Si ritrovò nell’ingresso di una sala molto lunga, debolmente illuminata. Pilastri di pietra torreggianti, formati da altri serpenti avvinghiati, si levavano fino al soffitto, perdendosi nel buio e gettando lunghe ombre nere nella strana oscurità verdastra che avvolgeva il luogo.
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Col cuore che gli batteva forte, Harry rimase in ascolto nel silenzio gelido. Forse il Basilisco era appiattato nell’oscurità, dietro un pilastro? E Ginny dov’era?
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Tirò fuori la bacchetta magica e cominciò ad avanzare fra le colonne sinuose. L’eco dei suoi passi circospetti rimbalzava sulle pareti nere. Harry teneva gli occhi semichiusi, pronto a serrarli del tutto alla prima avvisaglia di movimento. Gli pareva che le orbite vuote dei serpenti di pietra lo seguissero. Più di una volta, con una stretta allo stomaco, credette di vedere qualcosa muoversi nell’ombra.
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Poi, giunto all’ultima coppia di colonne torreggianti contro la parete di fondo, si ritrovò davanti una statua alta fino al soffitto.
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Dovette piegare indietro il collo per riuscire a intravedere il volto gigantesco che lo sovrastava: era il volto antico e scimmiesco di un vecchio mago, con una lunga barba rada che gli arrivava quasi fino all’orlo della veste scolpita, lunga fino a terra, e due enormi piedi grigi che poggiavano sul pavimento levigato della stanza. Tra i piedi, giaceva bocconi una figurina vestita di nero dai capelli rosso fiamma.
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«Ginny!» bisbigliò Harry precipitandosi verso di lei. «Ginny! Dimmi che non sei morta! Ti prego, dimmi che non sei morta!» Poggiò la bacchetta accanto a sé, prese la ragazzina per le spalle e la voltò. Aveva il volto bianco e freddo come l’alabastro ma gli occhi erano chiusi, il che significava che non era pietrificata. Ma allora, voleva dire che era…?
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«Ginny, ti prego, svegliati!» bisbigliò disperato, scuotendola. La testa di Ginny ciondolò inerte.
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«Non si sveglierà» disse una voce suadente.
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Harry sobbalzò e si voltò.
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Al pilastro più vicino era appoggiato un ragazzo alto dai capelli neri. I contorni della sua figura erano stranamente sfocati, come se Harry lo vedesse attraverso una finestra appannata. Ma come non riconoscerlo?
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«Tom… Toni Riddle?»
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Riddle annuì, senza levare gli occhi da Harry.
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«Che cosa significa che non si sveglierà?» chiese Harry disperato. «Non sarà mica… non sarà mica…?»
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«È ancora viva» disse Riddle. «Ma per poco».
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Harry lo fissò. Tom Riddle aveva studiato a Hogwarts cinquant’anni prima, eppure eccolo lì, avvolto in un’aura misteriosa e opalescente: non poteva avere più di sedici anni.
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«Sei un fantasma?» gli chiese con voce incerta.
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«Un ricordo» rispose Riddle abbassando la voce. «Un ricordo conservato in un diario per cinquant’anni».
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Indicò il pavimento, in direzione dei piedi giganteschi della statua. Lì accanto, aperto, c’era il piccolo diario nero che Harry aveva trovato nel bagno di Mirtilla Malcontenta. Per un attimo, il ragazzo si chiese come avesse fatto ad arrivare fin lì… ma c’erano questioni più urgenti da affrontare.
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«Devi aiutarmi, Tom» disse sollevando di nuovo il capo di Ginny. «Dobbiamo portarla fuori di qui. C’è un Basilisco… Non so dove si trovi, ma potrebbe arrivare da un momento all’altro. Ti prego, aiutami!»
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Riddle non si mosse. Madido di sudore, Harry cercò di sollevare Ginny da terra; poi si chinò di nuovo a raccogliere la bacchetta magica.
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Ma la bacchetta era sparita.
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«Hai mica visto…?»
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Alzò lo sguardo. Riddle lo stava ancora fissando… e tra le lunghe dita rigirava la sua bacchetta magica.
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«Grazie» disse Harry allungando una mano per prenderla.
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Un sorriso increspò le labbra di Riddle che non staccava gli occhi da Harry e continuava pigramente a giocherellare con la bacchetta.
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«Senti» disse Harry tutto affannato con le ginocchia che cominciavano a cedergli sotto il peso morto di Ginny, «dobbiamo andarcene di qui! Se arriva il Basilisco…»
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«Non verrà, a meno che non lo si chiami» disse Riddle con calma.
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Harry depose Ginny a terra, incapace di tenerla in braccio più a lungo.
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«Cosa intendi dire?» chiese. «Dài, rendimi la bacchetta, potrebbe servirmi».
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Il sorriso si allargò sul volto di Riddle.
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«Non ne avrai bisogno» disse.
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Harry lo fissava.
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«Che cosa significa che non ne…?»
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«Era tanto che aspettavo questo momento, Harry Potter» disse Riddle. «Il momento di incontrarti. Di parlarti».
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«Senti» disse Harry perdendo la pazienza. «Non credo che tu abbia capito la situazione. Siamo nella Camera dei Segreti. Parleremo dopo».
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«No, invece, parliamo adesso» disse Riddle con il suo largo sorriso, infilandosi in tasca la bacchetta di Harry.
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Harry lo fissava. Stavano succedendo cose molto strane, che non riusciva ad afferrare.
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«Come ha fatto Ginny a ridursi in questo stato?» chiese lentamente.
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«Questa sì che è una domanda interessante» disse Riddle con tono amabile. «Ed è anche una storia molto lunga. Suppongo che la principale ragione dello stato in cui si trova Ginny è che ha aperto il suo cuore a un estraneo invisibile, rivelandogli tutti i suoi segreti».
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«Ma di che cosa stai parlando?» chiese Harry.
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«Il diario» rispose Riddle. «Il mio diario. Sono mesi che la piccola Ginny ci scrive fiumi di parole, raccontandomi tutte le sue lacrimevoli preoccupazioni e angosce: che i suoi fratelli la prendono in giro, che è dovuta venire a scuola con abiti e libri di seconda mano, che…» — e qui gli occhi di Riddle mandarono un lampo — «…che non pensava di riuscire mai a piacere al famoso, al bravo, al grande Harry Potter…»
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Durante tutto il discorso, gli occhi di Riddle non avevano mai abbandonato quelli di Harry. Avevano uno sguardo quasi famelico.
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«È una gran noia dover stare a sentire gli sciocchi, piccoli turbamenti di una ragazzina di undici anni» proseguì. «Ma sono stato paziente. Le ho risposto, sono stato comprensivo, sono stato gentile. E adesso lei mi adora. ‘Nessuno mi ha mai capito come te, Tom… Sono così felice di avere questo diario a cui confidarmi… è come avere un amico da portare sempre con me in tasca…’»
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Rise: una risata stridula, fredda, che non gli si addiceva affatto, e che fece rizzare i capelli in testa a Harry.
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«Modestia a parte, Harry, ho sempre avuto il dono di affascinare le persone di cui avevo bisogno. Così, Ginny mi ha schiuso la sua anima e la sua anima era esattamente quella che io volevo. Mi sono alimentato delle sue paure più profonde, dei suoi segreti più oscuri, che mi hanno reso sempre più forte. Sono diventato potente, molto più potente della piccola Ginny Weasley. Abbastanza da cominciare a raccontarle qualcuno dei miei segreti, da cominciare a riversare un po’ della mia anima nella sua…»
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«Cosa vuoi dire?» chiese Harry con la bocca secca.
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«Non hai ancora capito, Harry Potter?» chiese Riddle con dolcezza. «È stata Ginny Weasley ad aprire la Camera dei Segreti. È stata lei a strangolare i galli e a scrivere messaggi minacciosi sulle pareti. Lei ad aizzare il Serpente di Serpeverde contro quattro mezzosangue oltre che contro la gatta di Gazza».
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«No!» sussurrò Harry in un soffio.
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«E invece sì» riprese Riddle con calma. «Naturalmente all’inizio lei non sapeva quel che stava facendo. Era molto divertente. Quanto vorrei che tu avessi potuto leggere le annotazioni che scriveva via via sul diario… Col tempo, sono diventate sempre più interessanti… ‘Caro Tom’ recitò fissando il volto inorridito di Harry ‘credo di star perdendo la memoria. Mi trovo attaccate ai vestiti penne di gallo e non so come ci siano arrivate. Caro Tom, non mi ricordo quel che ho fatto la notte di Halloween, ma un gatto è stato aggredito e io sono tutta sporca di vernice. Caro Tom, Percy continua a ripetermi che sono pallida e che non sembro più io, penso che sospetti di me… Oggi c’è stata un’altra aggressione, e io non so dove mi trovavo. Tom, che cosa devo fare? Forse sto impazzendo… Credo di essere io quella che aggredisce tutti, Tom!’»
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Harry serrò i pugni tanto che le unghie gli affondarono nella carne.
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«C’è voluto molto tempo perché la piccola, stupida Ginny smettesse di fidarsi del suo diario» proseguì Riddle. «Ma alla fine ha cominciato ad avere dei sospetti e ha cercato di disfarsene. Ed ecco dove entri in scena tu, Harry. Tu l’hai trovato, e io sono andato in brodo di giuggiole. Fra tutti quelli che avrebbero potuto venirne in possesso, quello che più desideravo incontrare eri tu…»
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«E perché volevi incontrarmi?» chiese Harry. Si sentiva montare la rabbia, e dovette fare uno sforzo per mantenere ferma la voce.
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«Vedi, Ginny mi ha raccontato tutto di te, Harry» disse Riddle. «Tutta la tua affascinante storia». Posò gli occhi sulla cicatrice a forma di saetta e la sua espressione divenne ancor più famelica. «Sapevo di dover scoprire altre cose sul tuo conto, di doverti parlare, incontrarti, se potevo. Per questo ho deciso di mostrarti l’episodio della mia famosa cattura di quel gran sempliciotto di Hagrid: per conquistarmi la tua fiducia».
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«Ma Hagrid è mio amico!» disse Harry, e questa volta la voce gli tremò. «E tu l’hai incastrato, non è così? Io credevo che tu avessi commesso un errore, ma…»
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Riddle scoppiò ancora una volta in quella sua risata stridula.
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«Era la mia parola contro quella di Hagrid. Be’, puoi immaginare da te com’è rimasto il vecchio Armando Dippet. Da una parte Tom Riddle, povero in canna ma brillante, orfano ma così coraggioso, Prefetto della scuola, studente modello; dall’altra quel gran pasticcione confusionario di Hagrid, che si metteva nei guai una settimana sì e una no, che tentava di allevare cuccioli di lupi mannari sotto il letto, che sgattaiolava nella foresta proibita per combattere i troll. Ma devo ammettere che persino io sono rimasto sorpreso della riuscita del mio piano. Pensavo che qualcuno si sarebbe reso conto che l’Erede di Serpeverde non poteva assolutamente essere Hagrid. C’erano voluti a me cinque anni interi per scoprire quel che c’era da sapere sulla Camera dei Segreti e trovarne l’ingresso… figuriamoci se Hagrid poteva avere il cervello o il potere per farlo!
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«Soltanto Silente, l’insegnante di Trasfigurazione, sembrava persuaso dell’innocenza di Hagrid. Convinse Dippet a tenerlo e a istruirlo come guardiacaccia. Si, credo che Silente avesse indovinato. Silente non mi ha mai apprezzato quanto gli altri insegnanti…»
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«Scommetto che Silente ti ha inquadrato subito» disse Harry digrignando i denti.
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«Be’, certo, dopo l’espulsione di Hagrid non mi ha mai perso d’occhio, e la cosa era molto seccante» disse Riddle con indifferenza. «Sapevo che riaprire la Camera mentre ero ancora a scuola non era prudente. Ma non avevo certo intenzione di buttare al vento tutti gli anni che avevo passato a cercarla. Decisi allora di lasciare un diario che conservasse tra le sue pagine la memoria di quel che io ero a sedici anni; in questo modo, con un po’ di fortuna, sarei riuscito a istruire qualcuno abbastanza per seguire le mie orme e a portare a compimento la nobile opera di Salazar Serpeverde».
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«Be’, non è il caso che tu canti vittoria» disse Harry con aria di trionfo. «Questa volta non è morto nessuno, neanche il gatto. Fra qualche ora sarà pronta la pozione di mandragola e tutti quelli che sono stati pietrificati torneranno normali».
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«Forse non ti ho ancora detto» riprese Riddle abbassando la voce, «che non mi interessa più ammazzare i mezzosangue. Da molti mesi a questa parte, il mio nuovo bersaglio sei tu».
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Harry lo fissò, ammutolito.
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«Immagina la mia rabbia quando ho scoperto che chi aveva riaperto il diario per scrivermi non eri tu, ma Ginny. Lei te l’ha visto in mano ed è stata presa dal panico. Cosa sarebbe successo se tu avessi scoperto come funzionava e se io ti avessi spiattellato tutti i suoi segreti? O se — peggio ancora — io ti avessi detto chi era stato a strangolare i galli? Cosi, quella stupida mocciosa ha aspettato che nel tuo dormitorio non ci fosse nessuno e ha trafugato il diario. Ma io sapevo cosa fare. Ormai mi era chiaro che tu eri sulle tracce dell’Erede di Serpeverde. Da tutto quel che Ginny mi aveva detto di te, sapevo che avresti risolto il mistero a ogni costo, specie poi se a essere aggredita fosse stata una delle tue migliori amiche. E Ginny mi aveva detto che a scuola aveva suscitato un grande scalpore il fatto che tu parlassi il Serpentese…
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«Perciò, ho convinto Ginny a scrivere un addio sul muro, a venire quaggiù e ad aspettare. Lei ha pianto, si è dimenata, ed è diventata davvero noiosa. Ma in lei non è rimasta più tanta vita: ha messo troppo di sé nel diario, dentro di me. Abbastanza, comunque, da permettermi di abbandonare finalmente quelle pagine. Da quando siamo quaggiù non ho fatto che aspettare il tuo arrivo. Sapevo che saresti venuto. Ho molte domande da farti, Harry Potter».
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«Per esempio?» sbottò Harry con i pugni ancora serrati.
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«Be’» disse Riddle sorridendo amabilmente, «come è potuto accadere che un neonato senza alcun particolare talento magico sia riuscito a sconfiggere il più grande mago di tutti i tempi? Come hai fatto a cavartela solo con una cicatrice, mentre i poteri di Lord Voldemort sono andati distrutti?»
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Nei suoi occhi famelici brillava ora un sinistro bagliore rossastro.
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«Perché ti importa tanto di sapere come ho fatto a cavarmela?» chiese Harry lentamente. «Voldemort è vissuto dopo di te».
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«Voldemort» disse Riddle piano, «è il mio passato, il mio presente e il mio futuro. Harry Potter…»
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Tirò fuori dalla tasca la bacchetta magica di Harry e cominciò a rotearla in aria, tracciando tre parole scintillanti:
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TOM ORVOLOSON RIDDLE
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Poi la agitò di nuovo, e le lettere del suo nome si disposero in un ordine diverso:
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SON IO LORD VOLDEMORT
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«Vedi?» bisbigliò. «Era un nome che già usavo a Hogwarts, ma naturalmente soltanto con gli amici più intimi. Credi forse che intendessi usare per sempre lo sporco nome da Babbano di mio padre? Io, che per parte di madre ho nelle vene il sangue di Salazar Serpeverde? Io, chiamarmi con il nome di uno stupido Babbano qualunque, che mi aveva abbandonato ancor prima che nascessi solo perché aveva scoperto che sua moglie era una strega? No, Harry. Mi sono creato un nuovo nome, un nome che, quando fossi diventato il più grande stregone di tutti i tempi, al solo pronunciarlo avrebbe fatto tremare tutti i maghi della terra!»
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A Harry parve che il cervello gli si fosse inceppato. Fissava con sguardo ottuso Riddle, l’orfano cresciuto per uccidere i suoi genitori, e tanti altri ancora… Finalmente si costrinse a parlare.
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«Non è vero» disse, e la sua voce pacata tradiva l’odio.
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«Non è vero cosa?» chiese Riddle.
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«Non sei il più grande mago di tutti i tempi» disse Harry con il respiro affannoso. «Spiacente di deluderti, ma il più grande mago al mondo è Albus Silente. Tutti lo dicono. Anche quando eri forte, non hai mai osato prendere il potere a Hogwarts. Silente ti capì al volo, quando eri a scuola, e ancor oggi ti fa paura, ovunque tu continui a nasconderti».
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Scomparso il sorriso dal volto, Riddle divenne molto brutto.
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«È bastato il ricordo di me a cacciare Silente da questo castello!» sibilò.
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«Non credere che se ne sia andato come pensi!» ribatté Harry. Stava parlando a vanvera, col solo desiderio di spaventare Riddle; sperava che le sue parole fossero vere, ma non osava crederci.
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Riddle fece per aprire bocca, ma si fermò.
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Da qualche parte risuonò una musica. Riddle si guardò intorno, scrutando con gli occhi la camera vuota. La musica risuonò più forte. Aveva un che di misterioso, di ultraterreno, faceva correre i brividi lungo la schiena; Harry sentì rizzarsi i capelli in testa e il cuore allargarsi come se fosse raddoppiato di volume. Poi la musica raggiunse un volume cosi alto che se la sentì vibrare dentro la cassa toracica; fu allora che, sulla sommità della colonna più vicina, eruppe una fiamma.
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Apparve un uccello vermiglio delle dimensioni di un cigno, che riempiva la stanza del suo canto arcano, fino alle volte del soffitto. Aveva una coda d’oro scintillante lunga quanto quella di un pavone e due artigli, anche quelli d’oro lucente, tra cui stringeva un fagotto cencioso.
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Un attimo dopo volò in direzione di Harry. Lasciò cadere ai suoi piedi l’involto stracciato, poi atterrò pesantemente sulla sua spalla, ripiegando le grandi ali. Sollevando lo sguardo, Harry vide che aveva un lungo becco aguzzo, anch’esso dorato, e piccoli occhi neri.
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L’uccello smise di cantare. Immobile e tiepido, sfiorava la guancia di Harry, fissando Riddle.
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«È una fenice…» commentò Riddle restituendo all’uccello uno sguardo scaltro.
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«Fanny?» sussurrò Harry, e sentì gli artigli d’oro dell’uccello premergli gentilmente la spalla.
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«E quello…» proseguì Riddle senza neanche degnare di uno sguardo lo straccio che Fanny aveva lasciato cadere, «quello è il vecchio Cappello Parlante».
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Era proprio così. Rattoppato, logoro e sporco, il cappello giaceva immobile ai piedi di Harry.
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Riddle ricominciò a ridere: una risata così forte che tutta la stanza buia ne risuonò, come se a ridere fossero dieci Riddle.
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«Questo è l’aiuto che ti manda Silente? Un uccello canterino e un vecchio cappello! Ti senti coraggioso, Harry Potter? Ti senti al sicuro, adesso?»
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Harry non rispose. Non capiva bene di quale utilità potessero essergli Fanny o il Cappello Parlante, ma non era più solo; si sentì tornare dentro il coraggio e aspettò che Riddle finisse di ridere.
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«Al lavoro, Harry» disse Riddle, sfoggiando il solito sorriso. «Due volte… nel tuo passato, nel mio futuro… ci siamo incontrati. E per due volte non sono riuscito a ucciderti. Come diavolo hai fatto a sopravvivere? Raccontami tutto. Più a lungo parli» aggiunse piano, «più tardi morirai».
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Harry rifletteva freneticamente, valutando le sue possibilità di farcela. Riddle aveva la bacchetta magica. Lui, Harry, aveva Fanny e il Cappello Parlante, ma nessuno dei due gli sarebbe stato di grande aiuto in un duello. La situazione pareva disperata. Ma ogni minuto concesso a Riddle, era un minuto di vita sottratto a Ginny… e poi, tutt’a un tratto, Harry notò che i contorni del suo avversario si facevano più nitidi, più reali. Se dovevano combattere, meglio prima che poi.
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«Nessuno sa perché hai perso i tuoi poteri quando mi hai aggredito» disse a un tratto. «Non lo so neanche io. Ma so perché non sei riuscito a uccidermi. Perché mia madre è morta per salvarmi. Mia madre, nata dalla volgare stirpe dei Babbani» aggiunse, tremando d’ira repressa. «È stata lei a impedire che tu mi uccidessi. E io ho visto chi tu sei veramente. Ti ho visto l’anno scorso. Sei un relitto. Più morto che vivo. Ecco dove ti ha portato tutto il tuo potere. Vivi nascosto. Sei brutto, sei un vigliacco!»
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Il volto di Riddle si contorse in una smorfia. Poi il ragazzo si costrinse a sorridere: un sorriso orrendo.
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«E così tua madre è morta per salvarti? Sì, devo ammettere che si tratta di un potente contro-incantesimo. Ora lo capisco… in fin dei conti, in te non c’è niente di speciale. Me lo chiedevo, capisci? Perché fra noi, Harry Potter, esistono strane somiglianze. Perfino tu devi averle notate. Tutti e due siamo mezzosangue, orfani, e allevati da Babbani. Probabilmente gli unici Rettilofoni che mai abbiano frequentato Hogwarts dai tempi del grande Serpeverde. Anche fisicamente ci assomigliamo un po’… Ma in fondo a salvarti da me è stato solo un caso, un caso fortunato. Era quello che m’interessava sapere».
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Harry rimase immobile, teso, aspettando che l’altro sollevasse la bacchetta magica. Ma un bieco sorriso tornò a illuminare il volto di Riddle.
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«Ora, Harry, voglio darti una piccola lezione. Misuriamo i poteri di Lord Voldemort, Erede di Salazar Serpeverde e quelli del famoso Harry Potter, munito delle migliori armi che Silente e in grado di offrirgli».
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Lanciò uno sguardo divertito a Fanny e al Cappello Parlante poi si allontanò. Harry, con le gambe intorpidite e molli per la paura, lo vide fermarsi fra le due immense colonne e guardare in alto, verso il volto di pietra di Serpeverde, che lo sovrastava nella semioscurità. Riddle spalancò la bocca, e ne uscì un sibilo. Ma Harry capiva quel che stava dicendo.
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«Parlami, Serpeverde, tu che sei il più grande dei Quattro di Hogwarts».
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Harry si voltò a guardare la statua, Fanny si dondolava sulla sua spalla.
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Il gigantesco volto di pietra di Serpeverde si mosse. Inorridito, Harry vide la sua bocca spalancarsi sempre più fino a diventare un immenso buco nero.
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E dentro la bocca qualcosa si mosse. Qualcosa risaliva strisciando dalle profondità delle sue viscere di pietra.
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Harry indietreggiò fino a sbattere contro la parete opposta; strinse forte gli occhi e si sentì sfiorare la guancia dall’ala di Fanny che si era alzata in volo. Voleva gridare: «Non lasciarmi!» ma che possibilità aveva una fenice contro il re dei serpenti?
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Qualcosa di pesante cadde con un tonfo sul pavimento di pietra: Harry lo senti tremare sotto i piedi. Sapeva quel che stava accadendo, lo intuiva, gli sembrava quasi di vedere il serpente gigantesco srotolarsi dalla bocca di Serpeverde. Poi udì il sibilo di Riddle: «Uccidilo!»
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Il Basilisco strisciò verso Harry; il ragazzo sentiva il suo corpo massiccio scivolare pesantemente sul pavimento polveroso. Con gli occhi ancora ben chiusi, cominciò a correre di lato, alla cieca, aiutandosi con le mani per trovare la strada. Riddle rideva…
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Harry inciampò. Cadde di peso sulla pietra e sentì in bocca il sapore del sangue. Il serpente era a pochi metri da lui, lo sentiva avvicinarsi.
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Proprio sopra di lui si udì un sibilo lacerante, poi Harry fu colpito da qualcosa di molto pesante che lo schiacciò contro la parete. Aspettò di sentire le zanne del serpente affondargli nella carne, ma il sibilo si fece sempre più furibondo e qualcosa si dibatté violentemente fra le colonne.
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Fu più forte di lui. Aprì gli occhi quel tanto che bastava per dare un’occhiata alla scena.
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L’immenso serpente dal lucente corpo verde fiele, grosso come il tronco di una quercia, si era rizzato e la sua grossa testa massiccia ondeggiava fra le colonne, come se fosse ubriaco. Harry tremava: non appena il mostro si fosse girato era pronto a richiudere gli occhi; ma proprio in quel momento vide cos’era stato a distrarlo.
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Fanny gli volteggiava sopra la testa, e il Basilisco cercava furiosamente di addentarla con le zanne lunghe e sottili come sciabole.
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La fenice scese in picchiata. Il suo lungo becco d’oro scomparve e un attimo dopo un torrente di sangue nero schizzò sul pavimento. Il serpente menava colpi con la coda; mancò di poco Harry, e prima che il ragazzo facesse in tempo a chiudere gli occhi si voltò. Harry lo fissò e vide che la fenice gli aveva perforato gli occhi gialli e sporgenti; il sangue colava a fiotti sul pavimento e il mostro, agonizzante, sputava.
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«No!» Harry udì Riddle gridare. «Lascia perdere l’uccello! Lascia perdere l’uccello’. Il ragazzo è dietro di te! Puoi ancora fiutarlo! Uccidilo!»
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Il serpente accecato si dimenò, confuso, ma ancora micidiale. Fanny gli volteggiava sopra la testa: aveva ripreso a cantare la sua arcana melodia, colpendo il naso squamoso del mostro che continuava a sanguinare dagli occhi trafitti.
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«Aiutatemi, aiutatemi!» mormorò Harry disperato. «Qualcuno mi aiuti!»
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Ancora una volta, la coda del serpente sferzò il pavimento. Harry la schivò. Poi fu colpito in faccia da un oggetto morbido.
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Il Basilisco gli aveva fatto volare tra le braccia il Cappello Parlante. Harry lo afferrò. Era tutto quel che gli rimaneva, l’unica e ultima possibilità. Se lo cacciò in testa e poi si buttò a terra, dove rimase steso, mentre la coda del Basilisco continuava a infierire su di lui.
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«Aiutami… aiutami…» pensava Harry tenendo gli occhi chiusi, sotto il cappello. «Ti prego, aiutami!»
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Il cappello non rispose, ma si contrasse, come strizzato da una mano invisibile.
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Un oggetto duro e pesante cadde sulla testa di Harry, facendolo quasi svenire. Tramortito, afferrò il cappello per la punta per sfilarselo dalla testa ma così facendo sentì sotto le mani qualcosa di lungo e duro.
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Dentro al cappello era apparsa una spada d’argento lucente, con l’impugnatura tempestata di rubini grossi come un uovo.
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«Ammazza il ragazzo! Lascia stare l’uccello! Il ragazzo è dietro di te! Annusa… fiuta!»
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Harry balzò in piedi, pronto al combattimento. La testa del Basilisco ciondolava, il corpo si afflosciava e si attorcigliava, sbattendo contro i pilastri. Harry vide le immense cavità sanguinanti di quelli che erano stati i suoi occhi, vide la sua bocca spalancarsi tanto da inghiottirlo tutto intero, mostrando una fila di denti lunghi come la sua spada, sottili, lucidi, velenosi…
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Il Basilisco fece un balzo in avanti, alla cieca. Harry lo schivò, facendolo sbattere contro la parete. Quello fece un altro balzo, e la sua lingua biforcuta sferzò il fianco del ragazzo. Harry sollevò la spada con entrambe le mani.
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Il Basilisco scattò di nuovo, dritto contro di lui. Harry prese lo slancio e gli conficcò la spada nel palato fino all’elsa.
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Mentre il sangue caldo gli inzuppava le braccia, avvertì un dolore lancinante proprio sopra al gomito. Una lunga zanna velenosa si stava conficcando sempre più a fondo nel suo braccio e si spezzò dentro, quando il Basilisco si rovesciò sul fianco e ricadde a terra con uno spasimo.
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Harry si afflosciò lungo la parete e cadde. Afferrò la zanna che gli spargeva il veleno nel corpo e se la strappò dal braccio. Ma era tardi, lo sapeva. Lento, ma inesorabile, un dolore incandescente si irradiava dalla ferita. Mentre lasciava cadere il frammento di zanna e guardava il suo stesso sangue inzuppargli i vestiti, gli si annebbiò la vista. La stanza si dissolse in un turbinio di colori opachi.
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Davanti agli occhi vide una macchia scarlatta e udì accanto a sé un lieve sbattere di ali.
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«Fanny?» Aveva la lingua impastata. «Sei stata bravissima, Fanny…» Sentì l’uccello posare la sua splendida testa nel punto in cui era stato ferito dalla zanna del serpente.
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Udì un rimbombare di passi e poi un’ombra scura gli si parò davanti.
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«Sei spacciato, Harry Potter» disse dall’alto la voce di Riddle. «Spacciato. Anche la fenice di Silente lo sa. Vedi cosa fa, Potter? Piange».
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Harry sbatté le palpebre. La testa di Fanny si sfocava e si rimetteva a fuoco davanti ai suoi occhi. Grosse lacrime perlacee scorrevano sulle penne lucenti dell’uccello.
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«Ora mi siedo qui e ti guardo morire, Harry Potter. Fai con comodo. Io non ho fretta».
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Harry si sentiva intorpidito. Gli pareva che tutto girasse intorno.
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«Questa è la fine del famoso Harry Potter» disse la voce lontana di Riddle. «Solo, nella Camera dei Segreti, abbandonato dagli amici, sconfitto finalmente dal Signore Oscuro che così incautamente ha osato sfidare. Presto rivedrai la tua amata madre mezzosangue, Harry… Ti ha regalato dodici anni di vita… ma Lord Voldemort ti ha preso, alla fine, come ben sapevi che sarebbe successo».
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Se questo è morire, pensò Harry, non è poi così male. Anche il dolore lo stava abbandonando…
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Ma stava morendo davvero? Anziché dissolversi, la Camera sembrava rimettersi a fuoco. Harry scosse lievemente il capo e sentì che Fanny gli teneva ancora la testa poggiata sul braccio. Una macchia perlacea formata dalle sue lacrime luccicava intorno alla ferita… solo che la ferita non c’era più.
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«Vattene via, uccellacelo» si udì a un tratto la voce di Riddle. «Allontanati da lui. Ti ho detto di andartene!»
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Harry sollevò il capo. Riddle stava puntando la bacchetta magica di Harry contro Fanny; ci fu uno scoppio, come una fucilata, e Fanny si librò di nuovo in aria in una nuvola d’oro e vermiglio.
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«Le lacrime della fenice» disse Riddle piano, fissando il braccio di Harry. «Ma certo… poteri taumaturgici… avevo dimenticato…»
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Fissò il volto di Harry. «Ma non fa niente. Anzi, io preferisco così. Soltanto tu e io, Harry Potter… tu e io…»
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Sollevò la bacchetta.
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A quel punto, in un turbine d’ali, Fanny tornò a volteggiare sopra le loro teste e Harry si sentì cadere qualcosa in grembo… il diario.
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Per una frazione di secondo Harry e Riddle, con la bacchetta ancora a mezz’aria, lo guardarono. Poi, d’istinto, senza riflettere, come se non avesse avuto altro in mente da sempre, Harry afferrò da terra la zanna del Basilisco e la conficcò nel cuore del libro.
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Si udì un grido prolungato, terribile, penetrante. L’inchiostro sgorgò dal diario a fiotti, sulle mani di Harry, inondando il pavimento. Riddle si dimenava e si contorceva, urlando e dibattendosi, e poi…
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Era sparito. La bacchetta di Harry cadde a terra poi fu il silenzio. Silenzio, salvo il gocciolio continuo dell’inchiostro che trasudava ancora dal diario. Il veleno del Basilisco, attraversandolo, l’aveva bruciato, producendo un buco che ancora sfrigolava.
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Tremante, Harry si alzò. La testa gli girava come se avesse percorso miglia e miglia portato dalla Polvere Volante. Lentamente raccolse la bacchetta magica e il Cappello Parlante poi, con un grosso strattone sfilò la spada dal palato del Basilisco.
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In quel momento, dall’altra estremità della Camera giunse un lamento flebile. Ginny si stava muovendo. Harry le fu subito accanto e lei si mise seduta. I suoi occhi stupefatti andavano dalla grossa sagoma della testa del Basilisco morto a Harry e ai suoi abiti tutti insanguinati, e poi al diario che il ragazzo teneva in mano. Sospirò profondamente e rabbrividì; poi le lacrime cominciarono a rigarle il viso.
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«Harry… oh, Harry… ho cercato di dirtelo a colazione, ma non potevo farlo davanti a Percy. Sono stata io, Harry… ma… t-ti g-giuro che n-non volevo. È stato R-Riddle… n-non ce l’ho f-fatta a d-dirgli di n-no… e… come hai fatto ad ammazzare quel coso? D-dov’è Riddle? L’ultimo ricordo che ho è di lui che saltava fuori dal diario…»
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«Non ti preoccupare» disse Harry sollevando il piccolo volume e mostrando a Ginny il buco prodotto dalla zanna. «Riddle è finito. Guarda! Lui e il Basilisco: sono finiti. Vieni, Ginny, usciamo di qui…»
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«Mi cacceranno dalla scuola!» singhiozzava Ginny mentre Harry la aiutava a rimettersi in piedi a fatica. «E pensare che non vedevo l’ora di venire a Hogwarts fin da quando c’era Bill, e ora dovrò andarmene… c-che cosa diranno papà e mamma?»
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Volteggiando all’ingresso della Camera, Fanny li stava aspettando. Harry sospinse Ginny verso l’uscita. Nell’oscurità che risuonava di echi, scavalcarono le spire inanimate del Basilisco morto e poi ripercorsero il tunnel. Harry udi la porta di pietra richiudersi alle loro spalle con un lieve sibilo.
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Percorrevano ormai da qualche minuto la galleria avvolta nell’oscurità quando Harry senti in lontananza un rumore di massi spostati lentamente.
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«Ron!» gridò affrettando il passo. «Ginny sta bene! È qui con me!»
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Gli rispose il grido soffocato dell’amico e dopo l’ultima curva scorsero la sua faccia ansiosa scrutare attraverso il grosso varco che era riuscito ad aprire nel mucchio di massi.
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«Ginny!» Ron allungò un braccio attraverso il varco per aiutarla a passare per prima. «Sei viva! Non riesco a crederci! Cos’è successo?»
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Cercò di abbracciarla, ma Ginny lo tenne a distanza, sempre singhiozzando.
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«Ma stai benone, Ginny» disse Ron raggiante. «È tutto finito, è… E quell’uccello da dove viene?»
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Fanny aveva seguito Ginny attraversando il varco.
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«È di Silente» spiegò Harry facendosi piccolo piccolo per sgusciare dall’apertura.
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«E come mai tu hai una spada?» chiese Ron sbirciando l’arma lucente che Harry teneva in mano.
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«Te lo spiegherò quando saremo usciti da qui» disse Harry lanciando un’occhiata a Ginny.
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«Ma…»
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«Più tardi» tagliò corto Harry. Non gli pareva una buona idea dire a Ron chi aveva aperto la Camera, perlomeno non davanti a Ginny. «E Allock dov’è?»
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«Là dentro» disse Ron con un sorriso, indicando col capo la parte superiore della galleria, in direzione delle condutture. «È in condizioni pietose. Vieni a vedere».
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Guidati da Fanny, le cui ali illuminavano di un tenue bagliore dorato l’oscurità, rifecero il percorso fino all’imboccatura del tubo. Lì stava seduto Gilderoy Allock, canticchiando placidamente fra sé e sé.
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«Ha perso la memoria» spiegò Ron. «L’Incantesimo di Memoria ha avuto un effetto boomerang. Ha colpito lui, anziché noi. Non ha la più pallida idea di chi sia, di dove si trovi, o di chi siamo noi. Gliel’ho detto io di aspettare qui. E un pericolo per se stesso».
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Allock li guardò tutti con aria amabile.
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«Salve» disse. «Strano posto, non vi pare? E voi, abitate qui?»
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«No» rispose Ron guardando Harry e sollevando le sopracciglia.
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Harry si chinò e guardò su per il tubo lungo e buio.
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«Hai pensato come facciamo a risalire?» chiese a Ron.
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Ron scosse la testa, ma la fenice aveva superato Harry e ora muoveva le ali davanti a lui con gli occhi che brillavano nell’oscurità e agitando le lunghe penne dorate della coda. Harry la guardò incerto.
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«Sembra volerti dire di afferrarla…» disse Ron con aria perplessa. «Ma sei troppo pesante perché un uccello riesca a portarti fin lassù».
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«Fanny» disse Harry, «non è un uccello qualunque». Si voltò rapido verso gli altri. «Dobbiamo aggrapparci formando una catena. Ginny, dài la mano a Ron. Professor Allock, lei…»
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«Ehi, dice a lei» Ron si rivolse aspro ad Allock.
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«…lei prenda Ginny per l’altra mano».
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Harry si fissò alla cintura la spada e il Cappello Parlante. Ron si mise dietro di lui e lo afferrò per gli abiti, mentre Harry si afferrò alle piume della coda di Fanny che erano stranamente bollenti.
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Il corpo dell’uccello si librò con una straordinaria leggerezza e un attimo dopo, con un sibilo, ecco che risalivano in volo la tubatura. Harry sentì Allock, sospeso in aria sotto di lui, esclamare: «Straordinario! Straordinario! Sembra un’autentica magia!» L’aria frizzante sferzava i capelli di Harry. Non avevano fatto in tempo a godersi l’ascensore che era già finita. Tutti e quattro capitombolarono sul pavimento bagnato del gabinetto di Mirtilla Malcontenta, e mentre Allock si raddrizzava il cappello, il sifone che nascondeva la tubatura tornò al suo posto.
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Mirtilla strabuzzò gli occhi.
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«Siete vivi» disse a Harry con voce inespressiva.
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«Non c’è bisogno che ti mostri tanto delusa» disse il ragazzo cupo, ripulendo gli occhiali delle macchie di sangue e di fango.
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«Oh, be’… stavo giusto pensando. Se tu fossi morto, sarei stata lieta di ospitarti nel mio gabinetto» disse Mirtilla inargentandosi per l’imbarazzo.
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«Bleah!» fu il commento di Ron mentre uscivano dal gabinetto e si incamminavano lungo il corridoio buio e deserto. «Harry! Credo che Mirtilla sia innamorata di te! Ginny, hai una concorrente!»
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Ma il volto della ragazzina era ancora rigato da lacrime silenziose.
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«Che cosa c’è adesso?» chiese Ron lanciandole un’occhiata trepidante. Harry gli fece segno di lasciarla tranquilla.
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Fanny apriva la fila e illuminava il corridoio di una luce dorata. Il piccolo drappello la seguì e poco dopo si ritrovarono tutti fuori dell’ufficio della professoressa McGranitt.
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Harry bussò e poi aprì la porta.
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