Nel parco intorno al castello si sentiva il profumo dell’estate; il cielo e il lago erano di un blu pervinca e fiori grossi come cavoli sbocciavano nelle serre. Ma a Harry, che dalle finestre non vedeva più Hagrid andare per i campi con Thor alle calcagna, lo scenario non sembrava quello giusto; e certo non era meglio dell’atmosfera che si respirava al castello, dove le cose andavano tragicamente storte.
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Insieme a Ron, Harry aveva tentato di andare a trovare Hermione, ma ora l’accesso all’infermeria era vietato ai visitatori.
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«Non vogliamo più correre rischi» aveva detto Madama Chips severa, parlandogli attraverso una fessura della porta. «No, mi dispiace, ma il rischio che l’aggressore si rifaccia vivo per dare il colpo di grazia a queste persone è troppo grosso…»
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Con l’allontanamento di Silente la paura era dilagata come mai prima di allora e per quanto il sole intiepidisse le mura del castello sembrava non riuscisse a varcare le finestre. Non c’era sguardo, a scuola, che non apparisse preoccupato e teso, e se per i corridoi si udiva una risata questa risuonava stridula e innaturale e veniva soffocata rapidamente.
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Harry non faceva che ripetersi l’ultima frase di Silente: Io avrò lasciato veramente la scuola soltanto quando non ci sarà più nessuno che mi sia fedele… A Hogwarts chi chiede aiuto lo trova sempre. Ma a che cosa servivano quelle parole? A chi avrebbero dovuto chiedere aiuto, quando tutti erano spaventati e confusi quanto loro?
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Molto più facile da capire era l’allusione di Hagrid ai ragni…
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Il guaio era che, al castello, di ragni da seguire sembrava non ne fosse rimasta neanche l’ombra. Harry non mancava di perlustrare qualsiasi luogo in cui gli capitasse di andare, aiutato (anche se con una certa riluttanza) da Ron. Naturalmente l’ostacolo maggiore era il fatto che non erano liberi di andarsene in giro da soli, ma dovevano spostarsi in branco con gli altri compagni del Grifondoro. I più parevano contenti di venire scortati dagli insegnanti da una classe all’altra, ma Harry lo trovava fastidioso.
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Una sola persona sembrava godere dell’atmosfera di terrore e di sospetto: Draco Malfoy se ne andava in giro tutto tronfio come se fosse stato appena nominato Caposcuola. Harry comprese cosa lo rendeva tanto contento solo durante la lezione di Pozioni, una quindicina di giorni dopo che Silente e Hagrid se n’erano andati, quando, seduto proprio dietro di lui, lo udì per caso gongolare malignamente con Tiger e Goyle.
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«Ho sempre pensato che mio padre sarebbe riuscito a liberarsi di Silente» disse senza preoccuparsi di abbassare la voce. «Ve lo dicevo che per lui Silente è il Preside peggiore che la scuola abbia mai avuto. Forse ora riusciremo ad averne uno decente. Qualcuno che non vorrà che la Camera dei Segreti venga chiusa. La McGranitt non durerà a lungo, sta soltanto facendo le veci…»
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Piton passò accanto a Harry, senza fare commenti sul banco vuoto e il calderone inutilizzato di Hermione.
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«Signore» disse Malfoy a voce alta, «signore, perché non fa domanda lei, per l’incarico di Preside?»
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«Andiamo, Malfoy!» disse Piton senza tuttavia riuscire a trattenere un sorriso a mezza bocca. «Il professor Silente è stato semplicemente sospeso dal consiglio di amministrazione. Credo che tornerà fra noi abbastanza presto».
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«Sì, sì, va bene» disse Malfoy con un ghigno. «Ma credo che se lei volesse fare domanda per quell’incarico avrebbe senz’altro il voto di mio padre, signore. Ci penserò io a dirgli che qui lei è il migliore insegnante, signore…»
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Piton sorrideva compiaciuto mentre passava fra i banchi, e buon per Seamus Finnigan che Piton non lo vide far finta di vomitare nel suo calderone.
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«Strano che i mezzosangue non abbiano ancora fatto le valige» proseguì Malfoy. «Scommetto cinque galeoni che il prossimo morirà. Peccato non sia toccato alla Granger…»
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Fortunatamente in quel preciso momento suonò la campanella. Alle ultime parole di Malfoy, infatti, Ron era balzato in piedi e nella confusione del raccogliere libri e cartelle i suoi tentativi di saltare addosso a Malfoy passarono inosservati.
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«Ora ci penso io» ringhiava mentre Harry e Dean lo trattenevano per le braccia. «Non me ne importa niente! Non mi serve la bacchetta magica, lo ammazzo a mani nude…»
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«Su, sbrigatevi, vi devo accompagnare alla lezione di Erbologia» sbraitò Piton per superare il frastuono della classe. Harry e Dean uscirono per ultimi, sempre tenendo Ron che si divincolava. Lo lasciarono soltanto dopo che Piton li ebbe accompagnati fuori del castello e la classe si fu avviata verso l’orto.
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La classe di Erbologia era decimata; ora mancavano due studenti all’appello: Justin e Hermione.
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La professoressa Sprite li mise tutti a potare i Fichi Avvizziti dell’Abissinia. Harry uscì per andare a buttare una bracciata di rami secchi nel mucchio della composta e si trovò faccia a faccia con Ernie Macmillan. Ernie tirò un profondo respiro e disse in tono molto formale: «Volevo dirti, Harry, che mi dispiace di aver sospettato di te. So che non avresti mai aggredito Hermione Granger e quindi ti chiedo scusa per tutte le cose che ho detto. Siamo tutti nella stessa barca ora, e be’…»
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Tese la sua mano paffuta e Harry la strinse.
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Ernie e la sua amica Hannah vennero a lavorare sulla stessa pianta di Harry e Ron.
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«Quel Draco Malfoy!» commentò Ernie tagliando rametti morti. «Sembra che tutta questa situazione lo diverta, non pare anche a voi? Sapete che vi dico? Penso che l’erede dei Serpeverde potrebbe essere proprio lui».
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«Molto sagace!» fece Ron, che non sembrava disposto a perdonarlo così prontamente come aveva fatto Harry.
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«E tu, Harry, pensi che sia Malfoy?» chiese Ernie.
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«No» rispose Harry, e il suo tono era talmente deciso che Ernie e Hannah alzarono gli occhi per guardarlo.
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Un istante dopo Harry vide qualcosa che lo spinse a colpire la mano di Ron con le forbici da potatura.
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«Ahi! Ma cosa stai…?»
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Harry indicava verso terra, a pochi centimetri di distanza, dove molti grossi ragni camminavano velocemente.
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«Oh, vedo» disse Ron cercando con scarsi risultati di mostrarsi contento. «Ma non possiamo mica seguirli ora…»
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Ernie e Hannah, incuriositi, non perdevano una battuta di quella conversazione.
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Harry vide i ragni scappare.
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«Sembra che siano diretti verso la foresta…»
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A quella notizia Ron assunse un’aria ancora più seccata.
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Alla fine della lezione Piton scortò la classe nell’aula di Difesa contro le Arti Oscure. Harry e Ron si attardarono dietro in modo da poter parlare lontani da orecchie indiscrete.
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«Dovremo ritirare fuori il Mantello dell’Invisibilità» disse Harry. «Possiamo portarci dietro Thor. Lui è abituato ad andare nella foresta con Hagrid. Potrebbe esserci di aiuto».
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«Giusto» convenne Ron rigirandosi nervosamente tra le mani la bacchetta magica. «Ehm… non è previsto… non si dice che nella foresta ci siano i lupi mannari?» soggiunse mentre, come sempre durante la lezione di Allock, prendevano posto nei banchi dell’ultima fila.
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Harry preferì non rispondere a questa domanda, e invece disse: «Ci sono anche cose benevole, là dentro. I centauri sono buoni e anche gli unicorni sono buoni».
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Ron non era mai stato nella foresta proibita. Harry invece sì e aveva sperato di non doverlo fare mai più.
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Allock entrò piroettando nell’aula sotto lo sguardo esterrefatto di tutta la classe. Gli altri insegnanti avevano un’espressione più grave del solito ma lui, invece, sembrava decisamente euforico. «Ma insomma!» sbottò volgendo attorno uno sguardo lieto. «Cosa sono tutti questi musi lunghi?»
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Tutti si scambiarono occhiate esasperate, ma nessuno rispose.
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«Ma vi rendete conto, gente» disse Allock sillabando le parole, come se avesse davanti a sé un uditorio di stupidi, «che il pericolo è passato? E che il colpevole è stato portato via?»
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«E chi lo dice?» chiese Dean Thomas ad alta voce.
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«Mio caro giovanotto, il Ministro della Magia non avrebbe fatto allontanare Hagrid se non fosse stato sicuro al cento per cento della sua colpevolezza» disse Allock col tono di chi spiega che uno più uno fa due.
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«E invece sì» intervenne Ron a voce ancora più alta.
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«Signor Weasley, mi pregio di saperne un pizzico più di lei sull’arresto di Hagrid» disse Allock in tono compiaciuto.
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Ron voleva dire che non ne era poi tanto sicuro, ma si interruppe a metà frase, raggiunto sotto il banco da un calcio di Harry.
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«Noi lì non c’eravamo, ti ricordi?» gli disse a bassa voce.
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Ma l’irritante buonumore di Allock, i suoi accenni al fatto che aveva sempre pensato che Hagrid fosse un poco di buono, la sua convinzione che tutta la faccenda fosse ormai superata, urtarono Harry a tal punto che ebbe voglia di tirare su quella stupida faccia uno dei suoi libri di testo. Invece si limitò a scrivere una sola parola per Ron: ‘Stanotte’.
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Letto il messaggio, a Ron si seccò la gola; poi si voltò a guardare il posto vuoto di Hermione. A quella vista la sua decisione parve rafforzarsi, e annuì.
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In quei giorni, dato che dalle sei di sera in poi gli studenti non potevano andare da nessun’altra parte, la sala comune dei Grifondoro era sempre molto affollata. E poi avevano molto di che parlare, con il risultato che spesso la sala non si svuotava fino a dopo mezzanotte.
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Harry andò a prendere il Mantello dell’Invisibilità nel suo baule e trascorse la serata seduto sopra, in attesa che tutti se ne andassero. Fred e George sfidarono Harry e Ron a qualche partita di Spara Schiocco e Ginny si sedette a guardarli, molto abbattuta, sulla sedia occupata di solito da Hermione. Harry e Ron cominciarono a perdere di proposito, cercando di finire rapidamente le partite, ma anche così quando Fred, George e Ginny si decisero ad andare a letto, la mezzanotte era passata da un pezzo.
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Prima di prendere il mantello, gettarselo addosso e passare nel buco del ritratto, Harry e Ron aspettarono di sentire chiudersi in lontananza le porte dei dormitori.
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Attraversare il castello evitando gli insegnanti di ronda, fu ancora una volta un’impresa ardua. Ma alla fine raggiunsero la Sala d’Ingresso, tirarono il chiavistello del portone di quercia, lo socchiusero e, cercando di evitare il minimo scricchiolio, sgattaiolarono fuori, sui campi illuminati dalla luna.
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«Naturalmente» disse all’improvviso Ron mentre attraversavano i prati, «può anche darsi che arriviamo fino alla foresta e scopriamo che non c’è niente da seguire. Può darsi che quei ragni andassero da tutt’altra parte. Lo so che parevano avviati in quella direzione, ma sai com’è…»
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Lasciò la frase in sospeso con una nota di speranza.
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Raggiunsero la casetta di Hagrid, cui le finestre spente davano un’aria triste e sconsolata. Harry aprì la porta e Thor, al vederli, gli balzò incontro pazzo di gioia. Temendo che con i suoi latrati potesse svegliare tutto il castello, i ragazzi gli tirarono alcune caramelle mou che gli incollarono i denti.
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Harry lasciò sul tavolo il Mantello dell’Invisibilità. Non ne avrebbero avuto bisogno nel buio pesto della foresta.
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«Vieni, Thor, andiamo a fare una passeggiata» disse poi battendogli su una zampa, e il cane li seguì felice fuori di casa, precipitandosi veloce come una freccia fino al limitare della foresta, dove fece pipì contro un grosso sicomoro.
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Harry estrasse la bacchetta magica, pronunciò la parola: «Lumos!» e in punta si accese una flebile luce, sufficiente a illuminare il sentiero e le tracce dei ragni.
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«Buona idea!» esclamò Ron. «Anch’io accenderei la mia, ma lo sai… probabilmente scoppierebbe o chissà cos’altro…»
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Harry gli batté sulla spalla, indicando l’erba. Due ragni solitari stavano scappando a gran velocità dal cono di luce della bacchetta per rifugiarsi all’ombra degli alberi.
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«E va bene» sospirò Ron ormai rassegnato al peggio. «Sono pronto. Andiamo».
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Così, con Thor che gli saltellava intorno annusando radici e foglie, si addentrarono nella selva. Alla tenue luce della bacchetta di Harry, seguirono la fila ininterrotta dei ragni che si spostavano lungo il sentiero. Camminarono per circa venti minuti, senza parlare, ma tendendo spasmodicamente l’orecchio ai rumori che non fossero lo scricchiolio di un ramo o il fruscio delle foglie. Poi, quando gli alberi si fecero talmente fitti da impedire la vista del cielo stellato, e l’unica luce a brillare in quel mare di tenebre fu la bacchetta di Harry, videro i ragni abbandonare il sentiero.
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Harry si fermò cercando di individuare in quale direzione andassero, ma fuori del piccolo fascio di luce della sua bacchetta era buio pesto. Non si era mai addentrato così tanto nella foresta. Nella sua mente era vivissimo il ricordo dell’ultima volta che c’era stato, e di Hagrid che lo ammoniva a non abbandonare il sentiero. Ora, invece, Hagrid era lontano centinaia di chilometri, probabilmente chiuso in una cella di Azkaban, e per giunta gli aveva detto di seguire i ragni.
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Poi, sentendosi sfiorare la mano da qualcosa di umido, fece un balzo all’indietro pestando un piede di Ron: ma si trattava semplicemente del naso di Thor.
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«Cosa facciamo?» chiese a Ron, nei cui occhi si rifletteva la luce della bacchetta.
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«Ormai siamo arrivati fin qua…» disse Ron.
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Seguirono quindi l’ombra dei ragni che si dirigevano rapidi nel folto degli alberi. Ora non potevano procedere spediti: radici e tronchi, appena visibili nel buio, rallentavano il loro cammino. Harry sentiva sulla mano l’alito caldo di Thor. Più di una volta dovettero fermarsi e accovacciarsi per ritrovare i ragni alla luce della bacchetta.
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Gli parve di aver camminato almeno una mezz’ora, con gli abiti che si impigliavano sui rami più bassi e sui rovi. Poi gli sembrò che il terreno degradasse in un pendio, anche se gli alberi rimanevano fitti.
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D’un tratto Thor emise un lungo, sonoro latrato che li fece trasalire di paura.
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«Cosa c’è?» chiese Ron ad alta voce, scrutando il buio e stringendo con forza il gomito di Harry.
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«C’è qualcosa che si muove da quella parte» disse Harry in un soffio. «Ascolta… Pare qualcosa di molto grosso».
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Tesero le orecchie. Alla loro destra, a una certa distanza, la ‘grossa cosa’ si apriva un varco attraverso gli alberi, spezzando rametti al passaggio.
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«Oh no!» esclamò Ron. «Oh no, oh no, oh…»
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«Stai zitto!» gli intimò Harry disperato. «Ti sentirà».
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«Sentire me, dici?» esclamò Ron con la voce in falsetto dalla paura. «Ma ha già sentito Thor!»
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Il buio era così denso che se lo sentivano premere sugli occhi mentre se ne stavano li, terrorizzati, in attesa. Si udi uno strano rimbombo, poi silenzio.
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«Cosa credi che stia facendo?» chiese Harry.
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«Probabilmente si prepara a colpire» disse Ron.
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Aspettarono, tremanti, senza osare muoversi.
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«Pensi che se ne sia andato?» sussurrò Harry.
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«Non lo so».
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Poi, da destra, furono investiti da un improvviso fascio di luce così intenso, dopo tutto quel buio, che entrambi alzarono le braccia per ripararsi gli occhi. Thor guaì e cercò mettersi a correre, ma rimase impigliato in un groviglio di spine e ricominciò a guaire ancora più forte.
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«Harry!» gridò Ron con la voce rotta dal sollievo. «Harry, è la nostra automobile!»
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«Cosa?»
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«Vieni a vedere!»
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Harry lo seguì brancolando verso la luce, impigliandosi e incespicando, e un attimo dopo sbucarono in una radura.
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L’automobile del signor Weasley era là, in uno spiazzo contornato da grossi alberi, sotto una volta di rami frondosi, vuota e con i fari accesi. Quando Ron fece per avvicinarsi, a bocca aperta per lo stupore, cominciò ad avanzare lentamente verso di lui, esattamente come un grosso cane color turchese che corra incontro al padrone.
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«È rimasta qui tutto il tempo!» esclamò Ron deliziato, girandole intorno. «Guardala! La foresta l’ha resa un po’ selvatica…»
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Infatti le ali della macchina erano scorticate e coperte di fango. A quanto pareva, se n’era andata in giro da sola per la foresta. Thor non si mostrava affatto entusiasta; si teneva vicino a Harry, che lo sentiva tremare. Con il respiro via via meno affannoso Harry ripose la bacchetta magica fra le pieghe del mantello.
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«E noi che pensavamo ci volesse aggredire!» esclamò Ron chinandosi sul veicolo e dandogli dei colpetti affettuosi. «Mi ero chiesto dove fosse andata a finire!»
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Harry perlustrò il terreno illuminato in cerca delle tracce dei ragni, ma quelli, alla luce dei fari, erano scappati tutti.
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«Li abbiamo persi» disse. «Dài, muoviti, andiamo a cercarli».
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Ron non parlò. Non si mosse. I suoi occhi fissavano un punto a circa tre metri dal suolo, proprio dietro Harry. Era livido di terrore.
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Harry non ebbe neanche il tempo di voltarsi. Si udì un forte schiocco, e tutt’a un tratto il ragazzo sentì qualcosa di lungo e peloso ghermirlo alla vita e sollevarlo da terra, lasciandolo penzolare a testa in giù. Terrorizzato, cercò di divincolarsi ma, dopo un altro schiocco, vide anche i piedi di Ron staccarsi da terra, udì Thor guaire e ululare e un attimo dopo fu trascinato nel folto degli alberi.
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Con la testa ciondoloni, Harry vide la cosa che lo aveva ghermito camminare su otto zampe lunghissime e pelose: le due anteriori lo tenevano stretto sotto un paio di chele nere e lucenti. Dietro di sé avvertiva la presenza di un’altra creatura simile, che doveva certamente trasportare Ron. Si stavano inoltrando sempre più nel folto della foresta. Harry sentiva Thor che lottava per liberarsi da un terzo mostro, abbaiando forte. Anche se avesse voluto, non avrebbe potuto gridare; gli sembrava che la sua voce fosse rimasta con l’automobile, nella radura.
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Non seppe mai per quanto tempo rimase tra le grinfie della creatura; si accorse solo che d’un tratto l’oscurità si era diradata e ora poteva vedere che il terreno coperto di foglie pullulava di ragni. Sbirciando di lato, si rese conto che avevano raggiunto il ciglio di una grande cavità, una cavità dove gli alberi erano stati abbattuti, e dove le stelle illuminavano la scena più orrenda che lui avesse mai visto.
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Ragni. Non ragni piccoli come quelli che si arrampicavano sulle foglie sottostanti. Ragni delle dimensioni di cavalli da tiro, con otto occhi e otto zampe, neri, pelosi, giganteschi. L’enorme esemplare che lo stava trasportando imboccò la ripida discesa, diretto verso una ragnatela a cupola, avvolta nella caligine, proprio al centro della cavità, mentre i suoi compagni si richiudevano a cerchio schioccando le chele, eccitati alla vista del suo carico.
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Il ragno mollò la presa e Harry cadde a terra carponi. Poi caddero anche Thor e Ron. Thor, che non latrava più, si rannicchiò là dove si trovava. Ron era l’immagine vivente di come si sentiva Harry: la bocca spalancata in una sorta di grido senza voce e gli occhi fuori dalle orbite.
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D’un tratto, Harry si rese conto che il ragno che lo aveva lasciato cadere a terra stava dicendo qualcosa. Era difficile capire cosa dicesse, perché a ogni parola faceva schioccare le chele.
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«Aragog!» chiamava, «Aragog!»
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E dal bel mezzo della caliginosa ragnatela a cupola, molto lentamente, emerse un ragno dalle dimensioni di un piccolo elefante. La schiena e le zampe erano grigie, e sulla testa orribile, fornita di chele, spiccavano gli occhi color bianco latte. Era cieco.
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«Cosa c’è?» chiese schioccando repentinamente le chele.
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«Esseri umani» rispose il ragno che aveva catturato Harry.
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«È Hagrid?» chiese Aragog avvicinandosi, con i suoi occhi lattiginosi che vagavano senza posarsi su niente.
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«Estranei» disse il ragno che aveva trasportato Ron.
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«Uccideteli» schioccò Aragog stizzito. «Io stavo dormendo…»
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«Siamo amici di Hagrid» gridò Harry. Era come se il cuore gli fosse schizzato via dal petto e gli battesse furiosamente in gola.
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Clic, clic, clic, risuonavano tutt’intorno le chele dei ragni.
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Aragog si fermò.
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«Hagrid non ha mai mandato esseri umani nella nostra tana» disse lentamente.
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«Hagrid è nei guai» disse Harry col respiro affannato. «Ecco perché siamo venuti noi».
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«Nei guai?» chiese il vecchio ragno, e a Harry parve che ora lo schiocco delle sue chele esprimesse preoccupazione. «Ma perché ha mandato voi?»
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Harry avrebbe voluto alzarsi in piedi, ma decise che era meglio di no; era convinto che le gambe non lo avrebbero retto. Parlò da terra, senza muoversi, con il tono più calmo che gli riuscì di tirare fuori.
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«A scuola pensano che Hagrid abbia organizzato un… un… qualcosa contro gli studenti. Lo hanno portato ad Azkaban…»
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Aragog schioccò le chele furiosamente e intorno gli fece eco il consesso dei ragni; era come un applauso, solo che, in genere, gli applausi non facevano sentir male Harry dalla paura.
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«Ma questo è successo tanti anni fa» disse Aragog stizzito. «Anni e anni fa. Me lo ricordo bene. È stata quella la ragione per cui lo hanno costretto a lasciare la scuola. Credevano che fossi io il mostro che vive in quella che loro chiamano la Camera dei Segreti. Pensavano che Hagrid avesse aperto la Camera e mi avesse liberato».
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«Ma allora tu… tu non venivi dalla Camera dei Segreti?» chiese Harry, mentre la fronte gli si imperlava di sudore freddo.
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«Io?» esclamò Aragog con uno schiocco irato. «Ma io non sono nato nel castello. Io vengo da una terra lontana. Un viaggiatore mi ha dato a Hagrid quando ero un uovo. Hagrid era soltanto un ragazzo, ma si è preso cura di me, mi ha nascosto in una credenza, al castello, e mi dava da mangiare gli avanzi della tavola. Hagrid è mio buon amico, è un brav’uomo. Quando mi scoprirono e fui incolpato della morte di una ragazza lui mi protesse. Da allora vivo qui nella foresta, dove lui viene ancora a trovarmi. Mi ha anche trovato una moglie, Mosag, e vedi da te quanto è diventata numerosa la nostra famiglia! Tutto per merito di Hagrid…»
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Harry raccolse tutto il coraggio che gli era rimasto.
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«Allora tu non hai mai… non hai mai aggredito nessuno?»
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«Mai» rispose il vecchio ragno con voce roca. «Non che non ne avessi l’istinto, ma per rispetto verso Hagrid non ho mai torto un capello a un essere umano. Il corpo della ragazza che era stata uccisa fu trovato in un gabinetto. Io non ho mai visto niente del castello, tranne la credenza dove sono cresciuto. La nostra specie ama il buio e il silenzio…»
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«Ma allora… Tu conosci la cosa che ha ucciso la ragazza?» chiese Harry. «Perché, di qualsiasi cosa si tratti, è tornata e le aggressioni sono ricominciate…»
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Queste ultime parole furono sommerse da uno scroscio di schiocchi e dallo scalpiccio rabbioso di molte lunghe zampe; grosse ombre nere si mossero intorno al ragazzo.
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«La cosa che vive al castello» disse Aragog, «è un’antica creatura che noi ragni temiamo più di ogni altra al mondo. Ricordo che quando ebbi la percezione che la bestia scorrazzava per il castello pregai Hagrid di lasciarmi andare».
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«Di che si tratta?» chiese Harry ansioso.
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Ancora schiocchi e ancora scalpiccii. Sembrava che i ragni si stessero avvicinando.
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«Noi non ne parliamo!» disse Aragog in tono perentorio. «Non pronunciamo nemmeno il nome di quella terrificante creatura! Non l’ho detto mai neanche a Hagrid, eppure lui me l’ha chiesto molte volte».
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Harry non volle insistere, visto che i ragni lo circondavano. Sembrava che Aragog fosse stanco di parlare. Lentamente, tornò a rintanarsi nella sua ragnatela a cupola, ma gli altri continuarono ad avanzare inesorabilmente verso i due ragazzi.
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«Be’, allora noi andiamo!» gridò Harry disperato ad Aragog, sentendo ormai vicinissimo, dietro di sé, il fruscio delle foglie calpestate.
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«Ve ne andate?» disse Aragog lentamente. «Non credo proprio…»
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«Ma… ma…»
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«A Hagrid i miei figli e le mie figlie non torcono un capello perché obbediscono a un mio ordine. Ma non posso certo negargli il piacere della carne fresca, quando qualcuno sconfina nel nostro territorio e ci si offre con tanta spontaneità. Addio, amici di Hagrid!»
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Harry si voltò di scatto. A pochi metri, si vide sovrastato da una compatta muraglia di ragni che avanzavano schioccando le chele, con gli occhi lucenti sulle orribili teste nere…
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Afferrò la bacchetta magica, pur sapendo che non sarebbe servita a niente: erano in troppi. Ma proprio nel momento in cui cercava di tirarsi su, pronto a morire combattendo, si udì una nota lunga e penetrante e un bagliore illuminò la cavità.
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Era l’automobile del signor Weasley che, rombando, scendeva lungo il pendio, a fari accesi e sirene spiegate, travolgendo i ragni al suo passaggio: molti caddero a terra riversi, e continuarono per un pezzo ad agitare in aria le zampe. Con uno stridore di freni l’automobile si fermò davanti a Harry e Ron e le portiere si spalancarono.
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«Prendi Thor!» gridò Harry tuffandosi sul sedile anteriore. Ron afferrò il cane per la pancia e lo lanciò, ululante, sul sedile posteriore. Le portiere sbatterono. Ron non toccò neanche l’acceleratore, ma il veicolo non aveva bisogno di lui. Parti con un rombo, urtando altri ragni. Risalirono il pendio a tutta velocità, uscirono dalla fossa e ben presto attraversarono la foresta, con i rami che sbattevano contro i finestrini. L’automobile, con grande sagacia, seguiva il percorso migliore, scegliendo i passaggi meno angusti, lungo un tragitto che aveva tutta l’aria di conoscere bene.
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Harry si voltò a guardare Ron: aveva ancora la bocca spalancata in quel grido senza voce, ma non aveva più gli occhi di fuori.
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«Tutto bene?»
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Ron guardava fisso davanti a sé, incapace di parlare.
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Avanzavano a tutta velocità attraverso il sottobosco; Thor latrava rumorosamente sul sedile posteriore e quando passarono molto vicino a una grossa quercia Harry vide lo specchio retrovisore esterno staccarsi di schianto dall’ala. Dopo dieci minuti di quella frastornante gimcana gli alberi si fecero più radi e Harry riuscì a intravedere di nuovo qualche fazzoletto di cielo.
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Poi la macchina inchiodò così all’improvviso che per poco i ragazzi non furono scaraventati contro il parabrezza. Erano arrivati al limitare della foresta. Thor, che non vedeva l’ora di scendere, si lanciava contro il finestrino e quando Harry aprì la portiera schizzò via attraverso gli alberi, verso la casa di Hagrid, con la coda tra le zampe. Uscì anche Harry e Ron, che sembrava aver recuperato l’uso degli arti, dopo un paio di minuti lo seguì con il collo ancora rigido e lo sguardo fisso. Harry diede un colpetto di gratitudine all’automobile mentre questa ingranava la marcia indietro e tornava a immergersi nella foresta.
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Harry tornò nella capanna di Hagrid per recuperare il Mantello dell’Invisibilità. Thor, nella cuccia, tremava tutto. Quando Harry uscì trovò Ron che vomitava nel campo delle zucche.
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«Seguite i ragni» disse Ron con voce flebile, asciugandosi la bocca sulla manica. «Questa non gliela perdono, a Hagrid. Siamo vivi per miracolo».
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«Scommetto che deve aver pensato che Aragog non avrebbe mai fatto del male ai suoi amici» disse Harry.
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«Questo è esattamente il problema di Hagrid» disse Ron battendo un pugno sulla parete della capanna. «Lui pensa sempre che i mostri non siano cattivi come li si dipinge, ma guarda questo dove l’ha portato! In una cella ad Azkaban!» Ora non riusciva più a frenare un tremito convulso. «A che cosa è servito mandarci fin lì? Che cosa abbiamo scoperto? Mi piacerebbe proprio saperlo!»
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«Che Hagrid non ha mai aperto la Camera dei Segreti» disse Harry buttandogli addosso il mantello e tirandolo per un braccio per farlo camminare. «Che era innocente».
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Ron emise una sorta di grugnito. Evidentemente, ai suoi occhi l’aver allevato Aragog in un armadio non era proprio quel che lui intendeva per innocenza.
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Quando furono più vicini al castello Harry sistemò con cura il mantello per assicurarsi che fossero nascosti fino ai piedi e socchiuse il portone cigolante. Riattraversarono con cautela la Sala d’Ingresso quindi risalirono la scalinata di marmo, trattenendo il fiato mentre percorrevano i corridoi pattugliati da vigili sentinelle. Finalmente furono in salvo nella sala comune dei Grifondoro, dove il fuoco si era consumato lasciando soltanto un mucchio di braci tremolanti. Si tolsero il mantello e salirono la scala a chiocciola che portava al dormitorio.
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Ron si buttò sul letto senza neanche spogliarsi. Ma Harry non aveva sonno. Si sedette sul bordo del letto pensando intensamente alle parole di Aragog.
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La creatura annidata da qualche parte, nel castello, pensava, sembrava una specie di Voldemort mostruoso… neanche gli altri mostri volevano pronunciare il suo nome. Ma lui e Ron non avevano saputo niente di più su chi fosse, o in che modo pietrificasse le sue vittime. Neanche Hagrid aveva mai saputo cosa si nascondesse nella Camera dei Segreti.
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Tirò su le gambe e si sedette sul letto, appoggiato ai cuscini, guardando la luna che, attraverso la finestra della torre, lo inondava di luce.
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Non riusciva a capire cos’altro potessero fare. Da qualunque lato esaminasse la situazione erano a un punto morto. Riddle aveva preso la persona sbagliata, l’erede di Serpeverde se l’era svignata, e nessuno era in grado di dire se questa volta fosse stata la stessa persona o qualcun altro ad aprire la Camera. Non c’era più nessuno a cui poter chiedere. Harry si sdraiò, continuando a pensare alle parole di Aragog.
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Si stava appisolando, quando gli venne in mente quella che gli parve la loro ultima speranza; di colpo balzò a sedere.
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«Ron» sibilò nel buio, «Ron!»
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Ron si svegliò con un gemito assai simile a quello di Thor, aprì gli occhi senza capire in che mondo fosse e vide Harry.
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«Ron… la ragazza che è morta. Aragog ha detto che fu trovata in un gabinetto» disse Harry ignorando Neville che russava fragorosamente dall’altra parte della stanza. «E se non fosse mai uscita dal gabinetto? E se fosse ancora là?»
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Ron si stropicciò gli occhi e, alla luce della luna, Harry lo vide aggrottare la fronte. Poi capì.
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«Pensi forse… non sarà mica Mirtilla Malcontenta?» chiese.
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