«Quante volte siamo entrati in quel bagno e lei era appena a tre gabinetti di distanza!» disse Ron con amarezza la mattina dopo a colazione. «E pensare che avremmo potuto chiedere a lei, mentre ora…»
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Era già stata un’ardua impresa seguire i ragni. Ma sfuggire alla sorveglianza degli insegnanti per intrufolarsi nel bagno delle ragazze, che per giunta era vicino al luogo della prima aggressione, sarebbe stato quasi impossibile.
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Ma durante la prima lezione del mattino, quella di Trasfigurazione, accadde qualcosa che, per la prima volta da settimane, gli fece passare di mente la Camera dei Segreti. A dieci minuti dall’inizio della lezione, la professoressa McGranitt annunciò che gli esami avrebbero avuto inizio il primo di giugno, di lì a una settimana.
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«Esami?» gemette Seamus Finnigan. «Ancora si parla di esami?»
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Dietro a Harry si udì un gran tonfo, perché la bacchetta magica di Neville Paciock era scivolata, facendo scomparire una delle gambe del banco. La professoressa McGranitt la riparò con un sol gesto della sua e si voltò accigliata verso Seamus.
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«L’unica ragione per tenere aperta la scuola, in questo momento è che voi riceviate un’istruzione» disse inflessibile. «Gli esami si terranno quindi come di consueto, e confido che tutti vi stiate impegnando nello studio».
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Impegnare nello studio! A Harry non era mai passato neanche per la testa che in quelle condizioni ci potessero essere gli esami. La classe insorse, cosa che rese ancora più inflessibile la professoressa McGranitt.
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«Le istruzioni del professor Silente sono di mantenere il normale andamento della scuola» disse. «E non serve ricordarvi che ciò significa verificare quanto avete appreso quest’anno».
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Harry abbassò lo sguardo sui due conigli bianchi che avrebbe dovuto trasformare in pantofole. Che cosa aveva imparato, quell’anno? Non gli venne in mente niente che gli potesse tornare utile a un esame.
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Ron aveva l’aria abbattuta come se gli fosse stato appena comunicato che doveva andare a vivere nella foresta proibita.
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«Mi ci vedi, tu, a fare gli esami con questa?» chiese a Harry mostrando la bacchetta magica che proprio in quel momento aveva cominciato a sibilare rumorosamente.
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Mancavano tre giorni alla prima prova d’esame quando, a colazione, la professoressa McGranitt fece un altro annuncio.
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«Ho buone notizie» disse, e nella Sala Grande non solo non si fece silenzio, ma ci fu uno scoppio di gioia.
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«Torna Silente!» gridarono molti, felici.
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«Avete preso l’Erede di Serpeverde!» squittì una ragazza al tavolo dei Tassorosso.
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«Ricominciano le partite di Quidditch!» tuonò Baston saltando sulla sedia.
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Quando il baccano si fu placato la professoressa McGranitt disse: «La collega Sprite mi ha informato che le mandragole sono finalmente pronte per essere raccolte. Stanotte saremo in grado di rianimare le persone che sono state pietrificate. Inutile ricordarvi che una di loro potrebbe essere in grado di dirci chi, o che cosa, li ha aggrediti. Ho la speranza che quest’anno tremendo si concluderà con la cattura del colpevole».
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Ci fu un’esplosione di applausi. Harry lanciò un’occhiata al tavolo dei Serpeverde e non fu affatto sorpreso nel constatare che Draco Malfoy non si era unito al tripudio. Ron, invece, sembrava felice come non lo vedeva da molti giorni.
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«Allora non importa se non abbiamo mai interrogato Mirtilla!» disse a Harry. «Quando la risveglieranno, Hermione avrà probabilmente tutte le risposte. Tieni presente che quando scoprirà che fra tre giorni ci sono gli esami le prenderà una crisi di nervi. Non ha fatto il ripasso. Forse sarebbe più gentile lasciarla dov’è fino a che non finiscono».
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Proprio in quel momento, Ginny Weasley si avvicinò e andò a sedersi accanto a Ron. Aveva l’aria tesa e nervosa, e Harry notò che si tormentava le mani in grembo.
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«Che succede?» chiese Ron servendosi un’altra porzione di porridge.
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Ginny non rispose, ma passò in rassegna tutta la tavolata dei Grifondoro con uno sguardo spaventato che a Harry ricordò qualcuno, ma non sapeva dire chi.
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«Sputa il rospo» disse Ron fissandola.
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Tutt’a un tratto Harry si ricordò a chi assomigliava Ginny. Si stava dondolando impercettibilmente avanti e indietro sulla sedia, proprio come faceva Dobby quando era lì lì per rivelare un segreto.
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«Devo dirvi una cosa» balbettò Ginny, ben attenta a non guardare Harry.
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«Di che si tratta?»
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Sembrava che la ragazzina non riuscisse a trovare le parole giuste.
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«Allora?» incalzò Ron.
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Ginny aprì bocca, ma non ne uscì alcun suono. Harry si piegò in avanti e parlò sottovoce, in modo che solo Ginny e Ron potessero udirlo.
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«È qualcosa che riguarda la Camera dei Segreti? Hai visto qualcosa? O qualcuno che si comportava in maniera strana?»
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Ginny fece un respiro profondo ma proprio in quel momento apparve Percy Weasley, pallido e stanco.
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«Se hai finito di mangiare mi siedo al tuo posto, Ginny. Sto morendo di fame. Ho appena terminato il mio turno di sorveglianza».
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Ginny saltò su come se nella sedia fosse passata la corrente elettrica, lanciò di sfuggita a Percy un’occhiata spaventata e se la diede a gambe. Percy si sedette e prese una tazza dal centro del tavolo.
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«Percy!» disse Ron arrabbiato. «Stava per dirci qualcosa di importante!»
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A Percy andò di traverso un sorso di tè.
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«Che genere di cosa?» chiese tossendo.
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«Le avevo appena chiesto se aveva visto niente di strano e lei aveva cominciato a dire…»
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«Oh… quello… quello non ha niente a che fare con la Camera dei Segreti» disse prontamente Percy.
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«E tu che ne sai?» chiese Ron alzando le sopracciglia.
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«Be’… ehm… se proprio volete saperlo, Ginny… ehm… è entrata mentre io stavo… be’, fa niente… il fatto è che mi ha visto mentre stavo facendo una cosa e io… ehm… le ho chiesto di non dirlo a nessuno. Devo dire che pensavo che avrebbe mantenuto la parola. In realtà non è niente, preferirei…»
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Harry non aveva mai visto Percy così a disagio.
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«Che cosa stavi facendo, Percy?» disse Ron sorridendo. «Dài, diccelo, ti prometto che non rideremo».
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Percy non ricambiò il sorriso.
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«Passami quei panini, Harry, sto morendo di fame!»
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Harry sapeva bene che tutto il mistero avrebbe potuto essere risolto l’indomani, senza il loro contributo, ma non intendeva rinunciare a parlare con Mirtilla. L’occasione si presentò a metà mattinata, mentre l’intera classe si recava, accompagnata da Gilderoy Allock, alla lezione di Storia della Magia.
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Allock, che tanto spesso li aveva rassicurati che ogni pericolo era svanito per essere smentito sempre un attimo dopo, ora era fermamente convinto che non valesse la pena di accompagnarli lungo i corridoi per proteggerli. I suoi capelli non erano impeccabili come al solito; sembrava fosse rimasto in piedi tutta la notte a fare la ronda al quarto piano.
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«Ricordatevi bene quel che vi dico» annunciò quando ebbero svoltato un angolo, «le prime parole che usciranno dalla bocca di quei poveri esseri pietrificati saranno: è stato Hagrid. Francamente, mi meraviglio che la professoressa McGranitt ritenga necessario tutte queste misure di sicurezza».
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«Sono d’accordo con lei, signore» disse Harry lasciando Ron talmente di stucco che gli caddero di mano tutti i libri.
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«Grazie, Harry» disse Allock affabilmente mentre aspettavano che passasse una lunga fila di Tassorosso. «Voglio dire, noi insegnanti abbiamo già abbastanza da fare senza dover accompagnare gli studenti in classe e montare la guardia tutta la notte».
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«Giusto» commentò Ron che stavolta aveva capito. «Perché non ci lascia qui, signore? Ci è rimasto un solo corridoio da percorrere».
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«Lo sai, Weasley? Credo proprio che farò così» disse Allock. «Devo andare a preparare la mia prossima lezione».
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E si allontanò in tutta fretta.
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«Sì, proprio a preparare la lezione!» gli sogghignò dietro Ron. «lo dico che è andato a mettersi i bigodini».
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Lasciarono che i compagni li superassero, poi sgusciarono svelti lungo un passaggio laterale in direzione del bagno di Mirtilla Malcontenta. Ma proprio mentre si stavano congratulando a vicenda per il piano astuto che avevano escogitato…
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«Potter! Weasley! Che cosa state facendo?»
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Era la professoressa McGranitt e le sue labbra erano sottili e taglienti come non mai.
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«Stavamo… stavamo…» balbettò Ron. «Stavamo andando… a trovare…»
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«…a trovare Hermione» si affrettò a concludere Harry. Ron e la McGranitt lo fissarono.
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«Sono secoli che non la vediamo, professoressa» proseguì Harry precipitosamente, mollando un pestone a Ron, «e… be’… pensavamo di sgattaiolare in infermeria per andarle a dire che le mandragole sono quasi pronte, e… ehm… di non preoccuparsi».
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La McGranitt continuava a fissarlo, e per un istante Harry pensò che era sul punto di esplodere; ma quando parlò la sua voce aveva una strana tonalità gutturale.
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«Ma certo» disse, e con grande stupore di Harry nei suoi piccoli occhi lucenti spuntò una lacrima. «Certo, mi rendo conto che chi ha sofferto di più sono gli amici dei ragazzi che sono stati… Capisco benissimo. Si, Potter, certo che potete andare a trovare la signorina Granger. Lo dirò io al professor Rüf. Dite a Madama Chips che il permesso ve l’ho dato io».
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Harry e Ron si allontanarono, non osando ancora credere di avere scampato una punizione. Quando ebbero girato l’angolo udirono distintamente la McGranitt soffiarsi il naso.
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«È la panzana migliore che potevi inventarti» disse Ron calorosamente.
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Ora non avevano scelta: dovevano andare in infermeria e dire a Madama Chips che avevano il permesso della McGranitt di far visita a Hermione.
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Anche se con una certa riluttanza, Madama Chips li fece entrare.
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«In realtà non ha senso parlare a una persona pietrificata» disse, e quando i due ragazzi si furono seduti accanto a Hermione, dovettero ammettere che aveva ragione. Era chiaro che la ragazza non aveva il minimo sentore che qualcuno fosse venuto a trovarla e che se avessero detto al comodino di non preoccuparsi sarebbe stata la stessa cosa.
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«Chissà se ha visto chi l’ha aggredita?» chiese Ron fissando tristemente il volto rigido della ragazza. «Perché se si è avvicinato a tutti di soppiatto, nessuno saprà mai…»
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Ma Harry non fissava il viso di Hermione. Era più interessato a osservare la sua mano destra, che giaceva inerte e serrata sopra le coperte. Chinandosi per vedere meglio, scorse un pezzetto di carta appallottolato nel pugno.
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Si accertò che Madama Chips non fosse nei paraggi e lo indicò a Ron.
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«Cerca di sfilarglielo di mano» sussurrò lui, spostando la sedia in modo da chiudere la visuale a madama Chips.
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Non fu facile. La mano di Hermione era talmente serrata attorno a quel bigliettino che a un certo punto Harry temette di strapparlo. Mentre Ron montava la guardia Harry tirò e spinse finché, dopo parecchi minuti di tensione, riuscì a estrado.
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Era una pagina strappata da un vecchio volume della biblioteca. Eccitato, Harry la lisciò e Ron si avvicinò per leggere a sua volta.
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Dei molti, spaventosi animali e mostri che popolano la nostra terra, nessuno è più insolito e micidiale del Basilisco, noto anche come il Re dei Serpenti. Questo serpente, che può raggiungere dimensioni gigantesche e che vive molte centinaia di anni, nasce da un uovo di gallina covato da un rospo. Esso uccide in modo portentoso: oltre alle zanne, che contengono un potente veleno, anche lo sguardo del Basilisco provoca morte istantanea. I ragni fuggono davanti al Basilisco, perché è il loro nemico mortale e il Basilisco fugge solo quando ode il canto del gallo, che gli è fatale.
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In calce c’era scritta una sola parola, con una calligrafia che Harry riconobbe per quella di Hermione: Tubazioni.
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Fu come se gli si fosse accesa una lampadina nel cervello.
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«Ron» ansimò, «ecco quello che cercavamo. Questa è la risposta. Il mostro nella Camera è un Basilisco… un serpente gigante. Ecco perché sentivo quella voce dappertutto e nessun altro poteva udirla. È perché io capisco il Serpentese».
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Poi alzò lo sguardo verso gli altri letti.
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«Il Basilisco uccide le persone con lo sguardo. Ma nessuno era morto… perché nessuno l’ha guardato dritto negli occhi. Colin lo ha visto attraverso l’obbiettivo della macchina fotografica. Lo sguardo del Basilisco gli ha bruciato la pellicola, ma Colin è rimasto soltanto pietrificato. Justin… Justin deve aver visto il Basilisco attraverso Nick-Quasi-Senza-Testa! Nick ne è stato investito in pieno, ma non poteva mica morire di nuovo… e accanto a Hermione e all’altra ragazza, il Prefetto dei Corvonero, è stato trovato uno specchio. Hermione aveva capito che il mostro era un Basilisco. Sono pronto a scommettere che ha avvertito la prima persona che ha incontrato di non girare un angolo senza prima averci guardato dietro con uno specchio! Così quella ragazza ha tirato fuori lo specchietto… e…»
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Ron se ne stava lì a bocca aperta.
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«E Mrs Purr?» sussurrò eccitato.
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Harry rimase a lungo soprappensiero, cercando di figurarsi la scena della notte di Halloween.
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«L’acqua…» disse lentamente. «L’acqua che veniva giù dal gabinetto di Mirtilla Malcontenta. Scommetto che Mrs Purr ha visto soltanto il riflesso…»
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Rilesse con foga la pagina che aveva in mano. Più la guardava, più capiva.
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«Il canto del gallo gli è fatale» lesse ad alta voce. «I galli di Hagrid sono stati uccisi! Una volta aperta la Camera, l’Erede di Serpeverde non ne voleva vedere neanche uno intorno al castello! I ragni fuggono davanti a lui! Torna tutto!»
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«Ma come ha fatto il Basilisco ad arrivare fin qui?» chiese Ron. «Un orrendo serpente gigante… Qualcuno avrebbe potuto vederlo…»
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Ma Harry indicò la parola che Hermione aveva scarabocchiato in fondo alla pagina.
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«Tubazioni» disse. «Tubazioni… Ron, ha usato l’impianto idraulico. La sua voce io l’ho sentita dentro i muri…»
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Tutt’a un tratto, Ron afferrò Harry per un braccio.
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«L’ingresso alla Camera dei Segreti!» disse con voce roca. «E se fosse in un gabinetto? Se fosse nel…»
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«…nel gabinetto di Mirtilla Malcontenta» completò Harry.
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Rimasero lì seduti, percorsi da un fremito di emozione, quasi increduli.
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«Ciò significa» disse Harry, «che qui a scuola io non sono l’unico Rettilofono. Anche l’Erede di Serpeverde lo è. Ecco come ha tenuto sotto controllo il Basilisco».
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«E adesso cosa facciamo?» chiese Ron con gli occhi lucenti di eccitazione. «Andiamo difilato a dirlo alla McGranitt?»
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«Andiamo nella sala dei professori» propose Harry balzando in piedi. «Lei ci sarà fra una diecina di minuti. È quasi l’ora della ricreazione».
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Fecero le scale di corsa. Poiché non volevano essere scoperti a bighellonare in un altro corridoio, s’infilarono direttamente nella sala dei professori, che era deserta. Era una stanza grande, rivestita di legno, piena di sedie, anch’esse di legno scuro. Harry e Ron passeggiarono avanti e indietro, troppo eccitati per sedersi.
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Ma la campanella della ricreazione non suonò mai.
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Al suo posto si udì la voce della professoressa McGranitt rimbombare per tutti i corridoi, amplificata per magia.
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«Tutti gli studenti tornino immediatamente nei loro dormitori. Tutti gli insegnanti tornino nella sala professori. Immediatamente, per favore».
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Harry si girò a guardare Ron.
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«Non mi dire che c’è stato un altro attentato. Non ora!»
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«Che cosa facciamo?» chiese Ron atterrito. «Torniamo al dormitorio?»
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«No» rispose Harry guardandosi intorno. Alla sua sinistra c’era un brutto armadio, dove erano appesi i mantelli degli insegnanti. «Entriamo là dentro. Sentiamo di che cosa si tratta. Poi diremo quello che abbiamo scoperto».
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Si nascosero; sopra la loro testa sentirono il trambusto di centinaia di piedi; poi la porta della sala venne spalancata. Spiando attraverso le pieghe ammuffite dei mantelli, i due ragazzi videro entrare gli insegnanti. Alcuni avevano l’aria perplessa, altri apparivano decisamente spaventati. Infine arrivò la professoressa McGranitt.
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«È accaduto l’inevitabile» disse agli insegnanti ammutoliti. «Una studentessa è stata rapita. Il mostro l’ha portata direttamente nella Camera».
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Il professor Vitious si lasciò sfuggire un grido soffocato. La professoressa Sprite si serrò le mani contro la bocca. Piton afferrò lo schienale di una sedia e chiese: «Come fai a esserne tanto sicura?»
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«L’Erede dei Serpeverde ha lasciato un altro messaggio» disse la professoressa McGranitt pallidissima. «Proprio sotto al primo. Il suo scheletro giacerà nella Camera, per sempre».
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Il professor Vitious scoppiò in lacrime.
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«Di chi si tratta?» chiese Madama Bumb, cui si erano piegate le ginocchia e che si era accasciata su una sedia. «Chi è la ragazza?»
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«Ginny Weasley» disse la professoressa McGranitt.
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Al suo fianco, Harry sentì Ron afflosciarsi lungo la parete dell’armadio.
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«Domani dovremo rimandare a casa tutti gli studenti» disse la McGranitt. «Questo segna la fine di Hogwarts. Silente ha sempre detto…»
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La porta della sala professori si spalancò un’altra volta. Per un folle momento, Harry fu certo che fosse Silente. E invece era Allock, raggiante.
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«Scusate tanto… mi ero addormentato… che cosa mi sono perso?»
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Non si accorse nemmeno che gli altri lo squadravano quasi con odio. Piton si fece avanti.
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«Lupus in fabula!» esclamò. «Ecco la persona giusta. Una ragazza è stata rapita dal mostro, Allock, ed è stata portata proprio nella Camera dei Segreti. Finalmente è venuto il tuo momento».
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Allock impallidì.
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«È giusto, Gilderoy» intervenne la professoressa Sprite. «Non sei tu che ieri sera dicevi di avere sempre saputo quale fosse l’ingresso alla Camera dei Segreti?»
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«Io… be’… io…» farfugliò Allock.
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«Sì, proprio tu. Non eri tu che dicevi di sapere cosa c’è dentro?» saltò su Vitious con tono cantilenante.
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«Ah, sì? Non ricordo…»
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«Io ricordo con certezza che hai detto che ti dispiaceva di non aver potuto dare una lezione al mostro prima che Hagrid venisse arrestato» disse Piton. «Non sei stato tu a dire che si era fatta molta confusione e che avrebbero dovuto darti carta bianca fin dall’inizio?»
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Allock guardò a uno a uno i volti inespressivi dei suoi colleghi.
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«Ma io… io non ho mai… veramente… Forse avete capito male…»
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«Lasciamo la cosa nelle tue mani, Gilderoy» disse la professoressa McGranitt. «Stanotte sarà il momento ideale per intervenire. Provvederemo a che nessuno ti intralci. Potrai affrontare il mostro tutto da solo. Carta bianca, finalmente!»
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Allock volse attorno a sé uno sguardo disperato, ma nessuno gli venne in aiuto. Delle sue belle sembianze non restava che un’ombra stravolta. Gli tremavano le labbra, e senza il suo solito sorriso tutto denti sembrava smunto e sparuto.
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«Mo-molto bene» disse. «Va-vado nel mio studio a… a pre-e-pararmi».
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E uscì dalla stanza.
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«Bene» disse la McGranitt con le narici frementi. «E con questo ce lo siamo levato dai piedi. I Responsabili devono informare gli studenti dell’accaduto. Dite loro che l’Espresso di Hogwarts li riporterà a casa domani al più presto. Gli altri, sono pregati di accertarsi che nessuno studente sia rimasto fuori del proprio dormitorio».
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Gli insegnanti si alzarono e uscirono uno a uno.
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Per Harry quello fu forse il giorno peggiore della sua vita. Insieme a Ron, Fred e George se ne rimase seduto in un angolo della sala comune dei Grifondoro; i quattro ragazzi non riuscirono a scambiarsi neanche una parola. Percy si era assentato. Era andato a spedire un gufo ai signori Weasley e poi si era chiuso nella sua stanza.
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Quel pomeriggio sembrò eterno, e mai la torre dei Grifondoro era stata tanto affollata e al tempo stesso tanto silenziosa. Al tramonto, Fred e George se ne andarono a letto, incapaci di rimanere lì seduti un attimo di più.
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«Lei sapeva qualcosa, Harry» disse Ron parlando per la prima volta da quando si erano infilati nell’armadio della sala dei professori. «Per questo è stata rapita. Non si trattava neanche lontanamente di Percy: aveva scoperto qualcosa sulla Camera dei Segreti. Deve essere questo il motivo per cui è stata…» Ron si strofinò energicamente gli occhi. «Voglio dire, lei era una purosangue. Non può esserci altra ragione».
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Harry guardava il sole rosso sangue sparire lentamente all’orizzonte. Non si era mai sentito così infelice. Se solo avessero potuto fare qualcosa. Qualsiasi cosa.
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«Harry» chiese Ron, «pensi che ci sia qualche probabilità che Ginny non sia… hai capito, no…?»
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Harry non sapeva cosa rispondergli. Non vedeva come Ginny potesse essere ancora viva.
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«Sai una cosa?» disse Ron. «Credo che dovremmo scendere da Allock. Dirgli quel che sappiamo. Lui sta per entrare nella Camera. Possiamo dirgli dove crediamo che si trovi e che dentro c’è un Basilisco».
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Siccome Harry non riusci a pensare a niente di meglio e voleva disperatamente avere qualcosa da fare, acconsentì. Intorno a loro, gli altri Grifondoro erano così tristi e sconsolati e talmente dispiaciuti per i Weasley che nessuno cercò di fermarli quando si alzarono, attraversarono la sala e uscirono passando per il buco del ritratto.
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Scendeva il buio mentre si avviavano verso l’ufficio di Allock. Da fuori si sentiva un grande affaccendarsi. I ragazzi udirono stropiccii, colpi e un frettoloso andirivieni.
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Quando Harry bussò, all’interno cadde un improvviso silenzio. Poi la porta venne socchiusa di pochi millimetri e i due ragazzi videro uno degli occhi di Allock che sbirciava attraverso la fessura.
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«Oh… signor Potter… signor Weasley…» disse aprendo un po’ di più. «In questo momento sono piuttosto indaffarato. Se volete fare in fretta…»
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«Professore, abbiamo alcune informazioni da darle» disse Harry. «Pensiamo che potrebbero esserle utili».
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«Ehm… be’… non è proprio tanto…» Il lato della faccia di Allock che rimaneva visibile sembrava molto a disagio. «Voglio dire… be’… e va bene».
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Aprì la porta e i ragazzi entrarono.
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Il suo ufficio era quasi del tutto smantellato. Per terra c’erano due grossi bauli spalancati. In uno, ripiegati in fretta, c’erano abiti di tutti i colori: verde giada, lilla, blu notte. Nell’altro erano ammonticchiati alla rinfusa dei libri. Le fotografie che avevano ricoperto le pareti erano stipate dentro alcune scatole appoggiate sulla scrivania.
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«Sta andando da qualche parte?» chiese Harry.
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«Ehm… be’… sì» disse Allock staccando da dietro la porta un poster che lo raffigurava a grandezza naturale e cominciando ad arrotolarlo. «Una chiamata urgente… improrogabile… devo andare…»
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«E mia sorella?» chiese brusco Ron.
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«Ah, sì… una vera disgrazia» fu il commento di Allock, che evitò di guardarlo negli occhi mentre apriva con uno strattone un cassetto e rivoltava il contenuto in una borsa. «Nessuno se ne rammarica più di me…»
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«Ma lei è l’insegnante di Difesa contro le Arti Oscure!» esclamò Harry «Non può andarsene ora! Non con tutti questi fatti di magia nera che stanno accadendo!»
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«Be’, devo ammettere… Quando ho accettato l’incarico…» balbettò Allock che adesso stava buttando le calze sopra agli abiti, «nel mansionario non c’era proprio niente che… non mi aspettavo di…»
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«Intende dire che ha intenzione di squagliarsela?» chiese Harry incredulo. «Dopo tutto quel che ha raccontato di aver fatto nei suoi libri?»
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«I libri possono portare fuori strada» disse Allock con tono diplomatico.
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«Ma li ha scritti lei!» esclamò Harry.
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«Mio caro ragazzo» disse Allock raddrizzandosi e fissandolo con la fronte aggrottata. «Un po’ di buon senso. I miei libri non avrebbero venduto neanche la metà se la gente non avesse pensato che a fare tutte quelle cose ero stato io. A nessuno piace leggere le imprese di un mago armeno brutto e vecchio, anche se ha salvato un intero paese dai lupi mannari. La sua immagine in copertina avrebbe veramente sfigurato! Non aveva nessun gusto nel vestirsi. Quanto poi alla maga che ha messo in fuga l’anima in pena della strega Bandon, aveva il labbro leporino. Insomma, cerca di capire…»
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«E così lei si è preso il merito di quel che altri hanno fatto?» chiese Harry sempre più incredulo.
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«Harry, Harry» disse Allock scuotendo la testa con impazienza. «Non è così semplice. Non ho mica lavorato poco, sai? Ho dovuto andare a scovare queste persone. Chiedergli come erano riuscite a compiere le loro imprese. Poi ho dovuto fargli un Incantesimo di Memoria perché non ricordassero più quel che avevano fatto. Se c’è una cosa di cui vado fiero è proprio il mio Incantesimo di Memoria. No, davvero, il lavoro da fare è stato tanto, Harry. Non basta firmare autografi sui libri e distribuire foto pubblicitarie, sai? Se vuoi la fama devi essere pronto a faticare, con costanza».
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Abbassò con un tonfo il coperchio dei bauli e li chiuse a chiave.
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«Oh, vediamo» disse. «Penso di aver preso tutto. Sì. Manca una cosa sola».
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Tirò fuori la bacchetta magica e si girò verso i ragazzi.
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«Spiacente, miei cari, ma anche a voi dovrò fare un Incantesimo di Memoria. Non posso certo permettere che ve ne andiate in giro a spiattellare tutti i miei segreti. Altrimenti non venderò più neanche una copia…»
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Harry riuscì ad afferrare la propria bacchetta appena in tempo. Allock aveva sollevato in aria la sua, quando Harry gridò: «Expelliarmus!»
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Allock fu scaraventato all’indietro e cadde riverso sopra i bauli. La sua bacchetta magica piroettò in aria; Ron l’afferrò e la fece volare fuori della finestra.
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«Non avrebbe dovuto permettere che il professor Piton ci insegnasse questo incantesimo» disse Harry furibondo, scansando con un calcio il baule di Allock. Quest’ultimo levò lo sguardo su di lui, sempre più pallido e ansioso. Harry lo teneva sempre sotto tiro.
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«Che cosa volete che faccia?» chiese Allock debolmente. «Io ignoro dove si trovi la Camera dei Segreti. Non posso fare niente».
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«Lei è fortunato» disse Harry costringendolo ad alzarsi in piedi. «Noi pensiamo di sapere dove si trova. E anche quel che c’è dentro. Andiamo!»
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Spinsero Allock fuori dall’ufficio, e poi giù per la più vicina rampa di scale e lungo il corridoio dove erano esposti i messaggi fino alla porta del gabinetto di Mirtillla Malcontenta.
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Lo fecero entrare per primo. Harry notò con piacere che stava tremando.
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Mirtilla era seduta sulla cassetta dello scarico dell’ultimo gabinetto.
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«Oh, sei tu!» esclamò quando vide Harry. «Che cosa vuoi, questa volta?»
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«Chiederti come sei morta» gli rispose lui.
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In un attimo il volto di Mirtilla si trasfigurò. Era come se nessuno le avesse mai chiesto una cosa del genere e ne era lusingata.
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«Ooooh, è stato orribile!» esclamò deliziata. «È successo proprio qui dentro. Sono morta in questo cubicolo. Me lo ricordo così bene! Mi ero nascosta perché Olive Hornby mi stava prendendo in giro per via degli occhiali. La porta era chiusa a chiave e io stavo piangendo, quando ho sentito qualcuno entrare. Diceva cose strane. Credo che parlasse un’altra lingua. Era la voce di un ragazzo… e questo mi ha tratto in inganno. E cosi ho aperto la porta per dirgli di andare nel bagno dei maschi e subito dopo…» e qui la voce di Mirtilla assunse un’aria d’importanza e il suo volto divenne raggiante, «…sono morta».
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«Ma in che modo?» chiese Harry.
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«Non ne ho la più pallida idea» disse Mirtilla in tono confidenziale. «Ricordo solo di aver visto due immensi occhi gialli. È stato come se tutto il mio corpo si fermasse e poi svanisse galleggiando…» Guardò Harry con occhi sognanti. «Poi sono tornata. Ero decisa a perseguitare Olive Hornby sotto forma di fantasma, capisci? L’ho fatta pentire di avermi preso in giro per gli occhiali!»
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«In che punto, esattamente, hai visto gli occhi?» chiese Harry.
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«Da quella parte» rispose Mirtilla indicando vagamente verso lo scarico di fronte al suo gabinetto.
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Harry e Ron vi si precipitarono. Allock si teneva indietro con un’espressione di terrore indicibile.
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Sembrava uno scarico qualunque. Lo esaminarono centimetro per centimetro, dentro e fuori, compresi i tubi sottostanti. Poi, d’un tratto, Harry lo vide: inciso su uno dei rubinetti di rame c’era un piccolo serpente.
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«Quel rubinetto non ha mai funzionato» disse Mirtilla vivacemente mentre lui cercava di aprirlo.
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«Harry, di’ qualcosa in Serpentese» suggerì Ron. «Ma…» Harry si concentrò a pensare a qualcosa da dire. Le uniche volte che era riuscito a parlare quella lingua misteriosa era stato quando si era trovato davanti a un serpente vero. Fissò la piccola incisione, cercando di immaginare che fosse un serpente in carne e ossa. «Apriti!» disse.
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Poi guardò Ron, ma lui scosse la testa. «Niente» disse.
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Harry tornò a fissare il serpente, imponendosi di credere che fosse vivo. Alla luce della candela sembrava quasi che si muovesse.
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«Apriti!» ripeté.
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Questa volta le parole ebbero un suono diverso: uscirono in uno strano sibilo e subito il rubinetto brillò di una vivida luce bianca e prese a girare. Un attimo dopo il lavandino cominciò a muoversi. Sprofondò e scomparve alla vista lasciando scoperto un grosso tubo, un tubo largo abbastanza da lasciar passare un uomo.
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Harry sentì Ron trattenere il fiato e alzò gli occhi. Ora sapeva quel che doveva fare.
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«Io mi ci calo dentro» disse. Doveva farlo, specie ora che avevano trovato l’ingresso della Camera e che c’era la speranza — per quanto pallida, remota e tenue — che Ginny fosse viva.
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«Vengo con te» disse Ron.
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Ci fu una pausa.
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«Be’, mi sembra proprio che di me non ci sia bisogno» disse Allock che aveva recuperato un’ombra del suo antico sorriso. «Quasi quasi io…»
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Fece per poggiare la mano sulla maniglia della porta, ma Ron e Harry gli puntarono entrambi contro la bacchetta magica.
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«No, lei entra per primo!» ringhiò Ron.
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Pallido come un cencio e senza bacchetta, Allock si avvicinò all’apertura.
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«Ma ragazzi!» disse con un filo di voce, «ragazzi, a che cosa vi servirà tutto questo?»
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Harry lo pungolò da dietro con la bacchetta. Allock infilò le gambe nel tubo.
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«Non credo proprio…» cominciò a dire, ma Ron gli diede uno spintone e Allock sparì. Harry lo seguì rapido. Si calò lentamente nel tubo e lasciò la presa.
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Fu come scivolare lungo una pista viscida e senza fondo. Vide altri tubi diramarsi in tutte le direzioni, ma nessuno era grosso come il loro, ripido, tutto curve e giravolte. Capì che stavano sprofondando sotto il livello della scuola, addirittura oltre quello dei sotterranei. Dietro sentiva Ron che, a ogni curva, urtava leggermente contro le pareti.
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Poi, quando già cominciava a preoccuparsi di quel che sarebbe accaduto se avessero toccato terra, il tubo tornò in piano e lui fu catapultato fuori con uno splash, atterrando sul pavimento bagnato di un buio tunnel di pietra, abbastanza spazioso da permettergli di stare in piedi. Un po’ più in là, Allock si stava rialzando, coperto di melma e pallido come un cencio. Harry si fece da parte, mentre anche Ron schizzava fuori dal tubo.
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«Dobbiamo trovarci a centinaia di metri sotto la scuola» disse Harry, e dall’oscurità del tunnel gli giunse l’eco della sua voce.
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«Probabilmente siamo sotto il lago» disse Ron perlustrando le pareti nere e viscide.
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Tutti e tre si voltarono a scrutare l’oscurità che gli si spalancava davanti.
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«Lumos!» bisbigliò Harry alla sua bacchetta, che tornò ad accendersi.
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«Andiamo» disse poi rivolto a Ron e Allock, e si avviarono. I loro passi rimbombavano secchi sul pavimento bagnato.
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Il tunnel era così buio che riuscivano a vedere soltanto a pochi metri dal naso. Alla flebile luce della bacchetta le loro ombre sulle pareti gocciolanti assumevano forme mostruose.
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«Appena sentite qualcosa muoversi» disse Harry a bassa voce mentre procedevano con circospezione, «ricordatevi di chiudere immediatamente gli occhi…»
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Ma nel tunnel regnava un silenzio di tomba e il primo rumore inatteso che li fece sobbalzare fu un sonoro scricchiolio, perché Ron aveva pestato qualcosa che poi risultò essere il teschio di un topo. Harry abbassò la bacchetta per ispezionare il pavimento, dove vide una miriade di piccole ossa di animali. Sforzandosi in tutti i modi di non pensare all’aspetto che avrebbe potuto avere Ginny se l’avessero trovata, proseguì, superando una curva.
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«Harry, più avanti c’è qualcosa…» disse Ron con voce soffocata afferrandolo per una spalla.
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Quel che videro li raggelò. Harry riuscì a intravedere soltanto la sagoma di qualcosa di immenso, tutto spire, steso di traverso nel tunnel. Era immobile.
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«Forse dorme» disse trattenendo il respiro e voltandosi a guardare i suoi compagni. Allock si era coperto gli occhi con le mani. Harry si voltò di nuovo verso la cosa, con il cuore che gli martellava così forte da fargli male.
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Molto lentamente, tenendo gli occhi aperti solo quel tanto che gli consentisse di vederci, avanzò tenendo la bacchetta magica sollevata.
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La luce si posò su una gigantesca pelle di serpente di un vivido color verde fiele che giaceva arrotolata e vuota sul pavimento. La creatura che l’aveva abbandonata doveva essere lunga almeno sei metri.
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«Per la miseria!» esclamò Ron con un filo di voce.
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Dietro di loro qualcuno si mosse all’improvviso: a Gilderoy Allock si erano piegate le ginocchia.
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«In piedi!» gli intimò Ron aspro, puntandogli contro la bacchetta magica.
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Allock si rialzò… e poi si lanciò su Ron, scaraventandolo a terra.
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Harry balzò in avanti, ma troppo tardi. Allock si stava raddrizzando, tutto ansimante. In mano aveva la bacchetta di Ron e sul viso gli era ricomparso un sorriso smagliante.
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«Qui si conclude l’avventura, ragazzi!» esclamò. «Porterò su a scuola un pezzetto di questa pelle, dirò che sono arrivato troppo tardi per salvare la ragazza e che voi due avete tragicamente perso il senno alla vista del suo corpo straziato. Dite addio ai vostri ricordi!»
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Sollevò in aria la bacchetta rattoppata di Ron e gridò: «Oblivion!»
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La bacchetta esplose con la forza di una bomba. Harry si coprì la testa con le braccia e spiccò una corsa, scivolando sopra le spire della pelle di serpente e cercando di schivare i grossi massi che dal soffitto franavano fragorosamente a terra. Un attimo dopo si ritrovò solo, davanti a una parete compatta di detriti di roccia.
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«Ron!» gridò. «Stai bene? Ron!»
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«Sono qui!» gli giunse la sua voce soffocata dall’altra parte. «Io sto bene, ma questo verme no… La bacchetta gli ha fatto fare un bel volo».
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Si udì un tonfo sordo e un sonoro «Ahi!», come se Ron avesse mollato ad Allock un calcio sugli stinchi.
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«E ora che cosa facciamo?» chiese Ron disperato. «Non possiamo passare. Ci vorrebbero secoli…»
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Harry alzò lo sguardo sul soffitto del tunnel, dove si erano aperte crepe enormi. Non aveva mai provato a usare la magia per spaccare in due cose grosse quanto quei macigni e adesso non gli sembrava il momento più opportuno per provarci… E se tutta la volta del tunnel avesse ceduto?
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Da dietro le macerie si udì un altro tonfo e un altro «Ahi!» Stavano solo perdendo tempo. Erano ore, ormai, che Ginny si trovava nella Camera dei Segreti. Harry capì che c’era una sola cosa da fare.
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«Tu aspetta qui» disse a Ron. «Resta con Allock. Io proseguo. Se non sono di ritorno fra un’ora…»
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Ci fu una pausa carica di tensione.
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«Io, intanto, cercherò di spostare un po’ di massi» disse Ron sforzandosi di mantenere ferma la voce. «Così potrai… potrai trovare un varco quando torni. E… Harry…»
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«Ci vediamo tra poco» disse Harry cercando di dare alla sua voce tremante un tono fiducioso.
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E si avviò da solo, oltrepassando la pelle del serpente gigante.
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Ben presto non sentì più il rumore dei massi spostati da Ron. Superò un’altra curva e poi un’altra ancora. Sentiva ogni nervo tendersi in modo sgradevole. Non vedeva l’ora di arrivare alla fine del tunnel, eppure aveva paura di quel che avrebbe trovato in fondo. Poi, dopo un’ennesima curva si trovò di fronte una parete su cui erano scolpiti due serpenti attorcigliati che al posto degli occhi avevano due grandi smeraldi scintillanti.
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Harry si avvicinò. Aveva la gola secca. Questa volta non c’era nessun bisogno di fingere che i serpenti di pietra fossero veri: i loro occhi, infatti, sembravano stranamente vivi.
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Il ragazzo intuì quel che doveva fare. Si schiarì la gola e gli occhi di smeraldo ebbero un fremito.
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«Apriti» disse in un sibilo debole e soffocato.
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I serpenti si sciolsero dal loro groviglio e la parete cominciò a spalancarsi, dividendosi in due metà. Tremando dalla testa ai piedi, Harry entrò.
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