Quando Harry si svegliò la domenica mattina, gli ci volle un po’ per capire perché si sentisse così infelice e preoccupato; poi il ricordo della notte precedente gli precipitò addosso. Si alzò a sedere e scostò bruscamente le tende del suo letto, deciso a parlare con Ron, a costringerlo a credergli — solo per scoprire che il letto di Ron era vuoto; evidentemente era già sceso a colazione.
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Harry si vestì e scese la scala a chiocciola che portava nella sala comune. Nell’istante in cui comparve, i ragazzi che avevano già fatto colazione scoppiarono di nuovo in un applauso. La prospettiva di scendere nella Sala Grande e affrontare il resto dei Grifondoro, che lo trattava come una specie di eroe, non era allettante; o così, comunque, o rimanere lì e lasciarsi assediare dai fratelli Canon, che gli facevano entrambi gesti frenetici perché si unisse a loro. Si diresse deciso verso il buco del ritratto, lo aprì e si trovò faccia a faccia con Hermione.
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«Ciao» disse lei, porgendogli una pila di toast avvolti in un tovagliolo. «Ti ho portato questi… ti va una passeggiata?»
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«Buona idea» rispose Harry, grato.
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Scesero, attraversarono in fretta l’Ingresso senza guardare dentro la Sala Grande, e ben presto si trovarono a percorrere il prato in direzione del lago, dove era ormeggiata la nave di Durmstrang, sagoma nera riflessa nell’acqua. Era una mattinata gelida, e camminarono mangiando, mentre Harry raccontava a Hermione che cosa era successo esattamente dopo che aveva lasciato il tavolo di Grifondoro la sera prima. Con suo immenso sollievo, Hermione accettò la sua storia senza riserve.
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«Be’, naturalmente lo sapevo che non ti eri fatto avanti tu» disse, quando lui ebbe finito di riferirle la scena avvenuta nella stanza accanto alla Sala Grande. «Dovevi vederti quando Silente ha letto il tuo nome! Ma la domanda è: chi è stato a metterlo nel Calice? Perché Moody ha ragione, Harry… non credo che nessuno degli studenti avrebbe potuto farlo… non sarebbero mai stati in grado di imbrogliare il Calice, o scavalcare Silente e i suoi…»
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«Hai visto Ron?» la interruppe Harry.
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Hermione esitò.
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«Ehm… sì… era a colazione» rispose.
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«Pensa ancora che sia stato io a dare il mio nome?»
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«Be’… no, non credo… non per davvero» disse Hermione imbarazzata.
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«Che vuol dire “non per davvero”?»
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«Oh, Harry, non hai capito?» disse Hermione accoratamente. «È geloso!»
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«Geloso?» esclamò Harry incredulo. «Geloso di cosa? Vuole fare la figura dell’idiota davanti a tutta la scuola, eh?»
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«Senti» disse Hermione paziente, «tu sei sempre al centro dell’attenzione, lo sai che è così. Lo so che non è colpa tua» aggiunse in fretta, vedendo che Harry spalancava la bocca infuriato, «lo so che non vai a cercartelo… ma, be’, lo sai, Ron ha tutti quei fratelli con cui competere a casa, e tu sei il suo migliore amico, e sei così famoso — viene sempre messo in disparte quando ci sei tu, e lo sopporta, e non ne parla mai, ma credo che questa sia stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso…»
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«Magnifico» disse Harry amaramente. «Davvero magnifico. Digli da parte mia che facciamo cambio quando vuole. Digli da parte mia che è il benvenuto… la gente che sbircia la mia cicatrice ovunque vada…»
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«Non gli dirò un bel niente» disse Hermione brusca. «Diglielo tu. È il solo modo di risolvere la faccenda».
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«Non ho intenzione di corrergli dietro per dirgli di crescere!» rispose Harry, così forte che parecchi gufi su un albero vicino spiccarono il volo allarmati. «Forse si convincerà che non mi sto divertendo quando mi sarò rotto l’osso del collo o…»
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«Non fa ridere» disse Hermione piano. «Non fa ridere neanche un po’». Sembrava estremamente preoccupata. «Harry, stavo pensando… lo sai che cosa dobbiamo fare, vero? Subito, appena torniamo al castello?»
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«Sì, dobbiamo dare a Ron un bel calcio nel…»
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«Scrivere a Sirius. Devi dirgli che cosa è successo. Ti ha chiesto di tenerlo al corrente di tutto quello che succede a Hogwarts… è come se si aspettasse qualcosa del genere. Ho qui una pergamena e una penna…»
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«Piantala!» disse Harry, guardandosi intorno per essere sicuro che nessuno ascoltasse; ma i prati erano deserti. «È tornato solo perché mi faceva male la cicatrice. Probabilmente correrà al castello se gli dico che qualcuno mi ha iscritto al Torneo Tremaghi…»
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«Lui vorrebbe che glielo dicessi» disse Hermione con fermezza. «Lo scoprirà comunque…»
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«Come?»
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«Harry, questa cosa non passerà sotto silenzio» disse Hermione molto seria. «Questo Torneo è famoso, e tu sei famoso, sarei davvero sorpresa se la Gazzetta del Profeta non scrivesse niente su di te… sei già citato in metà dei libri su Tu-Sai-Chi, lo sai… e Sirius preferirebbe saperlo da te, lo so che è così».
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«Ok, ok, gli scriverò» disse Harry, gettando l’ultimo pezzo di pane tostato nel lago. Entrambi rimasero a guardarlo galleggiare per un attimo, prima che un grosso tentacolo spuntasse dall’acqua e lo facesse sparire. Poi tornarono al castello.
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«Che gufo devo usare?» disse Harry mentre salivano le scale. «Mi ha scritto di non usare più Edvige».
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«Chiedi a Ron se ti presta…»
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«A Ron non chiedo un bel niente» disse Harry in tono perentorio.
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«Be’, allora prendi uno dei gufi della scuola, li possono usare tutti» disse Hennione.
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Salirono alla Guferia. Hermione diede a Harry una pergamena, una penna e una boccetta d’inchiostro, poi si mise a passeggiare tra le lunghe file di trespoli, osservando i gufi così diversi, mentre Harry sedeva con la schiena appoggiata al muro e scriveva la sua lettera.
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Caro Sirius,
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Mi hai detto di tenerti informato su quello che succede a Hogwarts, così eccomi qui. Non so se hai sentito, ma il Torneo Tremaghi si tiene quest’anno e sabato sera sono stato scelto come quarto campione. Non so chi ha messo il mio nome nel Calice di Fuoco, perché non sono stato io. L’altro campione di Hogwarts è Cedric Diggory, di Tassorosso.
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A questo punto s’interruppe e ridletté. Avrebbe voluto dirgli del peso terribile che pareva essersi installato nel suo petto dalla sera prima, ma non riusci a trovare le parole per dirlo, così si limitò a intingere di nuovo la penna nell’inchiostro e scrisse:
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Spero che tu e Fierobecco stiate bene.
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Harry
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«Finito» disse a Hennione, alzandosi e spazzolando via la paglia dall’abito. A quell’atto, Edvige scese svolazzando sulla sua spalla, e tese la zampa.
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«Non posso mandare te» le disse Harry, cercando con lo sguardo i gufi della scuola. «Devo usare uno di questi…»
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Edvige ululò molto forte, e decollò così all’improvviso che i suoi artigli gli penetrarono nella spalla. Si tenne lontana da Harry mentre lui legava la lettera alla zampa di un grosso barbagianni. Quando il barbagianni fu volato via, Harry tese la mano per accarezzare Edvige, ma lei fece scattare il becco con rabbia e volò verso le travi, fuori tiro.
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«Prima Ron, poi tu» esclamò Harry con rabbia. «Non è colpa mia».
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Se Harry aveva pensato che le cose sarebbero migliorate non appena tutti si fossero abituati all’idea che era uno dei campioni, il giorno seguente gli dimostrò quanto si sbagliava. Non poté più evitare il resto della scuola quando ripresero le lezioni — ed era chiaro che il resto della scuola, proprio come i Grifondoro, era convinto che Harry si fosse proposto per il Torneo. A differenza dei Grifondoro, però, non sembravano affatto entusiasti.
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I Tassorosso, che di solito erano in ottimi rapporti con i Grifondoro, erano diventati decisamente freddi nei loro confronti: una lezione di Erbologia bastò a dimostrarlo. Evidentemente i Tassorosso sentivano che Harry aveva rubato la gloria al loro campione; un sentimento inasprito, forse, dal fatto che la casa di Tassorosso molto di rado si copriva di gloria, e che Cedric era uno dei pochi ad avergliene conferita, quando aveva battuto Grifondoro a Quidditch. Ernie Macmillan e Justin Finch-Fletchley, con i quali Harry di solito andava molto d’accordo, non gli rivolsero la parola anche se stavano trapiantando Bulbi Balzellanti allo stesso tavolo: in compenso risero in maniera piuttosto sgradevole quando uno dei Bulbi Balzellanti si divincolò dalla presa di Harry e lo schiaffeggiò. Nemmeno Ron gli rivolgeva la parola: Hermione sedeva tra di loro, sforzandosi di fare conversazione, ma anche se tutti e due le rispondevano normalmente, evitavano di guardarsi. Harry pensò che perfino la professoressa Sprite sembrava fredda con lui: ma d’altra parte era la Direttrice della casa di Tassorosso.
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In circostanze normali non avrebbe visto l’ora di parlare con Hagrid, ma Cura delle Creature Magiche voleva dire trovarsi faccia a faccia con i Serpeverde — per la prima volta da quando era diventato campione.
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Com’era prevedibile, Malfoy arrivò alla capanna di Hagrid con il consueto ghigno beffardo al suo posto.
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«Ah, guardate, ragazzi, c’è il campione» disse a Tiger e Goyle nell’istante in cui arrivò a portata di Harry. «Avete i vostri libri degli autografi? Meglio chiedere una firma adesso, perché dubito che sarà in circolazione ancora a lungo… metà campioni del Tremaghi sono morti… quanto pensi che resisterai, Potter? Dieci minuti dall’inizio della prima prova, scommetto».
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Tiger e Goyle scoppiarono docilmente a ridere, ma Malfoy non poté andare avanti perché Hagrid spuntò da dietro la capanna, portando una torre pericolante di cassette, ciascuna delle quali conteneva uno Schiopodo molto grosso. Con orrore della classe, Hagrid spiegò che la ragione per cui gli Schiopodi si ammazzavano a vicenda era un eccesso di energia repressa, e che la soluzione era che ciascuno di loro mettesse un guinzaglio a uno Schiopodo e lo portasse a fare una passeggiatina. La sola cosa buona del progetto fu che distrasse completamente Malfoy da Harry.
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«Portare questa roba a passeggio?» ripeté Malfoy disgustato, guardando dentro una delle cassette. «E dove esattamente dovremmo far passare il guinzaglio? Attorno al pungiglione, alla coda esplosiva o alla ventosa?»
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«Lì intorno in mezzo» indicò Hagrid. «Ehm… forse è meglio che vi mettete i guanti di pelle di drago, così, per precauzione, insomma. Harry… vieni qui e aiutami con questo grosso qua…»
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La vera intenzione di Hagrid era di parlare con Harry lontano dal resto della classe.
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Attese finché tutti gli altri furono partiti con i loro Schiopodi, poi si rivolse a Harry e disse, molto serio: «Allora… sei in gara, Harry. Nel Torneo. Campione della scuola».
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«Uno dei campioni» lo corresse Harry.
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I neri occhi lucidi di Hagrid erano pieni d’ansia sotto le sopracciglia incolte. «Non hai idea di chi ti ci ha messo dentro, Harry?»
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«Allora tu ci credi che non sono stato io?» esclamò Harry, nascondendo a fatica un fiotto di gratitudine.
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«Ma certo che ci credo» grugnì Hagrid. «Tu dici che non sei stato tu, e io ti credo — e Silente ti crede, ecco».
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«Vorrei proprio sapere chi è stato» disse Harry amaramente.
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Guardarono tutti e due verso il prato; la classe era sparpagliata, e in grande difficoltà. Gli Schiopodi erano lunghi più di un metro, ed estremamente robusti. Non erano più nudi e privi di colore, ma coperti da una sorta di spessa, lucente corazza grigiastra. Sembravano un incrocio tra scorpioni giganti e granchi oblunghi — ma sempre senza testa o occhi riconoscibili. Erano diventati spaventosamente forti, e molto difficili da controllare.
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«Si divertono, eh?» esclamò Hagrid allegramente. Harry dedusse che stava parlando degli Schiopodi, perché i suoi compagni certo non si divertivano: ogni tanto, con un bang preoccupante, una delle code degli Schiopodi esplodeva, sparando la bestia parecchi metri più avanti, e trascinando sulla pancia il malcapitato accompagnatore.
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«Ah, io non so, Harry» disse Hagrid all’improvviso con un gran sospiro, tornando a guardarlo preoccupato. «Campione della scuola… sembra che capita tutto a te, vero?»
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Harry non rispose. Sì, sembrava che capitasse tutto a lui… era più o meno quello che aveva detto Hermione camminando attorno al lago, ed era questa la ragione, secondo lei, per cui Ron non gli rivolgeva più la parola.
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I giorni che seguirono furono tra i più brutti di Harry a Hogwarts. Era arrivato a sentirsi così male solo durante quei mesi del secondo anno, in cui gran parte della scuola lo aveva sospettato di pietrificare i suoi compagni. Ma allora Ron era suo amico. Harry era convinto che sarebbe riuscito a sopportare il resto della scuola se solo avesse potuto riavere Ron al suo fianco, ma non intendeva cercare di convincerlo a parlargli se lui non voleva. Ora si sentiva solo, con il livore che gli pioveva addosso da tutte le parti.
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Poteva capire l’atteggiamento dei Tassorosso, anche se non gli piaceva; avevano il loro campione da sostenere. Non si aspettava altro che biechi insulti dai Serpeverde — era estremamente impopolare tra loro e lo era sempre stato, perché con i colori di Grifondoro li aveva battuti un’infinità di volte, sia a Quidditch che nella Coppa delle Case. Ma aveva sperato che i Corvonero sarebbero stati disposti a tifare per lui come per Cedric. Invece no: i Corvonero parevano convinti in gran parte che avesse imbrogliato il Calice solo perché era avido di celebrità.
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Poi c’era il fatto che Cedric sembrava un campione, molto più di lui. Straordinariamente bello, con quel naso diritto, i capelli scuri e gli occhi grigi, era difficile dire chi fosse più ammirato in quei giorni, se lui o Viktor Krum. Harry vide addirittura le stesse ragazze del sesto anno che avevano smaniato per l’autografo di Krum supplicare Cedric di firmare le loro borse, un giorno a pranzo.
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Nel frattempo non c’era risposta da Sirius, Edvige si rifiutava di avvicinarsi a lui, la professoressa Cooman prediceva la sua morte con ancor più sicurezza del solito, e Harry andò cosi male in Incantesimi di Appello alla lezione del professor Vitious che gli toccarono dei compiti in più: fu l’unico ad averli, oltre Neville.
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«Davvero, non è così difficile, Harry» cercò di rassicurarlo Hermione mentre uscivano dalla lezione di Vitious: lei aveva attirato oggetti da tutta la stanza per tutta la lezione, come se fosse stata una calamita per cancellini, cestini della carta straccia e Lunascopi. «È solo che non ti sei concentrato nel modo giusto…»
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«Chissà perché» borbottò Harry cupo, mentre Cedric Diggory lo superava, circondato da un bel gruppo di ragazze miagolanti, che guardarono tutte Harry come se fosse uno Schiopodo particolarmente grosso. «Comunque… non c’è problema, eh? Oggi pomeriggio doppie Pozioni, non vedo l’ora…»
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La doppia lezione di Pozioni era sempre un’esperienza terribile, ma in quei giorni rasentava la tortura. Essere rinchiusi in una cantina per un’ora e mezza con Piton e i Serpeverde, tutti decisi, a quanto pareva, a fargli pagare l’ardire di essere diventato campione della scuola, era la cosa più orrenda che Harry potesse immaginare, o quasi. Aveva già sofferto per un venerdì, con Hermione seduta accanto a lui che ripeteva “Ignorali, ignorali, ignorali” sottovoce, e non vedeva perché quel giorno le cose avrebbero dovuto andare meglio.
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Quando lui e Hermione raggiunsero il sotterraneo di Piton dopo pranzo, scoprirono che i Serpeverde li aspettavano fuori, ognuno con una grossa spilla appuntata sulla divisa in bella vista. Per un folle attimo Harry pensò che si trattasse di spille CREPA — poi si accorse che avevano tutte lo stesso slogan a lettere rosse che brillavano vivaci nel corridoio sotterraneo scarsamente illuminato:
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TIFATE PER CEDRIC DIGGORY — IL VERO CAMPIONE DI HOGWARTS!
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«Ti piacciono, Potter?» esclamò Malfoy ad alta voce mentre Harry si avvicinava. «E non è tutto: guarda!»
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Premette la spilla e lo slogan sparì, sostituito da un altro, questa volta verde:
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POTTER FA SCHIFO
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I Serpeverde ulularono dalle risate. Anche loro, tutti quanti, premettero le loro spille, finché la frase POTTER FA SCHIFO non scintillò intorno a Harry. Lui sentì il calore invadergli di colpo la faccia e il collo.
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«Oh, molto divertente» disse Hermione sarcastica a Pansy Parkinson e alla sua banda di ragazze di Serpeverde, che ridevano più di tutti, «davvero spiritoso».
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Ron era appoggiato al muro con Dean e Seamus. Non rideva, ma non prese nemmeno le parti di Harry.
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«Ne vuoi una, Granger?» disse Malfoy, tendendo una spilla a Hermione. «Ne ho un sacco. Però non toccarmi la mano Me la sono appena lavata, sai, non voglio che una Mezzosangue ci sbavi sopra».
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La rabbia che Harry provava da giorni e giorni parve irrompere dal suo petto come da una diga. Prima ancora di pensare a ciò che faceva, cercò la bacchetta. I ragazzi intorno si ritrassero rapidamente, indietreggiando nel corridoio.
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«Harry!» esclamò Hermione in tono di avvertimento.
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«Vai avanti, allora, Potter» disse tranquillamente Malfoy, estraendo la sua bacchetta. «Moody adesso non è qui a tenerti d’occhio — fallo, se ne hai il coraggio…»
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Per un attimo si guardarono negli occhi, poi scattarono, esattamente nello stesso istante.
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«Furnunculus!» urlò Harry.
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«Densaugeo!» strillò Malfoy.
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Getti di luce irruppero da entrambe le bacchette, cozzarono a mezz’aria e rimbalzarono indietro ad angoli diversi: quella di Harry colpì Goyle in faccia, e quella di Malfoy colpì Hermione. Goyle ululò e si portò le mani al naso, dove stavano eruttando grosse orribili bolle; Hermione, gemendo terrorizzata, si teneva la bocca.
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«Hermione!» esclamò Ron, scattando verso di lei.
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Harry si voltò e vide che Ron strappava via la mano di Hermione dal suo viso. Non era un bello spettacolo. I denti davanti di Hermione — già più grandini del normale — stavano crescendo a un ritmo preoccupante; lei assomigliava sempre più a un castoro mentre i denti le si allungavano, spuntavano da sotto il labbro superiore, dritto verso il mento: presa dal panico, li toccò, ed emise un urlo terrorizzato.
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«Si può sapere che cos’è tutto questo fracasso?» disse una bassa voce feroce. Era arrivato Piton.
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Nel chiasso generale, i Serpeverde cercarono di dare la loro versione dei fatti. Piton puntò un lungo dito giallastro verso Malfoy e disse: «Spiegati».
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«Potter mi ha aggredito, signore…»
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«Ci siamo attaccati nello stesso istante!» urlò Harry.
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«… e ha colpito Goyle: guardi…»
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Piton esaminò Goyle, il cui volto assomigliava a qualcosa che sarebbe stato di casa in un libro sui funghi velenosi.
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«In infermeria, Goyle» disse tranquillamente.
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«Malfoy ha colpito Hermione!» intervenne Ron. «Guardi!»
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Costrinse Hermione a mostrare i denti a Piton — lei stava facendo del suo meglio per nasconderli con le mani, anche se era difficile, visto che ormai avevano superato il colletto della divisa. Pansy Parkinson e le altre di Serpeverde erano piegate in due dalle risate silenziose e additavano Hermione da dietro le spalle di Piton.
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Piton guardò con freddezza Hermione, poi disse: «Non vedo nessuna differenza».
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Hermione emise un gemito; gli occhi le si riempirono di lacrime, girò sui tacchi e corse via su per il corridoio fino a sparire.
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Fu una fortuna, forse, che sia Harry che Ron cominciassero a gridare contro Piton nello stesso momento; fu una fortuna che le loro voci rimbombassero così tanto nel corridoio di pietra, perché nel confuso clamore Piton non riuscì a sentire esattamente quali epiteti gli scagliavano contro. Comunque, se ne fece un’idea.
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«Vediamo» disse con voce quanto mai suadente. «Cinquanta punti in meno a Grifondoro e una punizione per Potter e Weasley. Ora entrate, o la punizione durerà una settimana».
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A Harry rimbombavano le orecchie. Voleva ridurre Piton in mille viscidi pezzi con un incantesimo, per quella mostruosa ingiustizia. Lo superò, raggiunse con Ron il fondo del sotterraneo, e scaraventò la borsa dei libri sul tavolo. Anche Ron tremava di rabbia — per un istante, fu come se tutto tra loro fosse tornato normale, ma poi Ron si voltò e si sedette con Dean e Seamus, lasciando Harry solo al suo tavolo. Dalla parte opposta, Malfoy voltò le spalle a Piton e premette la spilla con un ghigno. POTTER FA SCHIFO lampeggiò ancora una volta attraverso la stanza.
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Harry rimase a sedere con gli occhi fissi su Piton mentre la lezione cominciava, immaginandolo vittima delle cose più orribili. Se solo avesse saputo come scagliare la Maledizione Cruciatus… avrebbe avuto Piton lì disteso sulla schiena come quel ragno, a strillare e contorcersi…
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«Antidoti!» annunciò Piton, volgendo intorno lo sguardo, i freddi occhi neri che brillavano di una luce sgradevole. «Dovreste aver tutti preparato le vostre pozioni, adesso. Voglio che le facciate distillare con cura, e poi sceglieremo qualcuno su cui sperimentarne una…»
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Gli occhi di Piton incontrarono quelli di Harry, e Harry seppe che cosa si preparava. Piton aveva intenzione di avvelenare proprio lui. Immaginò di prendere il calderone, scagliarsi in avanti e rovesciarlo sulla testa unta di Piton…
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E poi un toc toc alla porta del sotterraneo interruppe i suoi pensieri.
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Era Colin Canon; avanzò lentamente nella stanza, con un gran sorriso per Harry, e raggiunse la scrivania di Piton, in fondo.
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«Sì?» disse Piton asciutto.
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«Mi scusi, signore, devo accompagnare di sopra Harry Potter».
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Piton fissò dall’alto del naso ricurvo il piccolo Colin, e il sorriso svanì dal suo viso impaziente.
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«Potter ha un’altra ora di Pozioni» disse freddamente. «Verrà di sopra quando la lezione sarà finita».
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Colin arrossì.
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«Signore… signore, lo vuole il signor Bagman» disse in tono nervoso. «Tutti i campioni devono andare, credo che vogliano fargli delle foto…»
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Harry avrebbe dato tutto ciò che possedeva per impedire a Colin di pronunciare quelle ultime parole. Azzardò una mezza occhiata a Ron, ma Ron stava fissando con determinazione il soffitto.
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«Molto bene, molto bene» ribatté Piton. «Potter, lascia qui la tua roba, voglio che più tardi torni di sotto a provare il tuo antidoto».
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«La prego, signore… deve portare la sua roba con sé» squittì Colin. «Tutti i campioni…»
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«Molto bene!» disse Piton. «Potter… prendi la tua borsa e sparisci!»
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Harry si gettò la borsa sulla spalla, si alzò e si diresse verso la porta. Mentre passava accanto ai banchi dei Serpeverde, POTTER FA SCHIFO ammicco verso di lui da tutte le direzioni.
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«È incredibile, vero, Harry?» disse Colin, cominciando a parlare nell’istante in cui Harry si richiuse alle spalle la porta della segreta. «Vero? Che tu sia un campione?»
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«Sì, davvero incredibile» rispose Harry in tono pesante, mentre risalivano i gradini diretti alla Sala d’Ingresso. «Perché vogliono le foto. Colin?»
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«Per La Gazzetta del Profeta, credo!»
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«Grandioso» commentò Harry, depresso. «Proprio quello di cui ho bisogno. Un altro po’ di pubblicità».
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«Buona fortuna!» esclamò Colin quando ebbero raggiunto la stanza giusta. Harry bussò alla porta ed entrò.
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Si trovava in una classe decisamente piccola; gran parte dei banchi erano stati spinti in fondo alla stanza, lasciando un grande spazio al centro; tre, però, erano stati sistemati, uno accanto all’altro, di fronte alla lavagna, e ricoperti da un lungo drappo di velluto. Dietro erano disposte cinque sedie: su una sedeva Ludo Bagman, e parlava con una strega vestita di cremisi che Harry non aveva mai visto prima.
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Viktor Krum era in piedi in un angolo, malmostoso come al solito, e non parlava con nessuno. Cedric e Fleur stavano chiacchierando. Fleur sembrava parecchio più allegra di quanto non fosse stata fino a quel momento; continuava a gettare indietro la testa in modo che i suoi lunghi capelli argentei catturassero la luce. Un uomo panciuto, che reggeva una grossa macchina fotografica nera da cui usciva un fil di fumo, osservava Fleur con la coda dell’occhio.
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Bagman all’improvviso intercettò Harry, si alzò in fretta e avanzò saltellando. «Ah, eccolo qui! Il campione numero quattro! Entra, Harry, entra… non c’è niente di cui preoccuparsi, è solo la cerimonia della Pesa delle Bacchette, gli altri giudici saranno qui a momenti…»
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«La Pesa delle Bacchette?» ripeté Harry nervosamente.
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«Dobbiamo controllare che le vostre bacchette siano perfettamente efficienti, senza problemi, sai, visto che sono i vostri strumenti più importanti nelle prove che vi aspettano» disse Bagman. «L’esperto adesso è di sopra con Silente. E poi ci sarà il tempo per qualche scatto. Questa è Rita Skeeter» aggiunse, indicando la strega con il vestito cremisi, «scriverà un piccolo articolo sul Torneo per La Gazzetta del Profeta…»
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«Forse non tanto piccolo, Ludo» disse Rita Skeeter, gli occhi fissi su Harry.
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I suoi capelli erano acconciati in riccioli elaborati e curiosamente rigidi che facevano uno strano contrasto con il viso dalla mascella pronunciata. Portava occhiali incorniciati di strass. Le grosse dita che stringevano la borsetta di pelle di coccodrillo terminavano con unghie lunghe almeno cinque centimetri, dipinte di rosso cremisi.
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«Chissà se posso scambiare due parole con Harry prima di cominciare…» disse a Bagman, continuando a fissare Harry. «Il campione più giovane, sai… per aggiungere un po’ di colore…»
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«Ma certo!» strillò Bagman. «Cioè — se Harry non ha niente in contrario…»
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«Ehm…» disse Harry.
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«Splendido» disse Rita Skeeter, e in un attimo le sue dita dai rossi artigli stringevano il braccio di Harry con forza sorprendente, lei lo pilotava fuori della stanza, e apriva una porta lì accanto.
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«Non è il caso che rimaniamo di là con tutto quel rumore» disse. «Vediamo… ah, si, qui è carino e intimo».
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Era un ripostiglio delle scope. Harry la fissò perplesso.
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«Vieni, caro — così — splendido» disse di nuovo Rita Skeeter, appollaiandosi in precario equilibrio su un secchio rovesciato, spingendo Harry a sedere su una scatola di cartone e chiudendo la porta, così che si trovarono immersi nell’oscurità. «Ora, vediamo un po’…»
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Aprì con uno schiocco la borsetta di coccodrillo ed estrasse una manciata di candele, che accese con un colpo di bacchetta e fece magicamente galleggiare a mezz’aria.
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«Non ti dispiace, Harry, se uso una Penna Prendiappunti? Mi permette di parlarti normalmente…»
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«Una cosa?» disse Harry.
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Il sorriso di Rita Skeeter si fece più largo (Harry contò tre denti d’oro). Frugò di nuovo nella borsa di coccodrillo e ne sfilò una lunga penna verde acido e un rotolo di pergamena, che srotolò fra loro su una cassetta di Solvente Magico di Nonna Acetonella per Ogni Tipo di Sporcizia. S’infilò in bocca la punta della penna verde, la succhiò per un momento con evidente piacere, poi la mise in piedi sulla pergamena, dove rimase in equilibrio sulla punta, vibrando lievemente.
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«Prova… sono Rita Skeeter, inviato della Gazzetta del Profeta».
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Harry gettò un’occhiata. Nell’istante in cui Rita Skeeter aveva aperto bocca, la piuma verde aveva cominciato a scrivere freneticamente, scivolando sulla pergamena:
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L’attraente bionda Rita Skeeter, quarantatré anni, la cui indomita penna ha punzecchiato molti palloni gonfiati…
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«Splendido» disse ancora una volta Rita Skeeter. Strappò la striscia superiore del rotolo, la appallottolò e la ficcò nella borsetta. Poi si chinò verso Harry e disse: «Allora, Harry… che cosa ti ha convinto a partecipare al Torneo Tremaghi?»
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«Ehm…» disse di nuovo Harry, ma era distratto dalla penna. Anche se lui non stava parlando, sfrecciava sulla pergamena, e nella sua scia riuscì a distinguere una nuova frase:
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Una brutta cicatrice, ricordo di un tragico passato, sfigura l’altrimenti affascinante volto di Harry Potter, i cui occhi…
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«Ignora la penna, Harry» disse Rita Skeeter con decisione. A malincuore, Harry alzò gli occhi verso di lei. «Allora… perché hai deciso di prendere parte al Torneo. Harry?»
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«Non ho deciso» rispose Harry. «Non so come ha fatto il mio nome a finire dentro il Calice di Fuoco. Non ce l’ho messo io».
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Rita Skeeter sollevò un sopracciglio pesantemente ritoccato con la matita nera. «Andiamo, Harry, non è il caso di aver paura di finire nei guai. Sappiamo tutti che non avresti dovuto affatto partecipare. Ma non preoccuparti. I nostri lettori adorano i ribelli».
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«Ma io non mi sono fatto avanti» ripeté Harry. «Non so chi…»
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«Che cosa provi quando pensi alle prove che ti attendono?» chiese Rita Skeeter. «Sei eccitato? Nervoso?»
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«Veramente non ci ho pensato… sì, nervoso, immagino» disse Harry. A queste parole qualcosa si contorse in maniera spiacevole dentro di lui.
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«Sono morti dei campioni nel passato, vero?» disse Rita Skeeter tutta frizzante. «Non ci hai pensato?»
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«Be’… dicono che quest’anno sarà molto più sicuro» disse Harry.
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La penna sfrecciò sulla pergamena tra di loro, avanti e indietro, come se stesse pattinando.
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«Naturalmente tu hai già visto la morte in faccia, vero?» disse Rita Skeeter guardandolo con attenzione. «Diresti che questo ha lasciato un segno su di te?»
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«Ehm» ripeté Harry.
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«Credi che il trauma del tuo passato possa averti indotto a metterti alla prova? A dimostrare di essere all’altezza della tua fama? Credi che forse ti sia venuto il desiderio di iscriverti al Torneo Tremaghi perché…»
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«Non mi sono iscritto» ribatté Harry, che cominciava a irritarsi.
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«Ti ricordi vagamente i tuoi genitori?» chiese Rita Skeeter, dandogli sulla voce.
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«No» rispose Harry.
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«Come credi che si sentirebbero se sapessero che parteciperai al Torneo Tremaghi? Orgogliosi? Preoccupati? Arrabbiati?»
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Ora Harry era seccato davvero. Come diavolo faceva a sapere cos’avrebbero provato i suoi genitori se fossero stati vivi? Si accorse che Rita Skeeter lo osservava con molta attenzione. Incupito, evitò il suo sguardo e lesse le parole che la penna aveva appena tracciato.
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I suoi occhi di un verde stupefacente si riempiono di lacrime quando la nostra conversazione verte sui genitori che a stento ricorda.
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«Non ho gli occhi pieni di lacrime!» disse Harry ad alta voce.
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Prima che Rita Skeeter potesse proferir parola, la porta del ripostiglio delle scope si aprì. Harry alzò gli occhi, strizzandoli nella luce forte. Albus Silente era in piedi e guardava tutti e due lì schiacciati nello sgabuzzino.
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«Silente!» strillò Rita Skeeter, apparentemente deliziata: ma Harry notò che penna e pergamena erano spariti all’improvviso da sopra la scatola di Solvente Magico, e le dita artigliate di Rita facevano scattare in gran fretta il fermaglio della sua borsa di coccodrillo. «Come sta?» disse, alzandosi e tendendo una delle sue manone mascoline a Silente. «Spero che durante l’estate abbia letto il mio articolo sulla Conferenza della Confederazione Internazionale dei Maghi…»
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«Di una perfidia incantevole» commentò Silente, con gli occhi che brillavano. «Ho particolarmente apprezzato il fatto che lei mi abbia definito un obsoleto pisquano».
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Rita Skeeter non parve nemmeno vagamente imbarazzata. «Stavo solo sottolineando che alcune delle sue idee sono un po’ vecchio stile, Silente, e che molti maghi della strada…»
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«Ascolterò con vero piacere l’argomentazione dietro alla villania, Rita» disse Silente, con un inchino galante e un sorriso, «ma temo che dovremo discutere la questione più tardi. La Pesa delle Bacchette sta per cominciare, e non può aver luogo se uno dei nostri campioni è nascosto in un ripostiglio delle scope».
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Assai lieto di sfuggire a Rita Skeeter, Harry tornò in fretta nella stanza. Gli altri campioni erano seduti vicino alla porta; lui si mise subito vicino a Cedric, e guardò verso il tavolo coperto di velluto, dove ora erano schierati quattro dei cinque giudici: il professor Karkaroff, Madame Maxime, il signor Crouch e Ludo Bagman. Rita Skeeter si sistemò in un angolo; Harry la vide far scivolare di nuovo la pergamena fuori dalla borsa, spiegarla sul ginocchio, succhiare la punta della Penna Prendiappunti e sistemarla sul foglio.
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«Vi presento il signor Olivander» disse Silente, sedendosi al tavolo dei giudici e rivolgendosi ai campioni. «Sarà lui a controllare le vostre bacchette per assicurarsi che siano in buone condizioni prima del Torneo».
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Harry alzò gli occhi e con un sussulto di sorpresa vide un vecchio mago dai grandi occhi pallidi immobile vicino alla finestra. Harry aveva già incontrato il signor Olivander: era il fabbricante di bacchette dal quale aveva comprato la sua più di tre anni prima a Diagon Alley.
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«Mademoiselle Delacour, può farsi avanti per prima, prego?» disse Olivander, avanzando nello spazio vuoto al centro della stanza.
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Fleur Delacour raggiunse Olivander e gli consegnò la sua bacchetta.
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«Hmmm…» disse lui.
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Fece ruotare la bacchetta tra le lunghe dita e quella sprigionò una serie di scintille rosa e oro. Poi l’avvicinò agli occhi e la osservò con attenzione.
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«Sì» disse piano, «nove pollici e mezzo… rigida… legno di rosa… e contiene… santo cielo…»
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«Un capello della testa di una Veela» concluse Fleur. «Era mia nonna».
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E così Fleur era in effetti in parte Veela, pensò Harry, prendendo mentalmente nota della cosa per dirlo a Ron… poi si ricordò che Ron non gli rivolgeva la parola.
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«Sì» disse il signor Olivander, «sì, io non ho mai usato capelli di Veela, naturalmente. Trovo che siano adatte a bacchette piuttosto umorali… comunque, a ciascuno la sua, e se questa va bene per lei…»
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Il signor Olivander fece scorrere le dita lungo la bacchetta, in apparenza alla ricerca di graffi o bozzi; poi borbottò; «Orchideous!» e dalla punta sbucò un mazzo di fiori.
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«Molto bene, molto bene, è in buone condizioni» disse Olivander, afferrando i fiori e porgendoli a Fleur con la sua bacchetta. «Signor Diggory, ora tocca a lei».
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Fleur tornò al suo posto e sorrise a Cedric quando lui le passò accanto.
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«Ah, certo, questa è una delle mie, vero?» disse il signor Olivander molto più animato mentre Cedric gli consegnava la sua bacchetta.
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«Sì, me la ricordo bene. Contiene un unico crine della coda di un unicorno maschio particolarmente bello… doveva essere alto almeno un metro e ottanta; mi ha quasi trafitto col suo corno dopo che gli ho spennato la coda. Dodici pollici e un quarto… frassino… piacevolmente flessibile. E in buone condizioni… fai regolarmente manutenzione?»
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«L’ho lucidata ieri sera» rispose Cedric con un sorriso.
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Harry guardò la sua bacchetta e vide che era coperta di impronte. Afferrò un lembo della veste e cercò di lucidarla di nascosto. Parecchie scintille d’oro sprizzarono dalla sua punta. Fleur Delacour gli scoccò uno sguardo molto condiscendente, e lui lasciò perdere.
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Il signor Olivander scagliò con la bacchetta di Cedric una scia di anelli di fumo d’argento attraverso la stanza, si disse soddisfatto e poi esclamò: «Signor Krum, prego».
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Viktor Krum si alzò e si fece avanti ingobbito, ciondolante e a piedi piatti. Estrasse la bacchetta e rimase lì imbronciato, con le mani in tasca.
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«Hmmm» disse Olivander, «questa è una creazione di Gregorovich, o mi sbaglio? Un bravo fabbricante di bacchette, anche se il suo design non è mai proprio… comunque…»
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Sollevò la bacchetta e la esaminò minuziosamente, facendola ruotare più volte davanti agli occhi.
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«Sì… carpine e fibra di cuore di drago?» esclamò rivolto a Krum, che annuì. «E parecchio più spessa del solito… piuttosto rigida… dieci pollici e un quarto… Avis!»
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La bacchetta schioccò come una pistola, e uno stormo di uccellini cinguettanti decollò dalla sua estremità, uscì dalla finestra e volò via nella luce acquosa.
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«Bene» disse il signor Olivander, restituendo la bacchetta a Krum. «Quindi rimane… il signor Potter».
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Harry si alzò, passò davanti a Krum e raggiunse Olivander. Gli consegnò la bacchetta.
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«Aaaah, sì» disse quest’ultimo, gli occhi pallidi improvvisamente accesi. «Sì, sì, sì. Ricordo benissimo».
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Anche Harry ricordava. Ricordava come se fosse stato ieri…
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… Quattro estati prima, il giorno del suo undicesimo compleanno, Harry entrò con Hagrid nel negozio del signor Olivander. Questi gli prese le misure e cominciò a fargli provare le bacchette. Harry impugnò probabilmente tutte le bacchette del negozio, finché finalmente non trovò quella adatta a lui: fatta di agrifoglio, lunga undici pollici e con un’unica piuma dalla coda di una fenice. Il signor Olivander rimase molto sorpreso dal fatto che Harry fosse compatibile con quella bacchetta. «Curioso» disse, «… curioso», ma solo dopo che Harry glielo ebbe chiesto spiegò cosa c’era di tanto curioso: la piuma di quella bacchetta proveniva dalla stessa fenice che aveva fornito il nucleo di quella di Voldemort.
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Harry non aveva mai confidato questa cosa a nessuno. Era molto affezionato alla sua bacchetta, e per quello che lo riguardava, la sua parentela con la bacchetta di Voldemort era una cosa che non poteva evitare: un po’ come non poteva evitare di essere imparentato con zia Petunia. Comunque, sperava davvero che il signor Olivander non avesse intenzione di raccontarlo ai presenti: aveva la strana sensazione che in tal caso la Penna Prendiappunti di Rita Skeeter sarebbe semplicemente scoppiata di gioia.
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Il signor Olivander impiegò molto più tempo per osservare la bacchetta di Harry. Alla fine ne fece sprizzare una fontana di vino e la riconsegnò a Harry, sentenziando che era ancora in perfette condizioni.
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«Grazie a tutti voi» disse Silente, alzandosi al tavolo dei giudici. «Ora potete tornare alle vostre lezioni… o forse sarebbe più pratico che scendeste direttamente a cena, visto che stanno per finire…»
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Con la sensazione che quel giorno qualcosa era finalmente andato per il verso giusto, Harry si alzò e fece per uscire, ma l’uomo con la macchina fotografica nera balzò in piedi e si schiari la voce.
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«Le foto, Silente, le foto!» strillo Bagman eccitato. «I giudici insieme ai campioni. Cosa ne dici, Rita?»
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«Ehm… si, facciamo prima quelle» rispose Rita Skeeter, gli occhi di nuovo puntati addosso a Harry. «E poi magari qualche scatto singolo».
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Le fotografie richiesero molto tempo. Madame Maxime faceva ombra a tutti gli altri ovunque si sistemasse, e il fotografo non riusciva ad allontanarsi tanto da farla stare nell’obiettivo. Alla fine lei dovette sedersi mentre tutti gli altri la circondavano in piedi. Karkaroff continuava ad arrotolarsi la barbetta sul dito per arricciarla di più; Krum, che secondo Harry doveva essere abituato a quel genere di cose, si rannicchiò dietro a tutti, cercando di nascondersi. Il fotografo sembrava assolutamente deciso a tenere davanti Fleur, ma Rita Skeeter continuava a correre in avanti e a trascinare Harry dove era più visibile. Poi insistette per scattare foto di tutti i campioni uno per uno. Finalmente furono liberi di andarsene.
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Harry scese a cena. Hermione non c’era — immaginò che si trovasse ancora in infermeria a farsi sistemare i denti. Cenò tutto solo all’estremità del tavolo, poi tornò alla Torre di Grifondoro. pensando a tutto il lavoro extra sugi; Incantesimi di Appello che doveva fare. Su in dormitorio, incrociò Ron.
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«Ti è arrivato un gufo» disse Ron in tono brusco, appena entrato. Indicò il cuscino di Harry. Il barbagianni della scuola lo aspettava lì.
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«Oh… bene» disse Harry.
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«E la punizione è domani sera, nel sotterraneo di Piton» aggiunse Ron.
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Poi uscì dalla stanza senza guardarlo. Per un istante, Harry pensò di seguirlo — non sapeva se voleva parlargli o picchiarlo, entrambe le possibilità erano piuttosto allettanti — ma la risposta di Sirius lo attirava come una calamita. Harry raggiunse il barbagianni, gli sfilò la lettera dalla zampa e la srotolò.
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Harry,
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Non posso dire tutto quello che vorrei per lettera, è troppo rischioso nel caso che il gufo venga intercettato: dobbiamo parlare, faccia a faccia. Puoi fare in modo di trovarti da solo vicino al fuoco nella Torre di Grifondoro il 22 novembre all’una di notte?
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So meglio di chiunque altro che sei in grado di badare a te stesso, e finché Silente e Moody sono nelle vicinanze non credo che nessuno possa farti del male. Comunque, pare che qualcuno ci stia provando sul serio. Farti partecipare al Torneo è stata una mossa molto azzardata, soprattutto sotto il naso di Silente.
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Stai in guardia, Harry. Avvertimi subito se succede qualcosa di strano. Per il 22 novembre, fammi sapere al più presto.
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Sirius
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