Per il resto del finesettimana Harry si sentì felice come non era mai stato fino a quel momento. Lui e Ron passarono gran parte della domenica a mettersi in pari con i compiti, e anche se non era proprio quel che si definisce un divertimento, l’ultimo sole d’autunno continuava a splendere; così, invece di stare curvi sui tavoli della sala comune, portarono i compiti fuori, all’ombra di un grande faggio sulla riva del lago. Hermione, che naturalmente era in pari, portò con sé altra lana e fece un incantesimo sui ferri da calza in modo che lavorassero a mezz’aria accanto a lei, producendo altri berretti e sciarpe.
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Sapere che stavano facendo qualcosa per resistere alla Umbridge e al Ministero, e che lui aveva un ruolo chiave nella rivolta, era per Harry motivo di immensa soddisfazione. Continuava a rivivere nella mente la riunione di sabato: tutti quei ragazzi che venivano da lui a imparare Difesa contro le Arti Oscure… e le loro facce quando avevano sentito cosa aveva fatto… e Cho che lodava il suo comportamento al Torneo Tremaghi… il pensiero che tutti quei ragazzi non lo consideravano uno svitato bugiardo, ma una persona da ammirare, lo rianimò tanto che lunedì mattina era ancora allegro, nonostante l’imminente prospettiva delle lezioni che odiava di più.
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Lui e Ron si avviarono dal dormitorio giù per le scale, discutendo dell’idea di Angelina di lavorare su una nuova mossa chiamata Presa Rovesciata del Bradipo durante l’allenamento di quella sera. Solo a metà della sala comune invasa dal sole notarono la novità, che aveva già attirato l’attenzione di un gruppetto di compagni.
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Un cartello era stato affisso alla bacheca di Grifondoro, così grande da coprire tutto il resto: l’elenco dei libri usati di incantesimi in vendita, i continui memorandum di Argus Gazza sul regolamento, l’orario degli allenamenti di Quidditch, le offerte di scambio di figurine di Cioccorane, gli ultimi annunci dei Weasley in cerca di volontari, le date dei finesettimana a Hogsmeade e gli avvisi di oggetti smarriti. Il nuovo cartello era stampato in grossi caratteri neri, e in fondo, accanto a una firma precisa e vezzosa, c’era un sigillo dall’aria ufficiale.
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PER ORDINE DELL’INQUISITORE SUPREMO DI HOGWARTS
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Tutte le organizzazioni, società, squadre, gruppi e circoli di studenti sono sciolti a partire da questo momento.
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Per organizzazione, società, squadra, gruppo o circolo si intende l’incontro regolare di tre o più studenti.
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L’autorizzazione alla ricostituzione può essere richiesta all’Inquisitore Supremo (professoressa Umbridge).
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Nessuna organizzazione, società, squadra, gruppo o circolo può esistere senza previa conoscenza e approvazione dell’Inquisitore Supremo.
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Qualsiasi studente che costituisca, o appartenga, a un’organizzazione, società, squadra, gruppo o circolo che non siano stati approvati dall’Inquisitore Supremo sarà espulso.
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Quanto sopra ai sensi del Decreto Didattico Numero Ventiquattro.
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Firmato: Dolores Jane Umbridge, Inquisitore Supremo
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Harry e Ron lessero l’avviso sopra le teste di alcuni agitati allievi del secondo anno.
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«Vuol dire che chiuderanno il Circolo delle Gobbiglie?» chiese uno di loro al suo amico.
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«Credo che le Gobbiglie non siano un problema» disse cupo Ron, facendo sobbalzare i ragazzi del secondo anno. «Invece non credo che noi saremo altrettanto fortunati, che cosa ne pensi?» domandò a Harry quando i ragazzini furono scappati.
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Harry stava rileggendo l’avviso. La felicità che lo animava da sabato era svanita. Tremava di rabbia.
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«Non è una coincidenza» mormorò, stringendo i pugni. «Lei sa».
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«Non può» disse Ron.
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«C’era gente che ascoltava, in quel pub. E ammettiamolo, non sappiamo di chi possiamo fidarci, tra tutti quelli che sono venuti… chiunque potrebbe essere andato a dirlo alla Umbridge…»
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E lui che aveva pensato che gli credessero, perfino che lo ammirassero…
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«Zacharias Smith!» esclamò d’un tratto Ron, battendo il pugno contro il palmo della mano. «Oppure… secondo me anche quel Michael Corner, ha uno sguardo sfuggente…»
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«Chissà se Hermione l’ha già visto». Harry si voltò verso la porta del dormitorio femminile.
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«Andiamo a dirglielo» propose Ron. Si avviò per primo, aprì la porta e cominciò a salire la scala a chiocciola.
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Era sul sesto gradino quando, con un alto suono lamentoso simile a un clacson, gli scalini si fusero insieme a formare un lungo, liscio scivolo di pietra. Per un breve istante Ron cercò di correre, agitando le braccia come le pale di un mulino, poi fece un capitombolo all’indietro e rotolò giù. Cadde sulla schiena, ai piedi di Harry.
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«Ehm… credo che non siamo autorizzati a salire nei dormitori delle ragazze» disse Harry, aiutandolo a rialzarsi e cercando di non ridere.
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Due ragazze del quarto vennero giù scivolando allegramente.
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«Oooh, chi ha tentato di salire?» risero, ammiccando a Harry e Ron.
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«Io» ammise Ron, ancora piuttosto arruffato. «Non lo sapevo. Non è giusto!» disse a Harry, mentre le ragazze si avviavano verso il ritratto, ridendo ancora come matte. «Hermione può entrare nel nostro dormitorio, perché noi non…?»
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«È una vecchia regola» spiegò Hermione, che dopo una graziosa scivolata era atterrata su un tappeto davanti a loro e si stava alzando. «In Storia di Hogwarts si dice che i fondatori pensavano che i ragazzi fossero meno affidabili delle ragazze. A proposito, come mai avete cercato di entrare?»
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«Per venire da te… guarda!» disse Ron, trascinandola davanti alla bacheca.
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Hermione scorse in fretta l’avviso. La sua espressione divenne gelida.
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«Qualcuno ha fatto la spia!» esclamò Ron con rabbia.
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«Non è possibile» sussurrò Hermione.
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«Quanto sei ingenua» disse Ron, «credi che solo perché tu sei un tipo tutto onore e lealtà…»
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«No, non è possibile perché la pergamena che abbiamo firmato è stregata» ribatté cupa Hermione. «Credimi, se qualcuno è andato a cantare dalla Umbridge, sapremo chi è stato, e se ne pentirà sul serio».
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«Che cosa gli capiterà?» chiese Ron, curioso.
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«Be’, mettiamola così» disse Hermione, «al confronto, l’acne di Eloise Midgeon sembrerà una deliziosa spruzzatina di lentiggini. Andiamo a colazione e sentiamo che cosa ne pensano gli altri… chissà se l’annuncio è stato affisso in tutte le Case».
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Fu subito chiaro, all’ingresso nella Sala Grande, che l’avviso della Umbridge non era apparso solo nella Torre di Grifondoro. Il chiacchiericcio aveva un’intensità particolare e c’era un gran movimento di gente che andava su e giù fra i tavoli discutendo di quello che aveva letto. Harry, Ron e Hermione avevano appena preso posto quando Neville, Dean, Fred, George e Ginny piombarono su di loro.
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«Hai visto?»
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«Credi che lei sappia?»
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«Che cosa facciamo?»
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Guardavano tutti Harry. Lui controllò che non ci fossero insegnanti nei dintorni.
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«Lo facciamo lo stesso, è ovvio» bisbigliò.
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«Sapevo che avresti detto così» disse George raggiante, dandogli un amichevole pugno sul braccio.
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«Anche i prefetti?» chiese Fred, con uno sguardo interrogativo rivolto a Ron e Hermione.
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«Naturalmente» rispose Hermione con disinvoltura.
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«Arrivano Ernie e Hannah Abbott» disse Ron, guardando indietro. «E quei tipi di Corvonero e Smith… ma nessuno sembra molto butterato».
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Hermione parve allarmata.
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«Lascia perdere i brufoli, quegli idioti non possono venire qui, o gli altri sospetteranno… sedetevi!» disse a Ernie e Hannah muovendo solo le labbra, e si sbracciò in gesti frenetici verso il tavolo di Tassorosso. «Dopo! Parliamo dopo!»
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«Lo dico a Michael» fece Ginny spazientita, alzandosi dalla panca, «quello scemo…» e corse al tavolo di Corvonero; Harry la seguì con lo sguardo. Cho era seduta accanto all’amica dai capelli ricci che aveva portato con sé alla Testa di Porco. L’avviso della Umbridge l’avrebbe spaventata al punto da non farla venire più alle riunioni?
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Ma le conseguenze dell’annuncio non furono del tutto chiare finché non fecero per lasciare la Sala Grande, diretti a Storia della Magia.
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«Harry! Ron!»
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Angelina corse verso di loro, sopraffatta dalla disperazione.
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«Va tutto bene» mormorò Harry, quando lei fu abbastanza vicina. «Lo facciamo lo stesso…»
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«Vi rendete conto che parlava anche del Quidditch?» disse Angelina senza ascoltarlo. «Dobbiamo andare a chiederle il permesso di riformare la squadra di Grifondoro!»
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«Cosa?» fece Harry.
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«Non è possibile» esclamò Ron, inorridito.
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«Avete visto il cartello, parla anche delle squadre! Harry, stammi a sentire… per l’ultima volta… ti prego, ti prego, non perdere la calma con la Umbridge o non ci lascerà più giocare!»
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«Va bene, d’accordo» rispose Harry, visto che Angelina sembrava sul punto di scoppiare in lacrime. «Non ti preoccupare, farò il bravo…»
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«Scommetto che la Umbridge sarà a Storia della Magia» mormorò cupo Ron, mentre si avviavano alla lezione di Rüf. «Non è mai venuta, non ancora… scommetto quello che vi pare che la troviamo lì…»
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Ma si sbagliava; l’unico insegnante nell’aula era il professor Rüf, che fluttuava come sempre un paio di centimetri al di sopra della sedia e si preparava a continuare il suo monotono borbottio sulle guerre dei giganti. Harry non tentò nemmeno di seguire quello che stava dicendo; scarabocchiò distratto sulla sua pergamena, ignorando i frequenti cenni e le occhiatacce di Hermione, finché una gomitata particolarmente dolorosa fra le costole non gli fece alzare la testa con rabbia.
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«Che cosa c’è?»
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Lei indicò la finestra. Harry si voltò. Edvige era appollaiata sullo stretto davanzale e lo fissava attraverso il vetro spesso, con una lettera legata alla zampa. Harry non capiva: avevano appena fatto colazione, come mai non l’aveva consegnata allora, come al solito? Anche molti altri compagni indicavano Edvige.
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«Oh, mi è sempre piaciuta tanto quella civetta, è così bella» sospirò Lavanda rivolta a Calì.
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Harry lanciò un’occhiata al professor Rüf, che continuava a leggere i suoi appunti, beatamente ignaro che l’attenzione della classe era rivolta ancora meno del solito a lui. Harry si alzò in silenzio, si chinò e corse dietro la fila di banchi sino alla finestra, aprendola pian piano.
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Si aspettava che Edvige tendesse la zampa per fargli prendere la lettera e poi volasse di nuovo nella Guferia, ma non appena la finestra fu aperta abbastanza saltò dentro, stridendo afflitta. Harry richiuse i vetri con un’occhiata nervosa al professor Rüf, si chinò di nuovo e tornò al suo banco con Edvige sulla spalla. Se la posò in grembo e fece per toglierle la lettera dalla zampa.
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Solo allora si rese conto che aveva le piume curiosamente arruffate; alcune erano piegate nel verso sbagliato, e una delle ali ricadeva a una strana angolatura.
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«È ferita!» bisbigliò Harry, curvo su di lei. Hermione e Ron si sporsero a guardare; Hermione posò addirittura la piuma. «Guarda… ha qualcosa all’ala…»
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Edvige tremava; quando Harry fece per toccarle l’ala sussultò, gonfiò le piume e gli lanciò un’occhiata di rimprovero.
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«Professor Rüf» disse Harry ad alta voce, e tutta la classe si voltò a guardarlo. «Non mi sento bene».
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Rüf alzò gli occhi, stupito come sempre di trovarsi davanti tanta gente.
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«Non ti senti bene?» ripeté in tono vago.
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«Per niente» rispose Harry deciso, e si alzò tenendo Edvige nascosta dietro la schiena. «Credo di dover andare in infermeria».
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«Sì» disse il professor Rüf, preso alla sprovvista. «Sì… sì, l’infermeria… bene, vai pure, Perkins…»
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Una volta fuori dall’aula, Harry si posò di nuovo Edvige sulla spalla e corse via. Si fermò a riflettere solo quando la porta di Rüf non fu più in vista. Se avesse potuto scegliere a chi far curare Edvige, il primo sarebbe stato Hagrid, ma visto che non aveva la minima idea di dove fosse, la sola possibilità era trovare la professoressa Caporal e sperare che potesse aiutarlo.
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Guardò fuori dalla finestra il paesaggio grigio e tempestoso. Non c’era traccia di lei attorno alla capanna di Hagrid; se non stava facendo lezione, probabilmente era in sala professori. Si avviò giù per le scale, con Edvige che fischiava debolmente ondeggiando sulla sua spalla.
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Ai lati della porta della sala professori c’erano due gargoyle di pietra. Quando Harry fu vicino, uno di essi gracchiò: «Dovresti essere in classe, ragazzino».
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«È una cosa urgente» tagliò corto Harry.
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«Ooooh, è urgente!» disse l’altro gargoyle con voce stridula. «Be’, questo sistema tutto, vero?»
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Harry bussò. Sentì un rumore di passi, poi la porta si aprì e lui si trovò faccia a faccia con la professoressa McGranitt.
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«Non avrai preso un’altra punizione!» esclamò subito lei, mentre le sue lenti quadrate mandavano un lampo allarmante.
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«No, professoressa!» si affrettò a rispondere Harry.
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«Allora perché non sei in classe?»
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«A quanto pare è urgente» intervenne subdolo il secondo gargoyle.
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«Sto cercando la professoressa Caporal» spiegò Harry. «La mia civetta è ferita».
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«Una civetta ferita, hai detto?» La professoressa Caporal apparve alle spalle della McGranitt; fumava la pipa e teneva in mano una copia del La Gazzetta del Profeta.
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«Sì» disse Harry, sollevando con cautela Edvige dalla spalla, «è arrivata dopo gli altri gufi e ha l’ala strana, guardi…»
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La professoressa Caporal si ficcò la pipa tra i denti e prese Edvige, sotto gli occhi della McGranitt.
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«Mmm» mormorò, muovendo appena la pipa mentre parlava. «Sembra che sia stata aggredita, ma non riesco a immaginare da cosa. A volte i Thestral attaccano gli uccelli, certo, ma Hagrid ha addestrato quelli di Hogwarts a non toccare i gufi».
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Harry non sapeva che cosa fossero i Thestral e non gli importava; voleva solo sentirsi dire che Edvige sarebbe guarita. La McGranitt, però, gli rivolse uno sguardo tagliente e chiese: «Sai che percorso ha fatto questa civetta, Potter?»
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«Ehm» rispose Harry, «veniva da Londra, credo».
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Incrociò i suoi occhi per un istante e intuì, dal modo in cui aveva congiunto le sopracciglia, che lei sapeva che “Londra” voleva dire “Grimmauld Place, numero dodici”.
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La professoressa Caporal tirò fuori dalla tasca un monocolo e se lo sistemò sull’occhio per esaminare da vicino l’ala di Edvige. «Dovrei essere in grado di curarla se me la lasci, Potter» disse. «Per qualche giorno non dovrà volare per lunghe distanze, comunque».
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«Ehm… va bene, grazie» disse Harry, mentre suonava la campana della ricreazione.
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«Non c’è problema» rispose burbera la Caporal, e fece per allontanarsi.
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«Un momento, Wilhelmina!» intervenne la McGranitt. «La lettera di Potter!»
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«Oh, sì!» esclamò Harry, che aveva quasi dimenticato la pergamena legata alla zampa di Edvige. La professoressa Caporal gliela porse e sparì in sala professori portandosi via Edvige, che fissava Harry come se non riuscisse a credere che lui potesse abbandonarla così. Sentendosi vagamente in colpa, Harry fece per andarsene, ma la McGranitt lo richiamò.
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«Potter!»
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«Sì, professoressa?»
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Lei lanciò un’occhiata in corridoio: c’erano studenti che si avvicinavano da tutte le parti.
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«Ricordati» gli disse in fretta, a bassa voce, senza distogliere lo sguardo dalla pergamena nella sua mano, «che i canali di comunicazione da e per Hogwarts potrebbero essere sorvegliati, è chiaro?»
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«Io…» balbettò Harry, ma il flusso di studenti nel corridoio l’aveva quasi travolto. La McGranitt gli rivolse un breve cenno e tornò in sala professori, mentre Harry si lasciava trascinare dagli altri in cortile. Vide Ron e Hermione in un angolo riparato, con i colletti dei mantelli alzati per proteggersi dal vento. Harry srotolò la pergamena mentre si avvicinava a loro e lesse cinque parole nella grafia di Sirius:
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Oggi, stessa ora, stesso posto.
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«Edvige sta bene?» domandò Hermione preoccupata, quando Harry fu a portata d’orecchio.
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«Dove l’hai lasciata?» chiese Ron.
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«Alla Caporal» rispose Harry. «E ho incontrato la McGranitt… sentite…»
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Raccontò che cosa aveva detto la McGranitt. Con sua sorpresa, nessuno di loro si stupì. Al contrario, i due amici si scambiarono un’occhiata significativa.
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«Che cosa c’è?» chiese Harry, spostando lo sguardo dall’uno all’altra.
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«Be’, stavo dicendo a Ron… e se qualcuno avesse cercato di intercettare Edvige? Insomma, non si è mai fatta male in volo prima, giusto?»
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«Di chi è la lettera, a proposito?» chiese Ron, prendendola dalle mani di Harry.
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«Di Tartufo» rispose piano Harry.
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«“Stessa ora, stesso posto”? Vuol dire il camino della sala comune?»
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«Ovvio» commentò Hermione, leggendo il biglietto. Sembrava a disagio. «Spero solo che nessun altro l’abbia letto…»
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«Ma era sigillato» disse Harry, cercando di convincere se stesso, oltre che lei. «E nessuno capirebbe cosa c’è scritto se non sapesse dove abbiamo già parlato con lui, giusto?»
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«Non lo so» ribatté Hermione nervosa, issandosi di nuovo la borsa sulla spalla al suono della campanella, «non sarebbe proprio difficile risigillare la pergamena per magia… e se la Metropolvere è sorvegliata… ma non vedo come possiamo dirgli di non venire senza essere intercettati anche noi!»
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Scesero le scale diretti all’aula di Pozioni, tutti e tre persi nei propri pensieri, ma giunti in fondo furono richiamati alla realtà dalla voce di Draco Malfoy, che era fuori dall’aula di Piton e sventolava una pergamena dall’aria ufficiale, parlando a voce molto più alta del necessario.
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«Sì, la Umbridge ha dato subito il permesso alla squadra di Quidditch di Serpeverde di continuare a giocare, gliel’ho chiesto per prima cosa questa mattina. Be’, è stato praticamente automatico, lei conosce benissimo mio padre, lui entra ed esce dal Ministero come gli pare… sarà interessante vedere se anche Grifondoro otterrà il permesso, non credete?»
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«Non reagite» disse Hermione a Harry e Ron con un sussurro supplichevole, «è proprio quello che vuole».
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«Cioè» continuò Malfoy alzando ancora la voce, mentre i suoi occhi grigi brillavano malevoli all’indirizzo di Harry e Ron, «se dipende dall’influenza all’interno del Ministero, non credo che abbiano molte possibilità… secondo mio padre sono anni che cercano una scusa per licenziare Arthur Weasley… e quanto a Potter, mio padre dice che è solo una questione di tempo prima che il Ministero lo spedisca al San Mungo… pare che abbiano un reparto speciale per quelli con il cervello spappolato dalla magia».
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Malfoy fece una faccia grottesca, con la bocca aperta e gli occhi al cielo. Tiger e Goyle scoppiarono nella loro risata simile a un grugnito e Pansy Parkinson squittì deliziata.
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Qualcosa urtò violentemente contro la spalla di Harry, facendolo barcollare. Una frazione di secondo dopo, si rese conto che Neville era partito alla carica e puntava verso Malfoy.
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«Neville, no!»
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Harry balzò in avanti e afferrò Neville per gli abiti; Neville si divincolò freneticamente, agitando i pugni, cercando disperatamente di colpire Malfoy, che per un attimo parve sotto shock.
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«Aiutami!» disse Harry a Ron. Riuscì a passare un braccio attorno al collo di Neville e a trascinarlo via, lontano dai Serpeverde. Tiger e Goyle avevano fatto un passo avanti, i pugni in guardia, pronti alla rissa. Ron afferrò il braccio di Neville e insieme a Harry riuscì a trascinarlo nella fila di Grifondoro. Neville era paonazzo; la pressione del braccio di Harry sulla sua gola rendeva incomprensibili le strane parole che gli uscivano dalle labbra.
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«Non… ridere… non… Mungo… faccio… vedere…»
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La porta dell’aula si aprì e apparve Piton. I suoi occhi neri scorsero la fila di Grifondoro fino al punto in cui Harry e Ron stavano lottando con Neville.
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«Potter, Weasley, Paciock… state facendo a botte?» chiese con la sua voce fredda e beffarda. «Dieci punti in meno per Grifondoro. Lascia andare Paciock, Potter, o ti prendi una punizione. Dentro, avanti».
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Harry lasciò andare Neville, che lo guardò storto, ansimando.
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«Ho dovuto fermarti» si giustificò Harry senza fiato, recuperando la borsa. «Tiger e Goyle ti avrebbero fatto a pezzi».
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Neville non disse nulla; si limitò a riprendere la borsa e a entrare nell’aula.
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«Per la barba di Merlino» bisbigliò Ron, mentre lo seguivano, «che cosa gli ha preso?»
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Harry non rispose. Sapeva esattamente perché il tema dei pazienti del San Mungo e dei danni mentali provocati dalla magia era tanto delicato per Neville, ma aveva giurato a Silente di non dirlo mai a nessuno. Nemmeno Neville sapeva che Harry sapeva.
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Harry, Ron e Hermione presero i soliti posti in fondo all’aula, tirarono fuori piume, pergamene e le loro copie di Mille Erbe e Funghi Magici. Tutta la classe bisbigliava della reazione di Neville, ma quando Piton chiuse la porta con uno schianto, tutti tacquero all’istante.
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«Avrete notato» disse Piton con la sua voce bassa e sarcastica, «che oggi abbiamo un’ospite».
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Indicò un angolo dell’aula in penombra e Harry vide la professoressa Umbridge seduta con la tavoletta sulle ginocchia. Alzando le sopracciglia, Harry lanciò un’occhiata a Ron e Hermione: Piton e la Umbridge, gli insegnanti che odiava di più. Difficile decidere quale dei due voleva veder trionfare sull’altro.
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«Oggi proseguiremo con la Soluzione Corroborante. Troverete le vostre misture come le avete lasciate la volta scorsa; se sono state eseguite correttamente, dovrebbero essere maturate durante il finesettimana. Le istruzioni…» agitò di nuovo la bacchetta, «…sono sulla lavagna. Al lavoro».
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La professoressa Umbridge passò la prima mezz’ora della lezione prendendo appunti nel suo angolo. A Harry interessava molto sentirla interrogare Piton; tanto che si distrasse di nuovo.
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«Sangue di salamandra, Harry!» gemette Hermione, afferrandogli il polso per impedirgli di aggiungere per la terza volta l’ingrediente sbagliato, «non succo di melagrana!»
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«Ah, sì» disse lui vago, posando la boccetta e continuando a guardare nell’angolo. La Umbridge si era appena alzata. «Aha» fece Harry piano, vedendola dirigersi tra due file di banchi verso Piton, che era chino sul calderone di Dean Thomas.
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«La classe sembra molto avanzata per il suo livello» disse brusca la Umbridge alla schiena di Piton. «Ma mi stavo chiedendo se sia il caso di insegnare loro una pozione come la Soluzione Corroborante. Credo che il Ministero preferirebbe che fosse esclusa dal programma».
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Piton si raddrizzò lentamente e si voltò a guardarla.
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«Bene… da quanto tempo insegna a Hogwarts?» chiese la Umbridge, con la piuma pronta sulla tavoletta.
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«Quattordici anni» rispose Piton. La sua espressione era indecifrabile. Harry, senza smettere di guardarlo, aggiunse qualche goccia alla sua pozione; quella sibilò minacciosa e da turchese diventò arancione.
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«So che prima aveva fatto domanda per la cattedra di Difesa contro le Arti Oscure…» disse la Umbridge.
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«Sì» rispose piano Piton.
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«Ma non ha avuto successo?»
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Piton fece una smorfia.
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«Evidentemente».
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La professoressa Umbridge prese nota.
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«E tutti gli anni, da quando è arrivato qui a scuola, ha fatto regolarmente domanda per quel posto, se non sbaglio».
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«Sì» confermò Piton muovendo appena le labbra. Sembrava furibondo.
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«Ha idea della ragione per cui Silente gliel’ha rifiutato con tanta costanza?» chiese la Umbridge.
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«Le suggerisco di domandarlo a lui» rispose Piton con uno scatto.
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«Oh, lo farò» disse la Umbridge, con un dolce sorriso.
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«Immagino che sia rilevante, vero?» domandò Piton, stringendo gli occhi neri.
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«Oh, sì» rispose la Umbridge. «Sì, il Ministero vuole un quadro completo del… ehm… bagaglio di esperienze degli insegnanti».
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Gli voltò le spalle e andò a interrogare Pansy Parkinson sulle lezioni. Piton si voltò verso Harry e i loro occhi si incontrarono per un istante. Harry si chinò precipitosamente sulla pozione, che si stava coagulando in maniera davvero sleale ed emanava un deciso odore di gomma bruciata.
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«Un altro non classificato, Potter» disse Piton maligno, vuotando il calderone di Harry con un tocco di bacchetta. «Voglio che tu scriva un tema sulla corretta composizione di questa pozione, indicando dove e perché hai sbagliato, e me lo consegni alla prossima lezione, è chiaro?»
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«Sì» rispose Harry furente. Piton aveva già assegnato dei compiti e quella sera c’era l’allenamento di Quidditch; questo significava un altro paio di notti insonni. Non gli sembrava possibile di essersi svegliato tanto felice, quella mattina. Ora provava solo il fervente desiderio che quella giornata finisse al più presto.
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«Forse salto Divinazione» annunciò tetro dopo pranzo, in cortile, con il vento che agitava gli orli delle vesti e le tese dei cappelli. «Fingerò di star male e farò il tema per Piton, così non dovrò stare sveglio stanotte».
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«Non puoi saltare Divinazione» disse Hermione, severa.
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«Senti chi parla! Tu te ne sei andata! La odi, la Cooman!» osservò indignato Ron.
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«Io non la odio» ribatté lei altera. «Penso solo che sia un’insegnante assolutamente atroce e una vera impostora. Ma Harry ha già perso Storia della Magia e non credo che debba saltare altre lezioni, oggi!»
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Era un’affermazione troppo vera per poterla ignorare, così mezz’ora dopo Harry prese posto nell’atmosfera calda e densa di aromi dell’aula di Divinazione, furioso con il mondo. La professoressa Cooman stava di nuovo distribuendo L’Oracolo dei Sogni. Harry pensò che avrebbe impiegato molto meglio il suo tempo facendo il tema per Piton piuttosto che cercare di dare un senso a un mucchio di sogni inventati.
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A quanto pareva, comunque, non era l’unica persona in classe a essere furibonda. La professoressa Cooman sbatté una copia dell’Oracolo sul tavolo tra Harry e Ron e passò oltre, a labbra serrate; lanciò la copia successiva a Seamus e Dean, mancando di un pelo la testa di Seamus, e con l’ultima centrò Neville in pieno petto, con tanta forza che lui cadde dal pouf.
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«Al lavoro, insomma!» esclamò la Cooman con voce forte, acuta e un po’ isterica. «Sapete cosa fare! O sono forse un’insegnante così scadente che non avete nemmeno imparato ad aprire un libro?»
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I ragazzi si scambiarono occhiate perplesse, e poi le rivolsero a lei. Harry invece credeva di sapere cosa era successo. Mentre la Cooman tornava in fretta a sedersi sulla sedia dallo schienale alto, gli occhi enormi gonfi di pianto, Harry si chinò verso Ron e mormorò: «Deve aver ricevuto l’esito dell’ispezione».
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«Professoressa» disse Calì Patil in un bisbiglio (lei e Lavanda avevano sempre ammirato la Cooman). «Professoressa, c’è qualcosa… che non va?»
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«Qualcosa che non va!» esclamò la Cooman con voce tremula. «Certo che no! Oh, be’, sono stata insultata… sono state fatte insinuazioni su di me… mosse accuse infondate… ma no, non c’è niente che non va!»
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Trasse un gran respiro tremante e distolse lo sguardo da Calì, mentre lacrime di rabbia le spuntavano da sotto gli occhiali.
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«Non voglio parlare» singhiozzò, «di sedici anni di fedele servizio… a quanto pare sono passati inosservati… ma non mi farò insultare, questo no!»
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«Ma professoressa, chi la sta insultando?» chiese timidamente Calì.
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«Il Sistema!» rispose la professoressa Cooman con voce profonda, teatrale e vibrante. «Sì, coloro i cui occhi sono troppo offuscati dalle occupazioni mondane per Vedere come io Vedo, per Sapere ciò che io So… naturalmente noi Veggenti siamo sempre stati temuti, perseguitati… ahimè, è il nostro destino».
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Deglutì, si tamponò le guance umide con l’orlo dello scialle, poi trasse dalla manica un fazzolettino ricamato e si soffiò il naso con un rumore che ricordava una delle pernacchie di Pix.
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Ron ridacchiò. Lavanda gli scoccò un’occhiata disgustata.
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«Professoressa» disse Calì, «vuol dire… forse la professoressa Umbridge…?»
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«Non parlatemi di quella donna!» gridò la Cooman balzando in piedi in un tintinnio di perline, con gli occhiali che lampeggiavano. «Siete pregati di continuare il vostro lavoro!»
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Per tutto il resto della lezione si aggirò tra loro, con le lacrime che ancora le spuntavano da sotto le lenti, mormorando tra sé quelle che sembravano minacce.
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«…tanto vale che me ne vada… una cosa indegna… in verifica… vedremo… come osa…»
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«Tu e la Umbridge avete qualcosa in comune» disse piano Harry a Hermione quando si incontrarono di nuovo per Difesa contro le Arti Oscure. «Ovviamente anche lei ha capito che la Cooman è un’impostora… pare che l’abbia messa in verifica».
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La Umbridge entrò mentre lui parlava. Ostentava il solito fiocco di velluto nero e un’espressione di profondo compiacimento.
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«Buon pomeriggio, ragazzi».
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«Buon pomeriggio, professoressa Umbridge» cantilenarono tutti in tono depresso.
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«Via le bacchette, prego».
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Ma non ci fu il solito tramestio di risposta questa volta; nessuno si era preso la briga di tirarle fuori.
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«Andate a pagina trentaquattro di Teoria della Magia Difensiva e leggete il Capitolo Tre, intitolato “Casi di risposta non offensiva agli attacchi magici”. Non ci sarà…»
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«…bisogno di parlare» conclusero in coro Harry, Ron e Hermione, a denti stretti.
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* * *
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«Niente Quidditch» annunciò Angelina in tono lugubre quando Harry, Ron e Hermione entrarono nella sala comune quella sera dopo cena.
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«Ma io sono rimasto tranquillo!» esclamò Harry, atterrito. «Non le ho detto niente, Angelina, te lo giuro, io…»
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«Lo so, lo so» disse Angelina, afflitta. «Lei ha detto che ha bisogno di un po’ di tempo per pensarci».
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«Pensare a cosa?» chiese Ron con rabbia. «Ha dato il permesso a Serpeverde: perché a noi no?»
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Ma Harry riusciva a immaginare quale piacere provasse la Umbridge a brandire sulle loro teste la minaccia di non ricostituire la squadra di Grifondoro, e capiva benissimo come mai non volesse rinunciare tanto in fretta a quell’arma.
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«Be’» disse Hermione, «guarda il lato buono… almeno adesso hai tempo di fare il tema per Piton!»
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«E questo sarebbe un lato buono?» sbottò Harry, mentre Ron guardava Hermione incredulo. «Niente Quidditch e compiti di Pozioni?»
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Harry si lasciò cadere su una sedia, tirò fuori la pergamena di malavoglia e si mise al lavoro. Gli fu molto difficile concentrarsi; anche se sapeva che avrebbe visto Sirius solo molto più tardi, non poteva fare a meno di guardare nel fuoco ogni cinque minuti, tanto per controllare. C’era anche un baccano incredibile nella sala: Fred e George avevano finalmente perfezionato un modello di Merendine Marinare, di cui davano dimostrazione a turno tra una folla vociante ed entusiasta.
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Prima Fred dava un morso all’estremità arancione di una caramella gommosa, e vomitava in modo spettacolare in un secchio. Poi inghiottiva l’estremità viola e il vomito cessava di botto. Lee Jordan, nel ruolo di assistente, faceva pigramente Evanescere il vomito a intervalli regolari, con lo stesso incantesimo che Piton usava sulle pozioni di Harry.
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Con il sottofondo costante dei conati, delle ovazioni e le voci di Fred e George che prendevano gli ordini, Harry trovò particolarmente difficile concentrarsi sulla formula corretta della Soluzione Corroborante. Hermione non era di alcun aiuto; gli applausi e il rumore del vomito nel secchio erano sottolineati dai suoi sbuffi di disapprovazione, che Harry trovava ancora più fastidiosi.
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«Vai a dirgli di smettere, allora!» disse irritato, dopo aver cancellato per la quarta volta la dose sbagliata di artiglio di grifone in polvere.
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«Non posso, tecnicamente non stanno facendo nulla di sbagliato» ribatté Hermione a denti stretti. «È nel loro diritto mangiare quelle schifezze, e non riesco a trovare una norma che proibisca ad altri idioti di comprarle, a meno che non si dimostri che sono pericolose; e a quanto pare non lo sono».
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Lei, Harry e Ron rimasero a guardare George che vomitava a raffica nel secchio, mandava giù il resto della caramella e si rialzava raggiante, a braccia aperte, per ricevere il lungo applauso.
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«Sai, non capisco come mai quei due abbiano preso solo tre G.U.F.O. a testa» disse Harry guardando Fred, George e Lee che raccoglievano soldi dalla folla avida. «Sanno davvero il fatto loro».
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«Oh, conoscono solo incantesimi che fanno un sacco di scena e non sono veramente utili a nessuno» rispose Hermione sprezzante.
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«Non sono utili?» obiettò Ron, piccato. «Hermione, hanno già tirato su ventisei galeoni».
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Ci volle ancora un bel po’ prima che la folla attorno ai gemelli Weasley si disperdesse, poi Fred, Lee e George rimasero a contare gli incassi. Perciò fu solo a mezzanotte passata che Harry, Ron e Hermione ebbero la sala comune tutta per loro. Alla fine Fred si chiuse alle spalle la porta che conduceva ai dormitori maschili, facendo tintinnare le sue monete con tanta ostentazione che Hermione gli scoccò un’occhiataccia. Harry non era andato molto avanti con il suo tema e decise di lasciar perdere. Mentre metteva via i libri, Ron, che si stava appisolando in poltrona, si svegliò con un grugnito soffocato e guardò confusamente nel fuoco.
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«Sirius!» esclamò.
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Harry si voltò di scatto. La testa scura e spettinata di Sirius era di nuovo nel fuoco.
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«Ciao» disse, con un sorriso.
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«Ciao» risposero in coro Harry, Ron e Hermione, inginocchiandosi sul tappeto davanti al camino. Grattastinchi fece le fusa e si avvicinò al fuoco, cercando, nonostante il calore, di annusare il viso di Sirius.
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«Come vanno le cose?» domandò Sirius.
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«Non un granché» rispose Harry, mentre Hermione allontanava Grattastinchi per impedirgli di incendiarsi i baffi. «Il Ministero ha imposto un altro decreto, per cui non è più permesso avere squadre di Quidditch…»
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«O gruppi segreti di Difesa contro le Arti Oscure?» completò Sirius.
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Ci fu una pausa.
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«Come lo sai?» domandò Harry.
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«Dovreste scegliere i vostri luoghi di riunione con più cura» rispose Sirius, con un sorriso ancora più largo. «La Testa di Porco, ma andiamo».
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«Be’, sempre meglio dei Tre Manici di Scopa!» ribatté Hermione sulla difensiva. «È sempre pieno di gente…»
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«E quindi sarebbe stato più difficile sentire cosa dicevate» disse Sirius. «Hai molto da imparare, Hermione».
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«Chi ci spiava?» domandò Harry.
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«Mundungus, ovviamente» disse Sirius, e rise alle loro facce perplesse. «Era la strega sotto il velo».
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«Quello era Mundungus?» Harry era sbalordito. «E che cosa ci faceva alla Testa di Porco?»
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«Secondo te?» sbuffò Sirius. «Ti teneva d’occhio, è evidente».
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«Sono ancora pedinato?» Harry si arrabbiò.
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«Certo» rispose Sirius, «e infatti, la prima cosa che fai nel tuo finesettimana libero è organizzare un gruppo di Difesa clandestino».
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Ma non sembrava arrabbiato né preoccupato. Al contrario, guardava Harry con visibile orgoglio.
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«Perché Dung si è nascosto?» chiese Ron, con un certo disappunto. «Ci avrebbe fatto piacere vederlo».
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«È stato bandito dalla Testa di Porco vent’anni fa» spiegò Sirius, «e quel barista ha la memoria lunga. Abbiamo perso il Mantello dell’Invisibilità di scorta che aveva Moody quando Sturgis è stato arrestato, così ultimamente Dung si veste spesso da strega… Comunque, prima di tutto, Ron… ho promesso a tua madre di riferirti un messaggio».
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«Ah sì?» disse Ron, apprensivo.
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«Dice che per nessuna ragione al mondo devi partecipare a gruppi segreti di Difesa contro le Arti Oscure. Dice che saresti espulso di sicuro e il tuo futuro sarebbe rovinato. Dice che avrai un sacco di tempo per imparare come difenderti e che sei troppo giovane per preoccupartene adesso. In più, consiglia» e gli occhi di Sirius si rivolsero agli altri due, «a Harry e Hermione di non andare avanti con il gruppo, anche se si rende conto di non avere autorità su di voi, e vi prega solo di ricordare che ha a cuore il vostro bene. Vi avrebbe scritto tutto questo, ma se il gufo fosse stato intercettato voi sareste finiti in un guaio serio, e non può dirvelo di persona perché stanotte è di turno».
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«Di turno per cosa?» domandò in fretta Ron.
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«Faccende dell’Ordine, non ci pensare» rispose Sirius. «Così è toccato a me fare da messaggero; per favore, ditele che l’ho fatto, perché secondo me non si fida».
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Ci fu un’altra pausa durante la quale Grattastinchi, miagolando, cercò di toccare la testa di Sirius con la zampa, e Ron giocherellò con un buco nel tappeto.
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«Insomma, tu vuoi che le dica che non parteciperò al gruppo di Difesa?» mormorò alla fine.
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«Io? Certo che no!» rispose Sirius, sorpreso. «Io credo che sia un’idea eccellente!»
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«Davvero?» Harry si sentì sollevato.
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«Ma sicuro!» disse Sirius. «Pensi che io e tuo padre ce ne saremmo stati buoni buoni a prendere ordini da una vecchia megera come la Umbridge?»
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«Ma… l’anno scorso continuavi a ripetermi di stare attento e non correre rischi…»
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«L’anno scorso tutto suggeriva che qualcuno all’interno di Hogwarts stesse cercando di ucciderti, Harry!» rispose Sirius, impaziente. «Quest’anno sappiamo che c’è qualcuno fuori da Hogwarts che vorrebbe ucciderci tutti, quindi credo che imparare a difendersi come si deve sia un’ottima idea!»
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«E se veniamo espulsi?» chiese Hermione, dubbiosa.
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«Hermione, ma è stata una tua idea!» Harry la fissò.
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«Lo so. Volevo solo sapere che cosa ne pensava Sirius» disse lei con un’alzata di spalle.
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«Be’, meglio espulsi e capaci di difendersi che a scuola senza la minima idea di quello che succede» rispose Sirius.
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«Ben detto!» esclamarono entusiasti Harry e Ron.
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«Allora» continuò Sirius, «com’è organizzato il gruppo? Dove vi incontrate?»
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«Eh, quello è un problema» rispose Harry. «Non lo so proprio».
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«Che ne dite della Stamberga Strillante?» suggerì Sirius.
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«Ehi, è un’idea!» esclamò Ron eccitato, ma Hermione emise un suono scettico e gli altri, Sirius compreso, la guardarono.
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«Sirius, eravate solo in quattro quando vi incontravate alla Stamberga Strillante» disse Hermione, «e sapevate trasformarvi in animali e immagino che avreste potuto stringervi tutti sotto un Mantello dell’Invisibilità all’occorrenza. Ma noi siamo ventotto, nessuno è un Animagus, e quindi non ci servirebbe tanto un Mantello quanto un Tendone dell’Invisibilità…»
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«È vero» ammise Sirius, un po’ deluso. «Be’, sono sicuro che troverete una soluzione. Una volta c’era un passaggio segreto piuttosto ampio dietro quel grande specchio al quarto piano: forse vi basta per esercitarvi negli incantesimi».
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«Fred e George mi hanno detto che è chiuso» disse Harry scuotendo il capo. «È franato, o qualcosa del genere».
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«Oh…» fece Sirius, aggrottando la fronte. «Bene, ci penso e ve lo…»
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S’interruppe. Il suo volto si fece all’improvviso teso e allarmato. Si voltò e guardò, almeno così sembrava, il robusto muro di mattoni del caminetto.
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«Sirius…» disse Harry, ansioso.
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Ma era svanito. Harry fissò le fiamme per qualche attimo, a bocca aperta, poi si voltò verso Ron e Hermione.
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«Perché è…?»
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Hermione trattenne il respiro atterrita e balzò in piedi, sempre fissando il fuoco.
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Tra le fiamme era apparsa una mano che si agitava come per afferrare qualcosa: una mano tozza, dalle dita corte coperte di brutti anelli antiquati.
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I tre scapparono di corsa. Alla porta dei dormitori dei ragazzi, Harry si voltò. La mano della Umbridge si muoveva ancora tra le fiamme, come se avesse saputo con precisione dove si trovava la testa di Sirius qualche momento prima e stesse cercando di afferrarla.
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