliore aranciato. A quel chiarore scorse un
gatto soriano che se la svignava dietro l'angolo all'altro capo della
strada. Da quella distanza vedeva appena il mucchietto di coperte sul
gradino del numero 4.
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‘Buona fortuna, Harry’ mormorò. Poi girò sui tacchi e, con un
fruscio del mantello, sparì.
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Una lieve brezza scompigliava le siepi ben potate di Privet Drive,
che riposava, ordinata e silenziosa, sotto il cielo nero come
l'inchiostro. L'ultimo posto dove ci si sarebbe aspettati di veder
accadere cose stupefacenti. Sotto le sue coperte, Harry Potter si girò
dall'altra parte senza svegliarsi. Una manina si richiuse sulla
lettera che aveva accanto e lui continuò a dormire, senza sapere che
era speciale, senza sapere che era famoso, senza sapere che di lì a
qualche ora sarebbe stato svegliato dall'urlo di Mrs Dursley che
apriva la porta di casa per mettere fuori le bottiglie del latte, né
che le settimane successive le avrebbe trascorse a farsi riempire di
spintoni e pizzicotti dal cugino Dudley... Non poteva sapere che, in
quello stesso istante, da un capo all'altro del paese, c'era gente
che si riuniva in segreto e levava i calici per brindare ‘a Harry
Potter il bambino che è sopravvissuto’.
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