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Harry Potter e La Camera dei Segreti (3199 citazioni)
   1) Il peggior compleanno (95 citazioni)
   2) L'avvertimento di Dobby (126 citazioni)
   3) La Tana (183 citazioni)
   4) Alla libreria "Il Ghirigoro" (202 citazioni)
   5) Il Platano Picchiatore (196 citazioni)
   6) Gilderoy Allock (152 citazioni)
   7) Mezzosangue e mezze voci (172 citazioni)
   8) La festa di complemorte (190 citazioni)
   9) La scritta sul muro (211 citazioni)
   10) Il bolide fellone (180 citazioni)
   11) Il Club dei Duellanti (191 citazioni)
   12) La Pozione Polisucco (211 citazioni)
   13) Il diario segretissimo (211 citazioni)
   14) Cornelius Caramell (147 citazioni)
   15) Aragog (160 citazioni)
   16) La Camera dei Segreti (236 citazioni)
   17) L'erede di Serpeverde (192 citazioni)
   18) Un premio per Dobby (144 citazioni)
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Un premio per Dobby


   Per un attimo regnò il silenzio, mentre Harry, Ron, Ginny e Allock restarono sulla soglia, tutti sporchi e infangati e (come nel caso di Harry) insanguinati. Si udì un grido.
    «Ginny!»
    Era mamma Weasley, che per tutto quel tempo era rimasta seduta, in lacrime, davanti al camino. Balzò in piedi, seguita dal marito, e insieme si precipitarono verso la figlia.
    Ma Harry guardava oltre. Silente era in piedi accanto al camino, chino sulla professoressa McGranitt che ansimava premendosi il petto. Fanny si alzò in volo sfiorando l’orecchio di Harry e andò ad appollaiarsi sulla spalla di Silente; in quello stesso istante, Harry e Ron si ritrovarono tra le braccia di mamma Weasley.
    «Tu me l’hai salvata! Tu me l’hai salvata! Come hai fatto?»
    «Credo che tutti noi vorremmo saperlo» disse la McGranitt con un filo di voce.
    Mamma Weasley lasciò andare Harry, che per un attimo esitò, poi si avvicinò alla scrivania, dove posò il Cappello Parlante, la spada ornata di rubini e quel che rimaneva del diario di Riddle,
    Poi cominciò a raccontare. Per circa un quarto d’ora parlò, circondato da un silenzio assorto: raccontò della voce incorporea, di come alla fine Hermione avesse capito che si trattava della voce di un Basilisco, di come lui e Ron avessero seguito i ragni nella foresta; raccontò di Aragog, che gli aveva detto dove era morta l’ultima vittima del Basilisco; di come lui aveva indovinato che la vittima era Mirtilla Malcontenta e che l’ingresso della Camera dei Segreti avrebbe potuto essere nel suo gabinetto…
    «Va bene» lo incalzò la McGranitt quando lui si interruppe. «Hai scoperto dove era l’ingresso… dovrei aggiungere, infrangendo almeno un centinaio di regole della scuola! Ma come diavolo siete riusciti a venirne fuori vivi, Potter?»
    Fu così che Harry, con la voce rauca per il gran parlare, raccontò del tempestivo arrivo di Fanny e del Cappello Parlante, che gli aveva consegnato la spada. Ma poi esitò. Fino a quel momento aveva evitato di parlare del diario di Riddle… o di Ginny. La ragazzina stava in piedi, con la testa appoggiata alla spalla di mamma Weasley e con le guance ancora rigate di lacrime. E se l’avessero espulsa? pensò Harry in preda al panico. Il diario di Riddle non funzionava più… Come avrebbero potuto dimostrare che era stato lui a indurla a fare tutto?
    Istintivamente guardò Silente, che ricambiò lo sguardo con un lieve sorriso, dietro alle lenti dei suoi occhiali a mezzaluna su cui si riflettevano i bagliori del fuoco.
    «Quel che più mi interessa» disse Silente con dolcezza, «è come ha fatto Voldemort a incantare Ginny, quando, dalle mie fonti, risulta che vive nascosto nelle foreste dell’Albania».
    Sollievo… un caldo, travolgente, meraviglioso sollievo inondò il cuore di Harry.
    «C-chi è stato?» chiese il signor Weasley sbigottito. «Voi-sapete-chi? Incantare Ginny? Ma Ginny non è… Ginny non è stata… oppure sì?»
    «È stato questo diario» si affrettò a dire Harry, prendendo in mano il libretto e mostrandolo a Silente. «Riddle lo ha scritto quando aveva sedici anni».
    Silente lo prese dalle mani di Harry e, dall’alto del suo lungo naso adunco, ne scrutò le pagine bruciacchiate e zuppe.
    «Eccezionale» disse piano. «Certo, fu forse l’allievo più brillante che sia mai passato a Hogwarts». Si girò verso i Weasley, che avevano un’aria assolutamente attonita.
    «Pochi sanno che una volta Voldemort si chiamava Tom Riddle. Io stesso sono stato uno dei suoi insegnanti, cinquant’anni fa, qui a Hogwarts. Dopo che ebbe lasciato la scuola scomparve… viaggiò per ogni dove… si immerse profondamente nelle Arti Oscure, si alleò con i peggiori della nostra specie, subì tali e tante trasformazioni pericolose e magiche, che quando ricomparve come Lord Voldemort era quasi irriconoscibile. Quasi nessuno lo collegò al ragazzo brillante e avvenente che un tempo era stato Caposcuola qui».
    «Ma, Ginny?» chiese mamma Weasley. «Che cosa c’entra Ginny con… con lui?»
    «Il suo d-diario!» singhiozzò Ginny. «Per tutto l’anno io ci ho scritto su i miei segreti, e lui ha continuato a rispondermi…»
    «Ginny!» esclamò il signor Weasley esterrefatto. «Ma allora io non ti ho insegnato proprio niente? Che cosa ti ho sempre detto? Non ti fidare mai di niente che pensi da solo se non riesci a capire dove ha il cervello. Perché non hai mostrato il diario a me o a tua madre? Un oggetto tanto sospetto, era chiaro che fosse strapieno di magia nera!»
    «I-io n-non lo sapevo» singhiozzò Ginny. «L’ho trovato dentro uno dei libri che mi ha comprato mamma. Io pe-pensavo che qualcuno ce lo avesse lasciato e poi l’avesse dimenticato…»
    «La signorina Weasley dovrebbe salire immediatamente in infermeria» interruppe Silente con voce ferma. «È stata una prova terribile per lei. Non ci saranno punizioni. Maghi più vecchi e saggi di lei sono stati messi nel sacco da Voldemort». Avanzò verso la porta e l’aprì. «Riposo a letto e, perché no?, una grossa tazza di cioccolata bollente. A me fa tornare sempre il buonumore» aggiunse con una garbata strizzatina d’occhi. «Vedrai che Madama Chips è ancora sveglia. Sta distribuendo la pozione di mandragola… Credo che le vittime del Basilisco stiano per svegliarsi da un momento all’altro».
    «Allora Hermione sta bene?» chiese Ron animatamente.
    «Non ci sono stati danni irreversibili» disse Silente.
    Mamma Weasley accompagnò Ginny fuori, seguita dal marito che appariva ancora profondamente scosso.
    «Sai Minerva» disse Silente pensieroso rivolgendosi alla McGranitt, «credo proprio che dopo tutta questa vicenda ci voglia un bel banchetto. Posso chiederti di scendere ad avvisare le cucine?»
    «Senz’altro» disse lei animatamente, avviandosi verso la porta. «La lascio solo a vedersela con Potter e Weasley, va bene?»
    «Ma certo» la rassicurò Silente.
    La McGranitt lasciò la stanza, e Harry e Ron levarono sul preside uno sguardo perplesso. Che cosa aveva voluto intendere, la professoressa McGranitt, dicendo che Silente doveva vedersela con loro? Non che dovevano essere puniti! Oppure sì?
    «Mi sembra di ricordare di avervi avvertito che se aveste infranto un’altra volta le regole della scuola avrei dovuto espellervi» cominciò Silente.
    Ron spalancò la bocca inorridito.
    «Il che sta a dimostrare che anche i migliori fra noi, a volte, sono costretti a rimangiarsi quel che dicono» proseguì Silente con un sorriso. «Riceverete entrambi un Encomio Speciale per i Servigi resi alla scuola e poi… vediamo un po’… sì, duecento punti ciascuno per il Grifondoro».
    Ron diventò di un rosa acceso molto simile ai fiori di Allock per san Valentino e chiuse la bocca.
    «Ma c’è uno fra noi che ha le labbra cucite e a quanto pare non vuol parlare del suo ruolo in questa pericolosa avventura» soggiunse Silente. «A che dobbiamo tanta modestia, Gilderoy?»
    Harry sussultò. Si era completamente dimenticato di Allock. Si voltò e vide che era rimasto in piedi in un angolo della stanza; sul volto gli aleggiava ancora quel vago sorriso. Quando Silente gli rivolse la parola, lui si guardò alle spalle per vedere con chi stesse parlando.
    «Professor Silente» si affrettò a dire Ron, «c’è stato un incidente, giù nella Camera dei Segreti. Il professor Allock…»
    «Ah, sono un professore?» chiese quello vagamente sorpreso. «Santo cielo, sono proprio un disastro, non è vero?»
    «Ha cercato di fare un Incantesimo di Memoria e la bacchetta glielo ha ritorto contro» spiegò Ron a Silente, abbassando la voce.
    «Mamma mia» esclamò Silente scuotendo il capo e facendo fremere i lunghi baffi d’argento. «È rimasto infilzato sulla sua stessa spada, Gilderoy!»
    «Spada?» fece Allock in tono vago. «Io non ho una spada. Però ce l’ha il ragazzo». E indicò Harry. «Lui ve la potrà senz’altro prestare».
    «Ti spiace accompagnare anche il professor Allock in infermeria?» disse Silente a Ron. «Vorrei scambiare ancora due parole con Harry…»
    Allock si avviò verso l’uscita. Mentre richiudeva la porta Ron gettò un’occhiata incuriosita a Silente e all’amico.
    Silente si avvicinò a una delle sedie accanto al fuoco.
    «Siediti, Harry» disse. Il ragazzo obbedì, provando un inspiegabile nervosismo.
    «Prima di tutto, Harry, voglio ringraziarti» disse Silente con occhi di nuovo brillanti. «Devi avermi dimostrato una vera lealtà, giù nella Camera. Soltanto quella può avere indotto Fanny ad avvicinarsi a te».
    Accarezzò la fenice, che si era accovacciata sulle sue ginocchia. Harry sorrise imbarazzato mentre Silente lo guardava.
    «E così hai conosciuto Tom Riddle» disse Silente pensieroso. «Immagino che fosse molto interessato a te…»
    Tutt’a un tratto, la cosa che tormentava Harry gli uscì di getto dalle labbra. «Professor Silente… Riddle ha detto che io sono come lui. Strane somiglianze, ha detto…»
    «Ah sì? Ma davvero?» chiese Silente guardando pensieroso il ragazzo da sotto le folte sopracciglia d’argento. «E tu che ne pensi, Harry?»
    «Io non credo di essere come lui!» disse Harry con voce più alta di quanto avesse voluto. «Voglio dire, io sono… io appartengo al Grifondoro, io sono…»
    Ma poi tacque, perché un dubbio gli si era riaffacciato alla mente.
    «Professore» riprese di nuovo dopo un istante. «Il Cappello Parlante mi disse che io… che… sarei stato bene fra i Serpeverde. Per un po’ tutti hanno pensato che fossi io l’erede di Serpeverde… perché parlo il Serpentese…»
    «Harry, tu parli il Serpentese» disse calmo Silente, «perché Voldemort — che è l’ultimo discendente rimasto di Salazar Serpeverde — parla il Serpentese. A meno che io non mi sbagli di grosso, la notte in cui ti ha lasciato quella cicatrice ti ha trasmesso alcuni dei suoi poteri. Anche se di certo non ne aveva intenzione…»
    «Voldemort ha messo un pezzetto di sé dentro di me?» chiese Harry trasecolato.
    «Si direbbe proprio di sì».
    «Allora è vero che dovrei stare con i Serpeverde!» disse Harry guardando Silente disperato. «Il Cappello Parlante ha visto in me il potere di Serpeverde e…»
    «Ti ha assegnato al Grifondoro» disse Silente sempre calmo. «Ascoltami bene, Harry. Si dà il caso che tu abbia molte qualità che Salazar Serpeverde apprezzava nei suoi alunni, che selezionava accuratamente. Il dono molto raro del Serpentese… intraprendenza… determinazione… un certo disprezzo per le regole» soggiunse, e ancora una volta i suoi baffi vibrarono. «E tuttavia, il Cappello Parlante ti ha assegnato al Grifondoro. Tu sai perché. Pensaci».
    «Lo ha fatto» disse Harry con la delusione nella voce, «perché gli ho chiesto io di non andare fra i Serpeverde…»
    «Appunto» disse Silente ancora una volta tutto raggiante. «Il che ti rende assai diverso da Tom Riddle. Sono le scelte che facciamo, Harry, che dimostrano quel che siamo veramente, molto più delle nostre capacità». Harry sedeva immobile, esterrefatto. «Se vuoi una prova che appartieni al Grifondoro, ti consiglio di dare un’occhiata più da vicino a questo».
    Così dicendo, si avvicinò alla scrivania della McGranitt, prese la spada d’argento macchiata di sangue e gliela porse. Come inebetito, Harry la rivoltò; i rubini mandavano bagliori luminosi alla luce del fuoco. Fu allora che vide il nome inciso proprio sotto l’elsa.
   
    Godric Grifondoro.
    «Soltanto un vero Grifondoro avrebbe potuto estrarla dal cappello, Harry» disse semplicemente Silente.
    Per un minuto nessuno dei due disse una parola. Poi Silente aprì uno dei cassetti della scrivania e ne estrasse una penna d’oca e una bottiglia d’inchiostro.
    «Quello di cui hai bisogno, Harry, è un buon pasto e una buona dormita. Ti consiglio di scendere per il banchetto, mentre io scrivo ad Azkaban: è urgente che il nostro guardiacaccia torni. E poi devo anche buttare giù un’inserzione per la Gazzetta del Profeta» aggiunse pensieroso. «Ci servirà un nuovo insegnante di Difesa contro le Arti Oscure. Poveri noi! Li perdiamo uno dopo l’altro, non ti pare?»
    Harry si alzò e raggiunse la porta. Aveva appena allungato la mano sulla maniglia che quella si spalancò con tale violenza da mandarlo a sbattere contro la parete.
    Sulla soglia c’era Lucius Malfoy con la faccia contorta dalla rabbia. E rannicchiato sotto il suo braccio, tutto avvolto in bende, c’era Dobby.
    «Buona sera, Lucius» lo salutò Silente con tono affabile.
    Malfoy si precipitò dentro quasi travolgendo Harry. Dobby lo seguiva a passettini, aggrappato all’orlo del suo mantello, con uno sguardo di terrore servile.
    «Allora!» esclamò Lucius Malfoy fissando Silente con i suoi occhi gelidi. «È tornato. I consiglieri l’avevano sospeso, e tuttavia lei ha creduto bene di tornare a Hogwarts».
    «Vede, Lucius» disse Silente con un sorriso che era l’immagine della serenità, «oggi sono stato contattato dagli altri undici consiglieri. A dire il vero, è stato come essere investiti da una grandinata di gufi. Avevano sentito dire che la figlia di Arthur Weasley era stata uccisa e hanno voluto che io tornassi immediatamente. Sembravano convinti che io fossi l’uomo più adatto a risolvere la situazione. E mi hanno raccontato anche delle strane storie. Sembra che lei abbia minacciato molti di loro di fare un maleficio sulle loro famiglie se non acconsentivano a sospendermi dall’incarico».
    Malfoy diventò più pallido del consueto, ma i suoi occhi erano ancora due fessure cariche d’ira.
    «Allora… è riuscito a fermare le aggressioni?» disse con un ghigno sarcastico. «Ha preso il colpevole?»
    «Certamente» disse Silente con un sorriso.
    «E allora?» chiese secco Malfoy. «Chi è?»
    «Lo stesso dell’altra volta, Lucius» disse Silente. «Ma questa volta Voldemort ha agito attraverso un’altra persona. Servendosi di questo diario».
    Gli porse il libriccino nero forato al centro e rimase a osservare attentamente Malfoy. Harry, invece, osservava Dobby.
    L’elfo stava facendo qualcosa di molto strano. Fissava Harry con i suoi grandi occhi, come se volesse fargli capire qualcosa, poi guardava alternativamente il diario e Malfoy e poi si colpiva violentemente la testa con il pugno.
    «Vedo…» disse Malfoy lentamente, rivolgendosi a Silente.
    «Un piano ingegnoso» proseguì Silente nello stesso tono, continuando a fissarlo dritto negli occhi. «Perché, se Harry, qui…» e Malfoy scoccò un’occhiata fulminea e penetrante al ragazzo, «e il suo amico Ron non avessero trovato questo libro… be’ tutta la colpa sarebbe ricaduta su Ginny Weasley. Nessuno avrebbe potuto dimostrare che lei non avesse agito di sua spontanea volontà…»
    Malfoy non disse niente. D’un tratto il suo volto divenne una maschera.
    «E immagini» proseguì Silente, «cosa avrebbe potuto succedere dopo… I Weasley sono una delle nostre famiglie di purosangue più in vista. Immagini le conseguenze per Arthur Weasley e la sua Legge per la Protezione dei Babbani se fosse venuto fuori che sua figlia aggrediva e uccideva i figli dei Babbani. Fortunatamente è stato trovato il diario e i ricordi di Riddle ne sono stati cancellati. Chissà, altrimenti, quali avrebbero potuto essere le conseguenze…»
    Malfoy si costrinse a parlare.
    «Una vera fortuna» disse glaciale.
    Ma dietro di lui, Dobby continuava a indicare prima il diario e poi il suo padrone, e a colpirsi la testa.
    D’un tratto Harry capi. Fece un cenno all’elfo, che andò a rintanarsi in un angolo prendendo a torcersi le orecchie per punirsi.
    «Non vuole sapere in che modo Ginny è venuta in possesso del diario, signor Malfoy?» chiese Harry.
    Lucius Malfoy si voltò verso di lui.
    «Come faccio a sapere in che modo è finito in mano a quella stupidella?» chiese.
    «Perché glielo ha dato lei» disse Harry. «Al Ghirigoro. Lei, signor Malfoy, ha preso il suo vecchio libro di Trasfigurazione e ci ha fatto scivolare dentro il diario, non è forse così?»
    Vide i pugni cerei di Malfoy chiudersi e aprirsi convulsamente.
    «Dimostralo!» sibilò.
    «Oh, nessuno è in grado di farlo» disse Silente sorridendo a Harry. «Non ora che Riddle è scomparso dal libro. D’altro canto le consiglierei, Lucius, di non andare più in giro a distribuire vecchie cose di scuola di Voldemort. Se un’altra ancora dovesse cadere nelle mani di un innocente penso che Arthur Weasley, tanto per dirne una, farebbe di tutto per risalire a lei…»
    Lucius Malfoy rimase immobile per un attimo e Harry vide chiaramente la sua mano destra contrarsi come se volesse agguantare la bacchetta magica. Invece si volse all’elfo e disse:
    «Ce ne andiamo, Dobby!»
    Aprì con malagrazia la porta e quando l’elfo gli si avvicinò correndo, gli assestò un calcio che lo fece volare fuori della stanza. Lo sentirono lamentarsi lungo il corridoio. Harry rimase immobile per un attimo, riflettendo intensamente. Poi gli venne un’idea.
    «Professor Silente» disse in gran fretta, «la prego, posso restituire il diario al signor Malfoy?»
    «Certamente, Harry» disse calmo Silente. «Ma sbrigati. Ricordati del banchetto».
    Harry afferrò il diario e si precipitò fuori della stanza. Si udivano ancora le grida di dolore di Dobby, che si allontanavano lungo il corridoio. Rapido, sperando che il suo piano funzionasse, si tolse una scarpa, si sfilò il calzino sudicio e infangato e ci infilò dentro il diario. Poi spiccò una corsa lungo il corridoio immerso nel buio.
    Li raggiunse in cima alle scale.
    «Signor Malfoy!» ansimò, frenando la corsa con uno scivolone. «Ho qui una cosa per lei».
    E gli mise in mano di prepotenza il calzino puzzolente.
    «Ma cosa diavolo…?»
    Malfoy estrasse il diario dal calzino, che gettò via, poi guardò furibondo ora il libretto tutto stracciato ora Harry.
    «Uno di questi giorni farai la stessa misera fine dei tuoi genitori, Harry Potter» disse a bassa voce. «Anche loro erano due stupidi ficcanaso!»
    Si voltò per andarsene.
    «Vieni, Dobby! Ti ho detto, vieni!»
    Ma l’elfo non si mosse. Teneva in mano il disgustoso calzino di Harry e lo contemplava come se fosse stato un tesoro inestimabile.
    «Il padrone ha dato a Dobby un calzino» disse l’elfo estasiato. «Il padrone lo ha dato a Dobby» ripeté.
    «Che cosa ti prende?» sbottò Malfoy. «Che cosa stai dicendo?»
    «Dobby ha un calzino» fece ancora l’elfo, incredulo. «Il padrone l’ha tirato e Dobby l’ha preso, e così, Dobby… Dobby è libero».
    Lucius Malfoy rimase impietrito, fissando l’elfo. Poi si scagliò contro Harry.
    «Per colpa tua ho perso il mio servitore!»
    Ma Dobby esclamò: «Non farà del male a Harry Potter!»
    Si udì uno scoppio fragoroso e Malfoy si ritrovò scaraventato all’indietro. Precipitò per le scale, ruzzolando tre gradini alla volta e atterrando come un ammasso informe sul pianerottolo. Si rialzò, livido in volto, e tirò fuori la bacchetta magica, ma Dobby alzò un lungo dito minaccioso.
    «Se ne vada» disse in tono feroce, puntandogli il dito contro. «Non torcerà neanche un capello a Harry Potter. Se ne vada immediatamente».
    A Malfoy non restava altra scelta. Con un ultimo sguardo furibondo, si avvolse stretto nel mantello e scomparve rapidamente.
    «Harry Potter ha liberato Dobby» strillava l’elfo levando lo sguardo verso Harry, mentre la luce della luna, dalla finestra più vicina, si rifletteva nei suoi occhi a palla. «Harry Potter ha liberato Dobby!»
    «E il minimo che potessi fare per te, Dobby» gli disse Harry sorridendo. «Basta che mi prometti di non cercare mai più di salvarmi la vita».
    Il brutto viso marrone dell’elfo si apri d’un tratto in un ampio sorriso tutto denti.
    «Devo chiederti soltanto una cosa, Dobby» disse Harry mentre l’elfo si infilava il calzino con mani tremanti. «Mi avevi detto che tutto questo non aveva niente a che fare con Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, ti ricordi? Bene…»
    «Era un indizio, signore» disse Dobby spalancando gli occhi come se fosse la cosa più ovvia. «Dobby le stava dando un indizio. Prima di cambiare nome, l’Oscuro Signore poteva essere nominato senza paura, capisce?»
    «Ho capito» disse Harry sfinito. «Ora è meglio che andiamo. C’è un banchetto e ormai la mia amica Hermione dovrebbe essersi risvegliata…»
    Dobby gettò le braccia intorno alla vita di Harry e lo strinse forte. «Harry Potter è molto, molto più grande di quanto sapeva Dobby!» singhiozzò. «Addio, Harry Potter!»
    E con un ultimo, sonoro schiocco, l’elfo scomparve.
    Harry aveva partecipato a molti banchetti a Hogwarts, ma nessuno poteva essere paragonato a quello. Tutti indossavano il pigiama e i festeggiamenti durarono tutta la notte. Non avrebbe saputo dire quale fosse stato il momento più bello. Forse quando Hermione gli era corsa incontro gridando: «Ce l’hai fatta! Ce l’hai fatta!»; oppure quando Justin, alzandosi dal tavolo dei Tassorosso per andargli a stringere la mano, non la finiva più di chiedergli scusa per avere sospettato di lui; o quando era tornato Hagrid, alle tre e mezzo del mattino, e aveva dato a lui e a Ron una pacca sulla spalla così poderosa da mandarli con la faccia dentro al piatto di zuppa inglese; o quando avevano saputo di aver guadagnato quattrocento punti per il Grifondoro, assicurandosi così la vittoria della Coppa per il secondo anno consecutivo. O ancora, quando la professoressa McGranitt si era levata in piedi per annunciare che gli esami erano stati annullati come regalo della scuola («Oh, noi» aveva esclamato Hermione). O quando Silente aveva annunciato che purtroppo il professor Allock non avrebbe potuto tornare a insegnare l’anno seguente, perché doveva andare a recuperare la memoria. Non pochi insegnanti si unirono all’ovazione che accolse questo annuncio.
    «Peccato!» disse Ron servendosi un bombolone alla marmellata. «Cominciava a starmi simpatico».
    Il resto dell’estate trascorse in un trionfo di sole. Hogwarts era tornata alla normalità con pochi piccoli cambiamenti: le lezioni di Difesa contro le Arti Oscure erano state annullate («tanto, abbiamo fatto un bel po’ di esercizio» aveva commentato Ron con Hermione, contrariata per la notizia) e Lucius Malfoy era stato licenziato dal suo incarico di amministratore della scuola. Draco non se ne andava più in giro tutto tronfio come se fosse il padrone del posto. Al contrario, aveva un’aria risentita e imbronciata. Infine Ginny Weasley era tornata la ragazzina felice che era sempre stata.
    Il giorno del rientro a casa con l’Espresso di Hogwarts giunse fin troppo presto. Harry, Ron, Hermione, Fred, George e Ginny occuparono uno scompartimento tutto per loro. Sfruttarono al massimo le ultime ore che gli restavano per sparare magie all’impazzata prima delle vacanze. Giocarono a Spara Schiocco, fecero scoppiare gli ultimi fuochi d’artificio Filibuster di Fred e George e si esercitarono a disarmarsi a vicenda con incantesimi vari. Harry stava diventando un campione in questa specialità.
    Erano quasi arrivati alla stazione di King’s Cross quando Harry si ricordò di una cosa.
    «Ginny… che cosa hai visto fare a Percy che lui non voleva tu raccontassi a nessuno?»
    «Ah, sì!» fece Ginny con una risatina. «Be’… È che Percy ha una ragazza».
    Per lo stupore, Fred fece cadere una pila di libri sulla testa di George.
    «Cosa?»
    «È il Prefetto dei Corvonero, Penelope Light» disse Ginny. «Ecco a chi scriveva l’estate scorsa. Per tutto l’anno scolastico si sono incontrati in segreto. Un giorno li ho visti che si baciavano in una classe vuota. Lui era così sconvolto quando lei… be’… quando lei è stata aggredita. Non lo prenderete in giro, vero?» aggiunse preoccupata.
    «Non ce lo sognamo neanche» disse Fred che aveva l’aria di chi ha scoperto che il suo compleanno è arrivato prima del tempo.
    «Certo che no!» confermò George sforzandosi di non ridere.
    L’Espresso di Hogwarts rallentò e infine si fermò.
    Harry tirò fuori la sua penna d’oca e un pezzo di pergamena, poi si voltò verso Ron e Hermione.
    «Questo si chiama numero di telefono» disse a Ron scrivendolo due volte. Poi strappò in due la pergamena e ne consegnò un pezzo a ciascuno. «L’estate scorsa ho spiegato a vostro padre come si usa un telefono, lui saprà come fare. Chiamatemi dai Dursley, d’accordo? Non sopporto proprio l’idea di passare due mesi a parlare soltanto con Dudley…»
    «Ma tuo zio e tua zia saranno orgogliosi quando sentiranno quel che hai fatto quest’anno, no?» disse Hermione mentre scendevano dal treno e si univano alla folla radunata davanti alla barriera magica.
    «Orgogliosi?» disse Harry. «Ma sei matta? Tutte quelle volte che ho rischiato di morire e non l’ho fatto? Saranno furibondi…»
    E insieme, varcata la barriera, rientrarono nel mondo dei Babbani.
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