Harry aprì gli occhi e fu accecato da una luce verde e oro; non sapeva che cosa fosse successo, sapeva solo di essere disteso tra foglie e rametti. Si sforzò di inspirare aria nei polmoni che sentiva compressi, batté le palpebre e scoprì che quel bagliore sgargiante era la luce del sole che pioveva attraverso un tetto di foglie. Poi qualcosa si mosse vicino al suo viso. Si mise carponi, pronto ad affrontare una piccola creatura feroce, ma si accorse che era il piede di Ron. Si guardò intorno e vide che loro due e Hermione erano distesi in una foresta, soli.
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Di primo acchito pensò che fosse la Foresta Proibita e per un attimo, pur cosciente di quanto sarebbe stato folle e rischioso apparire nel territorio di Hogwarts, ebbe un tuffo al cuore pensando di sgattaiolare tra gli alberi fino alla capanna di Hagrid. Ma nei pochi istanti che occorsero a Ron per emettere un basso grugnito e a lui per strisciare verso l'amico, si rese conto che quella non era la Foresta Proibita: gli alberi erano più giovani, più radi, il terreno più sgombro.
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Incontrò Hermione, anche lei carponi, vicino alla testa di Ron. Non appena lo sguardo gli cadde su di lui, tutti gli altri pensieri svanirono: aveva il lato sinistro del corpo completamente coperto di sangue e il suo volto, bianco grigiastro, spiccava contro la terra coperta di foglie. L'effetto della Pozione Polisucco stava svanendo: Ron aveva un aspetto a metà tra Cattermole e se stesso, e i capelli gli diventavano sempre più rossi via via che
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il volto perdeva il poco colore rimasto.
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«Cosa gli è successo?»
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«Si è Spaccato» rispose Hermione, che già stava armeggiando con la manica di Ron, dove il sangue era più fresco e scuro.
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Harry rimase a guardare inorridito, mentre lei squarciava la camicia di
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Ron. Aveva sempre pensato che Spaccarsi fosse qualcosa di buffo, ma questo... Sentì una contrazione alle viscere quando Hermione scoprì il braccio di Ron, a cui mancava un bel pezzo di carne, tagliato via di netto come da un coltello.
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«Harry, presto, nella mia borsa, c'È una bottiglietta con scritto 'Essenza di dittamo'...»
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«La borsa... certo...»
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Harry corse nel punto in cui era atterrata Hermione, afferrò la borsetta di perline e vi ficcò dentro la mano. Tastò una serie di oggetti: sentì il cuoio delle rilegature dei libri, la lana dei golfini, tacchi di scarpe...
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«Sbrigati!»
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Lui afferrò la bacchetta che giaceva a terra e la puntò nei recessi della borsa magica.
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«Accio dittamo!»
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Una bottiglietta marrone sfrecciò fuori: la prese al volo e tornò di corsa da Hermione e da Ron, che aveva gli occhi socchiusi, solo due sottili strisce di bianco visibili tra le palpebre.
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«È svenuto» disse Hermione, a sua volta molto pallida; non aveva più l'aspetto di Mafalda, anche se qualche capello era ancora grigio. «Aprila tu, Harry, mi tremano le mani».
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Harry strappò via il tappo dalla bottiglietta, Hermione la prese e versò tre gocce della pozione sulla ferita sanguinante. Si levò un fumo verdastro e quando si fu dissolto Harry vide che il sangue si era fermato. La ferita sembrava già vecchia di qualche giorno; uno strato di pelle fresca era teso su quella che un attimo prima era carne aperta.
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«Però» commentò Harry.
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«È l'unica cosa che mi sento di fare» spiegò Hermione, tremante. «Ci sono incantesimi che lo ricostruirebbero completamente, ma non oso provarli, rischierei di sbagliare e fare peggio... ha già perso tanto di quel sangue...»
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«Come ha fatto? CioÈ» Harry scosse il capo, cercando di chiarirsi le idee, di capire cos'era accaduto, «perché siamo qui? Credevo che stessimo tornando in Grimmauld Place...»
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Hermione prese un gran respiro. Era sull'orlo delle lacrime.
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«Harry, non credo che potremo tornarci».
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«Che cosa...?»
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«Mentre ci Smaterializzavamo, Yaxley mi ha afferrato e non sono riuscita a liberarmi, era troppo forte, e quando siamo arrivati a Grimmauld Place mi teneva ancora, poi... be', deve aver visto la porta, avrà pensato che ci saremmo fermati lì, allora ha allentato la presa e io me lo sono tolto di dosso e vi ho portato qui, invece!»
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«E lui dov'È? Un momento... non vorrai dire che è in Grimmauld Place? Non può entrare, vero?»
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Gli occhi di lei scintillavano di lacrime trattenute.
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«Harry, credo di sì. Io... io l'ho costretto a mollarmi con una Fattura Revulsiva, ma l'avevo già portato dentro la protezione dell'Incanto Fidelius. Dopo la morte di Silente, noi siamo Custodi Segreti, quindi gli ho passato il segreto, giusto?»
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Inutile illudersi: aveva ragione, Harry ne era certo. Fu un duro colpo. Se Yaxley poteva entrare in casa, loro non avevano più modo di tornarci. In questo stesso istante forse ci stava portando altri Mangiamorte con la Materializzazione. Per quanto tetra e opprimente, quella dimora era stata il loro unico rifugio sicuro: addirittura, adesso che Kreacher era più felice e cordiale, quasi una specie di casa. Con una fitta di rimpianto che non aveva nulla a che vedere con il cibo, Harry immaginò l'elfo domestico affaccendato a preparare il pasticcio di rognone che loro tre non avrebbero mai mangiato.
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«Harry, scusa, mi dispiace tanto!»
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«Sciocca, non è colpa tua! Mia, semmai...»
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Infilò la mano in tasca e ne tirò fuori l'occhio di Moody. Hermione fece un passo indietro, orripilata.
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«La Umbridge l'aveva incastrato nella porta del suo ufficio, per spiare la gente. Non potevo lasciarlo lì... Ma è così che hanno capito che c'erano degli intrusi».
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Prima che Hermione potesse replicare, Ron gemette e aprì gli occhi. Il suo volto era grigio e imperlato di sudore.
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«Come ti senti?» sussurrò Hermione.
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«Uno schifo» gracchiò lui in risposta, e si tastò il braccio ferito con una smorfia.
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«Dove siamo?»
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«Nei boschi dove hanno tenuto la Coppa del Mondo di Quidditch» ri
spose Hermione. «Cercavo un posto riparato, nascosto, ed è stato...»
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«... il primo che ti è venuto in mente» concluse Harry, osservando la radura in apparenza deserta. Non poté fare a meno di pensare a cos'era successo l'ultima volta che si erano Materializzati nel primo posto che era venuto in mente a Hermione; i Mangiamorte li avevano trovati nel giro di pochi minuti. Era stata Legilimanzia? Voldemort e i suoi scagnozzi sapevano anche adesso dove Hermione li aveva portati?
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«Credi che dovremmo andarcene?» chiese Ron a Harry. Dalla sua espressione era evidente che stava pensando la stessa cosa.
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«Non lo so».
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Ron era ancora pallido e sudato. Sembrava troppo debole persino per tentare di mettersi seduto. La prospettiva di spostarlo era scoraggiante. «Per ora restiamo qui» decise Harry.
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Sollevata, Hermione balzò in piedi.
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«Dove vai?» le chiese Ron.
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«Se restiamo, questo posto va protetto con qualche incantesimo» rispose, e levando la bacchetta cominciò a camminare in un ampio cerchio attorno a Harry e Ron e a mormorare formule magiche. Harry notò qualche piccolo movimento nell'aria circostante: era come se Hermione avesse evocato un alone di calore sulla radura.
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«Salvio hexia... Protego totalum... Repello Babbanum... Muffliato... Tira fuori la tenda, Harry...»
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«La tenda?»
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«Nella borsa!»
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«Nella... certo» mormorò Harry.
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Questa volta fece a meno di infilarci la mano e ricorse subito a un Incantesimo di Appello. La tenda affiorò in un groviglio bitorzoluto di tela, corda e picchetti. Harry la riconobbe, anche per l'odore di gatto: era la stessa in cui avevano dormito la sera della Coppa del Mondo di Quidditch.
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«Non era di quel tipo del Ministero, Perkins?» domandò, cominciando a districare i picchetti.
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«Non l'ha voluta indietro, la sua lombaggine è peggiorata» spiegò Hermione, tracciando complicati disegni a otto con la bacchetta, «quindi il papà di Ron ha detto che potevo prenderla in prestito. Erecto!» aggiunse, puntando la bacchetta sulla tela sformata, che in un solo movimento fluido si sollevò in aria e si posò, perfettamente montata, davanti a uno stupefatto Harry. Dalle mani di quest'ultimo volò un picchetto che si piantò con un ultimo tonfo all'estremità di un tirante.
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«Cave inimicum» concluse Hermione con uno svolazzo rivolto al cielo. «Altro non so fare. Come minimo, sapremo che stanno arrivando. Non posso garantire che tengano lontano Vol...»
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«Non pronunciare quel nome!» la interruppe Ron, aspro.
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Harry e Hermione si guardarono.
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«Scusate» gemette Ron, nel tentativo di alzarsi, «ma ogni volta che lo sento, mi sembra come una... fattura. Possiamo chiamarlo Voi-SapeteChi... per favore?»
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«Silente diceva che aver paura di un nome...» cominciò Harry.
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«Nel caso che tu non te ne sia accorto, chiamare Tu-Sai-Chi col suo nome non gli ha portato proprio bene, alla fine» ribatté Ron. «Insomma... mostra un po' di rispetto a Tu-Sai-Chi, no?»
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«Rispetto?» ripeté Harry, ma Hermione gli scoccò uno sguardo d'avvertimento: non doveva litigare con Ron quando era così debole.
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Harry e Hermione lo trascinarono dentro la tenda. L'interno era esattamente come Harry lo ricordava: un piccolo appartamento completo di bagno e minuscola cucina. Spostò una vecchia poltrona e fece cautamente scivolare Ron sulla piazza inferiore di un letto a castello. Quel brevissimo spostamento l'aveva reso ancora più pallido, e quando l'ebbero sistemato sul materasso chiuse gli occhi e non parlò per un pezzo.
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«Faccio il tÈ» mormorò Hermione, senza fiato. Estrasse bollitore e boccali dalle profondità della borsetta e andò in cucina.
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Harry trovò la bevanda calda piacevole quanto il Whisky Incendiario la notte della morte di Malocchio; sciacquò via con il suo calore un po' della paura che gli palpitava nel petto. Dopo qualche minuto, Ron ruppe il silenzio.
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«Cosa sarà successo ai Cattermole?»
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«Con un po' di fortuna saranno riusciti a fuggire» rispose Hermione, stringendo fra le mani il boccale bollente. «Se il signor Cattermole ha un minimo di buonsenso, avrà portato via la moglie con una Materializzazione Congiunta e saranno fuggiti dal paese con i figli. è quello che le ha detto di fare Harry».
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«Cavoli, spero che siano scappati» ribatté Ron, riappoggiandosi ai cuscini. Il tÈ gli aveva fatto bene, gli aveva reso un po' di colore. «Reg Cattermole non dev'essere sveglissimo, da come mi parlavano tutti quando ero lui. Be', spero proprio che ce l'abbiano fatta... se finiscono ad Azkaban per colpa nostra...»
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Harry si rivolse a Hermione, ma la domanda che stava per fare se il fat
to che la signora Cattermole fosse priva di bacchetta poteva impedirle di Materializzarsi accanto al marito gli morì in gola. Hermione stava osservando Ron che si tormentava sul destino dei Cattermole, e c'era tanta tenerezza nel suo sguardo che a Harry parve quasi di averla sorpresa a baciarlo.
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«Allora, ce l'hai?» le chiese Harry, anche per ricordarle la propria presenza.
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«Ce l'ho... cosa?» chiese lei, sussultando.
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«Perché abbiamo fatto tutta questa fatica? Il medaglione! Dov'È il medaglione?»
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«Ce l'hai?» ruggì Ron, puntellandosi sui cuscini. «Nessuno mi dice niente! Cavoli, potevate dirlo!»
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«Be', stavamo fuggendo dai Mangiamorte, no?» ribatté Hermione. «Ecco».
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Tirò fuori il medaglione dalla tasca dell'abito per consegnarlo a Ron.
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Era grosso come un uovo di gallina. Un'elaborata 'S' intarsiata con molte pietruzze verdi scintillava cupamente nella luce che filtrava dal tetto della tenda.
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«Non è che qualcuno l'ha distrutto nel frattempo, eh?» chiese Ron speranzoso. «Voglio dire, siamo sicuri che sia ancora un Horcrux?»
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«Ho paura di sì» rispose Hermione, riprendendolo per guardarlo da vicino. «Se fosse stato neutralizzato con la magia ne sarebbe rimasta qualche traccia».
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Lo passò a Harry, che se lo rigirò tra le dita. Sembrava perfetto, intatto. Ricordò i resti dilaniati del diario e come la pietra dell'anello Horcrux si era spaccata quando Silente l'aveva distrutto.
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«Credo che Kreacher abbia ragione» disse. «Dobbiamo capire come fare ad aprirlo prima di poterlo eliminare».
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Mentre parlava, lo colpì l'improvvisa consapevolezza di ciò che aveva tra le dita, di cosa viveva dietro quelle porticine d'oro. Anche dopo tutti gli sforzi fatti per trovarlo, provò il violento impulso di scagliare via il medaglione. Riprese il controllo e cercò di aprirlo con le dita, poi tentò con l'incantesimo che Hermione aveva usato per forzare la porta della camera di Regulus. Niente da fare. Restituì il ciondolo a Ron e a Hermione. Entrambi fecero del loro meglio, ma non ebbero maggiore successo.
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«Lo senti?» chiese Ron in un sussurro, mentre lo teneva stretto nel pugno chiuso.
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«Cosa?»
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Ron passò l'Horcrux a Harry. Dopo qualche istante, Harry credette di
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aver capito che cosa intendeva Ron. Era il proprio sangue che sentiva pulsare nelle vene, o qualcosa che batteva dentro il medaglione, come un minuscolo cuore di metallo?
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«Cosa ne facciamo?» chiese Hermione.
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«Lo teniamo al sicuro finché non avremo scoperto come distruggerlo» rispose Harry e, per quanto di malavoglia, si appese la catena al collo, nascondendo il medaglione sotto i vestiti, sul petto, accanto alla saccoccia che gli aveva regalato Hagrid.
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«Dovremmo fare dei turni fuori dalla tenda» aggiunse, rivolto a Hermione. Si alzò e si stiracchiò. «E dovremo pensare anche al cibo. Tu resta qui» intimò deciso a Ron, che aveva cercato di mettersi seduto e aveva preso una brutta sfumatura verde.
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Con lo Spioscopio che gli aveva regalato Hermione posato al centro del tavolo sotto la tenda, Harry e Hermione passarono il resto della giornata a dividersi il ruolo di sentinelle. Ma lo Spioscopio rimase silenzioso e immobile sulla sua punta. Che fosse a causa degli incantesimi di protezione e Respingi-Babbani sparsi da Hermione tutto attorno, o perché pochi si avventuravano comunque da quelle parti, la loro zona di bosco rimase deserta, eccezion fatta per qualche uccello e scoiattolo. La sera non portò novità: quando alle dieci Harry accese la bacchetta per dare il cambio a Hermione, la scena era ancora deserta, solo pochi pipistrelli svolazzavano alti nell'unica macchia di cielo stellato visibile dalla loro riparata radura.
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Aveva fame ed era un po' stordito. Hermione non aveva infilato scorte di cibo nella borsa magica, convinta che sarebbero tornati a Grimmauld Place quella notte. Quindi non avevano mangiato altro che qualche fungo selvatico raccolto da Hermione tra gli alberi vicini e cotto in una gavetta. Dopo pochi bocconi, Ron aveva spinto da parte il suo piatto, nauseato; Harry si era impegnato a finire solo per non ferire i sentimenti di Hermione.
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Il silenzio tutto intorno era rotto da occasionali fruscii e dal rumore di rametti spezzati; Harry pensò che dovevano essere animali più che persone, però teneva la bacchetta pronta. La sua pancia, già provata dall'inadeguata razione di funghi gommosi, brontolava di disagio.
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Era convinto che una volta recuperato l'Horcrux sarebbe stato euforico, ma non era così; lì seduto a fissare il buio, di cui la bacchetta accesa rischiarava solo una minuscola parte, l'unica cosa che provava era ansia per il futuro. Era come se da settimane, mesi, forse perfino anni non avesse fatto che precipitare verso quel momento, ma adesso era arrivato a un vicolo cieco, aveva finito la strada.
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C'erano altri Horcrux da qualche parte, ma non aveva la più pallida idea di dove potessero essere. Non sapeva nemmeno quali fossero. Nel frattempo non era in grado di distruggere il solo che avevano trovato, l'Horcrux che in quel momento era posato sul suo petto nudo. Curiosamente, non aveva preso calore dal suo corpo, ma era così freddo contro la pelle che sembrava appena uscito dall'acqua ghiacciata. Ogni tanto Harry pensava, o forse immaginava, di sentire il minuscolo battito irregolare accanto al suo.
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Innominabili presagi lo assalirono nel buio: tentò di resistere, di respingerli, ma quelli tornavano implacabili. Nessuno dei due può vivere se l'altro sopravvive. Ron e Hermione, che ora stavano parlando piano nella tenda, potevano andarsene se volevano: lui no. E mentre cercava di tenere a bada paura e stanchezza, gli parve che l'Horcrux che aveva sul petto col suo ticchettio scandisse il tempo che gli restava... Che idea stupida, si disse, non pensarci...
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La cicatrice prese a pizzicare di nuovo. Temette che fosse a causa di quei pensieri e cercò di rivolgerli altrove. Pensò al povero Kreacher, che aveva atteso il loro ritorno e invece si era visto arrivare Yaxley. L'elfo avrebbe tenuto la bocca chiusa o avrebbe rivelato al Mangiamorte tutto quello che sapeva? Harry voleva credere che Kreacher fosse cambiato nell'ultimo mese, che sarebbe stato leale, ora, ma chi poteva dirlo? E se i Mangiamorte l'avessero torturato? Orribili immagini gli si affollarono nella mente e Harry tentò di respingere anche quelle, perché non poteva far nulla per Kreacher: lui e Hermione avevano già deciso di non tentare di Appellarlo; se con lui fosse comparso anche qualcuno del Ministero? Non potevano giurare che la Materializzazione elfica fosse immune allo stesso problema che aveva condotto Yaxley in Grimmauld Place attaccato alla manica di Hermione.
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La cicatrice adesso bruciava. C'erano tante cose che non sapevano: Lupin aveva ragione quando parlava di magia mai immaginata. Perché Silente non aveva spiegato di più? Aveva pensato che ci sarebbe stato il tempo; che sarebbe vissuto per anni, per secoli, forse, come il suo amico Nicolas Flamel? In tal caso si era sbagliato... Ci aveva pensato Piton... Piton, la serpe in seno, che aveva colpito in cima alla Torre...
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E Silente era caduto... caduto...
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«Dammela, Gregorovich».
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La voce di Harry era acuta, chiara e fredda; una mano bianca dalle lunghe dita reggeva la bacchetta. L'uomo contro cui la puntava era appeso a testa in giù, ma non c'erano funi a tenerlo; dondolava, avvolto da nodi in
visibili e sovrannaturali, le braccia strette al corpo, il volto terrorizzato, alla stessa altezza di quello di Harry, rosso per il sangue affluito alla testa. Aveva i capelli bianchissimi e una folta barba cespugliosa: un Babbo Natale legato.
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«Non ha, non ha più! Rubata a me, tanti anni fa!»
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«Non mentire a Lord Voldemort, Gregorovich. Lui sa... lui sa sempre». Le pupille dell'uomo appeso erano larghe, dilatate dalla paura, e parvero ingrandirsi sempre di più finché il nero non inghiottì Harry...
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Ora Harry correva lungo un corridoio buio nella scia del tozzo Gregorovich, che reggeva una lanterna; entrò nella stanza in fondo al corridoio e la lanterna illuminò un laboratorio; trucioli e oro brillavano nella pozza di luce dondolante, e lì, sul davanzale della finestra, stava appollaiato come un enorme uccello un giovane dai capelli biondi. Nell'istante in cui la luce della lanterna lo investì, Harry vide la gioia sul suo bel volto, poi l'intruso scagliò uno Schiantesimo e fece un tuffo preciso all'indietro, lanciandosi dalla finestra con un grido di giubilo.
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Harry uscì di nuovo da quelle enormi pupille simili a tunnel e il volto di
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Gregorovich fu invaso dal terrore.
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«Chi era il ladro, Gregorovich?» domandò la voce acuta e fredda.
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«Io non sa, io mai saputo, un giovane... no... prego... PREGO!»
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Un urlo prolungato, poi un lampo di luce verde...
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«Harry!»
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Aprì gli occhi, ansante, la fronte che pulsava. Era svenuto contro il fianco della tenda; era scivolato sulla tela e adesso era disteso a terra. Guardò Hermione; il suo cespuglio di capelli oscurava la piccola macchia di cielo visibile attraverso i rami scuri in alto.
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«Un sogno» mormorò, rizzandosi a sedere in fretta e tentando di opporre allo sguardo accigliato di Hermione un'espressione innocente. «Devo essermi addormentato, scusa».
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«Lo so che è stata la cicatrice! Lo vedo dalla tua faccia! Stavi guardando dentro la mente di Vol...»
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«Non pronunciare quel nome!» dalla tenda arrivò la voce rabbiosa di Ron.
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«Bene» ribatté Hermione. «La mente di Tu-Sai-Chi, allora!»
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«Non l'ho voluto io!» si difese Harry. «È stato un sogno! Tu riesci a controllare i tuoi sogni, Hermione?»
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«Se solo avessi imparato l'Occlumanzia...»
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Ma Harry non aveva voglia di farsi sgridare; voleva parlare di quello che
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aveva appena visto.
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«Ha trovato Gregorovich, Hermione, e credo che l'abbia ucciso, ma prima gli ha letto nella mente e ho visto...»
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«È meglio che faccia io la guardia, se sei così stanco da addormentarti» replicò Hermione, gelida.
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«Posso finire il turno!»
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«No, è chiaro che sei sfinito. Vai a stenderti».
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E si mise a sedere all'imboccatura della tenda con aria ostinata. Arrabbiato, ma deciso a evitare una lite, Harry si chinò ed entrò.
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Il volto ancora pallido di Ron sbucava dal letto in basso; Harry si arrampicò su quello di sopra, si distese e guardò il buio soffitto di tela. Dopo qualche istante, Ron parlò a voce bassa per non farsi sentire da Hermione, accucciata all'ingresso.
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«Cosa fa Tu-Sai-Chi?»
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Harry strizzò gli occhi nello sforzo di ricordare ogni dettaglio, poi sussurrò nell'oscurità.
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«Ha trovato Gregorovich. L'aveva legato e lo stava torturando».
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«Come fa Gregorovich a costruirgli un'altra bacchetta se è legato?» «Non lo so... è strano, vero?»
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Harry chiuse gli occhi, pensando a tutto quello che aveva visto e sentito.
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Più ricordava, meno senso aveva... Voldemort non aveva detto nulla della bacchetta di Harry, nulla dei nuclei gemelli, nulla sull'idea che Gregorovich gli facesse una bacchetta nuova e più potente per sconfiggere quella di Harry...
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«Voleva una cosa da Gregorovich» raccontò, gli occhi ancora serrati. «Gli ha ordinato di dargliela, ma Gregorovich ha risposto che gli era stata rubata... e poi... poi...»
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Ricordò come, nei panni di Voldemort, gli era parso di infilarsi negli occhi di Gregorovich, nei suoi ricordi...
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«Gli ha letto la mente e ho visto un ragazzo biondo appollaiato su un davanzale, che ha scagliato un incantesimo contro Gregorovich ed è sparito con un balzo. L'ha rubata, ha rubato la cosa che Tu-Sai-Chi sta cercando. E io... credo di averlo già visto da qualche parte...»
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Harry avrebbe voluto rivedere per un attimo il volto del ragazzo che rideva. Il furto era avvenuto molti anni prima, secondo Gregorovich. Perché allora il giovane ladro aveva un'aria familiare?
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I rumori del bosco arrivavano smorzati dentro la tenda; Harry udiva solo il respiro di Ron. Dopo un po' quest'ultimo sussurrò: «Non hai visto cos'a
veva in mano il ladro?»
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«No... doveva essere una cosa piccola».
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«Harry...»
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Le doghe di legno del letto di Ron cigolarono.
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«Harry, secondo te Tu-Sai-Chi sta cercando qualcosa da trasformare in un altro Horcrux?»
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«Non lo so». Harry rifletté. «Forse. Ma non sarebbe pericoloso per lui fabbricarne un altro? Hermione non ha detto che ha già spinto la sua anima al limite?»
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«Sì, però forse non lo sa».
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«Già... forse».
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Fino a poco prima era sicuro che Voldemort stesse cercando un modo per aggirare il problema dei nuclei gemelli, sicuro che dal vecchio fabbricante sperasse di avere la soluzione... invece l'aveva ucciso, e senza fargli una sola domanda sull'arte delle bacchette.
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Che cosa voleva Voldemort? Perché, col Ministero e il mondo magico ai suoi piedi, era andato così lontano a cercare un oggetto che una volta era appartenuto a Gregorovich e che era stato rubato dal ladro sconosciuto?
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Harry rivide il volto del ragazzo coi capelli biondi, allegro, ribelle; irradiava un alone di trionfale astuzia che gli ricordava Fred e George. Si era gettato dalla finestra come un uccello, e Harry l'aveva già visto, ma non ricordava dove...
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Con Gregorovich morto, adesso era il ladro dalla faccia allegra a essere in pericolo, e fu su di lui che indugiarono i pensieri di Harry, mentre il russare di Ron cominciava a risuonare dal letto di sotto e anche lui ricadeva nel sonno.
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