La mattina dopo Harry fu il primo del suo dormitorio a svegliarsi. Rimase disteso a guardare la polvere vorticare nel raggio di sole che passava dalle tende del baldacchino, e assaporò il pensiero che era sabato. La prima settimana di scuola sembrava essersi protratta in eterno, come una gigantesca lezione di Storia della Magia.
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A giudicare dal silenzio sonnacchioso della stanza e dalla luce acerba del raggio di sole, era appena passata l’alba. Scostò le tende attorno al letto, si alzò e cominciò a vestirsi. Il solo rumore, a parte il cinguettio remoto degli uccelli, era il lento, profondo respiro dei suoi compagni di Grifondoro. Aprì la borsa dei libri con cautela, prese piuma e pergamena e uscì dal dormitorio, diretto alla sala comune.
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Andò dritto verso la sua vecchia, molle poltrona preferita accanto al fuoco ormai spento, si mise comodo e srotolò il foglio. Si guardò intorno: i frammenti accartocciati di pergamena, vecchie Gobbiglie, barattoli di ingredienti vuoti e incarti di dolci che in genere ingombravano la sala comune alla fine di ogni giornata erano spariti, così come tutti i berretti da elfo di Hermione. Chiedendosi distratto quanti elfi fossero ormai stati liberati volenti o nolenti, Harry stappò la boccetta dell’inchiostro, intinse la piuma, poi la tenne sospesa qualche centimetro sopra la liscia superficie giallognola della pergamena e pensò intensamente… ma dopo un minuto si trovò a fissare il focolare vuoto, senza che gli fosse venuta un’idea.
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Ora capiva com’era stato difficile per Ron e Hermione scrivergli durante l’estate. Come faceva a raccontare a Sirius tutto quello che era successo nell’ultima settimana e a chiedergli tutte le cose che gli premevano senza dare a potenziali ladri di lettere un sacco di informazioni inopportune?
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Rimase seduto immobile per un po’, scrutando dentro il camino; poi finalmente prese una decisione, intinse ancora una volta la piuma nella boccetta d’inchiostro e la posò risoluto sulla pergamena.
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Caro Tartufo,
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Spero che tu stia bene, i primi giorni qui sono stati terribili, sono proprio felice che sia arrivato il finesettimana. Abbiamo una nuova insegnante di Difesa contro le Arti Oscure, la professoressa Umbridge. È simpatica quasi come la tua mamma. Scrivo perché la cosa di cui ti avevo scritto la scorsa estate è successa di nuovo ieri sera mentre ero in castigo con la Umbridge.
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Il nostro più grande amico manca a tutti quanti, speriamo che torni presto.
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Ti prego, rispondi in fretta.
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I migliori saluti,
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Harry
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Harry rilesse parecchie volte la lettera, cercando di vederla dal punto di vista di un estraneo. Era certo che nessuno avrebbe potuto capire di che cosa parlava, o con chi. Sperò che Sirius cogliesse l’allusione a Hagrid e dicesse loro quando sarebbe tornato. Harry non voleva chiederlo direttamente per non attirare troppo l’attenzione su Hagrid e su quello che stava facendo.
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Nonostante fosse una lettera molto corta, aveva richiesto molto tempo; la luce era strisciata fino a metà della stanza e ormai Harry sentiva lontani movimenti nei dormitori di sopra. Sigillò con cura la pergamena, uscì dal buco dietro il ritratto e andò alla Guferia.
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«Io non andrei da quella parte se fossi in te» disse Nick-Quasi-Senza-Testa, attraversando una parete appena davanti a Harry che scendeva per il corridoio. «Pix sta tramando uno spassoso scherzo ai danni della prossima persona che passerà davanti al busto di Paracelso a metà del corridoio».
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«Consiste nello scaraventare Paracelso in testa alla persona, per caso?» chiese Harry.
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«Parrà buffo, ma è così» disse Nick-Quasi-Senza-Testa con voce annoiata. «La finezza non è mai stata il suo forte. Vado a cercare il Barone Sanguinario… forse riuscirà a fermarlo… ci vediamo, Harry…»
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«Sì, saluti» rispose Harry, e invece di voltare a destra prese a sinistra, imboccando un percorso più lungo ma più sicuro per la Guferia. Il suo umore migliorò quando, oltrepassando una finestra dopo l’altra, vide il cielo di un azzurro brillante: più tardi c’erano gli allenamenti, finalmente sarebbe tornato sul campo di Quidditch.
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Qualcosa gli sfiorò le caviglie. Guardò giù e vide la gatta scheletrica del custode, Mrs Purr, che camminava furtiva dietro di lui, e gli puntò addosso per un attimo gli occhi gialli simili a lampadine prima di sparire dietro una statua di Wilfred il Meditabondo.
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«Non sto facendo niente di male» le gridò dietro Harry. Lei aveva tutta l’aria di stare andando a riferire al suo padrone, eppure Harry non riusciva a capire perché; aveva tutti i diritti di salire alla Guferia di sabato mattina.
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Il sole ormai era alto nel cielo e quando Harry entrò nella Guferia le finestre prive di vetri lo abbagliarono; spessi raggi dorati s’incrociavano nella stanza circolare in cui centinaia di gufi erano appollaiati sulle travi, un po’ irrequieti nella luce del mattino; alcuni erano appena tornati dalla caccia. Il pavimento coperto di paglia scricchiolò un po’ mentre Harry calpestava ossicini di animali, tendendo il collo per cercare Edvige.
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«Eccoti qui» disse, individuandola in un punto molto vicino al soffitto a volta. «Scendi, ho una lettera per te».
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Con un fischio sommesso, Edvige aprì le ampie ali bianche e planò sulla sua spalla.
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«È vero, fuori c’è scritto Tartufo» le disse, dandole la lettera da reggere nel becco e sussurrando senza sapere bene perché, «ma è per Sirius, d’accordo?»
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Lei chiuse e aprì una volta gli occhi d’ambra e lui lo prese come il segno che aveva capito.
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«Buon volo, allora» disse, e la portò sino a una finestra; con una breve pressione sul suo braccio, Edvige decollò nel cielo accecante. Lui la guardò finché non divenne un puntino nero e sparì, poi spostò lo sguardo sulla capanna di Hagrid, che dalla finestra si vedeva chiaramente ed era altrettanto chiaramente disabitata, il camino senza fumo, le tende tirate.
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Le cime degli alberi della foresta proibita dondolavano alla brezza leggera. Harry le osservò, assaporando l’aria fresca sul viso, pensando al Quidditch che lo aspettava… poi lo vide. Un enorme cavallo alato, di quelli che trainavano le carrozze di Hogwarts, con le ali nere di cuoio spalancate come uno pterodattilo, si librò dagli alberi simile a un grottesco uccello gigante. Planò disegnando un grande cerchio, poi si tuffò di nuovo tra le chiome. Il tutto accadde così in fretta che Harry riuscì a stento a credere a ciò che aveva visto, se non per il cuore che gli martellava forte.
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La porta della Guferia si aprì dietro di lui. Sobbalzò spaventato, si voltò di colpo e vide Cho Chang che reggeva una lettera e un pacchetto.
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«Ciao» disse Harry automaticamente.
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«Oh… ciao» rispose lei, senza fiato. «Non pensavo che ci fosse qualcuno quassù così presto… Mi sono ricordata solo cinque minuti fa che è il compleanno di mia mamma».
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Mostrò il pacchetto.
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«Ho capito» mormorò Harry. Il suo cervello sembrava inceppato. Voleva dire qualcosa di buffo e interessante, ma il ricordo di quell’orribile cavallo alato era ancora fresco nella sua mente.
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«Bella giornata» disse, accennando alle finestre. Sentì le viscere accartocciarsi dall’imbarazzo. Il tempo. Stava parlando del tempo…
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«Sì» rispose Cho, guardandosi attorno in cerca di un gufo adatto. «Buone condizioni per il Quidditch. È tutta la settimana che non esco, e tu?»
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«Nemmeno».
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Cho aveva scelto uno dei gufi della scuola. Lo persuase a scendere sul suo braccio, e quello tese con garbo una zampa in modo che lei potesse fissare il pacchetto.
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«Ehi, Grifondoro ha già un nuovo Portiere?» chiese.
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«Sì» rispose Harry. «È il mio amico Ron Weasley, lo conosci?»
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«Quello che odia i Tornados?» chiese Cho in tono distaccato. «È bravo?»
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«Sì» disse Harry. «Credo di sì. Non ho visto il suo provino, però, ero in punizione».
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Cho alzò lo sguardo, il pacchetto attaccato solo per metà alla zampa del gufo.
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«Quella Umbridge è disgustosa» sussurrò. «Punirti soltanto perché hai detto la verità su come… come è morto. L’hanno sentito tutti, lo sapeva tutta la scuola. Sei stato proprio coraggioso a tenerle testa».
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Le viscere di Harry si rigonfiarono così in fretta che gli parve di poter galleggiare a qualche centimetro dal pavimento coperto di cacche. Chi se ne importava di uno stupido cavallo volante? Cho era convinta che lui fosse stato proprio coraggioso. Per un attimo, pensò di mostrarle “casualmente” la mano ferita mentre la aiutava a legare il pacchetto al gufo… ma proprio in quell’istante la porta della Guferia si aprì di nuovo.
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Gazza il custode entrò ansimando. Macchie violette chiazzavano le sue guance incavate e coperte di venuzze, le mascelle gli vibravano e i sottili capelli grigi erano arruffati; a quanto pareva era arrivato di corsa. Mrs Purr trotterellava alle sue calcagna, guardò in su verso i gufi e miagolò affamata. In alto si udì un irrequieto frusciare di ali e un grosso uccello marrone fece schioccare il becco, minaccioso.
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«Aha!» disse Gazza, facendo un passo coi suoi piedi piatti verso Harry, le guance flosce tremanti di rabbia. «Ho ricevuto una soffiata, vuoi spedire un grosso ordine di Caccabombe!»
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Harry incrociò le braccia e scrutò il custode.
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«Chi le ha detto che sto ordinando delle Caccabombe?»
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Cho spostava lo sguardo da Harry a Gazza, anche lei accigliata; il gufo sul suo braccio, stanco di reggersi su una zampa sola, stridette in segno di avvertimento, ma lei lo ignorò.
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«Ho i miei informatori» disse Gazza con un sibilo compiaciuto. «Ora consegnami la roba che stai spedendo».
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Immensamente sollevato per non aver perso tempo, Harry rispose: «Non posso, è partita».
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«Partita?» chiese Gazza, la faccia deformata dalla rabbia.
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«Partita» ripeté Harry tranquillo.
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Gazza aprì la bocca infuriato, boccheggiò per qualche istante, poi frugò con lo sguardo l’abito di Harry.
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«Come faccio a sapere che non ce l’hai in tasca?»
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«Perché…»
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«L’ho visto io spedirla» disse Cho arrabbiata.
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Gazza la aggredì.
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«Tu l’hai visto…?»
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«Proprio così, io l’ho visto» rispose lei, feroce.
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Ci fu un attimo di pausa in cui Gazza e Cho si guardarono torvi, poi il custode andò verso la porta trascinando i piedi. Si bloccò con la mano sulla maniglia e tornò a guardare Harry.
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«Se sento anche solo una zaffata di Caccabomba…»
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Scese le scale a tonfi. Mrs Purr gettò un’ultima occhiata di desiderio ai gufi e lo seguì.
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Harry e Cho si guardarono.
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«Grazie» disse Harry.
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«Non c’è di che». Finalmente Cho fissò il pacchetto alla zampa del gufo, un po’ rossa in viso. «Non stavi ordinando delle Caccabombe, vero?»
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«No» rispose Harry.
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«Chissà come mai ne era convinto» disse, portando il gufo verso la finestra.
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Harry scrollò le spalle. Ne sapeva quanto lei, ma stranamente la cosa non lo turbava, al momento.
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Uscirono dalla Guferia insieme. All’inizio del corridoio che portava all’ala ovest del castello, Cho disse: «Io vado di qua. Be’, ci… ci vediamo in giro, Harry».
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«Sì… ci vediamo».
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Gli sorrise e se ne andò. Harry continuò a camminare, pervaso da una quieta euforia. Era riuscito a sostenere un’intera conversazione con lei senza una sola occasione di imbarazzo… sei stato proprio coraggioso a tenerle testa… Cho l’aveva definito coraggioso… non lo odiava perché era vivo…
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Certo, aveva preferito Cedric, lui lo sapeva… ma se solo l’avesse invitata al Ballo prima di Cedric, le cose sarebbero potute andare diversamente… era parsa davvero dispiaciuta di aver dovuto rifiutare quando Harry l’aveva invitata…
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«’Giorno» disse Harry allegro a Ron e Hermione, unendosi al tavolo di Grifondoro nella Sala Grande.
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«Come mai sei così contento?» domandò Ron sorpreso.
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«Ehm… per il Quidditch, dopo» rispose Harry con gioia, tirandosi vicino un gran vassoio di uova e pancetta.
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«Oh… sì…» fece Ron. Posò il pezzo di pane tostato che stava mangiando e bevve un lungo sorso di succo di zucca. Poi chiese: «Senti… non ti andrebbe di uscire un po’ prima con me? Solo per… ehm… farmi fare un po’ di pratica prima degli allenamenti? Così posso, insomma, prendere un po’ le misure».
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«Sicuro» disse Harry.
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«Sinceramente, non mi sembra il caso» intervenne Hermione seria. «Siete tutti e due indietro con i compiti…»
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Ma s’interruppe: stava arrivando la posta del mattino e, come al solito, La Gazzetta del Profeta planava verso di lei nel becco di un allocco, che atterrò pericolosamente vicino alla zuccheriera e tese una zampa. Hermione infilò uno zellino nella borsetta di cuoio, prese il quotidiano e scrutò la prima pagina con sguardo critico mentre il gufo partiva.
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«Qualcosa d’interessante?» chiese Ron. Harry fece un gran sorriso, sapendo che l’amico era deciso a distoglierla dall’argomento compiti.
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«No» sospirò lei, «solo qualche sciocchezza sulla bassista delle Sorelle Stravagarie che si sposa».
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Hermione aprì il giornale e vi si immerse. Harry si dedicò a un’altra porzione di uova e pancetta. Ron fissava le alte finestre, un po’ preoccupato.
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«Aspettate» disse Hermione all’improvviso. «Oh, no… Sirius!»
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«Che cosa è successo?» chiese Harry, afferrando il giornale con tanta violenza che si strappò e lui e Hermione se ne ritrovarono in mano metà per ciascuno.
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«Il Ministero della Magia ha ricevuto una soffiata da una fonte attendibile sul fatto che Sirius Black, famigerato terrorista… bla bla bla… al momento si nasconde a Londra!» lesse Hermione sulla sua metà, in un sussurro angosciato.
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«Lucius Malfoy, ci scommetto quello che volete» mormorò Harry, furioso. «Ha riconosciuto Sirius al binario…»
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«Cosa?» disse Ron, preoccupato. «Non avevi detto…»
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«Ssst!» lo zittirono gli altri due.
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«…Il Ministero avverte la comunità magica che Black è molto pericoloso… ha ucciso tredici persone… evaso da Azkaban… Le solite sciocchezze» concluse Hermione. Poi posò la sua metà del giornale e guardò Harry e Ron spaventata. «Be’, non potrà più uscire di casa, ecco tutto» sussurrò. «Silente gli aveva raccomandato di non farlo».
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Harry guardò sconsolato la parte del Profeta che aveva strappato. Gran parte della pagina era dedicata alla pubblicità di Madama McClan: abiti per tutte le occasioni, che a quel che pareva aveva dato inizio ai saldi.
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«Ehi!» esclamò, appiattendo il foglio in modo che Hermione e Ron potessero vederlo. «Guardate qui!»
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«Non ho bisogno di vestiti» disse Ron.
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«No. Guardate… questo pezzo…»
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Ron e Hermione si chinarono per leggere; l’articolo era lungo pochi centimetri e sistemato proprio in fondo a una colonna. Era intitolato:
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EFFRAZIONE AL MINISTERO
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Sturgis Podmore, 38 anni, residente al numero due di Laburnum Gardens, Clapham, è apparso davanti al Wizengamot con l’accusa di effrazione e tentata rapina al Ministero della Magia il 31 agosto. Podmore è stato arrestato da Eric Munck, guardiamago del Ministero della Magia, che l’ha sorpreso nel tentativo di forzare una porta di massima sicurezza all’una di notte. Podmore, che si è rifiutato di parlare in propria difesa, è stato condannato per entrambe le accuse e dovrà scontare sei mesi ad Azkaban.
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«Sturgis Podmore?» ripeté Ron scandendo le parole. «È quel tipo con la testa che sembra impagliata, no? Fa parte dell’Ord…»
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«Ron, ssst!» lo zittì Hermione, guardandosi intorno atterrita.
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«Sei mesi ad Azkaban!» sussurrò Harry, spaventato. «Solo per aver tentato di aprire una porta!»
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«Non fare lo sciocco, non è solo perché ha tentato di aprire una porta. Che cosa accidenti ci faceva al Ministero della Magia all’una di notte?» bisbigliò Hermione.
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«Credi che stesse facendo qualcosa per l’Ordine?» chiese Ron.
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«Aspettate un momento…» disse Harry pensieroso. «Sturgis doveva venire ad accompagnarci, ricordate?»
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Gli altri due lo guardarono.
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«Sì, avrebbe dovuto far parte della scorta che ci portava a King’s Cross, vi ricordate? E Moody era arrabbiato perché non si era fatto vedere: quindi non poteva essere in missione per loro, no?»
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«Be’, forse non si aspettavano che venisse catturato» disse Hermione.
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«Potrebbe essere una montatura!» esclamò Ron eccitato. «No… sentite!» continuò, abbassando di colpo la voce all’espressione minacciosa di Hermione. «Il Ministero sospettava che fosse uno della banda di Silente, così — non so — lo hanno attirato laggiù, e non stava affatto cercando di aprire una porta! Forse si sono solo inventati qualcosa per prenderlo!»
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Harry e Hermione rifletterono. Harry la trovava un’ipotesi troppo inverosimile. Hermione, invece, pareva piuttosto convinta.
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«Sapete, non ne sarei affatto sorpresa».
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Ripiegò la sua metà del giornale, sovrappensiero. Mentre Harry posava coltello e forchetta, lei parve uscire da una fantasticheria.
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«Giusto, bene, credo che dovremmo affrontare per primo il tema per la Sprite sugli arbusti autofertilizzanti, e se siamo fortunati riusciremo a cominciare con l’Incantesimo Inanimatus Conjurus della McGranitt prima di pranzo…»
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Harry sentì una piccola fitta al pensiero della pila di compiti che lo aspettavano di sopra, ma il cielo era di un azzurro limpido che dava l’euforia, e non era montato sulla sua Firebolt per tutta la settimana…
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«Be’, possiamo farli stasera» disse Ron, mentre lui e Harry scendevano per i prati verso il campo di Quidditch, con le scope in spalla; le terribili minacce di Hermione che sarebbero stati bocciati a tutti i G.U.F.O. ancora risuonavano nelle loro orecchie. «E abbiamo anche domani. Si agita per i compiti, è il suo problema…» Ci fu una pausa e poi aggiunse, in tono appena più ansioso: «Credi che parlasse sul serio quando ha detto che non ci avrebbe lasciato copiare da lei?»
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«Sì» rispose Harry. «Però è importante anche questo, dobbiamo allenarci se vogliamo continuare a far parte della squadra di Quidditch…»
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«Sì, è vero» disse Ron, rincuorato. «E abbiamo un sacco di tempo…»
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Mentre si avvicinavano al campo di Quidditch, Harry guardò alla sua destra, dove gli alberi della foresta proibita fremevano oscuri. Nulla si alzò in volo; il cielo era vuoto, a parte alcuni gufi che volteggiavano lontano attorno alla Torre della Guferia. Aveva già abbastanza preoccupazioni, il cavallo volante non gli faceva alcun male, e lo cacciò via dalla mente.
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Presero delle palle dall’armadio dello spogliatoio e cominciarono ad allenarsi: Ron sorvegliava le tre alte porte, Harry giocava da Cacciatore e tentava di far passare la Pluffa oltre Ron. Ron era proprio bravo; bloccò i tre quarti dei tiri di Harry e giocava sempre meglio via via che si allenavano. Dopo un paio d’ore tornarono al castello per il pranzo, durante il quale Hermione annunciò senza giri di parole che li riteneva due irresponsabili; poi tornarono al campo di Quidditch per i veri allenamenti. Tutti i loro compagni, tranne Angelina, erano già nello spogliatoio.
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«Tutto bene, Ron?» chiese George con una strizzatina d’occhi.
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«Sì» rispose Ron, che era diventato sempre più silenzioso man mano che si avvicinavano al campo.
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«Pronto a farci fare brutta figura, prefettuccio?» domandò Fred, sbucando tutto spettinato e con un ghigno malizioso dal collo della divisa da Quidditch.
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«Taci» mormorò Ron, il volto di pietra, infilando la divisa per la prima volta. Gli andava bene, considerato che era appartenuta a Oliver Baston, parecchio più largo di spalle.
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«Bene, tutti quanti» disse Angelina, arrivando già vestita dall’ufficio del Capitano. «Cominciamo. Alicia e Fred, potete portare la cesta delle palle? Oh, c’è un po’ di gente là fuori a guardare, ma voglio che la ignoriate, d’accordo?»
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Qualcosa nel suo finto tono disinvolto suggerì a Harry che forse sapeva chi erano gli spettatori non invitati; infatti uscirono dallo spogliatoio nella vivida luce solare sotto una tempesta di fischi e urla della squadra di Serpeverde e di tifosi assortiti, raggruppati a metà delle tribune vuote. Le loro voci echeggiavano forte nello stadio.
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«Che cosa cavalca quel Weasley?» gridò Malfoy con la sua beffarda voce strascicata. «Chi è che ha gettato un Incantesimo Volante su quel vecchio ciocco muffito?»
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Tiger, Goyle e Pansy Parkinson sghignazzarono e strillarono. Ron, inforcata la sua scopa, decollò scalciando il suolo e Harry lo seguì, guardando le sue orecchie che arrossivano.
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«Ignorali» disse, accelerando per raggiungerlo, «vedremo chi riderà dopo che avremo giocato contro di loro…»
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«Questo è l’atteggiamento che voglio, Harry» approvò Angelina, librandosi sopra di loro con la Pluffa sottobraccio e rallentando per restare sospesa davanti alla sua squadra volante. «Bene, tutti quanti, cominceremo con qualche passaggio per scaldarci, tutti quanti, per favore…»
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«Ehi, Johnson, che senso ha quell’acconciatura?» strillò Pansy Parkinson da sotto. «Che te ne fai di tutti quei vermi che ti escono dalla testa?»
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Angelina scostò dal viso le lunghe treccine e continuò tranquillamente: «Sparpagliatevi, allora, e vediamo che cosa riusciamo a fare…»
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Harry si allontanò dagli altri in retromarcia e raggiunse l’altra estremità del campo. Ron si ritrasse verso la porta di fronte. Angelina prese la Pluffa con una mano e la scagliò forte a Fred, che la passò a George, che la passò a Harry, che la passò a Ron, che la lasciò cadere.
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I Serpeverde, guidati da Malfoy, esplosero in urla e scoppi di risate. Ron, che si era precipitato per afferrare la Pluffa prima che toccasse il suolo, sterzò dalla picchiata in maniera goffa, e scivolò di lato sulla scopa, poi tornò in quota, tutto rosso. Harry vide Fred e George scambiarsi uno sguardo, ma stranamente nessuno dei due disse nulla, cosa di cui fu loro grato.
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«Passala, Ron» gridò Angelina, come se niente fosse.
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Ron lanciò la Pluffa ad Alicia, che la ripassò a Harry, che la passò a George…
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«Ehi, Potter, come va la cicatrice?» urlò Malfoy. «Sicuro che non hai bisogno di un riposino? Dev’essere, vediamo un po’, una settimana intera che non vai in infermeria, per te è un record, no?»
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George passò ad Angelina; lei passò indietro a Harry, che non se l’aspettava, ma prese la palla con la punta delle dita e la passò rapido a Ron, che si tuffò e la mancò di pochi centimetri.
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«Dài, Ron» disse Angelina seccata, mentre lui si precipitava di nuovo verso terra, inseguendo la Pluffa. «Stai attento».
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Sarebbe stato difficile dire se fosse più rossa la faccia di Ron o la Pluffa. Malfoy e il resto della sua squadra ululavano dal ridere.
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Al terzo tentativo, Ron prese la Pluffa; forse per il sollievo la passò con tanto entusiasmo a Katie che la colpì forte in faccia.
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«Scusa!» gemette Ron, scattando in avanti per vedere se le aveva fatto male.
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«Torna al tuo posto, sta bene!» abbaiò Angelina. «Quando passi a una compagna, cerca di non ribaltarla dalla scopa, d’accordo? Per quello ci sono i Bolidi!»
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Il naso di Katie sanguinava. Giù in basso, i Serpeverde battevano i piedi e sghignazzavano. Fred e George volarono verso Katie.
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«Ecco, prendi questo» le disse Fred, dandole qualcosa di piccolo e viola che si era sfilato di tasca, «sistemerà tutto in un attimo».
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«D’accordo» gridò Angelina, «Fred, George, andate a prendere le mazze e un Bolide. Ron, vai su alle porte. Harry, lascia andare il Boccino quando lo dico io. Cercheremo di segnare nella porta di Ron, naturalmente».
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Harry filò dietro ai gemelli per andare a prendere il Boccino.
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«Ron non se la sta cavando molto bene, eh?» borbottò George, quando i tre atterrarono vicino alla cesta delle palle e la aprirono per estrarre un Bolide e il Boccino.
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«È solo nervoso» rispose Harry, «andava benone quando mi sono allenato con lui stamattina».
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«Be’, spero che non abbia già dato il massimo» disse Fred di malumore.
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Tornarono in aria. Quando Angelina fischiò, Harry liberò il Boccino e Fred e George lasciarono il Bolide. Da quel momento, Harry quasi non si rese conto di quello che facevano gli altri. Il suo compito era riacchiappare la pallina dorata svolazzante che valeva centocinquanta punti per la squadra del Cercatore e questo richiedeva enorme rapidità e abilità. Accelerò, vorticando e scartando tra i Cacciatori, la tiepida aria autunnale che gli frustava il volto; le urla remote dei Serpeverde erano un ruggito insignificante nelle sue orecchie… ma troppo presto un fischio lo costrinse di nuovo a fermarsi.
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«Stop… stop… STOP!» gridò Angelina. «Ron… non stai coprendo la porta centrale!»
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Harry si voltò a guardare Ron, che galleggiava davanti all’anello di sinistra, lasciando gli altri due completamente scoperti.
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«Oh… mi dispiace…»
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«Continui a spostarti mentre guardi i Cacciatori!» disse Angelina. «O stai al centro finché non devi muoverti per difendere un anello, oppure gira intorno agli anelli, ma non svolazzare da una parte, è così che hai lasciato passare gli ultimi tre tiri!»
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«Mi dispiace…» ripeté Ron, il viso rosso che brillava come un faro contro il cielo azzurro vivo.
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«E, Katie, non puoi fare qualcosa per quel naso?»
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«Sta peggiorando!» esclamò Katie con voce confusa, cercando di tamponare i fiotti di sangue con la manica.
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Harry si voltò a guardare Fred, che si tastava le tasche preoccupato. Lo vide estrarne qualcosa di violetto, osservarlo per un istante e poi guardare Katie, chiaramente orripilato.
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«Be’, riproviamo» disse Angelina. Stava ignorando i Serpeverde, che avevano intonato Grifondoro schiappe, Grifondoro schiappe, ma c’era senza dubbio una certa rigidità nel suo modo di cavalcare la scopa.
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Questa volta volavano da meno di tre minuti quando il fischio di Angelina trillò. Harry, che aveva appena avvistato il Boccino vorticare attorno alla porta di fronte, risalì decisamente afflitto.
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«E adesso che cosa c’è?» chiese impaziente ad Alicia, che era la più vicina.
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«Katie» rispose lei.
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Harry si voltò e vide Angelina, Fred e George volare più veloci che potevano verso Katie. Anche Harry e Alicia sfrecciarono verso di lei. Era chiaro che Angelina aveva interrotto l’allenamento appena in tempo; Katie era bianca come un lenzuolo, tutta coperta di sangue.
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«Deve andare in infermeria» disse Angelina.
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«Ce la portiamo noi» si offrì Fred. «Deve… ehm… aver mangiato per sbaglio una Vescicola Sanguinolenta…»
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«Be’, è inutile proseguire senza Battitori e con un Cacciatore fuori» disse Angelina cupa, mentre Fred e George filavano via verso il castello reggendo tra loro Katie. «Forza, andiamo a cambiarci».
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I Serpeverde continuarono a scandire i loro slogan e i Grifondoro si trascinarono verso lo spogliatoio.
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«Com’è andato l’allenamento?» chiese Hermione, gelida, mezz’ora dopo, quando Harry e Ron varcarono il buco del ritratto ed entrarono nella sala comune.
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«E stato…» cominciò Harry.
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«Completamente schifoso» concluse Ron con voce sepolcrale, sprofondando in una poltrona vicino a Hermione. Lei guardò Ron e la sua freddezza parve sciogliersi.
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«Be’, per te era solo il primo» disse per consolarlo, «ci vorrà del tempo…»
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«Chi ha detto che sono stato io a farlo diventare schifoso?» sbottò Ron.
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«Nessuno» rispose Hermione, colta alla sprovvista. «Credevo…»
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«Credevi che dovessi far schifo per forza?»
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«No, certo che no! Senti, tu hai detto che era stato schifoso, e io ho solo…»
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«Vado a cominciare un po’ di compiti» disse Ron arrabbiato; salì a passi pesanti la scala del dormitorio e sparì. Hermione si rivolse a Harry.
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«Ha giocato così male?»
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«No» mentì Harry.
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Hermione inarcò le sopracciglia.
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«Be’, suppongo che avrebbe potuto giocare meglio» borbottò Harry, «ma era solo il primo allenamento, come hai detto tu…»
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Né Harry né Ron andarono molto avanti con i compiti quella sera. Harry sapeva che Ron era troppo preoccupato per come aveva giocato e lui faticava a farsi uscire dalla testa quel coro di Grifondoro schiappe.
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Passarono tutta la domenica nella sala comune, sepolti nei loro libri mentre la stanza si riempiva e si svuotava. Era un’altra bella giornata serena e gran parte dei loro compagni di Grifondoro la passarono fuori nel parco, a godersi quello che poteva essere uno degli ultimi giorni di sole dell’anno. A sera, Harry si sentiva come se qualcuno gli avesse fatto sbattere il cervello contro l’interno del cranio.
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«Sai, probabilmente dovremmo cercare di fare più compiti durante la settimana» borbottò a Ron, quando finalmente misero da parte il lungo tema per la McGranitt sull’Incantesimo Inanimatus Conjurus e si rivolsero tetri a quello per la professoressa Sinistra sulle molte lune di Giove, altrettanto lungo e difficile.
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«Sicuro» disse Ron, strofinandosi gli occhi arrossati e gettando il quinto foglio di pergamena nel fuoco. «Senti… chiediamo a Hermione se possiamo dare un’occhiata al suo?»
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Harry la guardò; era seduta con Grattastinchi in grembo e chiacchierava allegramente con Ginny mentre un paio di ferri da calza, a mezz’aria davanti a lei, sferruzzavano un paio di informi calzini da elfo.
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«No» rispose lui, «lo sai che non ci lascerà».
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E così continuarono a lavorare e il cielo diventava sempre più scuro. Piano piano, la folla nella sala comune riprese a diradarsi. Alle undici e mezza, Hermione si avvicinò, sbadigliando.
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«Quasi finito?»
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«No» rispose Ron secco.
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«La luna più grande di Giove è Ganimede, non Callisto» disse lei, indicando da sopra la spalla di Ron una riga del tema di Astronomia, «ed è Io che ha i vulcani».
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«Grazie» ringhiò Ron, cancellando le frasi sbagliate.
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«Scusa, è solo che…»
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«Sì, be’, se sei venuta solo per criticare…»
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«Ron…»
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«Non ho tempo di ascoltare una predica, d’accordo, Hermione, ci sono dentro fino al collo, qui…»
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«No… guarda!»
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Hermione stava indicando la finestra più vicina. Sia Harry che Ron si voltarono. Un bell’allocco era fermo sul davanzale e scrutava Ron.
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«Non è Hermes?» chiese Hermione, meravigliata.
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«Sì, accidenti!» disse Ron piano. Gettò via la piuma e si alzò. «Come mai Percy mi scrive?»
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Attraversò la stanza e aprì la finestra; Hermes volò dentro, atterrò sul tema di Ron e tese una zampa a cui era fissata una lettera. Ron la prese e l’allocco partì subito, lasciando orme d’inchiostro sul disegno della luna Io.
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«È senza dubbio la scrittura di Percy» disse Ron, sprofondando di nuovo nella poltrona e fissando le parole sull’esterno del rotolo: Ronald Weasley, Casa di Grifondoro, Hogwarts. Guardò gli altri due. «Che cosa ne pensate?»
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«Aprila!» esclamò Hermione impaziente, e Harry annuì.
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Ron srotolò la pergamena e cominciò a leggere. Più i suoi occhi scendevano lungo il foglio, più marcato diventava il suo cipiglio. Quando ebbe finito, era disgustato. Gettò la lettera a Harry e Hermione, che si curvarono per leggerla insieme.
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Caro Ron,
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Ho saputo solo ora (nientemeno che dal Ministro della Magia in persona, che l’ha appreso dalla vostra nuova insegnante, la professoressa Umbridge) che sei diventato prefetto di Hogwarts.
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Sono stato assai piacevolmente sorpreso da questa notizia e voglio assolutamente congratularmi con te. Devo ammettere che ho sempre temuto che avresti imboccato quella che potremmo definire la strada “di Fred e George”, invece che seguire le mie orme, quindi puoi immaginare che cosa ho provato nel sapere che hai smesso di farti beffe dell’autorità e hai deciso di assumerti qualche vera responsabilità.
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Ma voglio offrirti qualcosa di più delle mie congratulazioni, Ron: voglio darti qualche consiglio, per questo ti mando la lettera di notte invece che con la solita posta del mattino. Spero che riuscirai a leggerla lontano da sguardi indiscreti e a evitare domande imbarazzanti.
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Da qualcosa che il Ministro si è lasciato sfuggire quando mi ha comunicato che ora sei un prefetto, deduco che frequenti ancora molto Harry Potter. Devo dirti, Ron, che nulla potrebbe farti rischiare di perdere la tua spilla più del continuo fraternizzare con quel ragazzo. Sì, sono certo che sarai sorpreso di sentirmelo dire, e senza dubbio obietterai che Potter è sempre stato il prediletto di Silente, ma mi sento in dovere di dirti che Silente potrebbe non essere Preside di Hogwarts per molto tempo ancora e la gente che conta ha una visione molto diversa — e probabilmente più precisa — del comportamento di Potter. Non dirò altro qui, ma se leggi La Gazzetta del Profeta di domani ti farai un’idea di come tira il vento… vedi se riesci a riconoscere da che parte soffia il tuo!
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Sul serio, Ron, spero che non vorrai condividere gli stessi difetti di Potter: potrebbe essere molto dannoso per le tue prospettive, e sto parlando anche della vita dopo la scuola. Come certo saprai, visto che nostro padre l’ha accompagnato, Potter è stato convocato a un’udienza disciplinare quest’estate, davanti all’intero Wizengamot, e non ne è uscito molto bene. È stato assolto per un puro cavillo, se vuoi saperlo, e molte persone con cui ho parlato rimangono convinte che sia colpevole.
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Può darsi che tu abbia paura di tagliare i ponti con lui — so che può essere mentalmente instabile e addirittura violento — ma se ti preoccupa, o se hai individuato nel suo comportamento qualcos’altro che ti turba, insisto perché tu ne parli con Dolores Umbridge, una donna davvero deliziosa che, lo so, sarà solo felice di aiutarti.
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Questo mi conduce al secondo consiglio. Come ho accennato prima, la direzione di Silente a Hogwarts potrebbe ben presto finire. La tua fedeltà, Ron, non dovrebbe andare a lui, ma alla scuola e al Ministero. Sono molto dispiaciuto di sapere che finora la professoressa Umbridge incontra assai scarsa cooperazione da parte del corpo insegnanti quando invece si sforza di apportare a Hogwarts quei necessari cambiamenti che il Ministero desidera così ardentemente (anche se dovrebbe trovarlo più facile dalla prossima settimana: di nuovo, leggi La Gazzetta del Profeta domani!) Dirò solo questo: uno studente che ora si dimostrasse volonteroso nell’aiutare la professoressa Umbridge potrebbe essere in un’ottima posizione per diventare Caposcuola entro un paio d’anni!
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Mi spiace di non essere riuscito a vederti di più durante l’estate. Mi addolora criticare i nostri genitori, ma temo di non poter più vivere sotto il loro tetto finché continuano a frequentare la folla pericolosa che attornia Silente. (Se scriverai a nostra madre, dille pure che un certo Sturgis Podmore, che è grande amico di Silente, è stato appena spedito ad Azkaban per essere entrato illegalmente nel Ministero. Forse questo aprirà loro gli occhi sulla razza di criminali di basso rango con cui sono in confidenza al momento.) Mi ritengo assai fortunato di essere sfuggito al marchio di promiscuità con questo genere di persone — il Ministro non potrebbe davvero essere più benigno con me — e spero, Ron, che non permetterai ai legami familiari di renderti cieco davanti alla natura malaccorta delle convinzioni e delle azioni dei nostri genitori. Spero sinceramente che col tempo capiranno quanto si sono sbagliati e naturalmente quel giorno sarò pronto ad accettare le loro sincere scuse.
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Per favore, rifletti con grandissima attenzione su quanto ti ho detto, soprattutto sulla parte che riguarda Harry Potter, e congratulazioni di nuovo per essere diventato prefetto.
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Tuo fratello, Percy
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Harry alzò lo sguardo verso Ron.
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«Be’» disse, cercando di scherzare, «se vuoi… ehm… che cosa?» — rilesse la lettera di Percy — «Oh, sì, “tagliare i ponti” con me, giuro che non diventerò violento».
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«Ridammela» ringhiò Ron, tendendo la mano. «È…» continuò Ron a scatti, strappando a metà la lettera di Percy, «il più grosso» e la strappò in quattro, «idiota» e la strappò in otto, «del mondo». Gettò i pezzi nel fuoco.
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«Andiamo, dobbiamo finire questa roba prima dell’alba» disse asciutto a Harry, e trasse di nuovo a sé il foglio del tema per la professoressa Sinistra.
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Hermione stava guardando Ron con una strana espressione.
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«Oh, datemeli qui» disse all’improvviso.
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«Cosa?» chiese Ron.
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«Dateli a me, gli do un’occhiata e li correggo» si offrì lei.
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«Sul serio? Ah, Hermione, tu ci salvi la vita» disse Ron. «Che cosa posso…?»
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«Potete dire: “Promettiamo di non fare mai più i compiti così in ritardo”» rispose lei, allungando le mani per prendere i temi, ma aveva l’aria divertita.
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«Un milione di grazie, Hermione» mormorò Harry debolmente. Le diede il suo tema e sprofondò di nuovo nella poltrona, strofinandosi gli occhi.
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Era mezzanotte passata e la sala comune era deserta, a parte loro tre e Grattastinchi. Gli unici rumori erano quelli della piuma di Hermione che cancellava frasi qua e là sui loro temi, e il fruscio delle pagine mentre controllava varie informazioni nei libri sparsi sul tavolo. Harry era sfinito. Provava anche uno strano senso di nausea e di vuoto allo stomaco, che niente aveva a che vedere con la stanchezza e tutto con la lettera che ormai si arricciava nera nel cuore del fuoco.
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Sapeva che metà delle persone a Hogwarts lo considerava strano, perfino pazzo; sapeva che La Gazzetta del Profeta faceva maligne allusioni a lui da mesi, ma vederle scritte così dalla grafia di Percy, sapere che Percy consigliava a Ron di lasciarlo perdere e anche di andare a fare la spia alla Umbridge, gli dava il senso della situazione come nient’altro. Conosceva Percy da quattro anni, era stato a casa sua per le vacanze estive, aveva diviso una tenda con lui alla Coppa del Mondo di Quidditch, si era visto perfino assegnare da lui i pieni voti nella seconda prova del Torneo Tremaghi l’anno prima, eppure ora Percy lo giudicava uno squilibrato, addirittura violento.
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Con un moto di comprensione per il suo padrino, Harry pensò che Sirius fosse probabilmente la sola persona davvero in grado di capire che cosa provava al momento, perché si trovava nella stessa situazione. Quasi tutti nel mondo dei maghi lo ritenevano un pericoloso assassino e un grande sostenitore di Voldemort e lui doveva convivere con quel pregiudizio da quattordici anni…
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Harry sbatté le palpebre. Aveva appena visto nel fuoco qualcosa che non avrebbe dovuto esserci. Era comparsa in un lampo ed era sparita subito. No… non poteva essere… l’aveva immaginata perché stava pensando a Sirius…
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«Bene, ricopia questo» disse Hermione a Ron, spingendo verso di lui il suo tema e un foglio coperto di frasi scritte da lei, «e poi aggiungi questa conclusione».
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«Hermione, sei proprio la persona più meravigliosa che abbia mai conosciuto» rispose Ron debolmente, «e se sarò ancora sgarbato con te…»
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«…saprò che sei tornato normale» concluse Hermione. «Harry, il tuo va bene, a parte questo pezzetto alla fine, credo che tu debba aver frainteso la professoressa Sinistra: Europa è coperta di ghiaccio, non di ghiaia… Harry?»
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Harry era scivolato in ginocchio, accoccolato sul tappeto bruciacchiato e liso a scrutare dentro le fiamme.
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«Ehm… Harry?» chiese Ron incerto. «Cosa fai lì per terra?»
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«Ho appena visto la testa di Sirius nel fuoco» rispose Harry.
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Lo disse piuttosto tranquillamente; dopotutto, aveva visto la testa di Sirius in quello stesso fuoco l’anno prima, e ci aveva anche parlato; tuttavia non poteva essere certo di averla vista davvero, questa volta… era scomparsa così in fretta…
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«La testa di Sirius?» ripeté Hermione. «Intendi dire come quando voleva parlarti durante il Torneo Tremaghi? Ma adesso non lo farebbe, sarebbe troppo… Sirius!»
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Trattenne il fiato, fissando il fuoco. Ron lasciò cadere la piuma. Lì, al centro delle fiamme danzanti, c’era la testa di Sirius, coi lunghi capelli scuri che ricadevano attorno al viso sorridente.
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«Cominciavo a pensare che saresti andato a letto prima che sparissero tutti gli altri» disse. «Ho controllato ogni ora».
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«Sei comparso nel fuoco ogni ora?» chiese Harry con una mezza risata.
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«Solo per qualche secondo, per vedere se c’era via libera».
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«Ma se qualcuno ti avesse visto?» domandò Hermione preoccupata.
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«Be’, credo che una ragazza — una del primo anno, a giudicare dall’aspetto — possa avermi intravisto, ma non ti preoccupare» aggiunse Sirius in fretta vedendo Hermione che si premeva una mano sulla bocca, «appena si è voltata di nuovo a guardarmi sono sparito, e scommetto che ha pensato che fossi solo un ceppo dalla forma strana».
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«Ma Sirius, è un rischio terribile…» cominciò Hermione.
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«Mi sembri Molly» disse Sirius. «È il solo modo che mi è venuto in mente per rispondere alla lettera di Harry senza ricorrere a un codice… i codici si possono decifrare».
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Sentendo nominare la lettera di Harry, sia Hermione che Ron si voltarono a fissarlo.
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«Non ci hai detto che avevi scritto a Sirius!» protestò Hermione.
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«Me ne sono dimenticato» rispose Harry, ed era la pura verità: l’incontro con Cho nella Guferia gli aveva fatto uscire di mente tutto quello che era successo prima. «Non guardarmi così, Hermione, nessun altro poteva capirci qualcosa, vero, Sirius?»
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«No, era scritta molto bene» confermò Sirius, sorridendo. «Comunque meglio sbrigarci, prima di venire interrotti… la cicatrice».
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«Che cosa…?» cominciò Ron, ma Hermione lo interruppe.
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«Te lo diciamo dopo. Vai avanti, Sirius».
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«Be’, so che può non essere divertente quando ti fa male, ma siamo convinti che non ci sia niente di cui preoccuparsi sul serio. Ti ha fatto male per tutto l’anno scorso, vero?»
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«Sì, e Silente ha detto che succedeva tutte le volte che Voldemort provava un’emozione intensa» rispose Harry, ignorando, come al solito, le smorfie di Ron e Hermione. «Quindi forse, non so, era solo molto arrabbiato la sera che ho subito quella punizione».
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«Be’, adesso che è tornato ti farà male più spesso» disse Sirius.
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«Quindi non credi che c’entri il fatto che la Umbridge mi ha toccato?» chiese Harry.
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«Ne dubito» rispose Sirius. «La conosco di fama e sono sicuro che non è una Mangiamorte…»
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«È abbastanza orrida da poterlo essere» osservò Harry cupo, e Ron e Hermione annuirono vigorosamente.
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«Sì, ma il mondo non è diviso in brava gente e Mangiamorte» disse Sirius con un sorriso ironico. «Lo so che è un brutto soggetto, però… dovresti sentire Remus quando parla di lei».
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«Lupin la conosce?» chiese Harry in fretta, ricordando i commenti della Umbridge sugli ibridi pericolosi, durante la prima lezione.
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«No» rispose Sirius, «ma due anni fa lei ha presentato un progetto di legge anti-lupi mannari che gli rende praticamente impossibile trovare lavoro».
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Harry ricordò quanto più trasandato sembrava adesso Lupin e la sua avversione per la Umbridge diventò ancora più profonda.
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«Che cos’ha contro i lupi mannari?» s’infuriò Hermione.
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«Paura, immagino» rispose Sirius, sorridendo alla sua indignazione. «A quanto pare, detesta i semiumani; l’anno scorso ha anche condotto una campagna per far riunire e marchiare sirene e tritoni. Immagina un po’, perdere tempo ed energie a perseguitare gli esseri marini quando ci sono delle nullità come Kreacher a piede libero».
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Ron rise, ma Hermione parve turbata.
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«Sirius!» lo rimproverò. «Sul serio, se facessi un piccolo sforzo con Kreacher, sono sicura che reagirebbe bene. Dopotutto tu sei l’unico membro della sua famiglia che gli rimane, e il professor Silente ha detto…»
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«Allora, come sono le lezioni della Umbridge?» la interruppe Sirius. «Vi sta addestrando tutti a uccidere gli ibridi?»
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«No» rispose Harry, ignorando lo sguardo offeso di Hermione per essere stata interrotta nella sua difesa di Kreacher. «Non ci permette di usare la magia!»
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«Non facciamo altro che leggere quello stupido libro» disse Ron.
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«Ah, be’, i conti tornano» commentò Sirius. «Le nostre informazioni dall’interno del Ministero dicono che Caramell non vi vuole addestrati a combattere».
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«Addestrati a combattere!» ripeté Harry incredulo. «Che cosa crede che facciamo qui, che formiamo una specie di esercito di maghi?»
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«È proprio quello di cui è convinto» rispose Sirius, «o meglio, è proprio quello che teme che faccia Silente: formare il suo esercito personale col quale riuscirà a impossessarsi del Ministero della Magia».
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Ci fu una pausa, poi Ron disse: «È la cosa più stupida che abbia mai sentito, incluse tutte le scemenze che spara quella Luna Lovegood».
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«Quindi ci viene impedito di imparare Difesa contro le Arti Oscure perché Caramell ha paura che useremo gli incantesimi contro il Ministero?» chiese Hermione, furibonda.
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«Già» rispose Sirius. «Caramell è convinto che Silente non si fermerà davanti a nulla per prendere il potere. È sempre più ossessionato da Silente. È solo questione di tempo: lo farà arrestare con qualche accusa falsa».
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Questo fece venire in mente a Harry la lettera di Percy.
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«Sai se ci sarà qualcosa su Silente sulla Gazzetta del Profeta di domani? Percy, il fratello di Ron, pensa di sì…»
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«Non so» disse Sirius. «Non ho visto nessuno dell’Ordine per tutto il finesettimana, sono tutti impegnati. Siamo rimasti solo io e Kreacher quaggiù…»
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C’era una chiara nota di amarezza nella sua voce.
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«Quindi non hai notizie nemmeno di Hagrid?»
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«Ah…» fece Sirius, «be’, doveva già essere di ritorno, nessuno sa che cosa gli è successo». Poi, vedendo i loro volti afflitti, si affrettò ad aggiungere: «Ma Silente non è in pensiero, quindi non agitatevi, voi tre, sono sicuro che Hagrid sta bene».
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«Ma se doveva già essere tornato…» disse Hermione con una vocina angosciata.
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«Madame Maxime era con lui, ci siamo messi in contatto con lei e dice che si sono separati nel viaggio di ritorno… ma niente lascia pensare che sia ferito o… be’, niente suggerisce che non sia perfettamente a posto».
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Per nulla convinti, Harry, Ron e Hermione si scambiarono sguardi preoccupati.
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«Sentite, non andate in giro a fare troppe domande su Hagrid» aggiunse Sirius in fretta, «attirerete ancora di più l’attenzione sul fatto che non è tornato, e so che Silente non lo vuole. Hagrid è un duro, se la caverà». E poiché non sembravano sollevati, continuò: «Quand’è il vostro prossimo finesettimana a Hogsmeade, comunque? Stavo pensando, ce la siamo cavata con il travestimento da cane alla stazione, no? Pensavo che potrei…»
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«No!» esclamarono Harry e Hermione in coro, molto forte.
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«Sirius, non hai letto La Gazzetta del Profeta?» aggiunse Hermione, tesa.
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«Oh, quella» rispose Sirius con un ghigno, «sono sempre lì che cercano di indovinare dove mi trovo, non hanno il minimo indizio…»
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«Sì, ma questa volta forse ce l’hanno» obiettò Harry. «Qualcosa che Malfoy ha detto in treno ci ha fatto pensare che sapesse che eri tu, e suo padre era sul marciapiede — sai, Lucius Malfoy — quindi non venire qui, per nessun motivo. Se Malfoy ti riconosce di nuovo…»
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«D’accordo, d’accordo, ho capito». Sirius sembrava profondamente dispiaciuto. «Era solo un’idea, pensavo che ti avrebbe fatto piacere stare un po’ insieme».
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«Certo che mi piacerebbe, ma non voglio che ti spediscano di nuovo ad Azkaban!» disse Harry.
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Ci fu una pausa, durante la quale Sirius guardò Harry dal fuoco, con una ruga verticale tra gli occhi incavati.
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«Sei meno simile a tuo padre di quanto pensassi» concluse, glaciale. «Il rischio sarebbe stato il pepe per James».
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«Senti…»
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«Be’, è meglio che vada, sento Kreacher che scende le scale» lo interruppe Sirius, ma Harry era sicuro che mentisse. «Ti scrivo per dirti un orario in cui posso tornare nel fuoco, allora, d’accordo? Se te la senti di rischiare…»
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Si udì un minuscolo pop, e il punto in cui la testa di Sirius era apparsa fu di nuovo fiamma guizzante.
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