Gli abitanti di Little Hangleton la chiamavano ancora Casa Riddle, anche se erano passati tanti anni da quando i Riddle ci abitavano. Si trovava sulla collina che dominava il villaggio: alcune delle finestre erano inchiodate, al tetto mancavano delle tegole e l’edera cresceva incolta sulla facciata. Un tempo Casa Riddle era stata una dimora elegante, certo l’edificio più vasto e grandioso nel raggio di chilometri, ma ora era umida, desolata e disabitata.
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Gli hangletoniani convenivano tutti che la vecchia casa era “sinistra”. Mezzo secolo prima, qualcosa di strano e terribile era successo là dentro, qualcosa di cui gli abitanti più anziani del villaggio amavano ancora discutere quando erano a corto di pettegolezzi. La storia era stata ripetuta così tante volte, e vi erano stati aggiunti cosi tanti fronzoli che nessuno era più certo di quale fosse la verità. Ogni versione del racconto, comunque, cominciava allo stesso modo: cinquant’anni prima, all’alba di una bella giornata d’estate, quando Casa Riddle era ancora ben tenuta e imponente, una cameriera era entrata in salotto e aveva trovato morti tutti e tre i Riddle.
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La cameriera era corsa urlando giù per la collina fino al villaggio, e aveva radunato tutte le persone che poteva.
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«Sono là stesi con gli occhi spalancati! Freddi come il ghiaccio! Ancora vestiti per la cena!»
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Fu chiamata la polizia, e tutta quanta Little Hangleton si crogiolò in una curiosità atterrita e in una malcelata eccitazione. Nessuno si sforzò di fingersi addolorato per i Riddle, che erano stati assolutamente impopolari. Gli anziani signori Riddle, marito e moglie, erano ricchi, snob e sgarbati, e il loro figlio ormai adulto, Tom, era anche peggio. Tutto quello che importava agli abitanti era l’identità dell’assassino: chiaramente, tre persone in apparenza sane non morivano di colpo per cause naturali nella stessa notte.
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L’Impiccato, il pub locale, fece affari d’oro quella sera: il villaggio al completo accorse per discutere gli omicidi. E la ricompensa per quell’uscita serale arrivò quando la cuoca dei Riddle fece un ingresso teatrale e annunciò al pub improvvisamente silenzioso che un uomo chiamato Frank Bryce era stato appena arrestato.
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«Frank!» gridarono in molti. «Impossibile!»
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Frank Bryce era il giardiniere. Viveva solo in un cottage malridotto sulla proprietà dei Riddle. Frank era tornato dalla guerra con una gamba molto rigida e un gran disgusto per la folla e i rumori, e da allora lavorava per i Riddle.
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I presenti fecero a gara per pagare da bere alla cuoca e farle raccontare altri dettagli.
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«Sempre detto che era uno strano» disse, dopo il quarto sherry, agli abitanti in avido ascolto. «Scontroso, ecco. Gli ho offerto da bere un sacco di volte, mica una. E lui… mai dato confidenza, mai».
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«Sì, però» disse una donna al bancone, «ha fatto la guerra, Frank, gli piace star tranquillo. Che motivo aveva di…»
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«E chi ce l’aveva la chiave della porta dietro, eh?» abbaiò la cuoca. «C’è sempre stata una chiave in più appesa nella casa del giardiniere, sempre, per quello che mi ricordo! Nessuno ha scassinato la porta! Niente finestre rotte! Frank non ha dovuto far altro che strisciare fino alla casa grande mentre dormivano tutti…»
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I presenti si scambiarono sguardi cupi.
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«Io l’ho sempre pensato che aveva l’aria cattiva, ecco» borbottò un uomo al bancone.
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«Se volete saperlo, la guerra l’ha fatto diventare strano» disse il padrone.
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«Te lo dicevo, Dot, che non avrei mai voluto pestargli i piedi» disse una donna in tono animato.
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«Un caratteraccio» annuì Dot con fervore. «Mi ricordo che quando era piccolo…»
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Entro la mattina dopo, quasi tutti a Little Hangleton erano certi che Frank Bryce avesse ucciso i Riddle.
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Ma nella vicina città di Great Hangleton, nella buia, squallida stazione di polizia, l’ostinato Frank continuava a ripetere che era innocente, e che la sola persona che aveva visto nei dintorni della casa il giorno della morte dei Riddle era un ragazzino, uno straniero pallido, coi capelli scuri. Nessun altro al villaggio aveva visto un ragazzo del genere, e la polizia era piuttosto convinta che Frank se lo fosse inventato.
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Poi, proprio mentre le cose si facevano molto serie per Frank, giunse il referto dell’autopsia effettuata sui Riddle, e questo cambiò tutto.
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La polizia non aveva mai letto un referto così strano. Una commissione di medici aveva esaminato i corpi, e aveva concluso che nessuno dei Riddle era stato avvelenato, pugnalato, colpito da pallottole, strangolato, soffocato o (per quello che se ne poteva desumere) ferito in qualche modo. E aggiungeva, in tono di inequivocabile meraviglia, che in effetti i Riddle sembravano in perfetta salute, a parte il fatto che erano morti tutti e tre. I dottori, come a voler trovare a tutti i costi qualcosa che non andava nei cadaveri, osservarono che ciascun Riddle aveva un’espressione di terrore sul volto: ma come disse la polizia delusa, chi ha mai sentito di tre persone morte di paura?
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Poiché non c’erano prove che i Riddle fossero stati assassinati, la polizia fu costretta a rilasciare Frank. I Riddle furono sepolti nel cimitero di Little Hangleton, e le loro tombe furono per un po’ oggetto di curiosità. Con sorpresa di tutti, e in una nube di sospetto, Frank Bryce tornò nella sua casetta sulla proprietà dei Riddle.
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«Per quello che ne so, li ha uccisi lui, e non m’importa di quel che dice la polizia» dichiarò Dot all’Impiccato. «E se avesse un po’ di decenza, se ne andrebbe: lo sa che sappiamo che è stato lui».
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Ma Frank non se ne andò. Rimase a badare al giardino per conto della famiglia che venne ad abitare a Casa Riddle, e di quella dopo: perché nessuna delle due si fermò a lungo. Forse anche per via di Frank, ogni nuovo proprietario sosteneva infatti che su quel posto tirava una brutta aria. E questo, in assenza di abitanti, cominciò ad andare in rovina.
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Il proprietario di Casa Riddle, a quei tempi, era un ricco signore che non ci abitava né la utilizzava in alcun modo; al villaggio dicevano che la teneva per “ragioni fiscali”, anche se nessuno diceva chiaramente quali potessero essere. Il ricco proprietario continuò comunque a pagare Frank perché badasse al giardino: lui ormai si avvicinava al suo settantasettesimo compleanno, era piuttosto sordo e la sua gamba ferita era più rigida che mai, ma lo si vedeva ancora affaccendarsi attorno alle aiuole quando c’era bel tempo, anche se le erbacce cominciavano ad avere la meglio.
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Le erbacce non erano la sola cosa con la quale Frank dovesse combattere. I ragazzi del villaggio si divertivano a tirare sassi alle finestre di Casa Riddle; sfrecciavano in bicicletta sui prati che Frank faticava tanto a mantenere ben curati, e una o due volte s’intrufolarono nella vecchia casa, per scommessa. Sapevano che il vecchio Frank era devoto alla casa e alla proprietà, e li divertiva vederlo zoppicare per il giardino, brandendo il bastone e urlando contro di loro con voce gracchiante. Dal canto suo Frank era convinto che i ragazzi lo tormentassero perché, come i loro genitori e i loro nonni, lo credevano un assassino. Così, quando Frank si svegliò una notte d’agosto e vide qualcosa di molto strano su alla vecchia casa, si limitò a pensare che i ragazzi ne avessero inventata un’altra per punirlo.
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Fu la gamba ferita a svegliare Frank; nella vecchiaia lo torturava come non mai. Si alzò, scese le scale zoppicando e andò in cucina con l’idea di riempire di nuovo la borsa dell’acqua calda per dare sollievo al ginocchio. In piedi davanti al lavandino, mentre riempiva il bollitore, guardò verso Casa Riddle e vide balenare delle luci alle finestre del piano superiore. Frank capì all’istante che cosa stava succedendo: i ragazzi erano penetrati di nuovo nella casa, e a giudicare dal riverbero avevano appiccato un incendio.
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Frank non aveva il telefono, e comunque nutriva, una profonda sfiducia nella polizia da quando questa lo aveva prelevato per interrogarlo sulla morte dei Riddle. Mise subito giù il bollitore e corse su per le scale quanto più velocemente glielo consentiva la gamba ferita. Ben presto fu di nuovo in cucina, completamente vestito. Staccò una vecchia chiave arrugginita dal gancio vicino alla porta, prese il bastone da passeggio, che era appoggiato al muro, e si addentrò nella notte.
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La porta principale di Casa Riddle non sembrava forzata, e nemmeno le finestre. Frank raggiunse zoppicando il retro della casa e arrivò a una porta quasi completamente nascosta dall’edera, estrasse la vecchia chiave, la infilò nella toppa e aprì la porta senza far rumore.
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Si ritrovò nella cucina tenebrosa. Frank non entrava là dentro da molti anni; comunque, anche se era buio pesto, si ricordava dov’era la porta che si apriva sull’ingresso, e vi si diresse a tentoni, le narici piene dell’odore dell’abbandono, le orecchie tese a cogliere qualunque rumore di passi o voci provenisse da sopra. Raggiunse il vasto ingresso, un po’ più illuminato grazie alle ampie finestre che si trovavano ai due lati dell’entrata, e prese a salire le scale, benedicendo lo spesso strato di polvere che ricopriva la pietra, perché smorzava il rumore dei suoi piedi e del bastone.
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Di sopra, Frank voltò a destra, e vide subito dov’erano gli intrusi: proprio alla fine del corridoio c’era una porta socchiusa, e una luce intermittente brillava attraverso la fessura, disegnando una lunga lama d’oro sul pavimento nero. Frank si avvicinò, impugnando con forza il bastone. Da quella distanza, riusciva già a vedere uno spicchio della camera.
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Nel camino il fuoco era acceso. La cosa lo stupì. Smise di avanzare e ascoltò con attenzione, perché dall’interno proveniva una voce d’uomo; suonava esitante e impaurita.
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«Ce n’è ancora un po’ nella bottiglia, mio signore, se avete ancora fame».
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«Dopo» disse una seconda voce. Anche questa apparteneva a un uomo: ma era stranamente acuta, e fredda come un soffio improvviso di vento gelido. Qualcosa di quella voce fece drizzare i radi peli sulla nuca di Frank. «Avvicinami al fuoco, Codaliscia».
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Frank rivolse l’orecchio destro verso la porta per sentire meglio. Ci fu il tintinnio di una bottiglia posata su una superficie dura, e poi il tetro strofinio di una sedia pesante trascinata sul pavimento. Frank riuscì a intravedere un ometto che dava le spalle alla porta e spingeva la sedia al suo posto. Indossava un lungo mantello nero, e c’era una chiazza calva sulla sua testa. Poi l’ometto scomparve di nuovo alla vista.
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«Dov’è Nagini?» chiese la voce fredda.
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«Io… io non lo so, mio signore» rispose nervosamente la prima voce. «È andata a esplorare la casa, credo…»
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«Devi mungerla prima di coricarci, Codaliscia» disse la seconda voce. «Avrò bisogno di nutrirmi durante la notte. Il viaggio mi ha stancato immensamente».
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Con le sopracciglia aggrottate, Frank avvicinò ancora di più l’orecchio buono alla porta, ascoltando con grande concentrazione. Ci fu una pausa, e poi l’uomo chiamato Codaliscia parlò di nuovo.
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«Mio signore, posso sapere quanto ci fermeremo qui?»
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«Una settimana» disse la voce fredda. «Forse di più. Il posto è abbastanza comodo, e il piano non può ancora procedere. Sarebbe da sciocchi agire prima che finisca la Coppa del Mondo di Quidditch».
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Frank s’infilò un dito deformato nell’orecchio per sturarlo. Senza dubbio doveva esserci un tappo di cerume, perché aveva sentito la parola “Quidditch”, che non era affatto una parola.
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«La… la Coppa del Mondo di Quidditch, mio signore?» disse Codaliscia. (Frank s’infilò il dito nell’orecchio con maggior vigore.) «Perdonatemi, ma… non capisco… perché dovremmo aspettare finché la Coppa del Mondo sarà finita?»
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«Perché, sciocco, in questo preciso momento i maghi si stanno riversando nel paese da tutto il mondo, e qualunque ficcanaso del Ministero della Magia sarà in servizio, pronto a cogliere il minimo segno di attività insolite, a controllare e ricontrollare l’identità dei maghi. Saranno ossessionati dalla sicurezza, per paura che i Babbani notino qualcosa. Quindi aspettiamo».
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Frank smise di cercare di stapparsi l’orecchio. Aveva sentito distintamente le parole “Ministero della Magia”, “maghi” e “Babbani”. Evidentemente ognuna indicava qualcosa di segreto, e Frank riusciva a pensare a due soli tipi di persone che avrebbero parlato in codice: spie e criminali. Frank strinse il bastone ancora più forte e ascoltò ancor più attentamente.
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«Vostra signoria è ancora decisa, dunque?» disse piano Codaliscia.
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«Certo che lo sono, Codaliscia». C’era una nota minacciosa, ora, nella voce fredda.
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Seguì una brevissima pausa, e poi Codaliscia parlò. Le parole gli uscirono affrettate, come se si stesse costringendo a pronunciarle prima di perdere il coraggio.
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«Si potrebbe fare senza Harry Potter, mio signore».
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Un’altra pausa, più lunga, e poi:
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«Senza Harry Potter?» sussurrò dolcemente la seconda voce. «Capisco…»
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«Mio signore, non lo dico perché mi preoccupo per il ragazzo!» esclamò Codaliscia, la voce che si alzava stridula. «Lui non significa niente per me, niente di niente! È solo che se potessimo usare un’altra strega o un mago, uno qualunque, la cosa si potrebbe fare molto più in fretta! Se mi permetteste di lasciarvi per un breve periodo — sapete bene che so travestirmi con molta abilità — potrei essere di ritorno in non più di due giorni con una persona adatta…»
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«Potrei usare un altro mago» disse piano la prima voce, «è vero…»
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«Mio signore, sarebbe ragionevole» disse Codaliscia, ora decisamente sollevato, «mettere le mani su Harry Potter sarebbe così difficile, è così ben protetto…»
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«E così tu ti offri di andare a cercarmi un sostituto? Mi domando… forse il compito di accudirmi ti ha stancato, Codaliscia? Forse questo tuo suggerimento di abbandonare il piano non è altro che un tentativo di abbandonare me?»
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«Mio signore! Io… non ho alcun desiderio di lasciarvi, nessuno…»
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«Non mentirmi!» sibilò la seconda voce. «Lo sai che ti scopro, Codaliscia! Tu ti stai pentendo di essere tornato da me. Io ti faccio orrore. Ti vedo fremere quando mi guardi, ti sento tremare quando mi tocchi…»
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«No! La mia devozione a vostra signoria…»
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«La tua devozione non è altro che codardia. Non saresti qui se avessi un altro posto dove andare. Come posso sopravvivere senza di te, quando ho bisogno di essere nutrito ogni poche ore? Chi mungerà Nagini?»
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«Ma sembrate molto più in forze, mio signore…»
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«Bugiardo» esalò la seconda voce. «Non sono più in forze di prima, e qualche giorno da solo sarebbe sufficiente a sottrarmi la poca salute che ho riguadagnato grazie alle tue cure maldestre. Silenzio!»
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Codaliscia, che aveva farfugliato in maniera incoerente, tacque all’improvviso. Per qualche istante, Frank non sentì altro che lo scoppiettio del fuoco. Poi il secondo uomo parlò di nuovo, in un sussurro che era quasi un sibilo.
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«Ho le mie ragioni per voler usare il ragazzo, come ti ho già spiegato, e non userò nessun altro. Ho aspettato tredici anni. Qualche mese in più non farà alcuna differenza. Quanto alla protezione di cui gode, sono convinto che il mio piano funzionerà. Tutto quello che serve è un po’ di coraggio da parte tua, Codaliscia: coraggio che troverai, a meno che tu non voglia provare tutta la potenza dell’ira di Voldemort…»
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«Mio signore, devo parlare!» disse Codaliscia, la voce venata di panico. «Per tutto il viaggio ci ho pensato e ripensato… Mio signore, la scomparsa di Bertha Jorkins non passerà a lungo inosservata, e se andiamo avanti, se faccio un incantesimo…»
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«Se?» sussurrò la prima voce. «Se? Se seguirai il piano, Codaliscia, il Ministero non dovrà mai sapere che qualcun altro è scomparso. Lo farai con calma, senza creare scompiglio; vorrei solo poterlo fare io, ma nelle mie attuali condizioni… andiamo, Codaliscia, basta rimuovere un altro ostacolo e la strada che ci porta a Harry Potter sarà sgombra. Non ti sto chiedendo di farlo da solo. Per allora, il mio fedele servo ci avrà raggiunto…»
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«Io sono un servo fedele» disse Codaliscia, con una vaga traccia di risentimento nella voce.
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«Codaliscia, ho bisogno di qualcuno dotato di cervello, qualcuno la cui lealtà non abbia mai vacillato, e tu, sfortunatamente, non possiedi nemmeno uno di questi requisiti».
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«Io vi ho trovato» disse Codaliscia, e ora nella sua voce c’era decisamente una nota piagnucolosa. «Sono stato io a trovarvi. Io vi ho portato Bertha Jorkins».
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«Questo è vero» disse il secondo uomo, in tono divertito. «Un lampo di prontezza che non avrei ritenuto possibile da parte tua, Codaliscia… anche se, a dire il vero, non sapevi quanto sarebbe stata utile quando l’hai catturata, vero?»
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«Io… io credevo che avrebbe potuto esserci utile, mio signore…»
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«Bugiardo» disse di nuovo la prima voce, ancor più intrisa di crudele divertimento. «Comunque, non nego che le sue informazioni si sono rivelate di un valore incalcolabile. Senza di esse, non avrei mai potuto architettare il nostro piano, e per questo avrai la tua ricompensa, Codaliscia. Ti permetterò di svolgere un compito essenziale per me, un compito che molti dei miei seguaci darebbero la mano destra per eseguire…»
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«D-davvero, mio signore? Che cosa…?» Codaliscia era di nuovo terrorizzato.
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«Ah, Codaliscia, non vorrai che ti sciupi la sorpresa? La tua parte verrà proprio alla fine… ma ti prometto che avrai l’onore di renderti utile come Bertha Jorkins».
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«Voi… voi…» la voce di Codaliscia si fece all’improvviso roca, come se gli si fosse seccata la gola. «Voi… volete… uccidere anche me?»
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«Codaliscia, Codaliscia» disse la voce fredda in tono suadente, «perché dovrei ucciderti? Ho ucciso Bertha perché ho dovuto farlo. Non serviva più a niente dopo il mio interrogatorio, era praticamente inutile. E comunque, sarebbero circolate strane domande se fosse tornata al Ministero con la notizia che ti aveva incontrato durante le vacanze. I maghi ritenuti morti farebbero bene a non incrociare le streghe del Ministero della Magia in locande lontane…»
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Codaliscia borbottò qualcosa cosi piano che Frank non riuscì ad afferrarlo, ma sentì che il secondo uomo rideva: una risata del tutto priva di allegria, fredda come le sue parole.
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«Avremmo potuto modificarle la memoria? Ma gli Incantesimi di Memoria possono essere infranti da un mago potente, come ho dimostrato quando l’ho interrogata. Sarebbe stato un insulto alla sua memoria non usare le informazioni che le ho estorto, Codaliscia».
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Nel corridoio, Frank si accorse all’improvviso che la mano che stringeva il bastone era madida di sudore. L’uomo con la voce fredda aveva ucciso una donna. Ne parlava senza nessun rimorso: sembrava divertito. Era pericoloso; era un pazzo. E progettava altri omicidi: quel ragazzo, Harry Potter, chiunque fosse, era in pericolo…
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Frank sapeva cosa fare. Doveva andare alla polizia, ora o mai più. Sarebbe sgattaiolato fuori e sarebbe andato dritto alla cabina telefonica al villaggio… ma la voce fredda aveva ripreso a parlare, e Frank rimase dov’era, paralizzato, ad ascoltare con tutto se stesso.
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«Un altro incantesimo… il mio fedele servo a Hogwarts… Harry Potter è praticamente già mio, Codaliscia. È deciso. Non ci saranno altre discussioni. Ma ora zitto… credo di aver sentito Nagini…»
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E la voce del secondo uomo cambiò. Cominciò a emettere suoni che Frank non aveva mai udito prima; sibilava e sputacchiava senza prendere fiato. Frank credette che fosse in preda a un qualche attacco.
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E poi Frank senti qualcosa muoversi nell’oscurità alle sue spalle. Si voltò a guardare e s’irrigidì dal terrore.
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Qualcosa strisciava verso di lui sul pavimento del corridoio buio, e mentre si avvicinava allo spiraglio illuminato dal fuoco, Frank capì con un brivido di orrore che si trattava di un serpente gigantesco, lungo almeno quattro metri. Terrorizzato, esterrefatto, Frank lo fissò mentre il suo corpo ondeggiante tracciava un ampio solco curvilineo sullo spesso strato di polvere che ricopriva il pavimento, avvicinandosi sempre di più… che fare? La sola via di scampo era entrare nella stanza dove due uomini sedevano tramando omicidi, ma se fosse rimasto dov’era il serpente lo avrebbe ucciso di sicuro…
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Ma prima che potesse decidersi, il serpente gli fu di fronte, e poi, incredibilmente, miracolosamente, attirato dai sibili prodotti dalla voce fredda al di là della porta, lo superò: in pochi istanti la punta della sua coda sparì nello spiraglio.
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Ora la fronte di Frank era imperlata di sudore, e la mano sul bastone da passeggio tremava. Dentro la stanza, la voce fredda continuava a sibilare, e Frank fu colpito da una strana idea, un’idea impossibile… Quell’uomo sa parlare con i serpenti.
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Frank non capiva che cosa stava succedendo. Più di tutto avrebbe desiderato essere ancora nel suo letto con la sua borsa dell’acqua calda. Il problema era che apparentemente le sue gambe non volevano muoversi. Mentre stava lì, tremando e cercando di riprendere il controllo, la voce fredda tornò di colpo a parlare in modo comprensibile.
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«Nagini porta notizie interessanti. Codaliscia» disse.
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«Da-davvero, mio signore?»
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«Davvero, sì» disse la voce. «Secondo Nagini, c’è un vecchio Babbano proprio lì dietro la porta che sta ascoltando tutto quello che diciamo».
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Frank non ebbe alcuna possibilità di nascondersi. Risuonarono dei passi, e poi la porta della stanza si spalancò.
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Un ometto basso quasi calvo con i capelli ingrigiti, il naso a punta e piccoli occhi acquosi era in piedi davanti a Frank, sul volto un’espressione di paura e allarme.
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«Invitalo a entrare, Codaliscia. Hai dimenticato le buone maniere?»
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La voce fredda proveniva dalla poltrona antica davanti al fuoco, ma Frank non vide il suo occupante. Il serpente, invece, era acciambellato sul tappeto consunto, come l’orribile imitazione di un cane da compagnia.
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Codaliscia fece cenno a Frank di entrare nella stanza. Benché ancora profondamente scosso, Frank serrò la presa sul bastone e oltrepassò la soglia zoppicando.
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Il fuoco era l’unica sorgente di luce nella stanza e gettava lunghe ombre aguzze sulle pareti. Frank fissò lo schienale della poltrona; l’uomo seduto sembrava perfino più piccolo del suo servitore, perché Frank non riusciva a vedergli nemmeno la sommità della testa.
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«Hai sentito tutto, Babbano?» disse la voce fredda.
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«Com’è che mi hai chiamato?» disse Frank in tono di sfida, perché ora che si trovava dentro la stanza, ora che era giunto il momento di prendere l’iniziativa, si sentiva più coraggioso; era sempre stato così, in guerra.
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«Ti ho chiamato Babbano» disse la voce con freddezza. «Vuol dire che non sei un mago».
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«Non so cosa vuoi dire con questo» disse Frank, con voce sempre più ferma. «Io so solo che stasera ho sentito parecchie cose che interesseranno la polizia, ecco. Avete già ucciso e state per farlo ancora! E vi dirò un’altra cosa» aggiunse, preso da un’improvvisa ispirazione. «Mia moglie sa che sono qui, e se non torno a casa…»
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«Tu non hai moglie» disse la voce fredda, molto tranquillamente. «Nessuno sa che sei qui. Non hai detto a nessuno che venivi. Non mentire al Signore Voldemort, Babbano, perché lui sa… lui sa sempre…»
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«Davvero?» disse Frank in tono rude. «Signore, hai detto? Be’, non mi pare che tu abbia poi delle gran maniere, mio signore. Voltati e guardami in faccia da uomo, coraggio!»
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«Ma io non sono un uomo, Babbano» disse la voce fredda, a stento percettibile sopra il crepitio delle fiamme. «Sono molto, molto più di un uomo. Comunque… perché no? Ti guarderò in faccia… Codaliscia, volta la mia poltrona».
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Il servitore mugolò.
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«Mi hai sentito, Codaliscia».
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Lentamente, storcendo la faccia, come uno che avrebbe preferito fare qualunque cosa piuttosto che avvicinarsi al suo padrone e al tappeto dove si trovava il serpente, l’ometto avanzò e prese a voltare la poltrona. Il serpente sollevò la brutta testa triangolare e sibilò lievemente mentre le gambe della poltrona s’impigliavano nel tappeto.
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Ed ecco che la poltrona fu di fronte a lui, e Frank vide che cosa vi era seduto. Il bastone da passeggio cadde a terra con un tonfo. Frank apri la bocca e urlò. Urlò cosi forte che non udi mai le parole che la cosa nella poltrona pronunciò levando una bacchetta. Ci fu un lampo di luce verde, un rumore improvviso, e Frank Bryce si afflosciò. Era morto prima ancora di toccare il pavimento.
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A trecento chilometri di distanza, il ragazzo chiamato Harry Potter si svegliò di soprassalto.
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