Quel sabato mattina Harry si svegliò alla luce del sole invernale che inondava la stanza e con il braccio riossificato, anche se ancora molto rigido. Si mise a sedere e sbirciò il letto di Colin, che però era stato escluso alla vista dalle lunghe tende dietro cui Harry si era cambiato il giorno prima. Vedendolo sveglio, Madama Chips si avvicinò sollecita con il vassoio della colazione e poi cominciò a piegargli il braccio e a stirargli le dita.
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«Tutto a posto» disse mentre lui cercava a fatica di cacciarsi in bocca il porridge con la mano sinistra. «Quando hai finito di mangiare puoi andartene».
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Harry si vestì più in fretta che poté e si avviò di gran carriera verso la torre dei Grifondoro, ansioso di raccontare a Ron e a Hermione di Colin e di Dobby. Ma non li trovò. Partì alla loro ricerca, chiedendosi dove si fossero cacciati e sentendosi un po’ offeso dal loro disinteresse per la sorte del suo braccio.
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Mentre passava davanti alla biblioteca ne uscì Percy Weasley, che pareva di umore assai migliore dell’ultima volta che si erano incontrati.
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«Salve, Harry» lo salutò. «Ottimo volo, ieri, veramente superbo. Il Grifondoro è già in testa alla classifica per la Coppa delle Case… hai vinto cinquanta punti!»
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«Hai visto per caso Ron e Hermione?» chiese Harry.
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«No» rispose Percy, e il sorriso gli si spense. «Spero che Ron non si sia infilato un’altra volta nel bagno delle femmine…»
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Harry si costrinse a ridere, aspettò che Percy fosse andato via e poi si diresse difilato al bagno di Mirtilla Malcontenta. Non riusciva a capire perché Ron e Hermione avrebbero dovuto essere di nuovo lì, ma dopo essersi assicurato che né Gazza né qualche Prefetto fossero nei paraggi aprì la porta e udì le loro voci provenire da un gabinetto chiuso a chiave.
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«Sono io» disse chiudendosi la porta alle spalle. Da dentro il gabinetto si udì qualcosa cadere rumorosamente dentro l’acqua e un respiro soffocato; poi Harry vide l’occhio di Hermione sbirciare attraverso il buco della serratura.
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«Harry!» esclamò. «Ci hai fatto prendere un colpo! Entra… come va il braccio?»
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«Bene» disse lui trattenendo il respiro per riuscire a infilarsi nel gabinetto. Sul water era stato sistemato un vecchio calderone e da uno scoppiettio proveniente da sotto Harry capì che era stato acceso un fuoco. Accendere fuochi portatili a prova d’acqua era una delle specialità di Hermione.
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«Dovevamo venire a trovarti, ma abbiamo deciso di cominciare a preparare la Pozione Polisucco» spiegò Ron mentre Harry richiudeva a chiave il gabinetto con una certa difficoltà. «Abbiamo deciso che questo è il posto più sicuro dove nasconderla».
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Harry cominciò a raccontare di Colin, ma Hermione lo interruppe: «Lo sappiamo già; questa mattina abbiamo sentito la McGranitt che lo diceva a Vitious. Per questo abbiamo deciso che era meglio iniziare…»
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«Prima otteniamo una confessione da Malfoy, meglio è» disse Ron con tono aggressivo. «Sapete cosa penso? Che era talmente fuori di sé dopo la partita a Quidditch che se l’è presa con Colin».
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«Ma c’è dell’altro» disse Harry guardando Hermione sminuzzare alcune foglie di Erba fondente e gettarle nella pozione. «Dobby è venuto a trovarmi nel bel mezzo della notte».
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Ron e Hermione alzarono gli occhi, stupiti. Harry raccontò tutto quel che gli aveva detto — o che non gli aveva detto — Dobby. 1 due ragazzi ascoltarono a bocca aperta.
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«La Camera dei Segreti è stata già aperta un’altra volta?» chiese Hermione.
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«Questo spiega tutto» disse Ron con voce trionfante. «Lucius Malfoy deve aver aperto la Camera quando studiava qui e ora ha spiegato al caro Draco come si fa. E evidente. Peccato che Dobby non ti abbia detto di che tipo di mostro si tratta. Mi chiedo come sia possibile che nessuno l’abbia mai incontrato in giro per la scuola».
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«Forse può rendersi invisibile» disse Hermione spingendo le sanguisughe verso il fondo del calderone. «O forse si camuffa… fa finta di essere un’armatura o cose del genere. Ho letto qualcosa sui Fantasmi Camaleonti…»
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«Tu leggi troppo, Hermione» disse Ron versando le Crisope morte sopra le sanguisughe. Appallottolò il sacchetto che le aveva contenute e si voltò a guardare Harry.
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«E così è stato Dobby a impedirci di salire sul treno e a romperti il braccio…» Scosse il capo. «Sai una cosa, Harry? Se non la smette di cercare di salvarti la pelle finisce che ti ammazza».
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Il lunedì mattina la notizia che Colin Canon era stato aggredito e che ora giaceva come morto in infermeria era ormai di dominio pubblico. L’aria si fece subito greve di voci e di sospetti. Ora gli studenti del primo anno si spostavano per il castello a ranghi serrati, temendo di venire aggrediti se si fossero avventurati da soli.
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Ginny Weasley, compagna di banco di Colin alla lezione di Incantesimi, aveva l’aria disperata, e Harry riteneva che Fred e George avessero scelto il modo sbagliato per farla ridere: a turno, si coprivano di pelo o di bolle e poi sbucavano all’improvviso di fronte a lei da dietro le statue. Smisero soltanto quanto Percy, inferocito, li minacciò di scrivere alla madre che Ginny soffriva di incubi notturni.
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Nel frattempo, all’insaputa dei professori, fra gli studenti prendeva piede un fiorente commercio di talismani, amuleti e altre protezioni. Neville Paciock acquistò una grossa cipolla verde e maleodorante, un cristallo appuntito color viola e una coda di tritone putrefatta prima che i suoi compagni del Grifondoro gli spiegassero che lui non correva pericolo: essendo un purosangue, era assai improbabile che venisse aggredito.
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«Ma il primo che hanno attaccato è stato Gazza» disse Neville col terrore dipinto sul faccione rotondo, «e tutti sanno che io sono praticamente un Magonò».
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La seconda settimana di dicembre la McGranitt fece il solito giro per annotare i nomi di quelli che sarebbero rimasti a scuola per Natale. Harry, Ron e Hermione firmarono la lista; avevano sentito dire, infatti, che Malfoy sarebbe rimasto, il che parve un fatto molto sospetto. Le vacanze sarebbero state il momento ideale per servirsi della Pozione Polisucco e cercare di ottenere da lui una confessione.
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Purtroppo la pozione era pronta solo per metà. Mancavano ancora il corno di Bicorno e la pelle di Girilacco, e l’unico posto dove reperirli era la dispensa privata di Piton. Personalmente, Harry avrebbe preferito affrontare il leggendario mostro di Serpeverde piuttosto che essere scoperto da Piton a rubare nel suo ufficio.
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«Quel che ci serve» disse Hermione animatamente mentre si avvicinava la doppia lezione di Pozioni del giovedì pomeriggio, «è distrarlo. A quel punto, uno di noi sgattaiola nel suo ufficio e prende gli ingredienti».
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Harry e Ron la guardarono nervosi.
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«Penso che del furto vero e proprio è meglio che me ne occupi io» continuò Hermione in tono pratico. «Se vi cacciate in qualche altro guaio, voi due rischiate di venire espulsi; io, invece ho la fedina pulita. Allora, quel che dovete fare voi è semplicemente creare abbastanza confusione da tenere occupato Piton più o meno per cinque minuti».
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Harry sorrise debolmente. Provocare confusione di proposito durante la lezione di Pozioni di Piton era pericoloso almeno quanto cacciare un dito nell’occhio di un drago addormentato.
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Le lezioni di Pozioni si tenevano in una vasta sala dei sotterranei. Quel giovedì pomeriggio la lezione si svolse nel modo consueto. Venti calderoni fumanti erano stati sistemati fra i banchi di legno, su cui erano poggiate bilance d’ottone e i barattoli degli ingredienti necessari. Piton si aggirava in mezzo a tutto quel fumo, facendo osservazioni pungenti sul lavoro dei Grifondoro, mentre i Serpeverde sogghignavano in segno di approvazione. Draco Malfoy, che era il cocco del professore, continuava a lanciare occhi di pesce-palla su Ron e Harry, il quale sapeva che qualsiasi rappresaglia sarebbe costata loro una punizione immediata.
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La Soluzione Dilatante di Harry era troppo liquida, ma lui aveva per la testa cose più importanti. Stava aspettando il segnale di Hermione e quando Piton si fermò per fare commenti sarcastici su quel liquido acquoso lo ascoltò a malapena. Poi Piton si voltò e andò a prendere in giro Neville; a quel punto Hermione incontrò lo sguardo di Harry e fece un cenno d’intesa.
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Harry scomparve rapidamente dietro al suo calderone, tirò fuori dalla tasca uno dei fuochi d’artificio Filibuster di Fred e lo colpì leggermente con la bacchetta magica. Quello cominciò a sibilare e a crepitare. Ben sapendo di avere soltanto pochi secondi, Harry si raddrizzò in piedi, si fece coraggio, lo lanciò in aria, e quello andò a infilarsi dritto dritto nel calderone di Goyle.
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La pozione di Goyle esplose, inondando la classe. Tutti gridavano, colpiti dagli schizzi di Pozione Dilatante. Malfoy se ne prese uno spruzzo in faccia, e il naso cominciò a gonfiarglisi come un pallone; Goyle brancolava per la stanza, con le mani sugli occhi, che gli erano diventati come due scodelle, e Piton cercava di riportare la calma e di capire cosa fosse successo. Nella confusione generale, Harry vide Hermione sgattaiolare furtivamente fuori dall’aula.
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«Silenzio! SILENZIO!» tuonava Piton. «Tutti quelli che sono stati colpiti dagli schizzi, qui da me per farsi fare uno Sgonfiotto. Se pesco chi è stato…»
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Harry cercò di non scoppiare a ridere alla vista di Malfoy che si precipitava fuori con la testa che gli ciondolava in avanti sotto il peso di un naso diventato grande come un melone. Mentre metà della classe si accalcava intorno alla cattedra di Piton, chi con un braccio come una mazza, chi incapace di parlare per le labbra gonfie a dismisura, Harry vide Hermione tornare furtiva nell’aula: sotto gli abiti si intravedeva un grosso bozzo.
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Quando tutti ebbero sorseggiato l’antidoto e fu posto rimedio alle varie tumefazioni, Piton si avvicinò al calderone di Goyle e trovò i resti contorti del fuoco d’artificio. Di colpo cadde il silenzio.
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«Se scopro chi ha tirato questo coso» sibilò Piton, «state pur certi che lo faccio espellere».
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Harry assunse un’espressione perplessa, o almeno sperò che sembrasse tale. Piton lo stava fissando dritto negli occhi e il suono della campanella che arrivò dieci minuti dopo non giunse mai tanto a proposito.
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«Lo sapeva che sono stato io» disse a Ron e a Hermione mentre si avviavano velocemente alla toilette di Mirtilla Malcontenta. «Ne sono sicuro».
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Hermione gettò i nuovi ingredienti nel calderone e cominciò a rimescolare febbrilmente.
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«Sarà pronto tra una quindicina di giorni» disse con entusiasmo.
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«Piton non può dimostrare che sei stato tu» Ron rassicurò Harry. «Che cosa può fare?»
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«Conoscendo Piton, qualche tiro mancino» rispose Harry, mentre la pozione continuava a schiumare e bollire.
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Una settimana dopo, Harry, Ron e Hermione stavano attraversando la Sala d’Ingresso quando videro un gruppo di studenti intorno alla bacheca della scuola, intenti a leggere una pergamena che era appena stata affissa. Seamus Finnigan e Dean Thomas, eccitatissimi, gli fecero cenno di avvicinarsi.
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«Hanno fondato il Club dei Duellanti!» esclamò Seamus. «Il primo incontro è per questa sera! Non mi dispiacerebbe prendere lezioni di duello; coi tempi che corrono, potrebbe tornare utile…»
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«Pensi proprio che il mostro di Serpeverde sappia duellare?» commentò Ron, ma anche lui lesse l’avviso con interesse.
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«Potrebbe essere utile» disse a Harry e Hermione mentre si avviavano a pranzo. «Ci andiamo anche noi?»
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I due amici furono d’accordissimo, e perciò quella sera alle otto scesero di nuovo nella Sala Grande. Gli immensi tavoli da pranzo erano scomparsi e lungo una parete era apparso un palcoscenico d’oro, illuminato da migliaia di candele sospese in aria. Sotto la magica volta del soffitto, di un nero vellutato, sembravano essersi dati convegno quasi tutti, armati di bacchette magiche e molto eccitati.
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«Chissà chi è l’istruttore…?» disse Hermione avanzando a fatica tra la folla. «Ho sentito dire che da giovane Vitious è stato campione di duello. Forse sarà lui».
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«Purché non sia…» cominciò Harry, ma si interruppe con un gemito: in quel momento Gilderoy Allock comparve sul palcoscenico, splendido nel suo abito color prugna scuro, e accompagnato nientemeno che da Piton, come al solito vestito di nero.
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Allock chiese il silenzio con un gesto, poi gridò: «Avvicinatevi! Avvicinatevi! Mi vedete tutti? Mi sentite tutti? Molto bene! Il professor Silente mi ha dato il permesso di fondare questo piccolo Club dei Duellanti perché possiate allenarvi, nel caso doveste avere bisogno di difendervi, come è capitato a me innumerevoli volte. Per ulteriori particolari, si vedano i lavori da me pubblicati.
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«Permettete che vi presenti il mio assistente, il professor Piton» continuò Allock con un largo sorriso stampato in faccia. «Mi dice di intendersi un po’ dell’arte del duello e molto sportivamente ha accettato di collaborare per una breve dimostrazione, prima di iniziare. Niente paura, ragazzi… quando avrò finito avrete ancora il vostro insegnante di Pozioni tutto intero, non temete!»
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«Non sarebbe male che si facessero fuori a vicenda» borbottò Ron all’orecchio di Harry.
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Il labbro superiore di Piton stava assumendo una piega strana. Harry si chiedeva come facesse Allock a continuare a sorridere; se Piton avesse guardato lui a quel modo, sarebbe scappato a gambe levate.
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Allock e Piton si misero uno di fronte all’altro e si inchinarono; o per lo meno, Allock fece un inchino tutto svolazzi, mentre Piton piegò leggermente il capo con un movimento che tradiva la sua irritazione. Poi sguainarono le bacchette magiche, a mo’ di spade.
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«Come potete vedere, stiamo tenendo le bacchette nella posizione regolamentare di combattimento» commentava Allock per la folla che assisteva in silenzio. «Al tre, ci lanceremo i primi incantesimi. Nessuno dei due mirerà a uccidere, naturalmente».
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«Non ne sarei tanto sicuro» mormorò Harry vedendo Piton digrignare i denti.
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«Uno… due… tre…»
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Entrambi sollevarono la bacchetta in alto puntandola poi sulla spalla dell’altro. Piton gridò: «Expelliarmus!» Ci fu un accecante bagliore di luce scarlatta e Allock fu scaraventato a gambe all’aria: volò all’indietro giù dal palco e sbatté contro la parete, su cui si accasciò, finendo a terra.
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Malfoy e qualche altro Serpeverde applaudirono. Hermione saltellava sulla punta dei piedi. «Si sarà fatto male?» strillava.
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«Ma chi se ne importa?» dissero insieme Harry e Ron.
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Allock si stava rialzando da terra con gambe malferme. Il cappello gli era caduto e i capelli ondulati gli s’erano drizzati in testa.
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«Ecco fatto!» disse mentre tornava sul palco barcollando. «Questo era un Incantesimo di Disarmo… come potete vedere, ho perso la bacchetta magica… ah, grazie signorina Brown. Sì, ottima idea davvero, mostrargli questo, professor Piton, ma non se la prenda se le dico che le sue intenzioni erano molto evidenti. Avrei potuto fermarla in qualsiasi momento. Ma ho pensato che fosse più istruttivo che i ragazzi vedessero…»
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Piton aveva uno sguardo omicida. Probabilmente Allock se ne rese conto, perché soggiunse: «Basta con le dimostrazioni! Ora io passo in mezzo a voi e formerò delle coppie. Professor Piton, se vuole aiutarmi…»
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Così fecero. Allock abbinò Neville con Justin Finch-Fletchley, ma Piton si diresse immediatamente verso Harry e Ron.
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«Credo sia ora di separare la squadra del cuore» disse con tono maligno. «Weasley, tu starai con Finnigan. Quanto a Potter…»
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Harry si mosse automaticamente verso Hermione.
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«No, non penso proprio!» disse Piton con un sorriso glaciale. «Venga qui, signor Malfoy. Vediamo cosa è capace di fare del famoso Potter. E lei, signorina Granger… lei può andare con la signorina Bulstrode».
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Malfoy si fece largo tra i compagni, con un sorriso beffardo stampato sul viso, seguito da una ragazza Serpeverde, che ricordò a Harry un’illustrazione del libro In vacanza con le streghe. Era grossa e tarchiata, con l’aria aggressiva. Hermione le rivolse un debole sorriso, che lei non ricambiò.
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«Tutti uno di fronte all’altro» gridò Allock che era risalito sul palco, «e inchinatevi!»
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Harry e Malfoy chinarono a malapena la testa, senza staccarsi gli occhi di dosso.
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«Bacchette in posizione!» gridò Allock. «Al mio ‘tre’, lanciate l’incantesimo di disarmo al vostro avversario… soltanto per disarmarlo, naturalmente… non vogliamo incidenti. Uno… due… tre…»
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Harry sollevò la bacchetta sopra la spalla, ma Malfoy aveva cominciato al ‘due’: il suo incantesimo colpì Harry con inaudita violenza, come una formidabile padellata in testa. Il ragazzo barcollò, ma poiché non sembrava fosse accaduto niente, senza perdere altro tempo, puntò la sua bacchetta magica contro Malfoy, gridando: «Rictusempra!»
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Un fascio di luce argentata colpì allo stomaco Malfoy, che si piegò in due con un gemito.
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«Ho detto di disarmare soltanto!» gridò Allock allarmato sovrastando gli sfidanti, mentre Malfoy cadeva in ginocchio; Harry lo aveva colpito con un Incantesimo di Solletico e Malfoy, preso da un convulso di risa, poteva muoversi a stento. Harry si ritirò, con la vaga sensazione che sarebbe stato poco sportivo fare un sortilegio a Malfoy mentre era a terra, ma fu un errore. Riprendendo fiato, quello puntò la sua bacchetta sulle ginocchia di Harry e gridò: «Tarantallegra!» Un attimo dopo, le gambe di Harry avevano preso ad agitarsi senza controllo, in una specie di forsennata tarantella.
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«Ferma! Ferma!» gridava Allock, ma Piton prese in mano la situazione.
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«Finite Incantatem!» gridò; i piedi di Harry smisero di danzare, Malfoy smise di ridere, ed entrambi furono in grado di alzare lo sguardo.
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Una cortina di fumo verdastro aleggiava sulla scena. Neville e Justin giacevano a terra, ansimanti; Ron stava aiutando Seamus, pallido come un cencio, a rialzarsi, scusandosi per quel che la sua bacchetta rotta aveva provocato; ma Hermione e Millicent Bulstrode combattevano ancora; Millicent aveva afferrato per la testa Hermione che strillava, ma le loro bacchette giacevano a terra, dimenticate. Harry fece un balzo in avanti e allontanò Millicent, anche se con difficoltà, perché la ragazza era molto più corpulenta di lui.
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«Oh santo cielo!» esclamò Allock svolazzando tra la folla e contemplando le conseguenze provocate dal duello. «Su, in piedi, Macmillan… attenta là, signorina Fawcett… stringi forte, Boot, e vedrai che in un attimo smetterà di sanguinare…
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«Penso sarà meglio che vi insegni a bloccare gli incantesimi ostili» disse agitato, in mezzo alla sala. Gettò un’occhiata a Piton, che lo stava fulminando con gli occhi, e subito distolse lo sguardo. «Proviamo con una coppia di volontari… Paciock e Finch-Fletchley, vi va?»
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«Pessima idea, professor Allock» disse Piton muovendosi silenzioso come un grosso e sinistro pipistrello. «Paciock fa guai anche con gli incantesimi più semplici. Vogliamo mandare dritti in infermeria i resti di Finch-Fletchley dentro una scatola di fiammiferi?» Il faccione di Neville diventò ancor più paonazzo. «Che ne dice di Malfoy e Potter?» suggerì Piton con un sorriso che era piuttosto un ghigno.
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«Ottima idea!» esclamò Allock gesticolando in direzione di Harry e Malfoy, che si trovavano al centro della sala, mentre la folla indietreggiava per fare largo a entrambi.
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«Allora, Harry» disse Allock, «quando Draco punta contro di te la bacchetta magica, tu fai questo».
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E così dicendo, sollevò la sua bacchetta, tentò una specie di complicata contorsione e se la lasciò sfuggire di mano. Piton sorrise malignamente, mentre Allock la raccoglieva lesto commentando: «Ohi, ohi!… la mia bacchetta magica è un po’ sovreccitata».
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Piton si avvicinò a Malfoy, si piegò e gli bisbigliò qualcosa all’orecchio. Anche Malfoy sorrise maligno. Harry guardò nervosamente Allock e disse: «Professore, potrebbe mostrarmi di nuovo quella mossa per bloccare…?»
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«Paura, eh?» borbottò Malfoy in modo che Allock non potesse udirlo.
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«Ti piacerebbe!» fece Harry di rimando a labbra strette.
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Allock batté allegramente sulla spalla di Harry: «Fai esattamente quel che ho fatto io, Harry!»
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«Cosa, far cadere la bacchetta?»
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Ma Allock non lo ascoltava più.
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«Tre… due… uno… via!» gridò.
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Malfoy sollevò rapido la bacchetta magica e gridò: «Serpensortia!»
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La punta della sua bacchetta esplose. Harry la fissava sbalordito mentre un lungo serpente nero ne veniva letteralmente sparato fuori, cadeva pesantemente a terra e si rizzava, pronto a colpire. La folla arretrò rapidamente gridando.
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«Non ti muovere, Potter» disse Piton con tono indolente, palesemente divertito alla vista di Harry che, immobile, fissava negli occhi il serpente arrabbiato. «Ci penso io a mandarlo via…»
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«Mi consenta!» esclamò Allock. Brandì la sua bacchetta contro il rettile. Ci fu un boato; anziché scomparire, il serpente volò a tre metri di altezza e poi ricadde a terra con un gran tonfo. Inferocito, sibilando furiosamente, strisciò verso Justin Finch-Fletchley, si eresse un’altra volta, a zanne scoperte, pronto a colpire.
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In seguito Harry si chiese che cosa l’avesse indotto ad agire. Non si rese neanche conto di averlo fatto. Sapeva soltanto che le gambe lo avevano spinto in avanti, come se avesse avuto le rotelle, e che aveva gridato stupidamente al serpente: «Lascialo stare!» E come per miracolo — inspiegabilmente — quello si era accsciato a terra, innocuo come un tubo di gomma per annaffiare, e ora guardava Harry. Harry sentì dissolversi la paura dentro di sé. Sapeva che ora il rettile non avrebbe più attaccato nessuno, anche se non avrebbe saputo spiegare cosa gliene desse la certezza.
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Guardò Justin sorridendo e aspettandosi di vederlo rincuorato, o perplesso, o anche grato… ma certamente mai arrabbiato e spaventato.
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«A che gioco stai giocando?» gli gridò, e prima che Harry potesse dire una parola gli aveva voltato le spalle ed era uscito di corsa dalla sala.
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Piton si fece avanti, agitò la bacchetta e il serpente si dissolse in una nuvoletta di fumo nero. Anche lui guardava Harry con un’espressione inaspettata: era uno sguardo scaltro e calcolatore, che a Harry non piacque affatto. Per giunta, il ragazzo avvertì vagamente un mormorio sinistro levarsi da ogni parte. Poi si sentì tirare per i vestiti.
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«Vieni via!» Era la voce di Ron che gli bisbigliava all’orecchio. «Muoviti… Vieni via…»
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Ron lo trascinò fuori dalla sala e Hermione li seguì. Quando attraversarono il portone, tutti si ritrassero facendogli ala, come se temessero di prendersi un contagio. Harry non aveva la più pallida idea di quel che stesse accadendo, e Ron e Hermione non gli diedero spiegazioni fino a che non lo ebbero trascinato nella sala di ritrovo del Grifondoro. Allora Ron lo costrinse a sedere in poltrona e disse: «Tu sei un Rettilofono… Perché non ce l’hai detto?»
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«Che cosa sarei io?» chiese Harry.
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«Un Rettilofono…» disse Ron. «Parli ai serpenti!»
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«Lo so» disse Harry. «Voglio dire che è solo la seconda volta che lo faccio. Una volta mi è capitato per caso di aizzare un boa constrictor contro mio cugino Dudley, allo zoo — è una lunga storia —, ma lui mi aveva detto che non aveva mai visto il Brasile e io, senza volerlo, l’ho liberato. È accaduto prima di sapere che ero un mago…»
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«Un boa constrictor ti ha detto che non aveva mai visto il Brasile?» ripeté Ron con un filo di voce.
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«Cosa c’è di strano?» disse Harry. «Scommetto che un sacco di persone, qui, sanno farlo».
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«No che non sanno farlo!» esclamò Ron. «Non è un dono molto comune, Harry, è una cosa malefica».
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«Che cosa c’è di malefico?» chiese Harry che cominciava davvero ad arrabbiarsi. «Ma che cosa vi prende a tutti quanti? Stammi bene a sentire, se non avessi detto a quel serpente di non attaccare Justin…»
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«Ah, questo è quel che gli hai detto?»
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«Che cosa vuoi dire? C’eri anche tu… mi hai sentito».
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«Ti ho sentito parlare Serpentese» disse Ron, «la lingua dei serpenti. Avresti potuto dire qualsiasi cosa. Non c’è da stupirsi che Justin si sia spaventato; sembrava che tu stessi aizzando il serpente o qualcosa di simile. Era da far venire i brividi, lo sai?»
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Harry lo guardò.
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«Io parlavo un’altra lingua? Ma… non me ne sono accorto… Come faccio a parlare una lingua senza sapere di conoscerla?»
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Ron scosse la testa. Sia lui che Hermione avevano una faccia da funerale. Harry non riusciva a capire che cosa ci fosse di tanto terribile.
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«Mi volete spiegare che cosa c’è di male nell’impedire che un maledetto serpente gigantesco stacchi la testa a Justin?» chiese. «Che cosa conta in che modo l’ho fatto, visto che a Justin è stato risparmiato l’ingresso nella schiera dei Cavalieri Senzatesta?»
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«Conta, eccome!» disse Hermione prendendo finalmente la parola con voce strozzata. «Perché la capacità di parlare ai serpenti era la cosa per cui era famoso Salazar Serpeverde. Per questo il simbolo della sua Casa è un serpente».
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Harry restò a bocca aperta.
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«Proprio così» confermò Ron. «E ora tutta la scuola penserà che tu sei il suo pro-pro-pro-pronipote o qualcosa del genere…»
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«Ma non è vero!» disse Harry preso da un panico che non riusciva a spiegarsi.
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«Non ti sarà facile dimostrarlo» disse Hermione. «Lui è vissuto circa mille anni fa; per quanto ne sappiamo potresti benissimo esserlo».
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Quella notte Harry rimase sveglio per ore. Da uno spiraglio delle cortine del suo letto a baldacchino, rimase a guardare la neve che cominciava a fioccare davanti alla finestra della torre, e rimuginava tra sé.
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Poteva essere davvero un discendente di Salazar Serpeverde? Dopo tutto, lui non sapeva niente della famiglia di suo padre. I Dursley gli avevano sempre proibito di fare domande sui suoi antenati maghi.
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A bassa voce cercò di dire qualcosa in Serpentese. Ma le parole non gli venivano. Perché ciò accadesse, sembrava che dovesse trovarsi faccia a faccia con un rettile.
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‘Ma io sono nel Grifondoro’ pensò. ‘Se avessi sangue di Serpeverde nelle vene, il Cappello Parlante non mi avrebbe messo qui…’
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‘Ah!’ esclamò una vocina maligna dentro di lui. ‘Ma il Cappello Parlante voleva metterti tra i Serpeverde, non ti ricordi?’
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Harry si voltò dall’altra parte. Il giorno dopo avrebbe visto Justin alla lezione di Erbologia e gli avrebbe spiegato che aveva richiamato il serpente, non il contrario: ma qualsiasi stupido l’avrebbe capito, pensò prendendo furiosamente a pugni il cuscino.
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Ma la mattina dopo la neve che aveva cominciato a cadere di notte si era trasformata in una tormenta così fitta che l’ultima lezione di Erbologia del trimestre fu sospesa. La professoressa Sprite voleva mettere calze e sciarpe alle mandragole, un’operazione delicata che non si sentiva di affidare a nessuno, ora che era diventato così importante che le mandragole crescessero in fretta per riportare in vita Mrs Purr e Colin Canon.
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Harry rimuginava tutto questo, seduto accanto al fuoco nella sala di ritrovo del Grifondoro, mentre Ron e Hermione ingannavano il tempo giocando a scacchi magici.
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«Per l’amor del cielo, Harry» esclamò Hermione esasperata mentre un alfiere di Ron le faceva fuori un cavallo, trascinandolo via dalla scacchiera. «Vai a cercare Justin, se per te è così importante!»
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Harry si alzò e uscì dalla sala passando per il buco del Ritratto e chiedendosi dove mai potesse essere Justin.
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Il castello, che già normalmente era buio anche di giorno, quella mattina lo era ancor più del solito per via della fitta neve grigia che fioccava, oscurando tutte le finestre. Scosso da un brivido, Harry passò davanti alle classi dove si tenevano le lezioni, cercando di capire che cosa stesse accadendo dentro. La professoressa McGranitt stava rimproverando qualcuno che, a quanto pareva, aveva trasformato il suo amico in un tasso. Resistendo all’impulso di entrare a dare un’occhiata Harry passò oltre, pensando che forse Justin aveva deciso di sfruttare l’ora libera per portarsi avanti con i compiti per l’indomani, e decise di andare a vedere prima in biblioteca.
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Infatti, un gruppetto di ragazzi del Tassorosso che avrebbero dovuto essere alla lezione di Erbologia si trovavano nel retro della biblioteca, ma non sembrava stessero studiando. Tra le lunghe file degli alti scaffali, Harry poteva vederli raccolti in circolo, impegnati in una conversazione animata. Non riuscì a vedere se tra loro c’era Justin. Mentre si avvicinava colse un brandello di quella conversazione e si fermò ad ascoltare, nascosto nel Reparto Invisibilità.
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«In ogni caso» stava dicendo un ragazzo corpulento, «ho detto a Justin di nascondersi nel nostro dormitorio. Voglio dire, se Potter lo ha preso di mira come sua prossima vittima è meglio che lui si tenga alla larga per un po’. Inutile dire che Justin si aspettava qualcosa del genere da quando s’era lasciato sfuggire con Potter che era figlio di Babbani. In realtà Justin gli ha spiattellato che era stato scelto per Eton, e non è certo il genere di cose che uno va a strombazzare quando è in giro l’erede di Serpeverde, non trovate?»
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«Ma allora, Ernie, sei proprio sicuro che sia Potter?» chiese ansiosamente una ragazza con le treccine bionde.
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«Hannah» disse solennemente il ragazzo corpulento, «lui è un Rettilofono. Tutti sanno che quello è il segno della Magia Oscura. Hai mai sentito dire che un mago per bene parli ai serpenti? Lo stesso Serpeverde veniva chiamato ‘Lingua di Serpente’».
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Queste parole furono seguite da un animato mormorio; poi Ernie prosegui: «Vi ricordate quel che era scritto sui muri? Temete, Nemici dell’Erede. Potter ha avuto una specie di battibecco con Gazza. Sappiamo che subito dopo la gatta di Gazza ha subito un attentato. Quel ragazzo del primo anno, Canon, ha infastidito Potter durante la partita di Quidditch, scattandogli foto mentre lui era lungo disteso nel fango. E non passano poche ore che anche Canon viene aggredito».
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«Ma è sempre così carino, però» disse Hannah con voce incerta, «e… be’, è lui che ha fatto sparire Voi-Sapete-Chi. Non può essere cattivo, no?»
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Ernie abbassò la voce come per svelare qualcosa di misterioso; i suoi compagni gli si strinsero intorno e Harry si avvicinò tanto da poter udire le sue parole.
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«Nessuno sa come ha fatto a sopravvivere a quell’attacco di Voi-Sapete-Chi. Voglio dire, a quell’epoca era soltanto un neonato. Normalmente sarebbe stato fatto a pezzi. Solo un Mago Oscuro veramente potente poteva sopravvivere a un’offensiva del genere». A questo punto, la sua voce divenne un bisbiglio: «Questa è probabilmente la vera ragione per cui Voi-Sapete-Chi voleva ucciderlo. Non voleva la concorrenza di un altro Signore Oscuro. Chissà quali altri poteri nasconde Potter».
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Harry non poté trattenersi oltre. Schiarendosi rumorosamente la gola, uscì da dietro gli scaffali. Non fosse stato per la gran rabbia che aveva dentro avrebbe trovato buffa la scena che accolse il suo arrivo: tutti i Tassorosso sembrarono effettivamente pietrificati al vederlo ed Ernie divenne pallidissimo.
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«Salve» disse Harry. «Stavo cercando Justin Finch-Fletchley».
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I peggiori presentimenti dei Tassorosso venivano chiaramente confermati. Tutti guardarono Ernie impauriti.
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«Che cosa vuoi da lui?» gli chiese Ernie con la voce che gli tremava.
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«Volevo spiegargli quel che è accaduto veramente con quel serpente, al Duello» disse Harry.
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Ernie si morse le labbra e poi, prendendo fiato, disse: «C’eravamo tutti. Abbiamo visto quel che è accaduto».
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«Allora avete anche visto che dopo le mie parole il serpente si è ritirato?» disse Harry.
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«Tutto quel che ho visto» disse Ernie testardo, per quanto tremante, «è che tu parlavi in Serpentese e aizzavi il serpente contro Justin».
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«Non l’ho aizzato contro di lui!» esclamò Harry con voce tremante di rabbia. «Il serpente non lo ha neanche sfiorato!»
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«Lo ha mancato di poco» replicò Ernie. «E nel caso tu ti stessi facendo venire in mente qualche strana idea» si affrettò a soggiungere, «posso dirti che per quanto indietro tu voglia risalire nell’albero genealogico della mia famiglia non troverai altro che generazioni di streghe e di maghi, e che il mio sangue è purissimo, quindi…»
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«Non mi importa un accidente del tuo sangue!» disse Harry con fermezza. «Perché mai dovrei voler attentare ai figli dei Babbani?»
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«Ho sentito dire che detesti i Babbani con cui vivi» si affrettò a dire Ernie.
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«Non è possibile vivere con i Dursley senza odiarli» replicò Harry. «Vorrei vedere te al mio posto».
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Girò sui tacchi e uscì di corsa dalla biblioteca, procurandosi un’occhiataccia da parte di Madama Pince che stava lucidando la copertina dorata di un librone d’incantesimi.
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Era talmente infuriato che fece il corridoio di corsa, senza neanche far caso a dove stesse andando, col risultato che rimbalzò contro qualcosa di molto voluminoso e solido, e piombò a terra.
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«Oh, salve, Hagrid» disse alzando lo sguardo.
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La testa di Hagrid era completamente nascosta da un passamontagna di lana, tutto coperto di neve, ma non poteva essere altro che lui, perché occupava mezzo corridoio, avvolto nel suo pastrano di fustagno. Da una delle sue manone guantate pendeva un galletto morto.
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«Che ti succede, Harry?» chiese sollevando il passamontagna per poter parlare. «Perché non sei in classe?»
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«Lezione sospesa» spiegò Harry rialzandosi. «E tu cosa ci fai qui?»
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Hagrid sollevò il galletto stecchito.
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«È il secondo che mi schiatta, in tre mesi» spiegò. «O sono le volpi o è uno Spauracchio Succhia-Sangue e mi serve il permesso del preside per fare un incantesimo intorno al pollaio».
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Scrutò Harry più da vicino da sotto le folte sopracciglia piene di neve.
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«Sei sicuro di sentirti bene? Sei tutto rosso e stravolto…»
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Harry non se la sentì di ripetere quel che avevano detto di lui Ernie e i suoi compagni del Tassorosso.
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«Non è niente» disse. «Ma ora devo andare, Hagrid. La prossima lezione è Trasfigurazione e devo salire a prendere i libri».
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Si allontanò con la mente piena dei commenti di Ernie su di lui.
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Naturalmente Justin aspettava che qualcosa del genere accadesse fin da quando si era lasciato sfuggire con Potter che era figlio di Babbani…
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Salì le scale e poi svoltò per un altro corridoio, particolarmente buio; le torce erano state spente da un forte spiffero gelato che soffiava attraverso una finestra semichiusa. Giunto a metà strada, inciampò e cadde sopra qualcosa che giaceva sul pavimento.
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Si voltò per guardare cosa fosse e si sentì un vuoto allo stomaco.
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Steso a terra, rigido e freddo, c’era Justin Finch-Fletchley, la faccia contratta in un’espressione di terrore e gli occhi vuoti, fissi al soffitto. E non era tutto. Accanto a lui c’era un’altra sagoma, lo spettacolo più strano che Harry avesse mai visto.
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Era Nick-Quasi-Senza-Testa, non più del suo colore bianco perlaceo e trasparente ma nero e fumoso, che galleggiava immobile e orizzontale a un metro e mezzo da terra. La testa era per metà staccata dal collo e sul viso aveva un’espressione sconvolta, identica a quella di Justin.
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Harry si rialzò; ansimava e il cuore gli batteva come un tamburo contro le costole. Disperato, guardò su e giù lungo il corridoio deserto e vide una fila di ragni che si allontanavano dai due corpi a tutta velocità. Gli unici rumori erano le voci attutite degli insegnanti che provenivano dalle classi lungo il corridoio.
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Avrebbe potuto correre via e nessuno avrebbe mai saputo che era stato lì. Ma non poteva lasciare quei due stesi li per terra… doveva chiamare aiuto. Avrebbero creduto che con quella faccenda lui non c’entrava niente?
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Stava lì, in preda al panico, quando una porta accanto a lui si aprì di scatto e ne schizzò fuori Pix il Poltergeist.
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«Ah, c’è Potter picchiatello!» chiocciò il folletto passando davanti a Harry a tutta velocità e mandandogli di traverso gli occhiali. «Che cosa sta facendo Potter? Perché Potter si aggira furtivo…»
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Poi si interruppe, facendo un salto mortale a mezz’aria. Da sotto in su, vide Justin e Nick-Quasi-Senza-Testa. Tornò in posizione eretta, si riempì i polmoni d’aria e prima che Harry potesse fermarlo cominciò a gridare: «ATTENTATO! ATTENTATO! NÉ MORTALI NÉ FANTASMI SONO AL SICURO! METTETEVI IN SALVO! ATTENTATOOOOOO!»
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Sbam… sbam… sbam… una dopo l’altra, le porte del corridoio si spalancarono e gli studenti uscirono precipitosamente dalle aule. Per alcuni lunghi minuti regnò una tale confusione che Justin corse il pericolo di venire schiacciato e nessuno si accorse di occupare lo spazio incorporeo di Nick-Quasi-Senza-Testa.
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Harry si trovò schiacciato contro la parete mentre gli insegnanti chiedevano a gran voce di fare silenzio. La professoressa McGranitt sopraggiunse di corsa seguita dai suoi allievi, uno dei quali aveva ancora i capelli a strisce bianche e nere. Batté un grande colpo di bacchetta magica, ripristinando il silenzio, quindi ordinò a tutti di andare in classe. Era appena tornato un po’ d’ordine quando il Tassorosso Ernie arrivò sulla scena col fiatone.
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«Colto sul fatto!» gridò con il viso bianco come uno straccio lavato e puntando il dito contro Harry con gesto drammatico.
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«Basta così, Macmillan!» intimò secca la McGranitt.
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Ora Pix svolazzava per aria, con un sorriso maligno, osservando la scena: a Pix era sempre piaciuta la confusione. Quando gli insegnanti si chinarono su Justin e su Nick-Quasi-Senza-Testa per esaminarli intonò la canzoncina:
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È Potter canaglia che infuria e si scaglia Che uccide studenti e ride tra i denti…
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«Smettila, Pix!» tuonò la McGranitt, e lui piroettò facendo una linguaccia a Harry.
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Justin fu portato in infermeria, ma per Nick-Quasi-Senza-Testa sembrava che nessuno sapesse cosa fare. Alla fine la McGranitt fece apparire dall’aria un grosso ventaglio, che consegnò a Ernie con l’incarico di sventolare Nick-Quasi-Senza-Testa e di sospingerlo su per le scale. E così fece Ernie, sventolando Nick lungo il tragitto, come un nuvolone nero. A quel punto, Harry e la professoressa McGranitt rimasero soli.
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«Da questa parte, Potter» fece lei.
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«Professoressa» disse subito Harry, «io le giuro che non…»
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«Non è una questione di mia competenza, Potter» tagliò corto la McGranitt.
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Camminarono in silenzio, girarono un angolo e si fermarono davanti a un orribile e immenso mascherone di pietra.
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«Sorbetto al limone!» disse lei. Evidentemente era una parola d’ordine, perché tutt’a un tratto il mascherone prese vita e fece un balzo di lato, mentre la parete si apriva. Quantunque molto spaventato per quel che sarebbe successo, Harry non riuscì a trattenere lo stupore. Dietro la parete c’era una scala a chiocciola che si muoveva dolcemente verso l’alto, come una scala mobile. Vi sali insieme alla McGranitt e a quel punto udì il tonfo della parete che si richiudeva alle loro spalle. Salirono a spirale, su su, sempre più in alto, fino a che Harry, leggermente stordito, vide davanti a sé una porta di quercia lucente con un batacchio di rame a forma di grifone.
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Seppe allora dove si trovava. Quello doveva essere il luogo in cui viveva Silente.
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