La mattina seguente, prima che gli altri due si svegliassero, Harry uscì dalla tenda e andò a cercare l'albero più vecchio, contorto e robusto del bosco. Alla sua ombra seppellì l'occhio di Malocchio Moody e segnò il posto incidendo con la bacchetta una piccola croce nella corteccia. Non era molto, ma sentiva che Malocchio lo avrebbe di gran lunga preferito a restare incastonato nella porta di Dolores Umbridge. Poi tornò alla tenda e attese di discutere con gli altri sul da farsi.
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Harry e Hermione erano dell'idea che fosse meglio non fermarsi lì trop
po a lungo e Ron fu d'accordo, a patto che il prossimo spostamento li portasse a tiro di un panino con la pancetta. Hermione rimosse gli incantesimi che aveva piazzato attorno alla radura mentre Ron e Harry cancellavano tutte le tracce che avrebbero potuto rivelare il loro passaggio. Poi si Smaterializzarono fino ai sobborghi di una cittadina che ospitava un mercato.
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Dopo che ebbero montato la tenda al riparo di una piccola macchia d'alberi e circondato il luogo di nuovi incantesimi di protezione, Harry si avventurò alla ricerca di cibo, nascosto sotto il Mantello dell'Invisibilità. Ma la spedizione non andò come previsto. Era appena entrato in città quando un gelo innaturale, una foschia opprimente e l'improvviso oscurarsi del cielo lo inchiodarono dov'era.
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«Ma sai evocare un Patronus magnifico!» protestò Ron quando Harry tornò a mani vuote, senza fiato, capace di profferire una sola parola: 'Dissennatori'.
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«Non ci sono riuscito...» ansimò, massaggiandosi la milza dolorante. «Non È... venuto».
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Le loro espressioni deluse e costernate lo fecero vergognare. Era stata un'esperienza da incubo vedere i Dissennatori scivolar fuori dalla nebbia in lontananza e capire, mentre il freddo paralizzante gli gelava i polmoni e un urlo remoto gli riempiva le orecchie, che non sarebbe riuscito a difendersi. Gli ci era voluta un'enorme forza di volontà per staccarsi da lì e correre via, lasciando i ciechi Dissennatori a veleggiare tra i Babbani che forse non potevano vederli, ma di certo avvertivano la disperazione che diffondevano al loro passaggio.
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«E così siamo sempre senza cibo».
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«Taci, Ron» sbottò Hermione. «Harry, com'È successo? Perché non sei riuscito a evocare il tuo Patronus? Ieri ti è venuto benissimo!»
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«Non lo so».
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Era sprofondato in una delle vecchie poltrone di Perkins e si sentiva ogni istante più umiliato. Temeva che dentro di lui qualcosa si fosse guastato. Ieri sembrava un sacco di tempo fa: oggi gli pareva di essere ancora un tredicenne, l'unico a svenire sull'Espresso per Hogwarts.
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Ron diede un calcio alla gamba di una sedia.
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«Cosa?» ringhiò a Hermione. «Io muoio di fame! Da quando mi sono quasi dissanguato ho mangiato solo un paio di funghi!»
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«Allora vai tu a farti largo tra i Dissennatori» ribatté Harry, offeso. «Ci andrei, ma ho il braccio immobilizzato, se non te ne sei accorto!» «Molto comodo».
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«E con questo cosa vorresti...?»
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«Ma certo!» strillò Hermione, battendosi una mano sulla fronte e riducendo gli altri due al silenzio. «Harry, dammi il medaglione! Sbrigati» disse, impaziente, schioccandogli le dita davanti al naso, «l'Horcrux, Harry, ce l'hai ancora addosso!»
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Tese le mani e Harry si sfilò dal collo la catena d'oro. Nel momento in cui si staccò dalla sua pelle, si sentì libero e stranamente leggero. Non si era nemmeno accorto di essere sudato, o di avere un peso sullo stomaco, finché entrambe le sensazioni non erano svanite.
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«Va meglio?» gli chiese Hermione.
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«Sì, molto meglio!»
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«Harry» mormorò lei, accovacciandosi davanti a lui e adoperando il tono che si usa quando si visita un ammalato grave, «non credi che ti abbia posseduto, vero?»
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«Cosa? No» rispose lui, sulla difensiva. «Ricordo tutto quello che abbiamo fatto da quando me lo sono messo. Se fossi stato posseduto non saprei cos'ho fatto, no? Ginny mi ha detto che a volte non riusciva a ricordare niente».
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«Mmm» fece Hermione, osservando il pesante ciondolo. «Be', forse non dovremmo portarlo. Possiamo tenerlo nella tenda».
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«Non lasceremo in giro quell'Horcrux» dichiarò Harry deciso. «Se lo perdiamo, se ce lo rubano...»
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«Va bene, va bene» acconsentì Hermione; se lo infilò al collo e lo nascose sotto la camicia. «Ma lo porteremo a turno, in modo che nessuno lo tenga troppo a lungo».
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«Grandioso» sbottò Ron, irritato, «e adesso che abbiamo deciso, per favore possiamo andare a prendere da mangiare?»
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«D'accordo, ma dovremo andare da un'altra parte» stabilì Hermione con un'occhiata rapida a Harry. «Non ha senso restare dove sappiamo che girano i Dissennatori».
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Alla fine si sistemarono per la notte in un grande campo vicino a una fattoria solitaria, dove riuscirono a procurarsi uova e pane.
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«Non è rubare, vero?» chiese Hermione preoccupata mentre divoravano uova strapazzate e pane tostato. «Ho lasciato i soldi nel pollaio».
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Ron sgranò gli occhi e disse, con le guance gonfie: «Eh-mo-ne, ti freoccufi troffo. Rilaffati!»
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E in verità era molto più facile rilassarsi a pancia piena: la discussione sui Dissennatori fu dimenticata tra le risate e Harry si sentiva allegro, quasi
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speranzoso, quando cominciò il primo dei tre turni di guardia.
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Fu il loro primo incontro col fatto che lo stomaco pieno voleva dire buonumore, lo stomaco vuoto battibecchi e depressione. Harry fu il meno sorpreso, perché dai Dursley qualche volta aveva rischiato di morire di fame. Hermione sopportava abbastanza bene le sere in cui non riuscivano a raccattare altro che bacche o biscotti muffiti: diventava solo un po' più impaziente del solito e si chiudeva in silenzi cupi. Ron, invece, era sempre stato abituato a tre deliziosi pasti al giorno, grazie a sua madre o agli elfi domestici di Hogwarts, e la fame lo rendeva irragionevole e irascibile. Ogni volta che la mancanza di cibo coincideva col suo turno di portare l'Horcrux, diventava decisamente sgradevole.
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«E adesso dove si va?» era il suo ritornello. Non aveva un'idea che fosse una, ma si aspettava che Harry e Hermione concepissero dei piani mentre lui stava a rimuginare sulla scarsità dei viveri. Da parte loro, Harry e Hermione passavano ore infruttuose a cercare di stabilire dove avrebbero potuto trovare gli altri Horcrux e come distruggere quello che avevano, e le loro conversazioni erano diventate ripetitive, dato che non possedevano nuovi elementi.
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Secondo quanto Silente aveva detto a Harry, Voldemort aveva nascosto gli Horcrux in luoghi per lui importanti, perciò continuavano a recitare, in una sorta di tetra litania, i posti dove sapevano che Voldemort era vissuto o era stato. L'orfanotrofio in cui era nato e cresciuto; Hogwarts, dove aveva ricevuto un'istruzione; Magie Sinister, dove aveva lavorato dopo la scuola; poi l'Albania, dove aveva trascorso gli anni dell'esilio: queste erano le basi delle loro ipotesi.
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«Ma sì, andiamo in Albania. Non ci vorrà più di un pomeriggio per frugare tutto il paese» commentò Ron, sarcastico.
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«Non può esserci nulla laggiù. Aveva già creato cinque Horcrux prima dell'esilio e Silente era sicuro che il serpente fosse il sesto» spiegò Hermione. «Sappiamo che il serpente non è in Albania, di solito sta con V oi...»
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«Non ti avevo chiesto di non dirlo più?»
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«Va bene! Il serpente di solito sta con Tu-Sai-Chi... contento?»
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«Non proprio».
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«Non ce lo vedo, a nascondere qualcosa da Magie Sinister» osservò
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Harry. L'aveva già detto parecchie volte ma lo ripeté solo per rompere quel silenzio carico di tensione. «Sinister e Burke erano esperti di oggetti Oscuri, avrebbero riconosciuto subito un Horcrux».
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Ron sbadigliò a bella posta. Reprimendo la voglia di tirargli qualcosa, Harry insisté: «Continuo a pensare che possa aver nascosto qualcosa a Hogwarts».
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Hermione sospirò.
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«Ma Silente l'avrebbe trovato, Harry!»
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Harry ripeté l'argomento che continuava a portare a favore della propria teoria.
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«L'ho sentito con le mie orecchie: Silente ha detto di non aver mai avuto la pretesa di conoscere tutti i segreti di Hogwarts. Vi dico che se c'È un posto dove Vol...»
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«Ehi!»
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«TU-SAI-CHI, allora!» urlò Harry, esasperato. «Se c'È un posto veramente importante per Tu-Sai-Chi, quello è Hogwarts!»
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«Oh, andiamo» ribatté Ron, beffardo. «La sua scuola?»
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«Sì, la sua scuola! è stata la sua prima vera casa, il posto che significava che lui era speciale, voleva dire tutto per lui, e anche dopo che andò via...»
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«Stai parlando di Tu-Sai-Chi, giusto? Non di te?» domandò Ron. Stava tormentando la catena dell'Horcrux che aveva al collo: Harry fu attraversato dal desiderio di usarla per strangolarlo.
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«Ci hai detto che Tu-Sai-Chi chiese a Silente di dargli un incarico dopo che se n'era andato» riprese Hermione.
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«Giusto» rispose Harry.
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«E Silente ebbe l'impressione che volesse tornare solo per cercare qualcosa, probabilmente un altro oggetto appartenuto a un fondatore, da trasformare in un altro Horcrux?»
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«Sì» confermò Harry.
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«Ma non ha ottenuto quel posto, no? Quindi non ha mai avuto l'occasione di trovare l'oggetto e di nasconderlo nella scuola!»
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«Va bene» concluse Harry, sconfitto. «Lasciamo perdere Hogwarts».
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Senza altri indizi, tornarono a Londra e, nascosti sotto il Mantello dell'Invisibilità, cercarono l'orfanotrofio di Voldemort.
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Hermione entrò di soppiatto in una biblioteca e scoprì dai registri che l'edificio era stato demolito molti anni prima. Andarono a vedere e si trovarono davanti a un palazzo di uffici.
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«Potremmo cercare di scavare nelle fondamenta» suggerì Hermione poco convinta.
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«Non avrebbe mai nascosto un Horcrux qui» dichiarò Harry. L'aveva sempre saputo: l'orfanotrofio era il posto da cui Voldemort aveva voluto
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sempre fuggire, non vi avrebbe mai celato una parte della sua anima. Silente gli aveva mostrato che Voldemort cercava magnificenza o nobiltà mistica nei suoi nascondigli; quello squallido, grigio angolo di Londra era quanto di più lontano da Hogwarts si potesse immaginare, o dal Ministero, o da un edificio come la Gringott, la banca magica, con le sue porte d'oro e i pavimenti di marmo.
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Senza nuove idee, continuavano a spostarsi nella campagna, piantando per sicurezza la tenda ogni sera in un posto diverso. Ogni mattina controllavano di aver rimosso tutte le tracce del loro passaggio, poi partivano alla ricerca di un altro luogo solitario e isolato, Materializzandosi in altri boschi, negli anfratti ombrosi delle falesie, in brughiere violette, sulle pendici di monti coperte di ginestre e, una volta, in una cala riparata e sassosa. Ogni dodici ore si passavano l'Horcrux come se stessero giocando una perversa partita di patata bollente al rallentatore, nella quale temevano che la musica si fermasse perché la penitenza erano altre dodici ore di paura e tensione.
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La cicatrice di Harry continuava a fargli male. Notò che succedeva più spesso, quando portava l'Horcrux. A volte non riusciva a nascondere il dolore.
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«Cosa? Cos'hai visto?» gli chiedeva Ron tutte le volte che lo vedeva fare una smorfia.
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«Una faccia» rispondeva sempre Harry. «La stessa faccia. Il ladro che ha derubato Gregorovich».
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E Ron si voltava, senza nascondere la delusione. Harry sapeva che sperava di avere notizie della sua famiglia, o del resto dell'Ordine della Fenice, ma dopotutto lui, Harry, non era un'antenna televisiva; vedeva solo quello che stava pensando Voldemort in quel momento, non poteva sintonizzarsi su quello che gli pareva. Evidentemente Voldemort si soffermava senza posa sul giovane ignoto dalla faccia allegra, e Harry era certo che nemmeno lui ne conoscesse nome e indirizzo. Poiché la cicatrice continuava a bruciare e il gioioso ragazzo biondo galleggiava tentatore nella sua memoria, Harry imparò a reprimere ogni segno di dolore o disagio, perché gli altri due non mostravano altro che impazienza alla sola menzione del ladro. Non poteva del tutto biasimarli, visto il loro disperato bisogno di un indizio sugli Horcrux.
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I giorni diventarono settimane e Harry cominciò a sospettare che Ron e Hermione parlassero di lui alle sue spalle. Spesso tacevano di colpo quando entrava nella tenda e due volte li sorprese rannicchiati vicini, a sussurra
re fitto fitto; tutte e due le volte si zittirono quando lo videro avvicinarsi e si misero frettolosamente a raccogliere legna o a cercare l'acqua.
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Harry non poteva fare a meno di chiedersi se avessero accettato di seguirlo in quel viaggio, che ora sembrava inutile e inconcludente, solo perché erano convinti che lui avesse un piano segreto, che avrebbero appreso a tempo debito. Ron non provava nemmeno più a nascondere il malumore e Harry cominciava a temere che anche Hermione fosse delusa dalla sua scarsa attitudine al comando. Disperato, cercò di pensare ad altri possibili nascondigli per gli Horcrux, ma gli veniva in mente sempre e solo Hogwarts, e siccome nessuno degli amici lo riteneva un luogo probabile, smise di suggerirlo.
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L'autunno si distese sulla campagna: ormai montavano la tenda sopra mucchi di foglie cadute. Le foschie naturali si aggiungevano a quelle provocate dai Dissennatori; vento e pioggia moltiplicarono i loro disagi. Il fatto che Hermione fosse sempre più abile nel riconoscere i funghi mangerecci non compensava il protratto isolamento, la mancanza della compagnia di altre persone, e la totale ignoranza di come stava andando la guerra contro Voldemort.
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«Mia madre» osservò Ron una sera, sulla riva di un fiume gallese, «sa far apparire del buon cibo dal nulla».
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Punzecchiò di malavoglia i grumi di pesce grigio bruciacchiato sul piatto. Harry guardò automaticamente il collo di Ron e, come aveva previsto, vide scintillare la catena d'oro dell'Horcrux. Cercò di reprimere l'impulso di insultarlo, sapendo che il suo atteggiamento sarebbe un po' migliorato al momento di togliersi il medaglione.
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«Tua madre non può far apparire il cibo dal nulla» puntualizzò Hermione. «Nessuno può farlo. Il cibo è la prima delle cinque Principali Eccezioni alla Legge di Gamp sulla Trasfigurazione degli Eleme...»
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«Oh, parla la nostra lingua, per favore!» sbottò Ron, sfilandosi una lisca dai denti.
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«È impossibile fare del buon cibo dal nulla! Puoi Appellarlo se sai dov'È, puoi trasformarlo, puoi moltiplicare la quantità se ne hai già un po'...»
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«... be', non moltiplicare questo, fa schifo» la interruppe Ron.
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«Harry ha preso il pesce e io ho fatto del mio meglio! Ho notato che alla fine sono sempre io a occuparmi del cibo; sarà perché sono una femmina, immagino!»
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«No, è perché tu dovresti essere la più brava a fare magie!» replicò Ron. Hermione balzò in piedi facendo cadere a terra pezzi di luccio arrostito
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dal suo piatto di latta.
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«Cucina tu, domani, Ron, trova tu gli ingredienti e prova un po' a incantarli in qualcosa di commestibile; intanto io starò qui a fare smorfie e a lamentarmi, e vedrai come...»
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«Zitta!» esclamò Harry, alzandosi di scatto e sollevando le mani. Hermione lo guardò offesa.
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«Come fai a stare dalla sua parte, non...»
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«Hermione, zitta, c'È qualcuno!»
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Tese l'orecchio, concentrato, le mani ancora levate per farli tacere. Poi, sopra il gorgoglio del fiume scuro, udì altre voci. Guardò lo Spioscopio. Era immobile.
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«Hai fatto l'Incantesimo Muffliato, vero?» sussurrò a Hermione.
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«Ho fatto tutto» mormorò lei in risposta. «Muffliato, Respingi-Babbani e Incantesimi di Disillusione, tutti. Non dovrebbero sentirci né vederci, di chiunque si tratti».
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Un pesante scalpiccio e il rumore di pietre e rami spostati dissero loro che diverse persone stavano scendendo lungo il ripido pendio boscoso che conduceva alla stretta riva dove avevano montato la tenda. Estrassero le bacchette, in attesa. Gli incantesimi che avevano distribuito tutto attorno sarebbero dovuti bastare, nel buio quasi totale, a nasconderli da Babbani, maghi e streghe ordinari. Se invece si trattava di Mangiamorte, forse le loro difese stavano per essere messe alla prova per la prima volta dalla Magia Oscura.
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Quando il gruppo raggiunse la riva le voci si fecero più forti ma non più comprensibili. Harry calcolò che dovevano essere a cinque o sei metri di distanza, ma il fragore del fiume rendeva impossibile dirlo con certezza. Hermione afferrò la borsetta di perline e vi frugò dentro; dopo un attimo ne estrasse tre Orecchie Oblunghe e ne gettò una per ciascuno a Harry e Ron, che s'infilarono in fretta le estremità dei fili color carne nelle orecchie e spinsero gli altri capi fuori dalla tenda.
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Dopo qualche istante Harry udì una stanca voce maschile.
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«Ci dovrebbero essere dei salmoni qui, o la stagione non è ancora cominciata? Accio salmone!»
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Si udirono tonfi e schizzi, poi il rumore di pesci che sbattevano. Qualcuno grugnì soddisfatto. Harry premette più a fondo l'Orecchio Oblungo dentro il proprio; sopra il mormorio del fiume distinse altre voci, ma non parlavano inglese né un'altra lingua umana a lui nota. Era un linguaggio rozzo e dissonante, una sequenza di rumori rauchi e gutturali, e sembrava che
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fossero in due, uno con la voce un po' più bassa e lenta dell'altro.
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Un fuoco prese a danzare oltre la tela; grosse ombre passarono tra la tenda e le fiamme. Il profumo delizioso di salmone arrostito si sparse tentatore verso di loro. Poi si udì un tintinnio di posate e piatti, e il primo uomo parlò di nuovo.
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«Ecco, Unci-unci, Gonci».
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Folletti! scandì in silenzio Hermione a Harry, che annuì.
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«Grazie» dissero insieme i folletti in inglese.
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«Allora, da quand'È che siete in fuga, voi tre?» chiese una nuova voce, pastosa e piacevole; sembrava vagamente familiare a Harry, che si figurò un uomo con la pancia tonda e il volto allegro.
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«Sei settimane... sette... non ricordo» rispose l'uomo stanco. «Ho incontrato prima Unci-unci e ci siamo uniti a Gonci non molto tempo dopo. è bello avere un po' di compagnia». Una pausa, mentre i coltelli grattavano sui piatti e i boccali di latta venivano sollevati e posati di nuovo a terra. «E tu, come mai sei andato via, Ted?» riprese l'uomo.
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«Sapevo che sarebbero venuti a prendermi» rispose la voce pastosa di Ted, e Harry lo riconobbe: era il padre di Tonks. «Ho sentito che c'erano dei Mangiamorte in zona la settimana scorsa e ho deciso che era meglio darsela a gambe. Ho rifiutato di registrarmi come Nato Babbano per principio, quindi era solo questione di tempo, sapevo che alla fine avrei dovuto scappare. Mia moglie dovrebbe essere tranquilla, lei è Purosangue. E poi ho incontrato Dean, cos'È stato, qualche giorno fa, ragazzo?»
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«Sì» fece un'altra voce. Harry, Ron e Hermione si fissarono, zitti, ma fuori di sé per l'emozione, certi di aver riconosciuto Dean Thomas, il loro compagno di Grifondoro.
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«Nato Babbano, eh?» chiese il primo uomo.
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«Non lo so» rispose Dean. «Mio padre ha lasciato mia madre quando ero piccolo. Non ho prove che fosse un mago».
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Calò il silenzio per un po', rotto solo dal rumore delle mandibole al lavoro; poi Ted parlò di nuovo.
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«Devo dire, Dirk, che sono sorpreso di averti incontrato. Mi fa piacere, ma sono sorpreso. Girava voce che ti avessero beccato».
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«Infatti» confermò Dirk. «Ero sulla strada di Azkaban ma sono scappato: ho Schiantato Dawlish e gli ho rubato la scopa. è stato più facile del previsto; credo che al momento non sia in gran forma. Forse è Confuso. Se è così, vorrei stringere la mano al mago o alla strega che l'ha fatto: probabilmente mi ha salvato la vita».
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Un'altra pausa, riempita dallo scoppiettio del fuoco e dalla voce del fiume. Poi Ted chiese: «E voi due cosa c'entrate? Io, ehm, avevo l'impressione che i folletti stessero dalla parte di Voi-Sapete-Chi, in linea di massima».
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«Un'impressione sbagliata» replicò il folletto con la voce più acuta. «Noi non prendiamo partito. Questa è una guerra di maghi».
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«E allora perché vi nascondete?»
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«L'ho ritenuto prudente» spiegò il folletto con la voce più bassa. «Mi sono rifiutato di assecondare una richiesta che ritenevo fuori luogo e ho capito che la mia sicurezza era a rischio».
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«Che cosa ti hanno chiesto di fare?» domandò Ted.
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«Compiti inappropriati alla dignità della mia razza» rispose il folletto, la voce più rozza e meno umana nel dirlo. «Io non sono un elfo domestico».
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«E tu, Unci-unci?»
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«Ragioni simili» disse l'altro folletto. «La Gringott non è più sotto l'esclusivo controllo della mia razza. Io non riconosco alcun padrone mago».
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Aggiunse qualcosa sottovoce in Goblinese e Gonci rise.
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«Cos'ha detto?» chiese Dean.
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«Ha detto» spiegò Dirk «che ci sono cose che anche i maghi non riconoscono».
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Una breve pausa.
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«Non capisco» disse Dean.
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«Mi sono preso la mia piccola rivincita prima di andarmene» rispose
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Unci-unci in inglese.
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«Bravo ragazzo... scusa, folletto» si corresse Ted in fretta. «Non è che hai rinchiuso un Mangiamorte in una delle vecchie camere ad alta sicurezza, eh?»
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«Se anche l'avessi fatto, la spada non l'avrebbe aiutato a uscirne» ribatté Unci-unci. Gonci rise di nuovo e perfino Dirk fece una risatina secca.
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«A me e a Dean continua a sfuggire qualcosa» osservò Ted.
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«Anche a Severus Piton, però lui non lo sa» ribadì Unci-unci, e i due folletti scoppiarono in una risata maligna.
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Dentro la tenda, Harry stava con il fiato sospeso per l'emozione: lui e Hermione si guardarono e ascoltarono più concentrati che mai.
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«Non hai sentito, Ted?» chiese Dirk. «Dei ragazzi che hanno cercato di rubare la spada di Grifondoro dallo studio di Piton a Hogwarts?»
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Una corrente elettrica attraversò Harry, facendogli formicolare ogni singolo nervo.
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«Neanche una parola» rispose Ted. «Non era sul Profeta, no?»
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«Non credo proprio» ridacchiò Dirk. «A me l'ha raccontato Unci-unci: l'ha saputo da Bill Weasley, che lavora per la banca. Tra i ragazzi che hanno tentato il colpo c'era sua sorella».
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Harry scoccò uno sguardo a Hermione e Ron, che stavano aggrappati alle Orecchie Oblunghe come ad ancore di salvezza.
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«Lei e un paio di suoi amici sono entrati nello studio di Piton e hanno fracassato la teca dove teneva la spada. Piton li ha sorpresi mentre cercavano di portarla di nascosto giù dalle scale».
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«Ah, il cielo li benedica» sospirò Ted. «Cosa credevano, di poterla usare contro Voi-Sapete-Chi? O contro Piton, magari?»
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«Be', qualunque cosa avessero in mente, Piton ha deciso che la spada non era al sicuro lì dove stava» continuò Dirk. «Passano un paio di giorni, il tempo di avere il parere di Voi-Sapete-Chi, immagino, e la manda a Londra perché venga custodita alla Gringott».
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I folletti ricominciarono a ridere.
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«Continuo a non capire lo scherzo» insisté Ted.
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«È un falso» rispose Unci-unci con voce roca.
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«La spada di Grifondoro!»
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«Eh, già. è una copia un'ottima copia, è vero ma è opera di maghi.
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L'originale fu forgiato secoli fa dai folletti e aveva alcune caratteristiche che solo le armi fatte dai folletti possiedono. Ovunque si trovi la vera spada di Grifondoro, non è alla Gringott».
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«Capisco» fece Ted. «Immagino che tu non ti sia preso la briga di dirlo ai Mangiamorte».
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«Non c'era motivo di turbarli con questa informazione» ribatté Unciunci compiaciuto, e stavolta Ted e Dean si unirono alle risate di Gonci e Dirk.
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Dentro la tenda, Harry chiuse gli occhi, sperando che qualcuno facesse la domanda di cui desiderava conoscere la risposta, e dopo un minuto che ne sembrava dieci, Dean la fece: anche lui (Harry ricordò con uno spasimo) era un ex fidanzato di Ginny.
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«Cos'È successo a Ginny e agli altri? Quelli che hanno cercato di rubarla?»
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«Oh, sono stati puniti, e molto duramente» rispose Unci-unci con noncuranza.
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«Ma stanno bene?» s'inserì Ted. «Voglio dire, ci manca solo che i Weasley abbiano un altro figlio ferito!»
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«Non hanno subito lesioni gravi, per quello che so» rispose Unci-unci.
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«Meno male» commentò Ted. «Con il curriculum di Piton, dobbiamo essere contenti se sono ancora vivi».
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«Tu credi a quella storia, Ted?» chiese Dirk. «Credi che sia stato Piton a uccidere Silente?»
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«Ma certo» rispose Ted. «Non dirmi che credi che Potter c'entri qualcosa!»
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«Difficile sapere a cosa credere, di questi tempi» borbottò Dirk.
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«Io conosco Harry Potter» intervenne Dean. «E penso che lui lo sia davvero... il Prescelto, o come preferite chiamarlo».
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«Sì, c'È un sacco di gente che vorrebbe crederlo, figliolo» ribatté Dirk, «me compreso. Ma dov'È? è scappato, a quanto pare. Insomma, se sapesse qualcosa che noi non sappiamo o avesse in mente qualcosa di speciale, sarebbe a combattere, a organizzare la resistenza, invece di nascondersi. E il Profeta è stato piuttosto convincente contro di lui...»
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«Il Profeta?» esclamò Ted, sarcastico. «Se leggi ancora quelle schifezze meriti solo bugie, Dirk. Se vuoi i fatti, prova Il Cavillo».
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Un'improvvisa esplosione di tosse e conati, accompagnati da un bel po' di colpi: Dirk doveva aver ingoiato una lisca. Infine riuscì a farfugliare: «Il Cavillo? Quel fogliaccio pazzoide di Xeno Lovegood?»
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«Non è poi tanto pazzoide di questi tempi» ribatté Ted. «Dovresti dargli un'occhiata. Xeno pubblica tutta la roba che il Profeta ignora, nell'ultimo numero non c'era nemmeno una riga sui Ricciocorni Schiattosi. Per quanto tempo glielo lasceranno fare, non lo so. Ma Xeno dice, in prima pagina su ogni singolo numero, che qualunque mago sia contro Voi-Sapete-Chi dovrebbe cercare di aiutare Harry Potter».
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«Difficile aiutare un ragazzo che è sparito dalla faccia della terra» osservò Dirk.
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«Senti, il fatto che non l'abbiano ancora preso è già un risultato eccezionale» replicò Ted. «Vorrei che mi desse qualche dritta. è quello che stiamo cercando di fare, restare in libertà, no?»
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«Sì, be', su questo hai ragione» ammise Dirk in tono grave. «Fra tutto il Ministero e i suoi informatori sulle sue tracce, pensavo che l'avessero già preso. Ma chi ci dice che non l'abbiano già catturato e ucciso senza diffondere la notizia?»
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«Ah, non dire così, Dirk» mormorò Ted.
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Per un lungo periodo si udì soltanto il tintinnio dei coltelli e delle forchette. Quando ripresero a parlare, fu per stabilire se dormire sulla riva o
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risalire l'argine. Decisero che gli alberi li avrebbero riparati di più, spensero il fuoco e si arrampicarono su per il pendio. Le loro voci svanirono in lontananza.
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Harry, Ron e Hermione riavvolsero le Orecchie Oblunghe. Harry, che origliando aveva fatto molta fatica a restare zitto, ora non riusciva a dire altro che «Ginny... la spada...»
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«Ci sono!» esclamò Hermione.
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Afferrò la borsetta di perline e questa volta vi infilò il braccio fino all'ascella.
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«Ecco... qui» mormorò a denti stretti tirando fuori qualcosa che evidentemente si trovava sul fondo. Sbucò il bordo di un'elaborata cornice. Harry si affrettò ad aiutarla. Liberarono il ritratto vuoto di Phineas Nigellus; Hermione teneva la bacchetta puntata contro il quadro, pronta a scagliare un incantesimo.
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«Se qualcuno ha scambiato la spada vera con quella falsa quando si trovava nello studio di Silente» ansimò, mentre appoggiavano il dipinto alla parete della tenda, «Phineas Nigellus dovrebbe averlo visto, è appeso proprio accanto alla teca!»
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«A meno che non stesse dormendo» obiettò Harry, ma trattenne il respiro quando Hermione s'inginocchiò davanti alla tela vuota, la bacchetta puntata sul centro, si schiarì la voce e chiamò: «Ehm... Phineas? Phineas Nigellus?»
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Non successe nulla.
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«Phineas Nigellus?» ripeté Hermione. «Professor Black? Possiamo parlarle, per favore? Per favore?»
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«Un 'per favore' apre mille porte» sentenziò una voce fredda e sprezzante, e Phineas Nigellus scivolò dentro il ritratto. Hermione gridò subito: «Obscuro!»
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Una benda nera coprì gli occhi scuri e intelligenti di Phineas Nigellus, facendolo cozzare contro la cornice e strillare di dolore.
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«Cosa... come osate... che cosa...?»
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«Mi spiace molto, professor Black» si scusò Hermione, «ma è una precauzione necessaria!»
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«Togliete subito questa sudicia aggiunta! Toglietela, vi dico! State rovinando una grande opera d'arte! Dove sono? Che cosa succede?»
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«Non importa dove siamo» intervenne Harry, e Phineas Nigellus s'immobilizzò, cessando ogni tentativo di togliersi la benda.
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«Odo forse la voce dell'elusivo signor Potter?»
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«Può darsi» rispose Harry, sapendo che così avrebbe mantenuto vivo l'interesse di Nigellus. «Abbiamo un paio di domande da farle... sulla spada di Grifondoro».
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«Ah» fece Phineas Nigellus, girando la testa da un lato e dall'altro sperando di scorgerlo, «sì. Quella sciocca ragazza si è comportata in modo assai dissennato...»
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«Non parli così di mia sorella» lo interruppe Ron in tono rude. Phineas Nigellus inarcò le sopracciglia, sprezzante.
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«Chi altri è qui?» chiese, voltando ancora la testa. «Il tuo tono mi irrita! La ragazza e i suoi amici sono stati estremamente sconsiderati. Rubare al Preside!»
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«Non stavano rubando» precisò Harry. «Quella spada non è di Piton».
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«Appartiene alla scuola del professor Piton» ribatté Phineas Nigellus. «Quale diritto può vantare su di essa quella Weasley, di grazia? Si è meritata la punizione, come quel gonzo di Paciock e quella svitata della Lovegood!»
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«Neville non è un gonzo e Luna non è una svitata!» protestò Hermione.
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«Dove mi trovo?» ripeté Phineas Nigellus, ricominciando ad armeggiare con la benda. «Dove mi avete portato? Perché mi avete rimosso dalla casa dei miei antenati?»
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«Non ha importanza! Che punizione ha scelto Piton per Ginny, Neville e Luna?»
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«Il professor Piton li ha spediti nella Foresta Proibita a fare del lavoro per l'idiota, Hagrid».
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«Hagrid non è un idiota!» strillò Hermione.
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«E Piton avrà pensato che fosse una punizione» aggiunse Harry, «ma Ginny, Neville e Luna probabilmente si sono fatti quattro risate con Hagrid. La Foresta Proibita... hanno affrontato cose ben peggiori della Foresta Proibita, sai che roba!»
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Era sollevato; si era immaginato una sfilza di orrori, la Maledizione Cruciatus come minimo.
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«Quello che volevamo davvero sapere, professor Black, è se qualcun altro ha, ehm, mai preso la spada. Magari per pulirla, o... una cosa così?»
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Phineas Nigellus smise di nuovo di contorcersi e sogghignò.
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«Questi figli di Babbani...» commentò. «Le armi forgiate dai folletti non hanno bisogno di manutenzione, sciocca ragazza. L'argento dei folletti respinge il volgare sporco, assorbe solo ciò che lo fortifica».
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«Non dia della sciocca a Hermione» intervenne Harry.
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«Tutte queste contestazioni mi stancano» osservò Phineas Nigellus. «Forse è ora che torni nello studio del Preside».
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Ancora bendato, tastò il lato della cornice, cercando l'uscita dal quadro per tornare in quello appeso a Hogwarts. Harry ebbe un'ispirazione improvvisa.
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«Silente! Non può portarci Silente?»
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«Prego?» fece Phineas Nigellus.
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«Il ritratto del professor Silente... non può portarlo qui, dentro il suo?» Phineas Nigellus rivolse il viso verso la voce di Harry.
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«Evidentemente non solo i figli dei Babbani sono ignoranti, Potter. I ritratti di Hogwarts possono comunicare l'uno con l'altro, ma non possono uscire dal castello se non per far visita a un ritratto gemello appeso in un altro luogo. Silente non può venire qui con me e, dopo il trattamento che mi avete riservato, posso garantirvi che nemmeno io tornerò a farvi visita!»
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Mortificato, Harry osservò Phineas raddoppiare gli sforzi per abbandonare la cornice.
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«Professor Black» tentò Hermione, «potrebbe dirci soltanto, per favore, quando è stata l'ultima volta che la spada è stata tolta dalla sua teca? Prima che la prendesse Ginny, cioÈ?»
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Phineas sbuffò d'impazienza.
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«Credo che l'ultima volta che ho visto la spada di Grifondoro uscire dalla sua teca sia stato quando il professor Silente l'ha usata per spezzare un anello».
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Hermione si voltò di scatto verso Harry. Nessuno dei due osò aggiungere nulla davanti a Phineas Nigellus, che finalmente aveva trovato l'uscita.
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«Be', buonanotte a voi» concluse, un po' stizzito, e si avviò. Solo l'orlo della tesa del suo cappello era ancora in vista quando Harry urlò.
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«Aspetti! Ha detto a Piton quello che ha visto?»
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La faccia bendata di Phineas Nigellus fece di nuovo capolino nel quadro. «Il professor Piton ha cose più importanti a cui pensare che alle molte stravaganze di Albus Silente. Addio, Potter!»
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E con questo sparì, lasciandosi alle spalle solo lo sfondo color fango. «Harry!» gridò Hermione.
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«Lo so!» urlò lui in risposta. Incapace di trattenersi, prese a pugni l'aria: era più di quanto avesse osato sperare. Si mise a camminare su e giù per la tenda: sentiva che avrebbe potuto correre per un chilometro; non aveva nemmeno più fame. Hermione stava pigiando di nuovo il ritratto nella bor
sa di perline; chiuso il fermaglio, la gettò di lato e alzò il volto radioso verso Harry.
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«La spada può distruggere gli Horcrux! Le lame forgiate dai folletti assorbono solo ciò che le fortifica... Harry, quella spada è impregnata di veleno di Basilisco!»
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«E Silente non me l'ha data perché ne aveva ancora bisogno, voleva usarla per aprire il medaglione...»
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«... e deve aver capito che non te l'avrebbero lasciata se l'avesse messa nel testamento...»
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«... così ha fatto una copia...»
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«... e ha messo quella falsa nella teca...»
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«... e quella vera... dove?»
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Si guardarono; Harry sentiva che la risposta penzolava invisibile sopra di loro, tentatrice e vicina. Perché Silente non gliel'aveva detto? O invece gliel'aveva detto, ma Harry non aveva capito?
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«Rifletti!» sussurrò Hermione. «Rifletti! Dove avrebbe potuto lasciarla?»
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«Non a Hogwarts» rispose Harry, riprendendo la marcia.
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«Da qualche parte a Hogsmeade?» suggerì Hermione.
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«Nella Stamberga Strillante?» propose Harry. «Non ci entra mai nessuno».
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«Ma Piton sa come fare, non sarebbe rischioso?»
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«Silente si fidava di Piton» le ricordò Harry.
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«Non abbastanza da dirgli che aveva scambiato le spade».
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«Hai ragione!» esclamò Harry; e si sentì ancora più lieto al pensiero che
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Silente avesse qualche riserva, per quanto labile, su Piton. «Allora avrà nascosto la spada ben lontano da Hogsmeade! Cosa ne dici, Ron? Ron!»
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Harry si guardò intorno. Per uno sconcertante momento pensò che Ron fosse uscito dalla tenda, poi si accorse che era disteso nell'ombra nel letto in basso, impietrito.
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«Ah, ti sei ricordato di me, vedo» disse.
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«Cosa?»
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Ron sbuffò e fissò il lato inferiore del letto sopra di lui.
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«Continuate pure, voi due. Non vorrei rovinarvi il piacere».
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Sbalordito, Harry fissò Hermione in cerca di aiuto, ma lei scosse il capo, evidentemente perplessa quanto lui.
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«Che problema c'È?» chiese Harry.
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«Problema? Nessun problema» rispose Ron, evitando ancora il suo
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sguardo. «Non secondo te, almeno».
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Sulla tela sopra le loro teste si udirono delle gocce. Era cominciato a piovere.
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«Be', mi pare evidente che tu hai un problema» riprese Harry. «Spara, dai».
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Ron gettò le lunghe gambe giù dal letto e si mise a sedere. Aveva un'espressione cattiva, non da lui.
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«D'accordo, sparo. Non aspettarti che io salti su e giù per la tenda perché abbiamo un'altra maledetta cosa da cercare. Aggiungila alla lista delle cose che non sai, e falla finita».
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«Che non so?» ripeté Harry. «Che non so?»
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Plunc, plunc, plunc: la pioggia cadeva più fitta e pesante sul terreno coperto di foglie intorno a loro e dentro il fiume, battendo nel buio. La paura spense l'esultanza di Harry: Ron stava dicendo proprio quello che lui aveva sospettato e temuto che pensasse.
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«Non è che non mi stia divertendo da pazzi, qui» continuò Ron, «sai, tra il braccio maciullato, niente da mangiare, e il sedere gelato tutte le notti. Speravo solo, ecco, che dopo settimane che giriamo in tondo magari avremmo ottenuto qualche risultato».
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«Ron» mormorò Hermione, ma così piano che Ron poté far finta di non averla sentita sopra il tambureggiare della pioggia sulla tenda.
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«Credevo che sapessi a che cosa andavi incontro» rispose Harry.
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«Sì, lo credevo anch'io».
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«Allora che cosa non è all'altezza delle tue aspettative?» domandò
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Harry. La rabbia lo stava caricando. «Credevi che avremmo dormito in alberghi a cinque stelle? Che avremmo trovato un Horcrux ogni due giorni? Credevi che saresti tornato da mammina per Natale?»
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«Pensavamo che tu sapessi cosa stavi facendo!» gridò Ron, alzandosi, e le sue parole trafissero Harry come pugnali roventi. «Pensavamo che Silente ti avesse dato delle istruzioni, pensavamo che avessi un vero piano!»
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«Ron!» La voce di Hermione questa volta si udì forte e chiara sopra la pioggia; ma lui la ignorò di nuovo.
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«Be', mi spiace di avervi deluso» ribatté Harry con voce calma, anche se si sentiva vuoto, inadeguato. «Sono stato sincero con voi fin dall'inizio, vi ho detto tutto quello che mi aveva detto Silente. E nel caso non te ne sia accorto, abbiamo trovato un Horcrux...»
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«Certo, e da un momento all'altro ce ne sbarazzeremo e troveremo gli altri... aspetta e spera!»
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«Togliti il medaglione, Ron» disse Hermione a voce insolitamente acuta. «Per favore, toglilo. Non parleresti così se non l'avessi tenuto addosso tutto il giorno».
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«Sì che lo farebbe» intervenne Harry, che non voleva accettare attenuanti per Ron. «Credi che non mi sia accorto che mi parlate dietro le spalle? Credi che non abbia capito che lo pensate davvero?»
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«Harry, noi non...»
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«Non mentire!» la aggredì Ron. «L'hai detto anche tu, hai detto che eri delusa, hai detto che pensavi che avesse qualche idea in più...»
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«Non ho detto questo... Harry, non l'ho detto!» strillò lei.
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La pioggia martellava sulla tela, le lacrime cadevano sul volto di Hermione, e l'entusiasmo di qualche momento prima era svanito come se non ci fosse mai stato, un effimero fuoco d'artificio che era esploso e si era spento, lasciando tutto buio, freddo e bagnato. La spada di Grifondoro era nascosta chissà dove, loro erano solo tre ragazzi in una tenda e l'unico risultato che avevano ottenuto era di non essere morti, per ora.
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«E perché sei ancora qui?» chiese Harry a Ron.
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«Non ne ho idea» rispose Ron.
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«Allora vattene a casa».
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«Sì, forse ci vado!» urlò Ron, facendo qualche passo verso Harry, che non arretrò. «Non hai sentito che cosa hanno detto di mia sorella? Ma per te conta come un peto di topo, vero, è solo la Foresta Proibita, Harry Neho-Viste-di-Peggio Potter se ne frega di cosa le succede là dentro, be', a me invece importa, va bene, ragni giganti e altre pazzie...»
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«Stavo solo dicendo... era con gli altri, erano con Hagrid...»
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«... sì, ho capito, te ne sbatti! E il resto della mia famiglia? 'Ci manca solo che i Weasley abbiano un altro figlio ferito', hai sentito?»
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«Sì, io...»
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«Non ti sei chiesto cosa significava, vero?»
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«Ron!» intervenne Hermione. «Secondo me non significa che è successo qualcosa di nuovo che non sappiamo; pensa, Ron: Bill è già stato sfregiato, un sacco di gente avrà visto George senza un orecchio, ormai, e tu in teoria stai morendo di spruzzolosi, sono sicura che intendeva questo...»
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«Ah, sei sicura, eh? Bene, allora non ci penso più. Voi due siete tranquilli, coi genitori al sicuro...»
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«I miei genitori sono morti!» tuonò Harry.
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«E i miei potrebbero finire allo stesso modo!» gridò Ron.
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«Allora VAI!» ruggì Harry. «Torna da loro, fai finta di guarire dalla
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spruzzolosi e mammina potrà rimpinzarti e...»
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Ron fece un gesto improvviso; Harry reagì, ma prima che sfoderassero le bacchette Hermione levò la sua.
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«Protego!» gridò, e uno scudo invisibile si dilatò tra lei e Harry da una parte e Ron dall'altra; tutti e tre furono costretti a indietreggiare dalla forza dell'incantesimo e Harry e Ron si scambiarono sguardi feroci dai due lati della barriera trasparente, come se per la prima volta si vedessero davvero. Harry provava un odio bruciante per Ron: qualcosa si era rotto tra loro.
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«Lascia qui l'Horcrux» ordinò Harry.
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Ron si tolse la catena e gettò il medaglione su una sedia. Si rivolse a Hermione.
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«Tu cosa fai?»
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«Cosa vuoi dire?»
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«Resti o cosa?»
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«Io...» Era a pezzi. «Sì... sì, io resto, Ron, avevamo detto che saremmo andati con Harry, che l'avremmo aiutato...»
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«Capito. Scegli lui».
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«Ron, no... ti prego... torna indietro, torna indietro!»
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Era bloccata dal suo stesso Sortilegio Scudo; quando l'ebbe rimosso,
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Ron era già corso via nella notte. Harry rimase immobile, in silenzio, ad ascoltarla singhiozzare e chiamare Ron tra gli alberi.
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Dopo un po' lei tornò, i capelli zuppi incollati al volto.
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«È... an-an-andato! Si è Smaterializzato!»
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Si gettò su una sedia, si raggomitolò e pianse.
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Harry era stordito. Si chinò, raccolse l'Horcrux e se lo mise al collo. Prese una coperta dal letto di Ron e la gettò su Hermione. Poi si arrampicò al suo posto e rimase a fissare lo scuro tetto di tela, ascoltando il ticchettio della pioggia.
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