La mattina dopo Harry aveva Erbologia alla prima ora. In Sala Grande non aveva raccontato a Ron e Hermione della serata con Silente per paura di essere udito dagli altri, e così li ragguagliò mentre attraversavano l’orto diretti alle serre. Il vento brutale era finalmente cessato; la strana nebbia era tornata e i ragazzi impiegarono un po’ più tempo del solito a trovare la serra giusta.
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«Che paura, il piccolo Voi-Sapete-Chi» sussurrò Ron mentre si sedevano attorno a uno dei ceppi contorti di Pugnacio su cui avrebbero lavorato per tutto il quadrimestre e cominciavano a infilarsi i guanti protettivi. «Ma continuo a non capire perché Silente ti fa vedere tutte queste cose. Voglio dire, è interessante, ma a cosa serve?»
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«Bob.» rispose Harry, mettendosi un paragengive. «Ma dice che è utilissimo e mi aiuterà a sopravvivere».
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«Secondo me è affascinante» intervenne Hermione, con fervore. «È del tutto sensato sapere quanto più possibile di Voldemort. Altrimenti come farai a scoprire i suoi punti deboli?»
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«Allora, com’è andata l’ultima festa di Lumacorno?»le chiese Harry con la voce alterata dal paragengive.
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«Oh, è stata divertente, davvero»rispose Hermione indossando degli occhiali protettivi. «Voglio dire, si pavoneggia dei suoi ex allievi famosi, e adula McLaggen in modo spudorato per via dei suoi contatti, ma la cena era ottima e ci ha presentato a Gwenog Jones».
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«Gwenog Jones?» ripeté Ron, gli occhi sgranati sotto gli occhialoni. «Quella Gwenog Jones? Il Capitano delle Holyhead Harpies?»
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«Già» rispose Hermione. «Personalmente l’ho trovata un po’ piena di sé, ma…»
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«Basta con le chiacchiere, laggiù!» ingiunse la professoressa Sprite in tono spiccio, avvicinandosi con aria decisa. «Siete indietro, tutti gli altri hanno cominciato e Neville ha già preso il primo baccello!»
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Si guardarono intorno; in effetti, Neville esibiva un labbro insanguinato e parecchi brutti graffi sulla guancia, ma stringeva un oggetto verde grande come un pompelmo che pulsava in modo sgradevole.
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«D’accordo, professoressa, iniziamo subito!» rispose Ron, ma quando lei si fu voltata aggiunse sottovoce: «Dovevamo usare il Muffliato,Harry».
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«No che non dovevamo» ribatté subito Hermione, come sempre ostile al Principe Mezzosangue e ai suoi incantesimi. «Be’, su… è meglio muoversi…»
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Lanciò agli altri due un’occhiata apprensiva; inspirarono profondamente e poi si gettarono sul ceppo contorto.
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Quello prese vita all’istante; i pungenti tralci simili a rovi schizzarono dalla cima e cominciarono a frustare l’aria. Uno si impigliò nei capelli di Hermione e Ron lo neutralizzò con un paio di cesoie; Harry riuscì a bloccare due tralci e ad annodarli insieme; un buco si aprì al centro di tutti i rami tentacolari; Hermione tuffò coraggiosa il braccio nel buco, che si chiuse come una trappola attorno al suo gomito; Harry e Ron tirarono e torsero i tralci, costringendo il buco a riaprirsi, e Hermione liberò il braccio, stringendo fra le dita un baccello come quello di Neville. Subito i tralci pungenti si ritrassero all’interno del ceppo contorto, che rimase come un innocente ciocco di legno inanimato.
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«Non credo che ne metterò uno nel giardino di casa mia» dichiarò Ron, spingendo gli occhiali sulla fronte e asciugandosi il sudore dal viso.
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«Passami una ciotola» disse Hermione, reggendo a distanza il baccello pulsante; Harry gliene porse una e lei ce lo lasciò cadere dentro, disgustata.
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«Non siate schizzinosi, spremetelo, danno il meglio quando sono freschi!» gridò la professoressa Sprite.
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«Comunque» continuò Hermione come se non fossero stati appena aggrediti da un tronco di legno, «Lumacorno darà una festa di Natale, Harry, e non potrai evitarla stavolta, perché mi ha chiesto di controllare le tue serate libere in modo da organizzarla quando potrai esserci anche tu».
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Harry gemette. Nel frattempo Ron, che si era alzato in piedi e con tutta la sua forza stava cercando di spremere il baccello nella ciotola, sbottò, rabbioso: «E questa è un’altra festa riservata ai cocchi di Lumacorno, vero?»
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«Solo per il Lumaclub, sì» rispose Hermione.
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Il baccello schizzò via dalla stretta di Ron, colpì il vetro della serra, rimbalzò sulla testa della professoressa Sprite e le fece volar via il vecchio cappello rappezzato. Harry andò a riprenderlo; quando tornò, Hermione stava dicendo: «Senti, non l’ho inventato io il nome Lumaclub…»
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«Lumaclub»ripeté Ron con un ghigno beffardo degno di Malfoy. «È penoso. Be’, spero che ti diverta. Perché non provi a uscire con McLaggen, così Lumacorno potrà nominarvi Re e Regina dei Lumaconi…»
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«Possiamo portare degli ospiti» lo interruppe Hermione, che per qualche ragione era violentemente arrossita, «e stavo per chiederti di venire, ma se la pensi così allora lascio perdere!»
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Harry all’improvviso desiderò che il baccello fosse volato molto più lontano, in modo da non dover stare lì con quei due. Senza che lo notassero, prese la ciotola e cercò di aprire il baccello nel modo più rumoroso e violento che riuscisse a escogitare, ma questo purtroppo non gli impedì di sentire ogni parola.
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«Stavi per invitare me?» chiese Ron in tutt’altro tono.
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«Sì» rispose Hermione, adirata. «Ma se preferisci che esca con McLaggen…»
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Ci fu una pausa durante la quale Harry continuò a pestare il baccello elastico con una paletta.
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«No che non preferisco» bisbigliò Ron.
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Harry mancò il baccello e colpì la ciotola, che andò in pezzi. «Reparo»ordinò subito, picchiettando i frammenti con la bacchetta, e la ciotola tornò integra. Ma il fracasso evidentemente ricordò a Ron e Hermione che Harry era a un passo da loro. Hermione apparve turbata e cominciò subito a cercare la sua copia di Alberi Carnivori del Mondo per scoprire il modo corretto di spremere i baccelli di Pugnacio; da parte sua, Ron era imbarazzato ma anche compiaciuto.
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«Dammelo, Harry» disse Hermione premurosa, «dice che dovremmo forarlo con qualcosa di aguzzo…»
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Harry le passò la ciotola con il baccello, sia lui che Ron si rimisero a posto gli occhiali protettivi e ripresero ad aggredire il ceppo.
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Non era veramente sorpreso, pensò Harry mentre lottava con un tralcio spinoso deciso a strangolarlo; aveva avuto il sospetto che prima o poi sarebbe potuto succedere. Ma non era sicuro di come si sentiva al riguardo… Lui e Cho ormai erano troppo imbarazzati per guardarsi, figuriamoci parlarsi; e se Ron e Hermione si fossero messi insieme e poi si fossero lasciati? La loro amicizia sarebbe sopravvissuta? Harry ricordò le poche settimane in cui i due non si erano parlati, al terzo anno; non si era affatto divertito a cercare di riconciliarli. E se invece non si fossero lasciati? Se fossero diventati come Bill e Fleur, e si fosse rivelato imbarazzante stare con loro, e lui fosse stato escluso per sempre?
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«Preso!» urlò Ron, ed estrasse un secondo baccello dal ceppo proprio mentre Hermione riusciva a far scoppiare il primo. La ciotola si riempì di tuberi che si contorcevano come vermi color verde pallido.
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Il resto della lezione passò senza altre allusioni alla festa di Lumacorno. Harry osservò attentamente i due amici nei giorni che seguirono, ma Ron e Hermione non sembravano diversi, a parte il fatto che erano un po’ più gentili del solito l’uno con l’altra. Harry pensò che avrebbe dovuto solo aspettare di vedere che cosa sarebbe successo sotto l’influsso della Burrobirra nella penombra della stanza di Lumacorno, la sera della festa. Nel frattempo aveva preoccupazioni più pressanti.
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Katie Bell era ancora all’Ospedale San Mungo senza alcuna prospettiva di uscirne, e ciò significava che la promettente squadra di Grifondoro che Harry allenava con tanta cura da settembre aveva un Cacciatore di meno. Continuava a rimandare la sostituzione di Katie nella speranza che guarisse, ma la partita inaugurale contro Serpeverde incombeva e alla fine dovette accettare il fatto che non sarebbe tornata in tempo per giocare.
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Harry si disse che non poteva reggere un’altra selezione a pieni ranghi. Con uno sconforto che aveva poco a che fare col Quidditch, un giorno bloccò Dean Thomas dopo Trasfigurazione. Gran parte della classe se n’era già andata, anche se parecchi uccelli gialli cinguettanti, tutti opera di Hermione, sfrecciavano ancora per la stanza; nessun altro era riuscito a far apparire dal nulla più di una piuma.
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«Sei ancora interessato a giocare come Cacciatore?»
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«Cos…? Sì, certo!»esclamò Dean eccitato. Alle sue spalle Harry vide Seamus Finnigan sbattere i libri nella borsa con aria acida. Era una delle ragioni per cui avrebbe preferito non dover chiedere a Dean di giocare: Seamus ci sarebbe rimasto male. D’altro canto, doveva fare ciò che era meglio per la squadra, e Dean aveva superato Seamus alle selezioni.
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«Be’, allora sei dei nostri» disse Harry. «C’è un allenamento stasera alle sette».
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«Bene» rispose Dean. «Evviva, Harry! Accidenti, non vedo l’ora di dirlo a Ginny!»
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Schizzò fuori dall’aula, lasciando soli Harry e Seamus. Il canarino di Hermione lasciò cadere una cacca proprio sulla testa di Seamus e non contribuì affatto ad alleviare l’imbarazzo.
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Seamus non fu l’unico scontento: ci furono molti borbottii in sala comune sul fatto che Harry avesse scelto due compagni di classe per la squadra. Avendo sopportato maldicenze ben peggiori nella sua carriera scolastica, Harry non se ne preoccupò molto; ma la necessità di assicurarsi una vittoria nell’imminente partita contro Serpeverde diventò più forte. Se Grifondoro avesse vinto, Harry era sicuro che l’intera Casa avrebbe dimenticato ogni critica, giurando di aver sempre saputo che quella era una squadra eccezionale. Se avesse perso… be’, pensò Harry amaramente, aveva sempre sopportato di peggio…
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Non ebbe ragione di rimpiangere la scelta fatta quando vide Dean volare quella sera; funzionava bene con Ginny e Demelza. I Battitori, Peakes e Coote, continuavano a migliorare. Il solo problema era Ron.
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Harry aveva sempre saputo che Ron era un giocatore discontinuo, nervoso e insicuro, e purtroppo la prospettiva della partita d’apertura sembrava aver fatto affiorare tutte le sue vecchie incertezze. Dopo aver lasciato passare una mezza dozzina di gol, in gran parte segnati da Ginny, perse via via il controllo, finché mollò un pugno sulla bocca di Demelza Robins.
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«È stato un incidente, scusa, Demelza, mi dispiace davvero!» urlò Ron dietro di lei che zigzagava verso terra, col sangue che colava dappertutto. «Mi sono solo…»
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«… fatto prendere dal panico» completò Ginny furente, atterrando vicino a Demelza ed esaminando il suo labbro gonfio. «Ron, idiota, guarda come l’hai ridotta!»
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«Ci penso io» disse Harry toccando terra accanto alle due ragazze. Puntò la bacchetta verso la bocca di Demelza e ordinò ‘Epismendo’. «Ginny, non dire a Ron che è un idiota, non sei tu il Capitano…»
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«Be’, tu sembravi troppo occupato per dirglielo e io ho pensato che qualcuno dovesse…»
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Harry si costrinse a non ridere.
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«Tutti in aria, andiamo…»
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Nel complesso fu uno degli allenamenti peggiori di tutto il quadrimestre, ma Harry pensò che la sincerità non fosse la politica migliore a pochi giorni dalla partita.
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«Bel lavoro, tutti quanti, schiacceremo Serpeverde» li incoraggiò, e i Cacciatori e i Battitori uscirono dagli spogliatoi con aria soddisfatta.
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«Ho giocato come un sacco di cacca di drago» bofonchiò Ron quando la porta si fu chiusa dietro Ginny.
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«Non è vero»ribatté Harry con decisione. «Sei il miglior Portiere che abbia visto alle selezioni, Ron. Il tuo unico problema sono i nervi».
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Mantenne un flusso ininterrotto di incoraggiamenti per tutta la strada di ritorno al castello, e quando ebbero raggiunto il secondo piano Ron era appena appena più allegro. Poi, quando Harry spinse da parte l’arazzo per prendere la solita scorciatoia verso la Torre di Grifondoro, si ritrovarono faccia a faccia con Dean e Ginny, stretti in un abbraccio mozzafiato che si baciavano con furia, come se fossero incollati.
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Fu come se qualcosa di grosso e squamoso avesse preso bruscamente vita nello stomaco di Harry, artigliandogli le viscere: il sangue caldo gli salì al cervello e gli spense ogni pensiero, sostituito da un selvaggio impulso di trasformare Dean in un budino. Lottando contro questa improvvisa follia, sentì la voce di Ron come da un’enorme distanza.
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«Ehi!»
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Dean e Ginny si staccarono e si guardarono attorno.
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«Cosa?» fece Ginny.
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«Non mi piace vedere mia sorella che pastrugna la gente in pubblico!»
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«Questo era un corridoio deserto finché non siete venuti a ficcare il naso!» sbottò Ginny.
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Dean era imbarazzato. Rivolse a Harry un sorrisetto furtivo che lui non ricambiò, mentre il neonato mostro dentro di lui invocava l’istantanea espulsione di Dean dalla squadra.
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«Ehm… su, Ginny» balbettò Dean, «andiamo in sala comune…»
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«Vacci tu!» ringhiò Ginny. «Io devo fare due chiacchiere col mio caro fratello!»
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Dean se ne andò, con l’aria di non essere così dispiaciuto di abbandonare la scena.
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«Bene» attaccò Ginny, scuotendo i lunghi capelli rossi e guardando Ron torva, «chiariamo questa faccenda una volta per tutte, Ron. Con chi sto o che cosa ci faccio non ti riguarda…»
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«Invece sì!» esclamò Ron, altrettanto infuriato. «Non voglio che la gente dica che mìa sorella è una…»
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«Una cosa?» urlò Ginny, sfoderando la bacchetta. «Una cosa,di preciso?»
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«Non voleva dire niente, Ginny…» intervenne Harry automaticamente, anche se il mostro ruggiva la sua approvazione alle parole di Ron.
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«Invece sì!» sbraitò lei, infiammandosi con Harry. «Solo perché lui non ha mai baciato nessuno in vita sua, solo perché il più bel bacio che abbia mai ricevuto è stato da zia Muriel…»
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«Sta’ zitta!» gridò Ron, più che rosso ormai quasi marrone.
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«Col cavolo!» strillò Ginny, fuori di sé. «Ti ho visto con Flebo: tutte le volte che la incontri speri che ti baci sulle guance, fai pena! Se andassi in giro a pomiciare un po’ anche tu non ti seccherebbe tanto che lo facciano tutti gli altri!»
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Anche Ron aveva estratto la bacchetta; Harry s’intromise rapido tra i due.
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«Ma cosa stai dicendo!» abbaiò Ron, cercando di mirare a Ginny al di là di Harry, che le stava davanti a braccia spalancate. «Solo perché non lo faccio in pubblico…!»
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Ginny rise sprezzante, cercando di spingere Harry da parte.
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«Cosa fai, baci Leotordo? O hai una foto di zia Muriel nascosta sotto il cuscino?»
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«Tu…»
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Un lampo di luce arancione sfrecciò sotto il braccio sinistro di Harry e mancò Ginny di pochi centimetri; Harry spinse Ron contro il muro.
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«Non fare lo stupido…»
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«Harry ha baciato Cho Chang!» urlò Ginny, ormai vicina alle lacrime. «E Hermione ha baciato Viktor Krum, sei solo tu che ti comporti come se fosse una cosa disgustosa, Ron, ed è perché hai l’esperienza di un dodicenne!»
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E con questo corse via. Harry lasciò andare Ron, che aveva un’aria assassina. Rimasero fermi, ansimando, finché Mrs Purr, la micia di Gazza, apparve dietro l’angolo.
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«Andiamo»disse Harry, che coglieva già il rumore dei passi strascicati del custode.
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Corsero su per le scale e lungo un corridoio del settimo piano. «Ehi, togliti di mezzo!» ringhiò Ron a una bambinetta, che dallo spavento fece cadere una bottiglia di uova di rospo.
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Harry udì appena il rumore del vetro infranto; si sentiva disorientato, stordito; come fosse stato colpito da un fulmine.
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È solo perché è la sorella di Ron, si disse. Ti dà fastidio che baci Dean perché è la sorella di Ron…
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Ma spontaneamente affiorò nel suo animo un’immagine di quello stesso corridoio deserto e di lui che baciava Ginny al posto di Dean… il mostro nel suo petto fece le fusa… ma poi Harry vide Ron strattonare l’arazzo e puntare la bacchetta contro di lui, urlando ‘fiducia tradita’… ‘credevo che fossi il mio migliore amico’…
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«Pensi che Hermione e Krum si siano baciati?» chiese Ron all’improvviso mentre si avvicinavano alla Signora Grassa. Harry sussultò con aria colpevole e strappò via la propria fantasia da un corridoio in cui nessun Ron ficcava il naso, in cui lui e Ginny erano soli…
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«Cosa?» s’impappinò. «Oh… ehm…»
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La risposta sincera era ‘sì’, ma non volle pronunciarla. Tuttavia Ron parve dedurre il peggio dalla sua espressione.
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«Maltafinocchia»ordinò cupo alla Signora Grassa, e varcarono insieme il buco del ritratto per entrare nella sala comune.
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Nessuno dei due nominò più Ginny o Hermione; a dire il vero quella sera quasi non si rivolsero la parola e andarono a dormire in silenzio, ciascuno immerso nei suoi pensieri.
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Harry rimase a lungo sveglio a contemplare il baldacchino del letto, e a cercare di convincersi che i suoi sentimenti per Ginny erano quelli di un fratello maggiore. Erano vissuti o no come fratello e sorella per tutta l’estate, giocando a Quidditch, prendendo in giro Ron e ridendo insieme di Bill e Flebo? Ormai la conosceva da anni… era naturale che si sentisse protettivo… naturale che desiderasse vegliare su di lei… che volesse squartare Dean un pezzo alla volta per averla baciata… no… quel particolare sentimento fraterno avrebbe dovuto dominarlo…
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Ron russò sonoramente.
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È sua sorella,si disse Harry con fermezza. Sua sorella. È proibita. Non voleva mettere a repentaglio la sua amicizia con Ron per nulla al mondo. Prese a pugni il cuscino per dargli una forma più confortevole e aspettò che il sonno arrivasse, sforzandosi di impedire ai pensieri di deviare in zona Ginny.
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Il giorno dopo si svegliò un po’ intontito e confuso da una serie di sogni nei quali Ron l’aveva inseguito con una mazza da Battitore; ma verso mezzogiorno avrebbe scambiato volentieri il Ron del sogno con quello vero, che non solo trattava con freddezza Ginny e Dean, ma ostentava verso Hermione, ferita e stupefatta, una glaciale, sprezzante indifferenza. Inoltre, nell’arco di una notte sembrava diventato suscettibile e pronto a scattare come uno Schiopodo Sparacoda. Harry passò la giornata tentando senza successo di mantenere la pace tra Ron e Hermione; infine lei andò a dormire indignatissima e Ron si avviò rigido verso il dormitorio dei maschi, dopo aver imprecato contro parecchi atterriti ragazzini del primo anno che avevano commesso l’errore di guardarlo.
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Con costernazione di Harry, la nuova aggressività di Ron non si placò nei giorni seguenti. Ancor peggio, coincise con un ulteriore calo della sua abilità di Portiere, il che lo rese ancora più aggressivo: durante l’ultimo allenamento prima della partita del sabato, Ron non riuscì a parare neanche un tiro, ma urlò addosso a tutti con tanta furia che Demelza Robins si mise a piangere.
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«Sta’ zitto e lasciala stare!» gridò Peakes, che era molto più basso di Ron, e tuttavia armato di una mazza pesante.
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«BASTA!»ululò Harry, notando Ginny che guardava torva Ron. Ricordando la sua reputazione di lanciatrice di Fatture Orcovolanti, planò per intervenire prima che le cose gli sfuggissero di mano. «Peakes, vai a mettere via i Bolidi. Demelza, riprenditi, oggi hai giocato benissimo. Ron…» Harry aspettò che il resto della squadra si allontanasse, poi continuò: «Tu sei il mio migliore amico, ma continua a trattare così gli altri e ti sbatto fuori squadra».
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Per un momento pensò seriamente che Ron l’avrebbe preso a pugni, ma poi successe una cosa di gran lunga peggiore: Ron parve afflosciarsi sulla scopa. Perse tutta la furia e mormorò: «Mi ritiro. Faccio schifo».
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«Non fai schifo e non ti ritiri!» esclamò Harry con forza, afferrando Ron per il davanti della divisa. «Sai parare di tutto quando sei in forma, hai solo un problema di testa!»
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«Mi stai dicendo che sono pazzo?»
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«Sì, può darsi!»
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Si scrutarono cupi per un momento, poi Ron scosse stancamente la testa.
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«Lo so che non hai il tempo di trovarti un altro Portiere, quindi domani gioco, ma se perdiamo, e perderemo, lascio la squadra».
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Niente di ciò che disse Harry servì a qualcosa. Cercò di rincuorarlo per tutta la cena, ma Ron era troppo occupato a tenere il broncio a Hermione per farci caso. Harry insistette anche quando furono nella sala comune, tuttavia la sua affermazione che la squadra sarebbe stata devastata dall’abbandono di Ron fu in qualche modo compromessa dal fatto che il resto della squadra era riunito nell’angolo opposto, a parlare male di lui e a guardarlo in cagnesco. Infine Harry cercò di arrabbiarsi di nuovo nella speranza di provocare in Ron una reazione d’orgoglio, ma neanche questa strategia parve funzionare: Ron andò a dormire più avvilito e disperato che mai.
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Harry rimase a lungo sveglio nell’oscurità. Non voleva perdere la partita; non solo era la sua prima da Capitano, ma era deciso a battere Draco Malfoy a Quidditch, anche se non aveva ancora prove dei suoi sospetti su di lui. Ma se Ron avesse giocato come negli ultimi allenamenti, le probabilità di vincere erano molto scarse.
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Se solo avesse potuto fare qualcosa per rimettere Ron in sesto… che lo facesse giocare al massimo della forma… che gli garantisse una buona giornata…
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E la soluzione gli giunse in un solo, improvviso, glorioso lampo d’ispirazione.
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La mattina dopo la colazione fu, come al solito, agitata: i Serpeverde fischiarono e vociarono ogni volta che un membro della squadra di Grifondoro entrò nella Sala Grande. Harry diede un’occhiata al soffitto e vide un pallido, limpido cielo azzurro: un buon segno.
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«Su con la vita, Ron» gridò Lavanda. «Lo so che sarai bravissimo!»
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Ron la ignorò.
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«Tè?» gli chiese Harry. «Caffè? Succo di zucca?»
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«Quello che vuoi» rispose Ron cupo, dando un malmostoso morso al pane tostato.
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Qualche minuto dopo passò Hermione, così stufa del comportamento di Ron da non voler fare colazione con loro, e si fermò.
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«Come vi sentite voi due?» chiese esitante, lo sguardo fisso sulla nuca di Ron.
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«Bene» rispose Harry, porgendo a Ron un bicchiere di succo di zucca. «Ecco, bevi».
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Aveva appena portato il bicchiere alle labbra quando Hermione esclamò: «Non berlo, Ron!»
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I due alzarono lo sguardo su di lei.
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«Perché no?» chiese Ron.
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Hermione fissava Harry come se non potesse credere ai propri occhi.
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«Hai appena messo qualcosa in quel succo».
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«Scusa?» fece Harry.
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«Mi hai sentito. Ti ho visto. Hai appena versato qualcosa nella bibita di Ron. Hai ancora la bottiglia in mano!»
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«Non so di cosa stai parlando» ribatté Harry, rimettendo in fretta una bottiglietta in tasca.
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«Ron, attento, non berlo!» lo ammonì di nuovo Hermione, preoccupata, ma Ron vuotò il bicchiere in un solo sorso e rispose: «Smettila di maltrattarmi, Hermione».
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Scandalizzata, lei si chinò in modo che solo Harry potesse sentirla e sibilò: «Dovresti essere espulso per questo. Non me lo sarei mai aspettato da te, Harry!»
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«Senti chi parla» sussurrò lui di rimando. «Hai Confuso nessuno, ultimamente?»
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Lei si allontanò furiosa; Harry la guardò andar via senza rimpianti. Hermione non aveva mai veramente capito che il Quidditch era una cosa seria. Poi si voltò a guardare Ron, che schioccò le labbra.
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«È quasi ora» annunciò Harry allegramente.
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L’erba ghiacciata scricchiolava sotto i loro passi mentre scendevano verso lo stadio.
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«Fortuna che il tempo sia così buono, eh?» disse Harry a Ron.
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«Già» rispose Ron, pallido e con l’aria malaticcia.
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Ginny e Demelza erano già in divisa da Quidditch e aspettavano nello spogliatoio.
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«Le condizioni sembrano ideali» osservò Ginny, ignorando il fratello. «E indovina un po’? Quel Cacciatore di Serpeverde, Vaisey… Si è preso un Bolide in testa ieri in allenamento e sta troppo male per giocare! E ancora meglio… anche Malfoy è malato!»
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«Che cosa?»esclamò Harry, voltandosi di colpo a guardarla. «È malato? Che cos’ha?»
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«Non ne ho idea, ma per noi è magnifico» rispose Ginny con vivacità. «Fanno giocare Harper al suo posto; è del mio anno ed è un idiota».
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Harry abbozzò un sorriso, ma mentre indossava la divisa scarlatta non pensava al Quidditch. Malfoy aveva già sostenuto una volta di non poter giocare per via di un infortunio, ma aveva fatto in modo che la partita venisse spostata a un momento più opportuno per i Serpeverde. Come mai adesso era felice di mandare avanti una riserva? Stava davvero male, o fingeva?
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«È sospetto, vero?»bisbigliò a Ron. «Malfoy che non gioca?»
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«Io la chiamerei fortuna» rispose lui, un po’ più animato. «E anche Vaisey fuori, è il loro capocannoniere, non immaginavo… ehi!» Ron si bloccò, i guanti da Portiere infilati a metà, gli occhi fissi su Harry.
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«Cosa c’è?»
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«Io… tu…» balbettò Ron a bassa voce, spaventato ed eccitato a un tempo. «La bibita… il succo di zucca, non avrai mica…?»
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Harry alzò le sopracciglia, ma si limitò a dire: «Cominciamo fra cinque minuti, è meglio se ti metti gli stivali».
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Uscirono sul campo accolti da cori tumultuosi. Una curva dello stadio era un tappeto rosso e oro; l’altra un mare verde e argento. Anche molti Tassorosso e Corvonero si erano schierati: tra le urla e gli applausi Harry distinse il ruggito del celebre cappello a forma di leone di Luna Lovegood.
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Harry si avvicinò a Madama Bumb, l’arbitro, pronta a liberare le palle dal baule.
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«Capitani, stringetevi la mano» disse lei, e Harry si sentì frantumare la sua dal nuovo Capitano di Serpeverde, Urquhart. «Sulle scope. Al mio fischio… tre… due… uno…»
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Harry e gli altri si alzarono scalciando dal suolo ghiacciato, ed eccoli in aria.
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Harry planò lungo il perimetro del campo cercando il Boccino e tenendo d’occhio Harper, che zigzagava molto più in basso. Poi una voce spiacevolmente diversa da quella del solito commentatore attaccò con la cronaca.
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«Be’, ecco che partono, e credo che siamo tutti sorpresi di vedere la squadra che Potter ha messo insieme quest’anno. Molti pensavano che, date le prestazioni discontinue dell’anno scorso, Ronald Weasley potesse essere escluso, ma naturalmente l’intima amicizia con il Capitano aiuta…»
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Queste parole furono accolte con risate di scherno e applausi dal lato Serpeverde del campo. Harry allungò la testa per scrutare verso il podio del commentatore. Un ragazzo biondo, alto e magro col naso all’insù parlava dentro il megafono magico che era appartenuto a Lee Jordan; Harry riconobbe Zacharias Smith, un giocatore di Tassorosso che detestava con tutto il cuore.
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«Oh, ecco il primo tentativo di segnare di Serpeverde, è Urquhart che sfreccia giù per il campo e…»
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Lo stomaco di Harry si rivoltò.
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«… Weasley para, be’, deve pur avere fortuna qualche volta, immagino…»
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«Giusto, Smith, deve proprio» mormorò Harry tra sé, sorridendo mentre si tuffava tra i Cacciatori, cercando con gli occhi qualche traccia dell’elusivo Boccino.
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A mezz’ora dal fischio d’inizio, Grifondoro era in vantaggio, sessanta a zero. Ron aveva fatto alcune parate davvero spettacolari, qualcuna con la punta dei guanti, e Ginny aveva segnato quattro dei sei gol di Grifondoro. Non potendo più chiedersi ad alta voce se i due Weasley fossero in squadra solo perché erano amici di Harry, Zacharias Smith cominciò a prendere di mira Peakes e Coote.
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«Naturalmente Coote non ha la tipica stazza di un Battitore» osservò sprezzante, «in genere hanno un po’ più di muscoli…»
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«Tiragli un Bolide!» gridò Harry a Coote sfrecciandogli accanto, ma Coote, con un gran sorriso, decise di scagliare il Bolide successivo contro Harper, che sorpassava Harry nella direzione opposta. Harry udì con piacere il tetro tonfo di un Bolide andato a segno.
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Sembrava che Grifondoro non potesse sbagliare. Segnarono più e più volte, e più e più volte dall’altra parte del campo Ron parò con evidente disinvoltura. Ormai sorrideva e, quando la folla celebrò una parata particolarmente efficace con l’antico, amato coro Perché Weasley è il nostro re,fece finta di dirigerla dall’alto.
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«Crede di essere speciale oggi, eh?»disse una voce maligna, e Harper urtò Harry deliberatamente, con tanta forza che quasi lo buttò giù dalla scopa. «Il tuo amico traditore del suo sangue…»
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Madama Bumb era voltata e, anche se i Grifondoro sugli spalti urlarono di rabbia, quando finalmente guardò in alto Harper se l’era già filata. Con la spalla dolorante, Harry lo inseguì, deciso a rendergli la botta…
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«E credo che Harper di Serpeverde abbia visto il Boccino!» esultò Zacharias Smith nel megafono. «Sì, ha sicuramente visto qualcosa che a Potter è sfuggito!»
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Smith è proprio un idiota,pensò Harry, non si è accorto dello scontro? Ma un attimo dopo il suo stomaco parve precipitare dal cielo… Smith aveva ragione, Harper non era sfrecciato in su a caso. Aveva individuato qualcosa che a lui era sfuggito: il Boccino volava alto e rapido sopra di loro, scintillante contro il limpido cielo azzurro.
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Harry accelerò; il vento gli fischiava nelle orecchie inghiottendo il commento di Smith e i fragori della folla, ma Harper era ancora più su, e Grifondoro era in vantaggio di soli cento punti; se Harper fosse arrivato prima, la partita sarebbe stata persa… e ormai Harper era a pochi metri, con la mano tesa…
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«Ehi, Harper» urlò Harry disperato. «Quanto ti ha pagato Malfoy per prendere il suo posto?»
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Non sapeva che cosa gliel’avesse fatto dire, ma Harper si distrasse. Si lasciò scivolare il Boccino tra le dita, e sfrecciò oltre. Harry balzò in avanti verso la minuscola palla fluttuante e la afferrò.
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«SÌ!»urlò. Roteò in aria e ridiscese verso terra, tenendo alto il Boccino. Quando il pubblico se ne accorse, esplose un boato che quasi soffocò il fischio di fine partita.
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«Ginny, dove vai?» gridò Harry, avviluppato con il resto della squadra in un abbraccio volante collettivo, ma Ginny li superò di corsa finché con grande fracasso cozzò contro il podio del cronista. Tra le urla e le risate del pubblico, la squadra di Grifondoro atterrò accanto alla catasta di legno sotto cui Zacharias si agitava debolmente, e Harry udì Ginny spiegare allegramente a un’irata McGranitt: «Mi sono dimenticata di frenare, professoressa, mi scusi».
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Ridendo, Harry si liberò dal resto della squadra e abbracciò Ginny, ma la lasciò andare molto in fretta. Senza guardarla negli occhi, diede invece una gran pacca a un festante Ron mentre, dimenticata ogni ostilità, la squadra di Grifondoro lasciava il campo tenendosi a braccetto, brandendo i pugni in aria e salutando i tifosi.
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L’atmosfera nello spogliatoio era di puro giubilo.
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«Si fa festa su in sala comune, l’ha detto Seamus!» urlò Dean, scatenato. «Andiamo, Ginny, Demelza!»
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Ron e Harry rimasero per ultimi. Stavano per uscire quando entrò Hermione. Tormentava la sciarpa di Grifondoro e sembrava scombussolata ma decisa.
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«Devo parlarti, Harry». Respirò profondamente. «Non avresti dovuto. Hai sentito Lumacorno, è illegale».
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«Che cosa vuoi fare, denunciarci?» domandò Ron.
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«Di che cosa state parlando, voi due?» chiese Harry, voltandosi per appendere la divisa in modo che nessuno dei due lo vedesse sorridere.
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«Sai benissimo di che cosa stiamo parlando!» esclamò Hermione con voce acuta. «Hai messo la pozione della fortuna nel succo di Ron! La Felix Felicis!»
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«No che non l’ho fatto» ribatté Harry, girandosi a guardare entrambi.
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«Invece sì, Harry, ed è per questo che tutto è filato liscio, c’erano dei giocatori di Serpeverde assenti e Ron ha parato tutto!»
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«Invece no!» replicò Harry, con un enorme sorriso. Fece scivolare la mano nella tasca della giacca ed estrasse la bottiglietta che Hermione gli aveva visto in mano la mattina. Era colma di pozione dorata e il tappo era ancora sigillato con la ceralacca. «Volevo che Ron lo credesse, così ho fatto finta quando sapevo che stavi guardando». Si rivolse a Ron: «Hai parato tutto perché ti sentivi fortunato. Hai fatto tutto da solo».
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Intascò di nuovo la pozione.
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«Davvero non c’era niente nel mio succo di zucca?» boccheggiò Ron, esterrefatto. «Ma il tempo è buono… e Vaisey non ha giocato… sul serio non ho preso la pozione della fortuna?»
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Harry scosse il capo. Ron lo guardò a bocca aperta per un istante, poi si scagliò contro Hermione, facendole il verso.
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«Hai messo la Felix Felicis nel succo di Ron, ecco perché le ha parate tutte! Visto? So giocare anche senza aiuto, Hermione!»
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«Non ho mai detto che non sei capace… Ron, anche tu credevi che te l’avesse data!»
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Ma Ron era passato oltre ed era uscito con la scopa in spalla.
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«Ehm» tossicchiò Harry nell’improvviso silenzio; non si era aspettato che il suo piano sortisse quel risultato. «Andiamo… andiamo su alla festa, allora?»
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«Vacci tu!» esclamò Hermione, ricacciando le lacrime. «Non lo reggo proprio Ron, adesso, non so cosa avrei dovuto fare…»
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E anche lei uscì di corsa dallo spogliatoio.
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Harry si incamminò lentamente verso il castello, da solo, attraversando la folla che esultava per lui, avvilito; era sicuro che, se Ron avesse vinto la partita, lui e Hermione sarebbero subito tornati amici. Non sapeva come fare a spiegarle che Ron ce l’aveva con lei perché aveva baciato Viktor Krum, anche perché l’oltraggio era avvenuto tanto tempo prima.
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Harry non vide Hermione alla festa di Grifondoro, che al suo arrivo era al culmine. Nuovi applausi e grida salutarono il suo ingresso e ben presto fu circondato da una folla di gente che si congratulava con lui. Fra il tentativo di liberarsi dei fratelli Canon, che volevano un’analisi della partita azione per azione, e il vasto branco di ragazze che lo circondava ridendo a ogni sciocchezza e sbattendo le ciglia, gli ci volle un po’ per trovare Ron. Infine si liberò di Romilda Vane, che gli fece chiaramente capire quanto le sarebbe piaciuto andare alla festa di Natale di Lumacorno con lui. Si tuffò verso il tavolo delle bibite e s’imbatté in Ginny, con Arnold la Puffola Pigmea che le viaggiava sulla spalla e Grattastinchi che miagolava speranzoso ai suoi piedi.
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«Cerchi Ron?» gli chiese lei con una smorfia. «È laggiù, quello schifoso ipocrita».
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Harry guardò. In un angolo, davanti a tutti, c’era Ron, avvinghiato così stretto a Lavanda Brown che era difficile dire quali mani erano di chi.
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«Sembra che le stia mangiando la faccia, no?» osservò Ginny in tono distaccato. «Ma suppongo che debba affinare la tecnica. Bella partita, Harry».
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Gli diede un colpetto sul braccio; Harry sentì lo stomaco sprofondare, ma poi lei si allontanò per prendere dell’altra Burrobirra. Grattastinchi trotterellò dietro di lei, gli occhi gialli fissi su Arnold.
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Harry distolse lo sguardo da Ron, che non aveva l’aria di voler riemergere presto dalla sua occupazione, appena in tempo per veder chiudersi il buco del ritratto. Con un senso di oppressione gli parve di scorgere una cespugliosa chioma bruna che spariva svolazzando.
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Sfrecciò in avanti, schivò di nuovo Romilda Vane e spinse il ritratto della Signora Grassa. Il corridoio sembrava deserto.
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«Hermione!»
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La trovò nella prima classe aperta in cui entrò. Era seduta sulla cattedra, sola, a parte una piccola aureola di canarini cinguettanti che evidentemente aveva appena fatto apparire dal nulla. Harry non poté fare a meno di ammirare la sua abilità negli incantesimi anche in un momento come quello.
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«Oh, ciao, Harry»lo salutò nervosamente. «Mi stavo esercitando».
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«Sì… sono… ehm… proprio venuti bene…» balbettò Harry.
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Non aveva idea di che cosa dirle. Si stava chiedendo se c’era qualche possibilità che non avesse notato Ron, che fosse uscita dalla sala solo perché la festa era un po’ troppo chiassosa, quando lei osservò, con voce innaturalmente acuta: «A quanto pare Ron si sta godendo i festeggiamenti».
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«Ehm… davvero?» chiese Harry.
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«Non far finta di non averlo visto» ribatté Hermione. «Non si stava precisamente nascondendo, no…»
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La porta alle loro spalle si spalancò. Con orrore di Harry, entrò Ron, ridendo e tirando Lavanda per la mano.
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«Oh» fece, bloccandosi di colpo alla vista di Harry e Hermione.
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«Oops!» squittì Lavanda, e uscì indietreggiando, con una risatina. La porta si richiuse.
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Calò un orrendo silenzio, gravido di attesa. Hermione fissava Ron, che non la guardò, ma che invece disse con uno strano misto di impudenza e goffaggine: «Ciao, Harry! Mi stavo chiedendo dov’eri finito!»
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Hermione scivolò giù dalla cattedra. Il piccolo stormo di canarini, che continuava a volteggiarle attorno alla testa cinguettando, la faceva assomigliare a uno stravagante modellino piumato del sistema solare.
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«Non dovresti lasciare Lavanda fuori ad aspettarti» disse calma. «Si chiederà che fine hai fatto».
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Avanzò lenta e impettita verso la porta. Harry lanciò un’occhiata a Ron, che sembrava sollevato che non fosse successo altro.
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«Oppugno!»
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Harry si voltò di scatto e vide Hermione puntare la bacchetta contro Ron, con aria folle: il piccolo stormo filò come una pioggia di grossi proiettili d’oro verso Ron, che gemette e si coprì il volto con le mani; ma i canarini lo aggredirono, beccando e graffiando ogni brano di pelle che riuscivano a raggiungere.
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«Toglimeli-di-dosso!» urlò luì, ma con un ultimo sguardo di rabbia vendicativa Hermione spalancò la porta e sparì. Harry credette di aver sentito un singhiozzo prima che la porta sbattesse.
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