Harry rimase là dov’era, conscio che tutte le teste nella Sala Grande si erano voltate a guardarlo. Era esterrefatto. Tramortito. Stava sognando. Non aveva sentito bene.
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Non ci furono applausi. Un brusio come di api infuriate invase la Sala; alcuni studenti si alzarono per vedere meglio Harry, seduto al suo posto come paralizzato.
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Al tavolo degli insegnanti, la professoressa McGranitt era scattata in piedi e aveva oltrepassato rapida Ludo Bagman e il professor Karkaroff per parlottare concitata col professor Silente, che tese l’orecchio verso di lei, accigliato.
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Harry si voltò verso Ron e Hermione; oltre le loro teste, vide tutti i Grifondoro che lo fissavano a bocca aperta.
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«Non ho messo il mio nome nel Calice» disse Harry, con aria assente. «Voi lo sapete che non l’ho fatto».
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Tutti e due si limitarono a restituirgli uno sguardo vacuo.
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Al tavolo principale, il professor Silente si era alzato in piedi e aveva fatto un cenno alla professoressa McGranitt.
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«Harry Potter!» esclamò di nuovo. «Harry! Vieni qui, per favore!»
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«Vai» sussurrò Hermione, dando una spintarella a Harry.
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Harry si alzò, inciampò nell’orlo dell’abito e barcollò un po’. S’incamminò lungo lo spazio tra il tavolo di Grifondoro e quello di Tassorosso. Gli parve un percorso infinitamente lungo; il tavolo principale non sembrava affatto avvicinarsi, e sentiva centinaia e centinaia di occhi fissi su di lui, come tanti riflettori. Il brusio divenne sempre più intenso. Dopo quella che gli parve un’ora, si trovò di fronte a Silente, con gli sguardi di tutti gli altri insegnanti puntati addosso.
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«Bene… oltre quella porta, Harry» disse Silente. Non sorrideva.
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Harry oltrepassò il tavolo. Hagrid era seduto proprio alla fine. Non gli fece l’occhiolino né gli rivolse uno dei suoi soliti cenni di saluto: sembrava totalmente sbalordito, e si limitò a fissarlo come tutti gli altri. Harry varcò la soglia e si ritrovò in una stanza più piccola, tappezzata di ritratti di maghi e streghe. Un bel fuoco scoppiettava nel camino davanti a lui.
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Al suo ingresso le facce nei ritratti si voltarono a guardarlo: una strega raggrinzita scivolò addirittura fuori dalla cornice del suo quadro ed entrò in quello accanto, che ospitava un mago coi baffoni da tricheco. La strega avvizzita prese a sussurrargli all’orecchio.
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Viktor Krum, Cedric Diggory e Fleur Delacour erano riuniti attorno al fuoco. Erano stranamente impressionanti, stagliati contro le fiamme. Krum, ingobbito e imbronciato, era appoggiato al camino, un po’ discosto dagli altri due; Cedric stava in piedi con le mani dietro la schiena e fissava il fuoco; Fleur Delacour si voltò quando Harry entrò, e gettò indietro il manto di lunghi capelli argentei.
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«Che cosa suscede?» disse. «Noi si ritorna in Sala?»
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Pensava che fosse venuto a portare un messaggio. Harry non sapeva come spiegare l’accaduto e rimase lì, a guardare i tre campioni. Fu colpito dal fatto che erano tutti molto alti.
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Alle loro spalle si sentì uno scalpiccio, e Ludo Bagman entrò nella stanza. Prese Harry per il braccio e lo spinse in avanti.
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«Straordinario!» mormorò, strizzandogli il braccio. «Assolutamente straordinario! Signori… signora» aggiunse, avvicinandosi al fuoco e rivolgendosi agli altri tre. «Posso presentarvi — per quanto incredibile possa sembrare — il quarto campione del Tremaghi?»
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Viktor Krum si raddrizzò e scrutò Harry; la sua faccia arcigna si rabbuiò ulteriormente. Cedric sembrava disorientato: guardò Bagman, Harry, e poi di nuovo Bagman come se non fosse sicuro di aver capito bene. Fleur Delacour, invece, scosse i capelli sorridendo e disse: «Oh, è molto divertente, Monsieur Bagman».
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«Scherzo?» ripeté Bagman, stupito. «No, no, nient’affatto! Il nome di Harry è appena uscito dal Calice di Fuoco!»
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Le folte sopracciglia di Krum si contrassero appena. Cedric sembrava ancora educatamente perplesso.
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Fleur si accigliò. «Ma c’è uno sbalio, no?» disse sdegnosamente a Bagman. «Lui non può ontrare in gara. È troppo piccolo».
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«Be’… è sconcertante» disse Bagman, strofinandosi il mento liscio e sorridendo a Harry. «Ma come sapete, il limite di età è stato imposto solo quest’anno come ulteriore misura di sicurezza. E visto che il suo nome è uscito dal Calice… voglio dire, non credo che ci si possa tirare indietro a questo punto… è scritto nelle regole, siete obbligati… Harry dovrà fare del suo meglio…»
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La porta alle loro spalle si aprì di nuovo, lasciando entrare una piccola folla: il professor Silente, seguito da vicino dal signor Crouch, dal professor Karkaroff, da Madame Maxime, dalla professoressa McGranitt e dal professor Piton. Harry udì il sonoro brusio proveniente dalla Sala prima che la McGranitt chiudesse la porta.
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«Madame Maxime!» esclamò subito Fleur, marciando verso la sua Preside. «Si disce che anche questo ragazzino sarà in gara!»
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Da qualche parte sotto la torpida incredulità Harry provò uno spasmo di rabbia. Ragazzino?
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Madame Maxime si erse in tutta la sua considerevole altezza. La sommità della sua bella testa sfiorò il candeliere carico di ceri, e il suo gigantesco petto foderato di satin nero si sollevò.
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«Che cosa vuole dire tutto questo, Silonte?» chiese imperiosa.
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«Vorrei saperlo anch’io, Silente» disse il professor Karkaroff. Aveva un sorriso gelido, e i suoi occhi azzurri erano pezzetti di ghiaccio. «Due campioni per Hogwarts? Non ricordo che nessuno mi abbia detto che alla scuola ospite sono concessi due campioni… o non ho letto le regole abbastanza attentamente?»
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Scoppiò in una breve risata cattiva.
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«C’est impossible» disse Madame Maxime, con la mano enorme coperta di splendidi opali posata sulla spalla di Fleur. «Hogvàrts non può avere due campioni. È assolutamonte ingiusto».
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«Eravamo convinti che la tua Linea dell’Età dovesse tenere alla larga i concorrenti più giovani, Silente» disse Karkaroff, il sorriso gelido ancora al suo posto, anche se i suoi occhi erano più freddi che mai. «Altrimenti, è ovvio, avremmo portato una più ampia delegazione di candidati dalle nostre scuole».
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«Non è colpa di nessuno se non di Potter, Karkaroff» intervenne Piton a bassa voce. I suoi occhi neri ardevano di malevolenza. «Non incolpare Silente per l’ostinazione che Potter dimostra nell’infrangere le regole. Passa i limiti fin da quando è arrivato qui…»
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«Grazie, Severus» disse Silente con decisione, e Piton tacque, anche se i suoi occhi scintillavano maligni attraverso lo schermo degli unti capelli neri.
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Il professor Silente stava guardando Harry, che sostenne il suo sguardo, cercando di decifrarne l’espressione oltre le lenti a mezzaluna.
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«Hai messo il tuo nome nel Calice di Fuoco, Harry?» gli chiese calmo Silente.
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«No» rispose Harry. Sentiva che tutti lo osservavano con grande attenzione. Nell’ombra, Piton emise un piccolo sbuffo di impaziente incredulità.
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«Hai chiesto a uno studente più grande di metterlo nel Calice di Fuoco per conto tuo?» chiese il professor Silente, ignorando Piton.
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«No» rispose Harry con veemenza.
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«Ah, ma lui dice falso, naturalmonte!» gridò Madame Maxime. Piton scosse la testa, arricciando le labbra.
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«Non avrebbe potuto attraversare la Linea dell’Età» disse secca la professoressa McGranitt. «Sono sicura che siamo tutti d’accordo su questo punto…»
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«Silonte ha fatto un sbalio con la linea» intervenne Madame Maxime, alzando le spalle.
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«È possibile, naturalmente» disse Silente in tono educato.
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«Silente, sa benissimo che non ha commesso un errore!» esclamò la professoressa McGranitt furiosa. «Insomma, che sciocchezza! Harry non avrebbe potuto oltrepassare la linea, e dal momento che il professor Silente crede che non abbia convinto un altro studente a farlo al posto suo, sono sicura che questo dovrebbe bastare anche a chiunque altro!»
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E scoccò a Piton uno sguardo furibondo.
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«Signor Crouch… Signor Bagman» disse Karkaroff, la voce untuosa, «voi siete i nostri — ehm — giudici imparziali. Certo converrete che tutto ciò è decisamente irregolare…»
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Bagman si asciugò il faccione rotondo con il fazzoletto e guardò Crouch, che era lontano dal bagliore del fuoco, quasi del tutto nascosto nell’ombra. Era vagamente inquietante, e nella semioscurità il suo viso sembrava molto più vecchio, quasi scheletrico. Quando parlò, comunque, fu con il suo consueto tono asciutto. «Dobbiamo seguire le regole, e le regole stabiliscono chiaramente che le persone i cui nomi escono dal Calice di Fuoco sono tenute a gareggiare nel Torneo».
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«Be’, Barty conosce le regole a menadito» disse Bagman, sorridendo e voltandosi di nuovo verso Karkaroff e Madame Maxime, come se la questione fosse chiusa.
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«Insisto nel chiedere di riproporre i nomi degli altri miei studenti» disse Karkaroff. Aveva lasciato cadere il tono untuoso e il sorriso, ora, e aveva un’aria davvero torva. «Rimetterete al suo posto il Calice di Fuoco, e continueremo a inserire nomi finché ogni scuola non avrà due campioni. È una questione di principio, Silente».
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«Ma Karkaroff, non funziona cosi» disse Bagman. «Il Calice di Fuoco si è appena spento… non si riaccenderà fino all’inizio del prossimo Torneo…»
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«… al quale Durmstrang non prenderà assolutamente parte!» esplose Karkaroff. «Dopo tutti i nostri incontri e le trattative e i compromessi, non mi aspettavo proprio che succedesse una cosa del genere! Ho una mezza idea di andarmene, ora!»
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«Vuota minaccia, Karkaroff» ringhiò una voce vicino alla porta. «Non puoi abbandonare il tuo campione ora. Deve gareggiare. Devono gareggiare tutti. Un contratto magico vincolante, come ha detto Silente. Comodo, eh?»
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Moody era appena entrato. Avanzò zoppicando verso il fuoco, e a ogni suo passo risuonava un sordo clunk.
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«Comodo?» ripeté Karkaroff. «Temo di non capirti, Moody».
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Harry capì che stava cercando di suonare sprezzante, come se le parole di Moody non meritassero la sua attenzione, ma le sue mani, strette a pugno con forza, lo tradirono.
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«No?» disse Moody tranquillamente. «È molto semplice, Karkaroff. Qualcuno ha messo il nome di Potter nel Calice sapendo che se fosse uscito avrebbe dovuto gareggiare».
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«Qualcuno che voleva dare a Hogvàrts due chances!» intervenne Madame Maxime.
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«Sono d’accordo, Madame Maxime» disse Karkaroff con un inchino. «Presenterò formale protesta al Ministero della Magia e alla Confederazione Internazionale dei Maghi…»
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«Se c’è qualcuno che ha motivo di protestare, questo è Potter» ringhiò Moody, «ma… che buffo… non gli ho sentito dire una parola…»
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«Perché lui vuole lamontarsi?» proruppe Fleur Delacour, picchiando un piede per terra. «Può ontrare in gara, no? Sono settimane che noi voliamo essere scelti! L’onore della nostra scuola! Il premio di mille galeoni… Lui muore dalla volia di provare!»
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«Forse qualcuno spera che Potter muoia, infatti» disse Moody, il ringhio quasi spento nella voce.
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Un silenzio estremamente teso seguì queste parole.
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Ludo Bagman. che sembrava davvero molto agitato, saltellò nervosamente e disse: «Moody. vecchio mio… che cosa tremenda da dire!»
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«Sappiamo tutti che il professor Moody considera sprecata la mattina, se non scopre sei complotti per ucciderlo prima dell’ora di pranzo» disse Karkaroff ad alta voce. «A quanto pare sta instillando la paura di essere assassinati anche nei suoi studenti. Una strana qualità in un insegnante di Difesa contro le Arti Oscure, Silente, ma senza dubbio avrai avuto le tue buone ragioni».
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«Ah, io mi immagino le cose?» ringhiò Moody. «Io avrei delle visioni, eh? È stato un mago o una strega molto abile a mettere il nome del ragazzo in quel Calice…»
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«Ah, che prove ci sono?» intervenne Madame Maxime, le grosse mani alzate.
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«Perché hanno raggirato un oggetto magico molto potente!» ribatté Moody. «Era necessario un Incantesimo Confundus di potenza eccezionale per indurre quel Calice a dimenticare che al Torneo partecipano solo tre scuole… Suppongo che abbiano inserito il nome di Potter come rappresentante di un’altra scuola, per assicurarsi che fosse l’unico della sua categoria…»
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«A quanto pare ci hai riflettuto parecchio, Moody» disse Karkaroff freddamente, «ed è in effetti una teoria molto ingegnosa — anche se, naturalmente, ho sentito dire che di recente ti sei convinto che uno dei tuoi regali di compleanno conteneva un uovo di basilisco abilmente camuffato, e lo hai fatto a pezzi prima di scoprire che era un orologio a cucù. Quindi ci comprenderai se non ti prendiamo del tutto sul serio…»
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«C’è gente che volge a proprio vantaggio occasioni innocue» ribatté Moody in tono minaccioso. «Il mio compito è di pensare come pensano i maghi Oscuri, Karkaroff — come tu dovresti ben ricordare…»
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«Alastor!» ammoni Silente. Harry si chiese per un attimo con chi stava parlando, ma poi capì che “Malocchio” non poteva certo essere il vero nome di Moody. Quest’ultimo tacque, anche se continuò a osservare Karkaroff soddisfatto. Il volto di Karkaroff era paonazzo.
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«Non sappiamo come si è giunti a questa circostanza» disse Silente, rivolto a tutti i presenti. «Mi pare, comunque, che non abbiamo altra scelta se non accettarla. Sia Harry che Cedric sono stati prescelti per gareggiare nel Torneo. E dunque è ciò che faranno…»
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«Ah, ma Silonte…»
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«Mia cara Madame Maxime, se ha un’alternativa, sarei felice di sentirla».
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Silente attese, ma Madame Maxime non parlò, si limitò a scoccare uno sguardo ostile. Non era l’unica, comunque. Piton era furioso; Karkaroff era livido. Bagman, invece, era piuttosto eccitato.
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«Be’, cominciamo, allora?» disse, fregandosi le mani e sorridendo a tutti. «Dobbiamo dare le istruzioni ai nostri campioni, vero? Barty, vuoi fare gli onori di casa?»
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Il signor Crouch parve uscire da una profonda fantasticheria.
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«Sì» disse, «le istruzioni. Sì… la prima prova…»
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Avanzò verso il fuoco. Da vicino, Harry pensò che sembrava malato. C’erano ombre scure sotto i suoi occhi, e la sua pelle segnata aveva un’aria fragile e avvizzita che non c’era alla Coppa del Mondo di Quidditch.
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«La prima prova è studiata perché voi dimostriate la vostra audacia» disse a Harry, Cedric, Fleur e Krum, «quindi non vi diremo di che cosa si tratta. Il coraggio di fronte all’ignoto è una qualità importante in un mago… molto importante…
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«La prima prova avrà luogo il 24 novembre, davanti agli altri studenti e alla commissione giudicatrice.
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«Ai campioni non è permesso di chiedere o accettare aiuti di nessun genere dai loro insegnanti per portare a termine le prove del Torneo. I campioni affronteranno la prima sfida armati solo di bacchetta magica. Riceveranno istruzioni sulla seconda prova al termine della prima. A causa della natura impegnativa del Torneo e del tempo che esso richiede, i campioni sono esentati dagli esami di fine anno».
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Crouch si volse verso Silente. «Credo che sia tutto, vero, Albus?»
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«Credo di sì» rispose Silente, guardando Crouch con aria preoccupata. «Sei sicuro che non vuoi fermarti a dormire a Hogwarts stanotte, Barty?»
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«No, Silente, devo tornare al Ministero» disse Crouch. «Questo è un periodo molto intenso, molto difficile… ho lasciato il giovane Weatherby al mio posto… è molto entusiasta… un po’ troppo entusiasta, a dire il vero…»
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«Verrai a bere qualcosa prima di partire, almeno?» disse Silente.
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«Dai, Barty, io resto qui!» esclamò allegramente Bagman. «Hogwarts è il centro di tutto, adesso, è molto più eccitante qui che in ufficio!»
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«Non credo, Ludo» disse Crouch, con un tocco dell’antica impazienza.
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«Professor Karkaroff… Madame Maxime… il bicchiere della staffa?» propose Silente.
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Ma Madame Maxime aveva già messo il braccio attorno alle spalle di Fleur e la stava guidando con decisione fuori dalla stanza. Harry le sentì parlare fitto fitto in francese mentre tornavano nella Sala Grande. Karkaroff fece un cenno a Krum, e anche loro uscirono, in silenzio, però.
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«Harry, Cedric, vi consiglio di andare su a dormire» disse Silente, sorridendo a entrambi. «Sono sicuro che Grifondoro e Tassorosso non vedono l’ora di festeggiare con voi, e sarebbe un peccato privarli di quest’ottima scusa per fare un bel po’ di baccano».
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Harry scoccò un’occhiata a Cedric, che annuì, e uscirono insieme.
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La Sala Grande ormai era deserta; le candele si erano quasi consumate, dando ai sorrisi frastagliati delle zucche un’aria inquietante e tremolante.
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«Allora» disse Cedric con un vago sorriso. «Siamo di nuovo avversari!»
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«Già» disse Harry. Non riuscì a trovare proprio nulla da dire.
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Nella sua testa regnava il caos più totale, come se il suo cervello fosse stato saccheggiato.
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«Allora… dimmi…» disse Cedric mentre raggiungevano la Sala d’Ingresso, che ora era illuminata solo da torce, in assenza del Calice di Fuoco. «Come hai fatto a mettere dentro il tuo nome?»
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«Non l’ho fatto» rispose Harry guardandolo da sotto in su. «Non l’ho messo. Ho detto la verità».
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«Ah… Ok». disse Cedric. Harry capì che non gli credeva. «Be’… ci vediamo, allora».
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Cedric si diresse verso una porta alla sua destra. Harry rimase ad ascoltarlo mentre scendeva i gradini, poi, lentamente, prese a salire la scala di marmo.
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Qualcuno, a parte Ron e Hermione, gli avrebbe creduto, o avrebbero pensato tutti che si era candidato per il Torneo? Ma come facevano a crederlo, quando avrebbe dovuto competere con altri che avevano avuto tre anni di istruzione magica più di lui, quando avrebbe dovuto affrontare prove che non solo avevano l’aria di essere molto pericolose ma dovevano essere portate a termine davanti a centinaia di persone? Sì, ci aveva pensato… aveva fantasticato… ma era stato uno scherzo, davvero, una specie di vana chimera… non aveva mai pensato veramente, seriamente di partecipare…
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Ma qualcun altro sì… qualcun altro l’aveva voluto al Torneo, e si era assicurato che vi prendesse parte. Perché? Per fargli un regalo? Non ne era molto convinto…
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Per vederlo mentre si copriva di ridicolo? Be’, era probabile che il suo desiderio si avverasse…
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Ma per farlo uccidere? Moody era fissato come al solito? Non era possibile che qualcuno avesse messo il nome di Harry nel Calice per scherzo, per fargli un tiro mancino? Qualcuno lo voleva davvero morto?
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Harry rispose subito a questo interrogativo. Sì, qualcuno lo voleva morto, fin da quando aveva solo un anno… Voldemort. Ma come avrebbe potuto assicurarsi che il nome di Harry finisse nel Calice di Fuoco? Voldemort doveva trovarsi molto, molto lontano, in qualche paese remoto, nascosto, solo… debole e privo di potere…
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Eppure nel suo sogno, appena prima di svegliarsi con la cicatrice dolorante, Voldemort non era solo… parlava con Codaliscia… progettava l’assassinio di Harry…
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Harry sussultò quando si trovò faccia a faccia con la Signora Grassa: non si era accorto di dove stava andando. Fu una sorpresa anche scoprire che non era sola dentro la cornice. La strega avvizzita che si era insinuata nel quadro del vicino quando Harry si era unito ai campioni ora era seduta con aria tronfia accanto alla Signora Grassa: doveva essersi precipitata di dipinto in dipinto lungo le sette rampe di scale per arrivare lì prima di lui. Sia lei che la Signora Grassa lo stavano guardando col massimo interesse.
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«Bene, bene, bene» disse la Signora Grassa. «Violet mi ha appena raccontato tutto. Chi è appena stato scelto come campione della scuola, allora?»
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«Guazzabuglio» rispose Harry torpido.
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«Assolutamente no!» disse la strega pallida, indignata.
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«No, no, Vi, è la parola d’ordine» disse la Signora Grassa in tono conciliante, e ruotò sui cardini per lasciar entrare Harry nella sala comune.
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Il boato che scaturì all’apertura del ritratto quasi lo ributtò indietro. Un attimo dopo, una dozzina di paia di mani lo trascinavano dentro, e Harry si trovò faccia a faccia con la Casa di Grifondoro al completo, che urlava, applaudiva e fischiava.
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«Dovevi dircelo, che ci provavi!» mugghiò Fred, in parte seccato, in parte profondamente colpito.
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«Come hai fatto a riuscirci senza beccarti la barba? Eccezionale!» ruggì George.
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«Non ho fatto un bel niente» rispose Harry. «Non so come…»
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Ma Angelina lo aveva ghermito. «Oh, se non posso essere io, almeno è un Grifondoro…»
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«Potrai ripagare Diggory per l’ultima partita a Quidditch, Harry!» strillò Katie Bell, un’altra dei Cacciatori di Grifondoro.
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«C’è da mangiare, Harry, vieni a prendere…»
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«Non ho fame, ho mangiato abbastanza al banchetto…»
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Ma nessuno volle sentire che era sazio; nessuno volle sentire che non aveva messo il nome nel Calice; non una singola persona parve accorgersi che non era affatto dell’umore giusto per festeggiare… Lee Jordan aveva recuperato da qualche parte uno stendardo di Grifondoro, e insistette per avvolgerlo attorno a Harry come un mantello. Harry non riuscì ad allontanarsi, tutte le volte che cercava di sgattaiolare verso la scala che portava ai dormitori, la folla attorno a lui serrava i ranghi e lo costringeva a trangugiare un’altra Burrobirra, e gli ficcava in mano patatine e noccioline… tutti volevano sapere come aveva fatto, come aveva raggirato la Linea dell’Età di Silente ed era riuscito a mettere il suo nome nel Calice…
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«Non ce l’ho messo» ripeté ancora e ancora, «non so com’è potuto succedere».
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Ma per quel che lo ascoltavano, avrebbe anche potuto non rispondere affatto.
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«Sono stanco!» urlò alla fine, dopo quasi mezz’ora. «No, davvero. George… vado a dormire…»
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Voleva più di ogni altra cosa trovare Ron e Hermione, trovare il lume della ragione, ma sembrava che nessuno di questi fosse nella sala comune. Insistette che aveva bisogno di dormire, quasi calpestò i piccoli fratelli Canon che cercavano di tendergli un agguato ai piedi delle scale, e infine riuscì a scrollarsi di dosso tutti quanti, e si arrampicò su nel dormitorio più in fretta che poté.
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Con suo grande sollievo, scoprì che Ron era steso sul suo letto nel dormitorio altrimenti deserto, ancora vestito da capo a piedi. Alzò lo sguardo quando Harry sbatté la porta alle sue spalle.
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«Dove sei stato?» gli chiese Harry.
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«Oh, ciao» disse Ron.
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Sorrideva, ma il suo era un sorriso molto strano, forzato. Harry si rese conto all’improvviso che indossava ancora lo stendardo scarlatto di Grifondoro che Lee gli aveva legato al collo. Si affrettò a toglierselo, ma era annodato molto stretto. Ron rimase sul letto senza muoversi, a guardare Harry che cercava di levarselo di dosso.
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«Allora» disse, quando finalmente Harry si fu levato lo stendardo e lo ebbe gettato in un angolo. «Congratulazioni».
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«Come sarebbe a dire, congratulazioni?» esclamò Harry, fissando Ron. C’era decisamente qualcosa che non andava nel sorriso di Ron; era più che altro una smorfia.
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«Be’… nessun altro è riuscito a superare la Linea dell’Età» disse Ron. «Nemmeno Fred e George. Che cos’hai usato, il Mantello dell’Invisibilità?»
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«Il Mantello dell’Invisibilità non mi avrebbe fatto oltrepassare quella linea» disse Harry lentamente.
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«Ah, giusto» disse Ron. «Credevo che me l’avresti detto se fosse stato il Mantello… perché ci avrebbe coperti tutti e due, no? Invece hai trovato un altro modo, vero?»
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«Senti» disse Harry, «non ho messo il mio nome in quel Calice. Dev’essere stato qualcun altro».
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Ron alzò le sopracciglia. «E perché lo avrebbe fatto?»
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’Per uccidermi’, pensò Harry, ma sentì che sarebbe stato troppo melodrammatico.
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«Non lo so» rispose.
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Le sopracciglia di Ron si alzarono così tanto che rischiarono di sparire inghiottite dai capelli.
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«Va bene, lo sai, a me puoi dire la verità» disse. «Se non vuoi che nessun altro lo sappia, d’accordo, ma non capisco perché ti preoccupi di mentire, non sei finito nei guai, no? Quell’amica della Signora Grassa, quella Violet, ci ha già raccontato tutto. Silente ti lascia partecipare. Un premio in denaro di mille galeoni, eh? E non devi nemmeno fare gli esami di fine anno…»
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«Non ho messo il mio nome in quel Calice!» ripeté Harry, che cominciava a spazientirsi.
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«Sì, sì, va bene» disse Ron, con lo stesso tono scettico di Cedric. «Solo che stamattina hai detto che se fossi stato tu, l’avresti messo ieri notte, e nessuno ti avrebbe visto… non sono stupido, sai».
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«Ma stai facendo di tutto per sembrarlo» scattò Harry.
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«Davvero?» disse Ron, e ora non c’era traccia di sorriso, più o meno forzato, sulla sua faccia. «Vorrai andare a dormire, Harry, immagino che dovrai alzarti presto domattina per un servizio fotografico o roba del genere».
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Afferrò le tende attorno al suo letto a baldacchino e le chiuse di scatto. Harry rimase in piedi vicino alla porta, a fissare le cortine di velluto rosso, che in quel momento nascondevano una delle poche persone che avrebbero dovuto credergli.
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