Col trascorrere di agosto, il quadrato di erba incolta al centro di Grimmauld Place avvizzì al sole fino a diventare secco e marrone. Gli abitanti del numero dodici non furono mai visti da nessuno delle case intorno, e del resto nemmeno il numero dodici. I Babbani che abitavano in Grimmauld Place avevano da tempo accettato il buffo errore di numerazione che aveva posto il numero undici accanto al numero tredici.
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Eppure la piazza attirava da qualche tempo uno stillicidio di visitatori che sembravano trovare l'anomalia affascinante. Non passava giorno senza che una o due persone arrivassero in Grimmauld Place senza altro scopo evidente che appoggiarsi alla ringhiera di fronte ai numeri undici e tredici a osservare il punto d'unione tra le due case. Le persone appostate non erano mai le stesse per due giorni di fila, anche se parevano condividere il disprezzo per l'abbigliamento normale. Gran parte dei londinesi che passavano da quelle parti era abituata a tenute eccentriche e non ci faceva caso, ma ogni tanto qualcuno si voltava a guardarli, chiedendosi che senso avesse portare lunghi mantelli con quel caldo.
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Le sentinelle sembravano trarre scarsa soddisfazione dalla loro sorveglianza. Ogni tanto una di loro balzava in avanti eccitata, come se avesse visto finalmente qualcosa d'interessante, ma poi si riappoggiava alla ringhiera, delusa.
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Il primo giorno di settembre, c'erano più persone appostate nella piazza di quante ce ne fossero mai state. Sei o sette uomini in mantello stavano silenziosi e attenti a scrutare come sempre il numero undici e il numero tredici, ma qualunque cosa aspettassero non si fece vedere. Quando calò la sera, portando con sé un inatteso scroscio di pioggia fresca per la prima volta dopo settimane, si verificò uno di quegli inspiegabili momenti in cui parve che scorgessero qualcosa di interessante. L'uomo con la faccia storta indicò un punto e il suo vicino, un uomo pallido e tozzo, balzò in avanti, ma un attimo dopo entrambi erano tornati al consueto stato di inattività, frustrati e delusi.
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Nel frattempo, all'interno del numero dodici, Harry era appena entrato nell'atrio. Aveva quasi perso l'equilibrio Materializzandosi sull'ultimo gradino appena fuori dalla porta e aveva temuto che i Mangiamorte potessero aver adocchiato il suo gomito che si era scoperto per un attimo. Chiuse la porta con cautela, si sfilò il Mantello dell'Invisibilità, lo ripiegò sul braccio
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e corse lungo il tetro ingresso verso la porta che conduceva nel seminterrato, stringendo una copia rubata della Gazzetta del Profeta.
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Lo accolse il solito «Severus Piton?» sussurrato, il vento freddo lo frustò e la lingua gli si arricciò per un momento.
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«Non ti ho ucciso io» disse, quando si fu srotolata, poi trattenne il fiato mentre la creatura stregata esplodeva nella sua polvere. Aspettò fino a metà delle scale che scendevano in cucina, lontano dalle orecchie della signora Black e al sicuro dalla nuvola di polvere, per gridare: «Ho delle notizie, e non vi piaceranno».
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La cucina era quasi irriconoscibile. Tutte le superfici splendevano: pentole e padelle di rame erano state lucidate fino a emanare un roseo brillio, il piano del tavolo era lustro, calici e piatti già disposti per la cena scintillavano alla luce di un fuoco allegro, sul quale ribolliva un calderone. Nessuna trasformazione però era più impressionante di quella dell'elfo domestico che corse incontro a Harry, vestito con uno strofinaccio candido, i peli delle orecchie puliti e vaporosi come cotone, il medaglione di Regulus che gli rimbalzava sul petto scarno.
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«Via le scarpe, per piacere, padron Harry, e andate a lavarvi le mani prima di cena» gracchiò Kreacher. Prese il Mantello dell'Invisibilità e scivolò via per appenderlo a un gancio sulla parete, accanto a una serie di vestiti fuori moda lavati di fresco.
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«Che cosa è successo?» chiese Ron, preoccupato. Lui e Hermione erano chini su un fascio di fogli scarabocchiati e mappe tracciate a mano che occupava l'estremità del lungo tavolo, ma alzarono gli occhi per guardare Harry quando il giornale atterrò sulle pergamene sparpagliate.
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La grossa foto di un uomo a loro ben noto, con i capelli neri e il naso adunco, li fissava tutti da sotto il titolo: SEVERUS PITON CONFERMATO PRESIDE DI HOGWARTS.
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«No!» esclamarono Ron e Hermione.
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Hermione fu la più rapida: afferrò il giornale e cominciò a leggere l'articolo ad alta voce.
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«'Severus Piton, da molti anni insegnante di Pozioni alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, è stato oggi nominato Preside. è il più importante di una serie di cambiamenti nel corpo docente dell'antica scuola. In seguito alle dimissioni della precedente insegnante di Babbanologia, Alecto Carrow prenderà il suo posto, mentre il fratello Amycus ricoprirà la cattedra di Difesa contro le Arti Oscure.
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«'Sono lieto dell'opportunità di tenere alti i nostri più nobili valori e
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tradizioni magiche...' Come commettere omicidi e tagliare le orecchie alla gente, immagino! Piton preside! Piton nello studio di Silente... per le mutande di Merlino!» strillò, facendo sussultare sia Harry che Ron. Si alzò di scatto dal tavolo e uscì in fretta dalla stanza, urlando: «Torno subito!»
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«'Per le mutande di Merlino'?» ripeté Ron, divertito. «Dev'essere sconvolta». Avvicinò il giornale e rilesse l'articolo su Piton.
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«Gli altri insegnanti non lo tollereranno. La McGranitt, Vitious e la Sprite sanno la verità, sanno come è morto Silente. Non accetteranno Piton come preside. E chi sono questi Carrow?»
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«Mangiamorte. Dentro ci sono le foto. Erano in cima alla Torre quando Piton ha ucciso Silente, quindi sono tutti pappa e ciccia. E poi» continuò Harry amareggiato, prendendo una sedia, «gli altri insegnanti non hanno alternative. Se dietro Piton ci sono il Ministero e Voldemort, dovranno scegliere se restare a insegnare o passare un bel po' di annetti ad Azkaban, nel caso più fortunato. Secondo me resteranno per cercare di proteggere gli studenti».
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Kreacher si avvicinò alla tavola con una grossa terrina tra le mani e versò la zuppa nelle ciotole immacolate, fischiettando.
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«Grazie, Kreacher» disse Harry, voltando il Profeta in modo da non dover vedere la faccia di Piton. «Be', almeno sappiamo di preciso dove si trova adesso».
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Cominciò a mangiare. La qualità della cucina di Kreacher era migliorata in modo impressionante da quando gli aveva regalato il medaglione di Regulus: la zuppa di cipolle alla francese di quella sera era la più buona che Harry avesse mai assaggiato.
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«Ci sono ancora un sacco di Mangiamorte che sorvegliano la casa» raccontò a Ron. «Più del solito. Come se sperassero di vederci uscire coi bauli di scuola per andare a prendere l'Espresso per Hogwarts».
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Ron guardò l'orologio.
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«È tutto il giorno che ci penso. è partito quasi sei ore fa. Strano non esserci, eh?»
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Harry si immaginò la locomotiva a vapore scintillare tra campi e colline, come lui e Ron l'avevano vista una volta dall'alto, un contorto bruco rosso acceso. Era certo che Ginny, Neville e Luna erano seduti nello stesso scompartimento, e forse si chiedevano dove fossero lui, Ron e Hermione, o discutevano la maniera migliore per sabotare il nuovo regime di Piton.
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«Mi hanno quasi visto tornare un attimo fa» continuò. «Ho fatto un brutto atterraggio sull'ultimo gradino e mi è scivolato il Mantello».
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«A me succede sempre. Oh, eccola» aggiunse Ron, voltandosi a guardare Hermione che rientrava in cucina. «Nel nome dei più consunti slip di Merlino, cosa è successo?»
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«Mi è venuta in mente una cosa» ansimò Hermione.
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Posò a terra un grosso quadro incorniciato e prese la borsetta di perline da sopra la credenza. La aprì e ci pigiò dentro il quadro che, nonostante fosse infinitamente troppo grande, dopo qualche secondo sparì, come molte altre cose, nei vasti recessi della borsa.
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«Phineas Nigellus» disse, gettandola sul tavolo, dove atterrò con il solito fracasso.
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«Scusa?» fece Ron, ma Harry aveva capito. L'immagine dipinta di Phineas Nigellus Black era in grado di viaggiare tra il ritratto in Grimmauld Place e quello nello studio del Preside a Hogwarts, la stanza circolare in cima alla Torre dove senza alcun dubbio in quel momento sedeva Piton, prendendo trionfale possesso della collezione di delicati strumenti d'argento di Silente, del Pensatoio di pietra, del Cappello Parlante e, se non era stata spostata altrove, della spada di Grifondoro.
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«Piton potrebbe mandare Phineas Nigellus a dare un'occhiata qui in casa» spiegò Hermione a Ron, sedendosi. «Ma se ci prova adesso, tutto quello che Nigellus riuscirà a vedere sarà l'interno della mia borsa».
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«Bella pensata!» esclamò Ron, colpito.
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«Grazie». Hermione sorrise e si avvicinò la ciotola di zuppa. «Allora, Harry, cos'È successo oggi?»
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«Nulla» rispose Harry. «Ho sorvegliato l'ingresso del Ministero per sette ore. Di lei nessuna traccia. Però ho visto tuo papà, Ron. Sta bene».
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Ron annuì, contento. Avevano deciso che era troppo pericoloso tentare di comunicare col signor Weasley quando entrava o usciva dal Ministero, perché era sempre circondato da altri colleghi. Ma era rassicurante almeno vederlo, anche se sembrava molto teso e preoccupato.
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«Papà ha sempre detto che quelli del Ministero usano quasi tutti la Metropolvere per andare al lavoro» raccontò Ron. «È per questo che non abbiamo visto la Umbridge: lei non andrebbe mai a piedi, crede di essere troppo importante».
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«E quella buffa vecchia strega e quel mago piccolo con il vestito blu?» chiese Hermione.
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«Ah, sì, il tipo della Manutenzione Magica» disse Ron.
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«Come fai a sapere che lavora alla Manutenzione Magica?» gli domandò Hermione, il cucchiaio a mezz'aria.
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«Papà dice che tutti quelli della Manutenzione Magica hanno i vestiti blu».
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«Ma non ce l'avevi mai detto!»
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Hermione lasciò cadere il cucchiaio e tirò verso di sé il mucchio di appunti e mappe che lei e Ron stavano studiando all'arrivo di Harry.
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«Qui non dice niente di vestiti blu, niente!» esclamò, sfogliando le pagine in maniera febbrile.
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«Be', è importante?»
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«Ron, tutto è importante! Se dobbiamo entrare al Ministero senza farci scoprire quando è ovvio che staranno all'erta contro gli intrusi, ogni particolare è importante! Ne abbiamo discusso tante volte, insomma, a cosa servono tutti i nostri giri di perlustrazione se poi non ti prendi nemmeno la briga di dirci...»
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«Accidenti, Hermione, mi sono dimenticato un piccolo...»
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«Lo capisci, vero, che probabilmente non c'È posto più pericoloso per noi del Ministero...»
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«Credo che dovremmo farlo domani» la interruppe Harry.
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Hermione rimase a bocca aperta; a Ron andò di traverso la zuppa. «Domani?» ripeté Hermione. «Non dici sul serio, Harry, vero?»
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«Sì» rispose Harry. «Non possiamo essere più preparati di così, anche se ci appostiamo davanti all'ingresso del Ministero per un altro mese. Più rimandiamo, più il medaglione rischia di allontanarsi. C'È già la possibilità che la Umbridge l'abbia buttato via; quell'affare non si apre».
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«A meno che» obiettò Ron «lei non abbia trovato un modo per aprirlo e ora sia posseduta».
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«Su di lei non farebbe nessuna differenza, è sempre stata malvagia» osservò Harry scrollando le spalle.
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Hermione si morse il labbro, meditabonda.
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«Sappiamo tutte le cose importanti» riprese Harry, rivolto a lei. «Sappiamo che hanno bloccato le Materializzazioni dentro e fuori il Ministero. Sappiamo che solo i funzionari più anziani hanno il permesso di connettere le proprie case con la Metropolvere, perché Ron ha sentito quei due Indicibili che si lamentavano. E sappiamo più o meno dove si trova l'ufficio della Umbridge, da quello che ha detto quel tipo barbuto al suo amico...»
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«'Vado su al Primo Livello, Dolores vuole vedermi'» recitò Hermione all'istante.
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«Esattamente» replicò Harry. «E sappiamo che si entra usando quelle buffe monetine, o gettoni, o quello che sono, perché ho visto quella strega
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chiederne uno in prestito alla sua amica...»
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«Ma noi non ne abbiamo!»
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«Se il piano funziona, li avremo» continuò Harry tranquillo.
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«Non so, Harry, non so... c'È un mucchio di cose che potrebbero andare storte, contiamo troppo sulla fortuna...»
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«Sarà lo stesso anche se passiamo altri tre mesi a prepararci» tagliò corto
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Harry. «È ora di agire».
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Dalle espressioni di Ron e Hermione traspariva la loro paura; nemmeno lui era particolarmente fiducioso, ma di sicuro sapeva che era giunto il momento di mettere in pratica il loro piano.
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Per quattro settimane avevano usato a turno il Mantello dell'Invisibilità per tenere d'occhio l'ingresso ufficiale del Ministero, che Ron, grazie a suo padre, conosceva fin da piccolo. Avevano pedinato i dipendenti del Ministero che entravano, origliato le loro conversazioni e scoperto quali comparivano, da soli, ogni giorno alla stessa ora. Qualche volta erano riusciti a sfilare La Gazzetta del Profeta dalla borsa di qualcuno. Piano piano avevano compilato le mappe sommarie e il mucchio di appunti ora accatastati davanti a Hermione.
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«Va bene» disse Ron esitando, «diciamo che è per domani... credo che dovremmo andare solo io e Harry».
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«Oh, non ricominciare!» sospirò Hermione. «Credevo che avessimo deciso».
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«Un conto è ciondolare davanti agli ingressi col Mantello addosso, ma questa volta è diverso, Hermione». Ron puntò il dito su una Gazzetta del Profeta di dieci giorni prima. «Sei sulla lista dei Nati Babbani che non si sono presentati all'interrogatorio!»
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«E tu dovresti essere alla Tana che muori di spruzzolosi! Se c'È uno che non deve venire è Harry, ha una taglia di diecimila galeoni sulla testa...»
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«Va bene, io resto qui» ribatté Harry. «Se riuscite a sconfiggere Voldemort, fatemelo sapere, d'accordo?»
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Mentre Ron e Hermione ridevano, un lampo di dolore attraversò la cicatrice. Harry portò la mano alla fronte: vide che Hermione stringeva gli occhi e cercò di farlo passare come un gesto per spostarsi i capelli.
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«Be', se andiamo tutti e tre, ognuno dovrà Smaterializzarsi per conto proprio» stava dicendo Ron. «Insieme sotto il Mantello non ci stiamo più». La cicatrice bruciava sempre più forte. Harry si alzò. Kreacher si avvicinò di corsa.
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«Il padrone non ha finito la zuppa, il padrone preferisce lo stufato, o la
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torta di melassa che gli piace tanto?»
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«Grazie, Kreacher, torno tra un minuto... ehm... vado in bagno».
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Sotto lo sguardo insospettito di Hermione, Harry corse su per le scale fino all'atrio e poi su ancora fino al primo piano; sfrecciò in bagno e chiuse la porta a chiave. Gemendo di dolore, si abbandonò sopra il lavandino nero con i rubinetti a forma di serpente con le fauci spalancate e chiuse gli occhi...
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Scivolava lungo una strada al tramonto. Gli edifici ai due lati avevano tetti di legno alti e spioventi; sembravano casette di marzapane.
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Si avvicinò a uno di essi, vide le proprie lunghe dita bianche contro la porta. Bussò. Sentì una crescente eccitazione...
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La porta si aprì: c'era una donna che rideva. La sua espressione mutò alla vista del volto di Harry, l'allegria svanì, rimpiazzata dal terrore...
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«Gregorovich?» chiese una voce fredda e acuta.
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La donna scosse il capo e cercò di chiuderlo fuori, ma una mano bianca fermò la porta.
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«Voglio Gregorovich».
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«Er wohnt hier nicht mehr!» urlò lei, scuotendo il capo. «Lui no abita qui! Lui no abita qui! Io no conosce!»
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Abbandonò ogni tentativo di chiudere la porta e arretrò lungo l'ingresso buio, e Harry la seguì, scivolando verso di lei; la sua mano dalle lunghe dita aveva estratto la bacchetta.
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«Dov'È?»
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«Das weiß ich nicht! Lui andato via! Io no sa, io no sa!»
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Lui levò la bacchetta. Lei urlò. Due bambini piccoli arrivarono di corsa nell'ingresso. Lei cercò di proteggerli con le braccia. Un lampo di luce verde...
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«Harry! HARRY!»
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Aprì gli occhi; era scivolato a terra. Hermione bussava alla porta. «Harry, apri!»
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Aveva urlato, lo sapeva. Si alzò e aprì; Hermione entrò inciampando, si raddrizzò e si guardò intorno sospettosa. Ron era alle sue spalle, sul chi vive, e puntava la bacchetta verso gli angoli del bagno gelido.
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«Cosa stavi facendo?» gli chiese Hermione, dura. «Secondo te?» ribatté Harry con debole spavalderia. «Hai urlato come un pazzo!» disse Ron.
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«Oh, sì... devo essermi addormentato...»
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«Harry, per favore, non insultare la nostra intelligenza» ribatté Hermio
ne, respirando a fondo. «Ci siamo accorti che ti faceva male la cicatrice, sei bianco come un lenzuolo».
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Harry si sedette sul bordo della vasca.
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«Bene. Ho appena visto Voldemort assassinare una donna. Probabilmente ormai ha ucciso tutta la sua famiglia. E non ce n'era bisogno. è stato come con Cedric, erano solo lì...»
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«Harry, non devi più permettere che succeda!» gridò Hermione, e la sua voce rimbombò nella stanza. «Silente voleva che usassi l'Occlumanzia! Pensava che il legame fosse pericoloso... Voldemort può usarlo, Harry! A cosa serve guardarlo uccidere e torturare, a cosa può servire?»
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«Almeno so cosa sta facendo» rispose Harry.
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«Quindi non hai nemmeno intenzione di provare a chiuderlo fuori?» «Hermione, non posso. Lo sai che sono un disastro in Occlumanzia, non l'ho mai capita».
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«Non ci hai mai provato sul serio» rispose lei, accalorandosi. «Non so,
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Harry... ti piace avere questa relazione o connessione speciale, o cos'altro...»
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Esitò allo sguardo che lui le scoccò alzandosi.
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«Se mi piace?» mormorò Harry. «A te piacerebbe?»
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«Io... no... scusa, Harry, non volevo...»
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«Lo odio, odio il fatto che possa entrare dentro di me, odio doverlo guardare quando è più pericoloso. Ma è una cosa che userò».
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«Silente...»
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«Lascia stare Silente. è una scelta mia, solo mia. Voglio sapere perché cerca Gregorovich». «Chi?»
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«È un fabbricante di bacchette straniero» spiegò Harry. «Ha fatto la bacchetta di Krum, che lo giudica bravissimo».
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«Ma secondo te» intervenne Ron, «Voldemort ha rinchiuso Olivander da qualche parte. Ha già un fabbricante di bacchette, a cosa gli serve catturarne un altro?»
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«Forse la pensa come Krum, forse ritiene che Gregorovich sia più bravo... oppure crede che possa spiegargli cos'ha fatto la mia bacchetta quando lui mi inseguiva, perché Olivander non lo sapeva».
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Harry guardò nello specchio polveroso e incrinato e vide Ron e Hermione scambiarsi un'occhiata scettica alle sue spalle.
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«Harry, continui a parlare di quello che ha fatto la tua bacchetta» obiettò Hermione, «ma sei stato tu a farlo! Perché sei così deciso a non assumerti
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la responsabilità del tuo potere?»
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«Perché so che non sono stato io! E lo sa anche Voldemort, Hermione!
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Sappiamo tutti e due cosa è successo veramente!»
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Si fissarono: Harry capiva di non aver convinto Hermione, che stava chiamando a raccolta tutti i suoi argomenti sia contro la sua teoria sulla bacchetta sia contro il fatto che consentisse a se stesso di vedere nella mente di Voldemort. Per fortuna, Ron s'intromise.
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«Lascia perdere» le suggerì. «Sta a lui. Se dobbiamo andare al Ministero domani, non credete che dovremmo ripassare il piano?»
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Con evidente riluttanza Hermione lasciò cadere il discorso, anche se Harry era certo che sarebbe tornata all'attacco alla prima occasione. Rientrarono in cucina, dove Kreacher servi loro lo stufato e la torta di melassa.
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Andarono a letto tardi, dopo aver trascorso ore a rivedere il piano finché ognuno non fu in grado di recitarlo agli altri parola per parola. Harry, che dormiva nella stanza di Sirius, rimase disteso nel letto illuminando con la bacchetta la vecchia foto di suo padre, Sirius, Lupin e Minus, e borbottò il piano tra sé per altri dieci minuti. Quando spense la luce però non pensava alla Pozione Polisucco, alle Pasticche Vomitose o alla divisa blu della Manutenzione Magica; pensava a Gregorovich, il fabbricante di bacchette, e a quanto ancora poteva sperare di restare nascosto mentre Voldemort gli dava la caccia con tanta determinazione.
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L'alba arrivò con una rapidità sconveniente.
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«Hai una faccia tremenda» fu il saluto di Ron quando entrò nella stanza per svegliarlo.
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«Non per molto» rispose Harry, sbadigliando.
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Trovarono Hermione in cucina. Kreacher le stava servendo caffÈ e panini caldi, e lei aveva l'espressione un po' maniacale che Harry associava al ripasso prima degli esami.
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«Vestiti» recitava sottovoce, salutandoli con un cenno nervoso senza smettere di frugare nella borsetta di perline. «Pozione Polisucco... Mantello dell'Invisibilità... Detonatori Abbindolanti... dovreste prenderne un paio per uno, non si sa mai... Pasticche Vomitose, Torrone Sanguinolento, Orecchie Oblunghe...»
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Trangugiarono la colazione e risalirono. Kreacher s'inchinò e promise un pasticcio di rognone al loro ritorno.
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«Che sia benedetto» sospirò affettuosamente Ron, «e pensare che una volta meditavo di tagliargli la testa e appenderla al muro».
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Uscirono sul primo gradino con immensa cautela: videro un paio di
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Mangiamorte con gli occhi gonfi che sorvegliavano la casa dall'altro capo della piazza avvolta nella foschia. Hermione si Smaterializzò con Ron, poi tornò indietro a prendere Harry.
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Dopo il solito breve momento di buio e soffocamento, Harry si ritrovò nel minuscolo vicolo dove avrebbe avuto luogo la prima fase del loro piano. Era ancora deserto, a parte un paio di grossi bidoni; nessun impiegato del Ministero compariva prima delle otto.
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«Allora» cominciò Hermione, guardando l'orologio. «Dovrebbe arrivare tra cinque minuti. Dopo che l'avrò Schiantata...»
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«Hermione, lo sappiamo» la interruppe Ron, deciso. «Ma non dovevamo aprire la porta prima del suo arrivo?»
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Hermione squittì.
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«Me l'ero quasi dimenticato! Spostati...»
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Puntò la bacchetta contro una porta di sicurezza chiusa da un lucchetto e coperta di graffiti, che si spalancò con uno scoppio. Il buio corridoio conduceva, come avevano appreso nei loro attenti sopralluoghi, fino a un teatro vuoto. Hermione accostò la porta per farla sembrare ancora chiusa.
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«E ora» disse, voltandosi a guardare gli altri due, «ci rimettiamo il Mantello...»
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«... e aspettiamo» concluse Ron, gettandolo sulla testa di Hermione come un panno sopra un pappagallino e alzando gli occhi al cielo.
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Poco più di un minuto dopo, udirono un leggero pop e una minuscola strega del Ministero con svolazzanti capelli grigi si Materializzò accanto a loro, strizzando gli occhi alla luce improvvisa; il sole era appena sbucato da dietro una nuvola. Ebbe appena il tempo di godersi il tepore inaspettato prima che il silenzioso Schiantesimo di Hermione la colpisse in pieno petto, ribaltandola.
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«Bel colpo» commentò Ron, sbucando da dietro un bidone mentre Harry si sfilava il Mantello dell'Invisibilità. Insieme trascinarono la piccola strega nel corridoio buio che portava dietro le quinte. Hermione le strappò alcuni capelli e li infilò in una fiaschetta di densa Pozione Polisucco recuperata dalla sua pochette di perline. Ron frugò nella borsetta della strega.
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«È Mafalda Hopkirk» lesse sul cartellino che identificava la vittima come assistente dell'Ufficio per l'Uso Improprio delle Arti Magiche. «Prendilo, Hermione, ed ecco i gettoni».
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Le passò alcune monetine dorate con incisa la scritta 'M.D.M.', che aveva trovato nel borsellino della strega.
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Hermione bevve la Pozione Polisucco, che era di un piacevole color gi
rasole, e qualche istante dopo era diventata il doppione di Mafalda Hopkirk. Tolse gli occhiali a Mafalda e li indossò. Harry controllò l'orologio.
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«Siamo in ritardo, il signor Manutenzione Magica sarà qui da un momento all'altro».
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Chiusero in fretta la porta sulla vera Mafalda; Harry e Ron si gettarono addosso il Mantello dell'Invisibilità mentre Hermione rimase bene in vista, ad aspettare. Qualche istante dopo sentirono un altro pop e videro un piccolo mago con la faccia da furetto.
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«Oh, ciao, Mafalda».
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«Ciao!» rispose Hermione con voce tremula. «Come va?»
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«Non molto bene, veramente» rispose il mago, che in effetti sembrava parecchio giù di corda.
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Hermione e il mago si avviarono verso la strada principale e Harry e
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Ron li seguirono furtivi.
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«Mi dispiace che tu sia indisposto» continuò Hermione, interrompendo il piccolo mago che cercava di raccontarle i suoi problemi; era essenziale impedirgli di raggiungere la strada. «Ecco, prendi una caramella».
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«Eh? Oh, no, grazie...»
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«Insisto!» replicò Hermione aggressiva, sbatacchiandogli il sacchetto di Pasticche davanti alla faccia. Spaventato, il mago ne prese una.
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L'effetto fu istantaneo: non appena la Pasticca gli si posò sulla lingua, cominciò a vomitare così violentemente che non si accorse nemmeno che Hermione gli strappava una ciocca di capelli.
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«Oh, cielo!» esclamò lei, mentre lui schizzava vomito dappertutto. «Forse è meglio se torni a casa!»
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«No... no!» Tossicchiò, in preda ai conati, sforzandosi di proseguire, anche se non riusciva nemmeno a camminare diritto. «Devo... oggi... devo andare...»
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«Ma è da matti!» protestò Hermione, preoccupata. «Non puoi andare a lavorare così... devi andare al San Mungo a farti vedere!»
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Il mago era caduto a terra, ansante, a quattro zampe, ma cercava di strisciare ancora verso la strada principale.
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«È impossibile che tu vada al lavoro in questo stato!» strillò Hermione.
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Finalmente il piccolo mago si arrese. Aggrappandosi a una disgustata Hermione per rimettersi in piedi, fece un giro su se stesso e sparì, lasciando dietro di sé solo la borsa che Ron gli aveva sfilato di mano e qualche schizzo di vomito.
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«Bleah» fece Hermione, sollevando l'orlo del vestito per evitare le poz
ze. «Sarebbe stato più pulito Schiantare anche lui».
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«Sì» convenne Ron, sbucando da sotto il Mantello con la borsa del mago in mano, «ma continuo a pensare che un mucchio di corpi privi di sensi avrebbe dato più nell'occhio. Un tipo zelante, eh? Avanti, dacci capelli e Pozione».
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In due minuti Ron era rimpicciolito, aveva la faccia da furetto del mago malato e indossava la divisa blu che quello teneva ripiegata nella borsa.
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«Strano che oggi non se la fosse messa, visto quanto insisteva per andare al lavoro, no? Comunque io sono Reg Cattermole, a quel che dice l'etichetta».
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«Adesso aspetta qui» disse Hermione a Harry, ancora celato dal Mantello. «Torniamo subito con qualche capello per te».
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Harry dovette aspettare dieci minuti, che gli parvero molti di più, appostato da solo nel vicolo sporco, accanto alla porta che nascondeva la Schiantata Mafalda. Infine Ron e Hermione ricomparvero.
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«Non sappiamo chi sia» annunciò Hermione, dandogli parecchi capelli neri e ricci, «ma è andato a casa col naso che grondava sangue! Ecco, è alto, ti serviranno abiti più grandi...»
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Prese uno dei vecchi completi che Kreacher aveva lavato, e Harry si nascose per bere la Pozione e cambiarsi.
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Completata la dolorosa trasformazione, si ritrovò alto più di un metro e ottanta e, da quel che poteva giudicare dalle braccia muscolose, decisamente ben piazzato. Aveva la barba. Ficcò il Mantello dell'Invisibilità e gli occhiali nei nuovi vestiti e raggiunse gli altri due.
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«Accidenti, fai paura» commentò Ron, osservando Harry che ora lo sovrastava.
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«Prendi un gettone di Mafalda» Hermione disse a Harry, «e andiamo, sono quasi le nove».
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Sbucarono insieme dal vicolo. A una cinquantina di metri, sul marciapiede affollato, una ringhiera nera con le aste appuntite divideva due rampe di gradini, una con il cartello 'Signori', l'altra con il cartello 'Signore'.
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«A fra poco, allora» li salutò Hermione nervosamente, e scese la rampa che portava al bagno delle signore. Harry e Ron si unirono a un drappello di uomini vestiti in modo singolare che scendevano in quello che sembrava un normalissimo bagno pubblico sotterraneo, rivestito di sudicie piastrelle bianche e nere.
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«Buongiorno, Reg!» gridò un altro mago vestito di blu, prima di entrare in un cubicolo infilando il gettone dorato in una fessura della porta. «Una
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bella seccatura, eh? Costringerci tutti ad andare al lavoro così! Chi si aspettano che arrivi, Harry Potter?»
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Il mago scoppiò in una fragorosa risata alla propria battuta. Ron rispose con una risatina forzata.
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«Già. Stupido, no?»
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Lui e Harry entrarono in due cubicoli contigui.
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A destra e a sinistra Harry udì un fragore di sciacquoni. Si rannicchiò e spiò dall'apertura in basso nel cubicolo di destra, appena in tempo per vedere un paio di stivali che entravano nel water accanto. Guardò a sinistra e vide Ron che gli strizzava l'occhio.
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«Dobbiamo metterci dentro e tirare l'acqua?»
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«Così pare» bisbigliò Harry di rimando con voce fonda e roca.
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Si alzarono entrambi. Sentendosi straordinariamente stupido, Harry entrò nel water.
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Capì subito di aver fatto la cosa giusta; anche se stava nell'acqua, scarpe, piedi e vestiti rimasero asciutti. Si allungò per tirare la catena e un attimo dopo sfrecciava giù da una breve discesa e sbucava fuori da un camino dentro il Ministero della Magia.
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Si alzò goffamente; non era abituato ad avere così tanto corpo. L'enorme Atrium era più buio di come lo ricordava. Una volta, al centro del salone troneggiava una fontana dorata che riverberava macchie di luce tremolante sul pavimento di legno lucido e sulle pareti. Ora una gigantesca statua di pietra nera dominava la scena. Era spaventosa, raffigurava una strega e un mago seduti su troni riccamente intagliati, che osservavano dall'alto i dipendenti del Ministero rotolare fuori dai camini sotto di loro. Alla base della statua, in lettere alte trenta centimetri, era inciso il motto: 'LA MAGIA è POTERE'.
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Harry ricevette un colpo dietro le gambe: un altro mago era appena schizzato fuori dal camino alle sue spalle.
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«Non puoi spostar... oh, scusa, Runcorn!»
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Spaventato, il mago stempiato corse via. Evidentemente l'uomo di cui Harry aveva preso le sembianze, Runcorn, incuteva timore.
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«Psst!» fece una voce. Harry si voltò e vide una piccola strega spettinata e il mago furetto della Manutenzione Magica vicini alla statua, che gli facevano dei cenni. Si affrettò a raggiungerli.
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«Sei arrivato bene, allora?» gli sussurrò Hermione.
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«No, è ancora incastrato nel cesso» ribatté Ron.
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«Oh, molto divertente... è terribile, vero?» disse Hermione, fissando la
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statua. «Hai visto su cosa stanno seduti?»
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Harry guardò meglio e si rese conto che quelli che aveva scambiato per troni intarsiati erano grovigli di esseri umani: centinaia e centinaia di corpi nudi, uomini, donne e bambini, tutti con brutte facce ottuse, contorti e schiacciati sotto il peso dei maghi con le loro belle vesti.
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«Babbani» sussurrò Hermione. «Al posto che spetta loro. Su, andiamo».
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Si unirono al flusso di maghi e streghe diretti ai cancelli dorati in fondo al salone, guardandosi intorno più furtivi che potevano, ma non videro traccia dell'inconfondibile sagoma di Dolores Umbridge. Varcarono i cancelli per entrare in un atrio più piccolo, dove già si stavano formando le code davanti a venti griglie dorate che ospitavano altrettanti ascensori. Si erano appena accostati al più vicino quando una voce esclamò: «Cattermole!»
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Si voltarono e a Harry si strinse lo stomaco. Uno dei Mangiamorte che avevano assistito alla morte di Silente veniva verso di loro. I dipendenti del Ministero tacquero, gli sguardi a terra; Harry avvertì la paura propagarsi tra di loro. Il volto cupo e rozzo dell'uomo faceva uno strano contrasto con la splendida veste svolazzante, ricamata a ricchi fili d'oro. Qualcuno nella folla attorno agli ascensori gridò, in tono adulatore: «'Giorno, Yaxley!» Yaxley lo ignorò.
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«Avevo richiesto l'intervento della Manutenzione Magica per sistemarmi l'ufficio, Cattermole. Piove ancora dentro».
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Ron si guardò intorno nella speranza che intervenisse qualcun altro, ma nessuno parlò.
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«Piove... nel suo ufficio? Non... non va bene, vero?»
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Ron diede in una risata nervosa. Gli occhi di Yaxley si spalancarono. «Ti sembra divertente, Cattermole?»
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Una coppia di streghe si allontanò di fretta dalla coda.
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«No» rispose Ron, «certo che no...»
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«Lo sai che sto scendendo a interrogare tua moglie, Cattermole? In effetti sono sorpreso che tu non sia giù a tenerle la mano nell'attesa. L'hai già data per persa, eh? Probabilmente una mossa saggia. La prossima volta assicurati di sposare una Purosangue».
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Hermione squittì spaventata. Yaxley la fissò. Lei tossicchiò e guardò altrove.
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«Io... io...» balbettò Ron.
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«Ma se mia moglie fosse mai accusata di essere una sudicia Mezzosangue» continuò Yaxley, «anche se nessuna donna che io prenda in moglie
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potrebbe mai essere scambiata per una simile feccia... e se il Direttore dell'Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia avesse bisogno di un lavoretto, io darei la precedenza a quel lavoretto, Cattermole. Mi hai capito?»
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«Sì» sussurrò Ron.
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«Allora fallo, Cattermole, e se il mio ufficio non è completamente asciutto entro un'ora, lo Stato di Sangue di tua moglie sarà ancora più in dubbio di quanto non lo sia ora».
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Le griglie dorate davanti a loro si aprirono fragorosamente. Con un cenno e uno sgradevole sorriso a Harry, che evidentemente avrebbe dovuto apprezzare il trattamento riservato a Cattermole, Yaxley si avviò verso un altro ascensore. Harry, Ron e Hermione entrarono nel loro, ma nessuno li seguì: era come se fossero contagiosi. La griglia si chiuse con un tonfo e l'ascensore prese a salire.
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«Che cosa devo fare?» chiese subito Ron agli altri due; era agghiacciato. «Se non vado, mia moglie... voglio dire, la moglie di Cattermole...»
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«Verremo con te, dobbiamo restare uniti...» cominciò Harry, ma Ron scosse il capo febbrilmente.
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«È assurdo, non abbiamo molto tempo. Voi due trovate la Umbridge, io vado a sistemare l'ufficio di Yaxley... ma come faccio con la pioggia?»
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«Prova con Finitus Incantatem» suggerì subito Hermione, «se è una fattura o una maledizione dovrebbe bloccarla; altrimenti vuol dire che qualcosa è andato storto con un Incantesimo Atmosferico, che è un po' più difficile da riparare, quindi come misura temporanea prova con un Impervius per proteggere le sue cose...»
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«Ridimmelo lentamente...» Ron si frugò le tasche in cerca di una piuma, ma in quel momento l'ascensore si fermò con uno scossone. Una voce femminile incorporea declamò: «Quarto Livello, Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche, comprendente la Divisione Bestie, Esseri e Spiriti, l'Ufficio delle Relazioni con i Folletti e lo Sportello Consulenza Flagelli», e le griglie si riaprirono per far entrare due maghi e diversi aeroplanini di carta violetto pallido, che svolazzarono attorno alla lampada sul soffitto dell'ascensore.
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«'Giorno, Albert» disse un uomo con i baffi cespugliosi, sorridendo a Harry. Guardò Ron e Hermione mentre l'ascensore ripartiva cigolando; Hermione stava sussurrando concitate istruzioni a Ron. Il mago si chinò verso Harry con un ghigno e mormorò: «Dirk Cresswell, eh? Delle Relazioni con i Folletti? Bravo, Albert. Spero proprio che avrò il suo posto, a
desso!»
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Gli strizzò l'occhio. Harry sorrise in risposta, sperando che bastasse. L'ascensore si fermò e le griglie si riaprirono.
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«Secondo Livello, Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia, comprendente l'Ufficio per l'Uso Improprio delle Arti Magiche, il Quartier Generale degli Auror e i Servizi Amministrativi Wizengamot» annunciò la voce.
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Harry vide Hermione dare una spintarella a Ron, che si affrettò a scendere, seguito dagli altri maghi. Rimasero soli. Non appena la porta dorata si fu chiusa lei disse velocissima: «Harry, ecco, io credo che dovrei andare con lui, non penso che sappia quello che fa e se lo catturano è finita...»
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«Primo Livello, Ministero della Magia e Personale di Sostegno».
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Le griglie dorate si aprirono di nuovo scorrendo e Hermione rimase senza fiato. Davanti a lei c'erano quattro persone, due delle quali immerse in una fitta conversazione: un mago dalla lunga chioma e uno splendido abito nero e oro, e una strega tozza con la faccia da rospo, un fiocco di velluto nei capelli corti e una tavoletta per appunti stretta al petto.
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