«La Umbridge legge la tua posta, Harry. Non c’è altra spiegazione».
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«Credi che sia stata lei ad aggredire Edvige?» chiese lui, furente.
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«Ne sono quasi certa» rispose cupa Hermione. «Guarda, ti sta scappando la rana».
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Harry puntò la bacchetta verso la rana toro che saltellava speranzosa verso l’altro lato del tavolo, disse «Accio!» e quella balzò con aria depressa nella sua mano.
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Incantesimi era una delle lezioni migliori per parlare tranquillamente; di solito c’era un tale movimento che il pericolo di essere ascoltati era minimo. Quel giorno, con l’aula piena di rospi gracidanti e corvi gracchianti, e la pioggia che batteva violenta contro i vetri delle finestre, i sussurri fra Harry, Ron e Hermione su come la Umbridge aveva quasi catturato Sirius passarono del tutto inosservati.
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«Lo sospettavo da quando Gazza ti ha accusato di aver ordinato Caccabombe: era una bugia così stupida» bisbigliò Hermione. «Insomma, una volta letta la tua lettera sarebbe stato evidente che non stavi ordinando nulla, e quindi non saresti stato affatto nei guai… è una cosa abbastanza scema, no? Ma poi ho pensato: e se qualcuno cercasse solo una scusa per leggere la tua posta? Quello sarebbe stato un modo perfetto per la Umbridge: mettere Gazza sull’avviso, fargli fare il lavoro sporco e confiscare la lettera, poi trovare un modo per sottrargliela o chiedergli di vederla… non credo che Gazza avrebbe avuto nulla da obiettare, quando mai ha difeso qualche diritto degli studenti? Harry, stai stritolando la rana».
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Harry abbassò lo sguardo: in effetti stava stringendo la rana toro così forte da farle uscire gli occhi dalle orbite; la posò in fretta sul banco.
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«Ci è mancato davvero poco, stanotte» continuò Hermione. «Mi domando solo se la Umbridge sa quanto ci è andata vicina. Silencio».
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La rana su cui stava esercitando il suo Incantesimo Tacitante ammutolì a metà di un gracidio e la guardò con rimprovero.
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«Se avesse preso Tartufo…»
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Harry concluse la frase per lei.
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«…entro stamattina sarebbe tornato ad Azkaban». Agitò la bacchetta senza concentrarsi: la sua rana cominciò a gonfiarsi come un palloncino verde ed emise un sibilo acuto.
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«Silencio!» si affrettò a dire Hermione, puntando la bacchetta verso la rana di Harry, che si sgonfiò senza far rumore. «Be’, non deve farlo più, e basta. Però non so come riusciremo a dirglielo. Non possiamo mandargli un gufo».
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«Non credo che rischierà di nuovo» disse Ron. «Non è stupido, sa di essere stato quasi catturato. Silencio».
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Il grosso, brutto corvo davanti a lui gracchiò beffardo.
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«Silencio. SILENCIO!»
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Il corvo gracchiò ancora più forte.
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«È il modo in cui muovi la bacchetta» osservò Hermione critica, «non devi agitarla, è più come una stoccata».
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«I corvi sono più difficili delle rane» rispose stizzito Ron.
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«Bene, facciamo cambio» ribatté Hermione, afferrando il corvo di Ron e sostituendolo con la sua rana. «Silencio!» Il corvo continuò ad aprire e chiudere il becco aguzzo senza che ne uscisse alcun suono.
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«Molto bene, Granger!» squittì la vocetta stridula del professor Vitious, facendo trasalire Harry, Ron e Hermione. «Ora fallo tu, Weasley».
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«Cos…? Oh. Va bene» rispose Ron, molto agitato. «Ehm… Silencio!»
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La stoccata fu così forte che colpì la rana nell’occhio: quella saltò giù dal banco con un gracidio assordante.
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Harry e Ron non furono sorpresi di vedersi assegnare altri esercizi sull’Incantesimo Tacitante.
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Durante la ricreazione, ebbero il permesso di restare dentro la scuola per via della fitta pioggia. Trovarono posto in un’aula rumorosa e affollata al primo piano, in cui Pix vagava sognante dalle parti del lampadario, soffiando di tanto in tanto bolle d’inchiostro sulla testa di qualcuno. Si erano appena seduti quando Angelina venne loro incontro, facendosi largo a fatica tra i gruppi di studenti chiacchieroni.
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«Ho il permesso!» annunciò. «Posso ricostituire la squadra di Quidditch!»
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«Stupendo!» esclamarono insieme Ron e Harry.
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«Sì» disse Angelina, raggiante. «Sono andata dalla McGranitt, e credo che si sia rivolta a Silente. Comunque la Umbridge ha dovuto cedere. Ha! Perciò vi voglio in campo alle sette, perché dobbiamo recuperare. Vi rendete conto che mancano solo tre settimane alla prima partita?»
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Se ne andò sgomitando, schivò per un soffio una bolla d’inchiostro che colpì un allievo del primo anno, e sparì.
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Il sorriso di Ron si attenuò non appena guardò fuori dalla finestra, che era oscurata dalla pioggia battente.
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«Speriamo solo in una schiarita. Che cosa c’è, Hermione?»
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Anche lei guardava la finestra, ma come se non la vedesse. Aveva lo sguardo smarrito e la fronte aggrottata.
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«Pensavo…» disse, sempre rivolta alla finestra inondata dalla pioggia.
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«A Siri… a Tartufo?» chiese Harry.
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«No… non proprio…» rispose lentamente Hermione. «È più… mi chiedevo… immagino che stiamo facendo la cosa giusta… no?»
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Harry e Ron si scambiarono un’occhiata.
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«Adesso sì che è tutto chiaro» disse Ron. «Mi avrebbe proprio dato fastidio se non ti fossi spiegata per bene».
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Hermione lo guardò come accorgendosi solo in quel momento che lui era lì.
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«Mi chiedevo» ripeté a voce più alta, «se stiamo facendo la cosa giusta, con questo gruppo di Difesa contro le Arti Oscure».
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«Cosa?» sbottarono insieme Harry e Ron.
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«Hermione, è stata una tua idea!» s’indignò Ron.
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«Lo so» rispose Hermione, torcendosi le dita. «Ma dopo aver parlato con Tartufo…»
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«Ma lui è d’accordo» obiettò Harry.
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«Sì» disse Hermione, fissando di nuovo la finestra. «Sì, è proprio questo che mi ha fatto pensare che forse non è una buona idea…»
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Pix li sorvolò a pancia in giù, con la cerbottana pronta; con un gesto automatico, i tre si ripararono la testa con le borse finché non li ebbe superati.
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«Fammi capire» disse Harry con rabbia, mentre posavano di nuovo le borse a terra, «Sirius è d’accordo con noi, quindi secondo te non dovremmo farlo più?»
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Hermione aveva l’aria tesa e piuttosto avvilita. Guardandosi le mani disse: «Onestamente, ti fidi del suo giudizio?»
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«Sì!» ribatté Harry. «Ci ha sempre dato ottimi consigli!»
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Una bolla d’inchiostro passò sibilando accanto a loro e colpì Katie Bell in pieno orecchio. Hermione vide Katie alzarsi e cominciare a scagliare oggetti contro Pix; qualche istante dopo parlò di nuovo, e parve scegliere le parole con molta cura.
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«Non ti sembra che sia diventato… in qualche modo… imprudente… da quando è confinato a Grimmauld Place? Non credi che stia… in un certo senso… vivendo attraverso di noi?»
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«Che cosa vuol dire “vivendo attraverso di noi”?» ribatté Harry.
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«Voglio dire… ecco, penso che lui sarebbe felice di formare società segrete di Difesa sotto il naso di qualcuno del Ministero… secondo me è davvero frustrato per quanto poco può fare adesso… perciò credo che gli faccia piacere… istigarci».
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Ron era assolutamente perplesso.
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«Sirius ha ragione» disse. «Sembri davvero mia madre».
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Hermione si morse il labbro e non rispose. La campanella suonò proprio mentre Pix passava in volo su Katie e le vuotava sulla testa un calamaio intero.
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* * *
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Il tempo non migliorò col passare delle ore, così, quando alle sette Harry e Ron scesero al campo di Quidditch per l’allenamento, in pochi minuti furono completamente zuppi, con i piedi che scivolavano sull’erba fradicia. Il cielo era cupo e tempestoso; raggiungere la luce e il calore degli spogliatoi fu un sollievo, anche se sapevano che sarebbe stato temporaneo. Trovarono Fred e George che discutevano se usare o no una delle loro Merendine Marinare per saltare l’allenamento.
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«…ma scommetto che se ne accorgerebbe» disse Fred tra i denti. «Se solo ieri non le avessi offerto delle Pasticche Vomitose».
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«Possiamo provare con i Fondenti Febbricitanti» mormorò George, «nessuno li ha ancora visti…»
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«E funzionano?» domandò speranzoso Ron, mentre l’intensità della pioggia aumentava e il vento ululava attorno all’edificio.
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«Be’, sì» disse Fred, «la febbre ti si alza».
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«Ma poi ti becchi anche degli enormi foruncoli pieni di pus» continuò George, «e non abbiamo ancora trovato il modo di farli sparire».
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«Io non vedo foruncoli» obiettò Ron, guardandoli.
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«No, be’, non puoi» spiegò Fred, cupo. «Non sono in un posto che generalmente mostriamo in pubblico».
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«Ma ti assicuro che poi sedersi sulla scopa è una vera tortura…»
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«Bene, ascoltate tutti quanti» disse Angelina a voce molto alta, uscendo dall’ufficio del Capitano. «So che il clima non è ideale, ma forse dovremo giocare contro Serpeverde in condizioni simili, perciò è una buona idea cercare di capire come possiamo affrontarle. Harry, non avevi fatto qualcosa ai tuoi occhiali per non farli appannare dalla pioggia quando abbiamo giocato contro Tassorosso con quella tempesta?»
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«Era stata Hermione» rispose Harry. Tirò fuori la bacchetta, diede un colpetto agli occhiali e disse: «Impervius!»
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«Credo che dovremmo provarci tutti» disse Angelina. «Se solo riuscissimo a tener lontana la pioggia dalla faccia la visibilità migliorerebbe… tutti insieme, allora: Impervius! Bene, andiamo».
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Tutti riposero la bacchetta nella tasca interna della divisa, si misero la scopa in spalla e seguirono Angelina fuori dagli spogliatoi.
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Si fecero strada nel pantano fino al centro del campo; la visibilità era ancora pessima, anche con l’Incantesimo Impervius; la luce calava in fretta e raffiche di pioggia spazzavano il terreno.
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«Bene. Al mio fischio» gridò Angelina.
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Harry si diede una spinta con i piedi, spruzzando fango in tutte le direzioni, e schizzò verso l’alto, mentre il vento lo mandava leggermente fuori rotta. Non sapeva come avrebbe fatto a individuare il Boccino con quel tempo; aveva già abbastanza difficoltà a vedere il Bolide con cui si stavano allenando; dopo un minuto l’aveva quasi disarcionato e lui aveva dovuto usare la Presa Rovesciata del Bradipo per evitarlo. Purtroppo Angelina non lo vide. In effetti, non sembrava in grado di vedere nulla; nessuno di loro aveva la minima idea di quello che facevano gli altri. Il vento si era alzato; anche a distanza Harry sentiva il suono martellante della pioggia sulla superficie del lago.
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Angelina li tenne impegnati per quasi un’ora prima di arrendersi. Ricondusse la sua squadra zuppa e imbronciata agli spogliatoi, insistendo che l’allenamento non era stato una perdita di tempo, anche se non ne sembrava molto convinta nemmeno lei. Fred e George parevano particolarmente irritati; entrambi camminavano a gambe larghe e storcevano il viso a ogni movimento. Mentre si strofinava i capelli con un asciugamano, Harry li sentì lamentarsi a bassa voce.
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«Credo che alcuni dei miei siano scoppiati» disse Fred con voce sepolcrale.
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«I miei no» rispose George con una smorfia di dolore, «e pulsano da morire… sembrano anche più grossi».
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«AHI!» urlò Harry.
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Si premette l’asciugamano sul viso, stringendo gli occhi dal dolore. La cicatrice sulla fronte bruciava di nuovo, molto più forte che nelle ultime settimane.
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«Che cosa c’è?» chiesero molte voci.
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Harry riemerse da dietro l’asciugamano; senza occhiali vedeva confusamente lo spogliatoio, ma sapeva che tutti lo stavano guardando.
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«Niente» mormorò. «Mi… sono ficcato un dito in un occhio».
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Ma lanciò a Ron uno sguardo significativo ed entrambi restarono indietro mentre gli altri della squadra uscivano, imbacuccati nei mantelli, con i cappelli tirati fin sulle orecchie.
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«Cos’è successo?» chiese Ron quando Alicia fu sparita oltre la porta. «La cicatrice?»
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Harry annuì.
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«Ma…» Spaventato, Ron, andò alla finestra e guardò fuori nella pioggia. «Lui… non può essere qui vicino, giusto?»
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«No» mormorò Harry, lasciandosi cadere su una panca e massaggiandosi la fronte. «Probabilmente è molto lontano. Fa male perché… è… arrabbiato».
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Harry non intendeva affatto dire quelle parole, e le udì come se le avesse pronunciate un altro; eppure capì all’istante che erano vere. Non riusciva a spiegarsi il perché, ma lo sapeva: dovunque fosse Voldemort, qualsiasi cosa stesse facendo, era in preda alla collera.
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«L’hai visto?» chiese Ron, orripilato. «Hai… avuto una visione?»
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Harry rimase immobile a guardarsi i piedi, lasciando che la memoria e la mente si rilassassero dopo il dolore.
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Un intrico confuso di forme, un mescolarsi di voci che urlavano…
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«Vuole che si faccia qualcosa, ma non lo si sta facendo abbastanza in fretta» disse.
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Ancora una volta fu sorpreso di sentire le parole uscire dalla sua bocca, ma fu altrettanto certo di dire la verità.
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«Ma… come fai a saperlo?» chiese Ron.
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Harry scosse il capo e si premette forte le mani sugli occhi. Piccole stelle apparvero nel suo campo visivo. Sentì che Ron si sedeva sulla panca accanto a lui, e seppe che lo stava fissando.
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«È stato così anche l’ultima volta?» domandò Ron, a voce bassa. «Quando ti ha fatto male nell’ufficio della Umbridge? Tu-Sai-Chi era arrabbiato?»
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Harry scosse la testa.
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«Che cos’è, allora?»
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Harry ci stava pensando. Aveva guardato la Umbridge negli occhi… la cicatrice gli aveva fatto male… e aveva avvertito quella strana sensazione allo stomaco… una strana sensazione improvvisa… di contentezza… ma naturalmente non l’aveva riconosciuta per quello che era, dato che lui era così abbattuto…
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«L’ultima volta è stato perché era contento» disse. «Molto contento. Credeva… che stesse per succedere qualcosa di buono. E la notte prima che tornassimo a Hogwarts…» Ripensò al momento in cui la cicatrice gli aveva fatto male da morire, nella stanza che occupava con Ron a Grimmauld Place «…era furioso…»
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Si voltò a guardare Ron, che non gli toglieva gli occhi di dosso.
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«Potresti prendere il posto della Cooman, amico mio» disse sgomento.
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«Non sto facendo profezie» protestò Harry.
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«No, lo sai cosa stai facendo?» disse Ron, spaventato e impressionato allo stesso tempo. «Harry, tu stai leggendo nella mente di Tu-Sai-Chi!»
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«No» Harry scosse il capo. «È più… il suo umore, immagino. Ho come dei lampi sul suo stato d’animo. L’anno scorso Silente ha detto che stava succedendo una cosa del genere, che potevo avvertire quando Voldemort era vicino a me, o quando provava odio. Ora sento anche quando è soddisfatto…»
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Ci fu una pausa. Il vento e la pioggia sferzavano l’edificio.
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«Devi avvisare qualcuno» disse Ron.
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«L’ultima volta l’ho detto a Sirius».
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«Be’, diglielo anche stavolta!»
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«Non posso, no?» rispose cupo Harry. «La Umbridge controlla i gufi e i camini, non ti ricordi?»
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«Allora a Silente».
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«Te l’ho appena spiegato, lo sa già» tagliò corto Harry alzandosi. «Non ha senso raccontarglielo di nuovo». Prese il mantello dall’attaccapanni e se lo mise sulle spalle.
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Ron allacciò il suo, guardando Harry, pensieroso.
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«Silente lo vorrebbe sapere» insisté.
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Harry scrollò le spalle.
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«Andiamo… abbiamo ancora gli esercizi sull’Incantesimo Tacitante».
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Attraversarono a passo svelto i campi bui, scivolando e inciampando sui prati fangosi, senza parlare. Harry pensava. Che cos’era che Voldemort voleva fosse fatto e che non si stava facendo abbastanza in fretta?
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«…ha anche altri piani, piani che può mettere in atto senza gran clamore… Cose che può ottenere solo se agisce in segreto… come un’arma. Una cosa che l’ultima volta non aveva».
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Harry non pensava più a quelle parole da settimane; era stato troppo assorbito da quanto succedeva a Hogwarts, troppo occupato con la Umbridge, con l’ingiustizia delle interferenze del Ministero… ma ecco che gli tornavano alla mente, e lo facevano riflettere: la rabbia di Voldemort avrebbe avuto senso se fosse stato ancora lontano dal mettere le mani sull’arma, di qualunque cosa si trattasse. L’Ordine lo aveva forse ostacolato, impedendogli di prenderla? Dove era nascosta? Chi ce l’aveva in quel momento?
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«Mimbulus mimbletonia» disse la voce di Ron, e Harry si riscosse appena in tempo per arrampicarsi nella sala comune attraverso il buco dietro il ritratto.
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A quanto pareva Hermione era andata a letto presto, lasciando Grattastinchi acciambellato su una sedia e un assortimento di bitorzoluti berretti da elfo su un tavolo accanto al fuoco. Harry fu piuttosto contento di non trovarla, perché non aveva voglia di discutere della sua cicatrice dolorante e di sentire anche lei che lo esortava ad andare da Silente. Ron continuava a lanciargli occhiate ansiose, ma Harry prese i libri di Incantesimi e si mise a finire il suo tema, anche se fingeva solo di concentrarsi; quando Ron annunciò che anche lui andava a dormire, non aveva scritto quasi nulla.
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La mezzanotte arrivò e passò mentre Harry leggeva e rileggeva un paragrafo sugli usi della coclearia, del levistico e della starnutaria senza capire nemmeno una parola.
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Codeste piante sono quanto mai efficaci nell’infiammare la mente, e sono pertanto d’uso nei Distillati Svianti e di Confusione, laddove il Mago desideri produrre stati di imprudenza e testa-calda…
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…Hermione diceva che Sirius stava diventando imprudente laggiù a Grimmauld Place…
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…quanto mai efficaci nell’infiammare la mente, e sono pertanto d’uso…
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…al La Gazzetta del Profeta avrebbero pensato che la sua mente era infiammata, se avessero saputo che percepiva lo stato d’animo di Voldemort…
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…pertanto d’uso nei Distillati Svianti e di Confusione…
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…confusione era la parola giusta: perché sapeva che cosa sentiva Voldemort? Che cos’era quella strana connessione tra loro, che Silente non era mai riuscito del tutto a spiegare?
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…laddove il Mago desideri…
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…quanto avrebbe desiderato dormire…
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…produrre stati di imprudenza e testa-calda…
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…si stava caldi e comodi in quella poltrona accanto al fuoco, con la pioggia che ancora batteva sui vetri, Grattastinchi che faceva le fusa e il crepitio del fuoco…
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Il libro scivolò dalla presa di Harry e finì sul tappeto con un tonfo sordo. La testa gli ciondolò di lato…
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Camminava di nuovo lungo un corridoio privo di finestre; i suoi passi rimbombavano nel silenzio. Via via che la porta in fondo al corridoio si faceva più grande, il suo cuore batteva più forte per l’eccitazione… se solo avesse potuto aprirla… entrare…
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Tese la mano… le sue dita erano a pochi centimetri da…
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«Harry Potter, signore!»
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Si svegliò di soprassalto. Le candele erano tutte spente nella sala comune, ma qualcosa si muoveva accanto a lui.
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«Chi c’è?» chiese Harry, drizzandosi a sedere. Il fuoco era quasi spento, la sala molto buia.
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«Dobby ha il suo gufo, signore!» annunciò una voce stridula.
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«Dobby?» disse Harry con voce assonnata, scrutando nell’oscurità verso la voce.
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Dobby l’elfo domestico era in piedi accanto al tavolo sul quale Hermione aveva lasciato una dozzina di berretti di maglia. Le sue grandi orecchie a punta sporgevano da sotto quello che sembrava un insieme di tutti i berretti sferruzzati da Hermione; li portava uno sull’altro, così che la sua testa sembrava più lunga di un metro, e sulla cima sedeva Edvige, che tubava serena, evidentemente guarita.
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«Dobby si è offerto volontario per riportare il gufo di Harry Potter» squittì l’elfo, con espressione adorante. «La professoressa Caporal dice che ora sta benissimo, signore». Fece un inchino così profondo che il suo naso a matita sfiorò la superficie lisa del tappeto. Edvige, con uno stridio indignato, volò sul bracciolo della poltrona di Harry.
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«Grazie, Dobby!» disse Harry, accarezzando la testa di Edvige e cercando di liberarsi dell’immagine della porta nel sogno… era stata molto vivida. Tornò a guardare Dobby e si accorse che l’elfo portava anche molte sciarpe e innumerevoli calzini, così che i piedi sembravano troppo grossi per il corpo.
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«Ehm… hai preso tu tutte le cose che Hermione ha lasciato qui intorno?»
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«Oh no, signore» rispose allegramente Dobby. «Dobby ne ha prese anche per Winky, signore».
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«Giusto, come sta Winky?» domandò Harry.
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Le orecchie di Dobby si afflosciarono un po’.
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«Winky beve ancora tanto, signore» disse malinconico, abbassando gli enormi occhi verdi, grandi come palle da tennis. «Ancora non vuole vestiti, Harry Potter. E nemmeno gli altri elfi domestici. Nessuno di loro pulirà più la Torre di Grifondoro, con tutti i berretti e calzini nascosti ovunque, per loro è un insulto, signore. Dobby fa tutto da solo, signore, ma a Dobby non importa, perché lui spera sempre di incontrare Harry Potter e stanotte è successo!» Dobby fece un altro profondo inchino. «Ma Harry Potter non sembra felice» proseguì, raddrizzandosi e guardandolo timidamente. «Dobby lo ha sentito mormorare nel sonno. Harry Potter stava facendo un brutto sogno?»
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«Non proprio brutto» rispose Harry, sbadigliando e stropicciandosi gli occhi. «Ne ho fatti di peggiori».
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L’elfo guardò Harry con i suoi immensi occhi sferici. Poi disse, molto serio, le orecchie basse: «Dobby vuole aiutare Harry Potter, perché Harry Potter ha liberato Dobby e Dobby è molto, molto più felice adesso».
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Harry sorrise.
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«Non puoi aiutarmi, Dobby, ma grazie per l’offerta».
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Si chinò a raccogliere il libro di Pozioni. Avrebbe tentato di finire il tema domani. Chiuse il libro, e in quel momento il fuoco illuminò le sottili cicatrici bianche sul dorso della sua mano: il risultato della punizione della Umbridge…
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«Aspetta un momento… c’è una cosa che puoi fare per me, Dobby» disse lentamente.
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L’elfo si voltò, raggiante.
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«Lo dica, Harry Potter, signore!»
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«Ho bisogno di trovare un posto dove ventotto persone possono esercitarsi nella Difesa contro le Arti Oscure senza essere scoperte dagli insegnanti. Soprattutto» strinse il pugno sul libro, e le cicatrici brillarono di un biancore perlaceo, «dalla professoressa Umbridge».
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Si aspettava di vedere svanire il sorriso dell’elfo, le sue orecchie abbassarsi; di sentirgli rispondere che era impossibile, o che avrebbe cercato un posto, ma senza molte speranze. Quello che non si aspettava era che Dobby facesse un saltello, agitando allegramente le orecchie e battendo le mani.
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«Dobby conosce un posto perfetto, signore!» esclamò contento. «Dobby l’ha sentito dire dagli altri elfi domestici quando è arrivato a Hogwarts, signore. Noi la chiamiamo Stanza Va-e-Vieni, signore, oppure Stanza delle Necessità!»
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«Perché?» chiese Harry curioso.
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«Perché è una stanza dove si può entrare» disse Dobby serio, «solo se c’è veramente bisogno. A volte c’è, a volte no, ma quando appare ha sempre tutto quello che serve a chi la cerca. Dobby l’ha usata, signore» continuò l’elfo, calando le orecchie con aria colpevole, «quando Winky era molto ubriaca; l’ha nascosta nella Stanza delle Necessità e ha trovato antidoti alla Burrobirra, un bel lettino da elfo per farla dormire, signore… e Dobby sa che il signor Gazza ci trova i detersivi quando li sta finendo, signore, e…»
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«E se avessi davvero bisogno di un bagno» lo interruppe Harry, ricordando all’improvviso una cosa detta da Silente al Ballo del Ceppo, il Natale prima, «si riempirebbe di vasi da notte?»
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«Dobby pensa di sì, signore» rispose l’elfo, annuendo serio. «È una stanza strabiliante, signore».
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«Quanti la conoscono?» chiese Harry, raddrizzandosi ancora di più.
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«Molto pochi, signore. La gente di solito ci capita per caso quando ne ha bisogno, ma spesso non la trovano più, perché non sanno che è sempre lì che aspetta di essere chiamata, signore».
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«È fantastico» disse Harry, col cuore che batteva forte. «È perfetto, Dobby. Quando puoi mostrarmi dov’è?»
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«Quando vuole, signore!» rispose Dobby, deliziato dall’entusiasmo di Harry. «Possiamo andare adesso, se vuole!»
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Per un istante Harry fu tentato. Era già quasi in piedi, pronto a correre su a prendere il Mantello dell’Invisibilità quando, non per la prima volta, una voce molto simile a quella di Hermione gli sussurrò all’orecchio: Imprudente. Dopotutto era molto tardi, e lui era esausto.
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«Non stanotte, Dobby» disse riluttante, abbandonandosi di nuovo nella poltrona. «È una cosa molto importante… non voglio rovinare tutto, bisogna prepararla con cura. Senti, puoi dirmi dov’è di preciso questa Stanza delle Necessità, e come si fa a entrare?»
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* * *
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Le loro vesti turbinavano e sventolavano mentre attraversavano la porzione di prato allagato che li separava dalle due ore di Erbologia, dove riuscirono a stento a sentire quello che la professoressa Sprite diceva, per via della pioggia che batteva sul tetto della serra. Nel pomeriggio, la lezione di Cura delle Creature Magiche dovette essere spostata dai prati spazzati dalla tempesta a un’aula vuota al pianterreno, e con grande sollievo della squadra Angelina li aveva cercati a pranzo per avvertirli che l’allenamento di Quidditch era annullato.
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«Bene» le disse Harry a bassa voce, «perché abbiamo trovato un posto dove tenere il primo incontro del gruppo di Difesa. Stasera alle otto al settimo piano, davanti all’arazzo di Barnaba il Babbeo bastonato dai troll. Puoi dirlo a Katie e Alicia?»
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Angelina parve un po’ spiazzata, ma promise di riferirlo alle altre. Harry tornò a occuparsi con gusto delle salsicce e del purè di patate. Quando alzò la testa per prendere un bicchiere di succo di zucca, vide che Hermione lo guardava.
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«Che cosa c’è?» chiese a bocca piena.
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«No, è che… i piani di Dobby non sono sempre sicuri. Non era per colpa sua che avevi perso tutte le ossa del braccio?»
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«Quella stanza non è solo un’idea di Dobby; anche Silente la conosce, me ne ha parlato al Ballo del Ceppo».
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L’espressione di Hermione si rasserenò.
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«Te ne ha parlato Silente?»
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«Solo un accenno» disse Harry scrollando le spalle.
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«Ah, allora va bene» tagliò corto lei, e non sollevò altre obiezioni.
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Insieme a Ron avevano passato la maggior parte del giorno a rintracciare i firmatari dell’elenco per comunicare loro il luogo dell’appuntamento. Con un certo disappunto di Harry, fu Ginny a trovare per prima Cho Chang e la sua amica; comunque, alla fine della cena Harry era sicuro che l’informazione fosse stata trasmessa a tutte le venticinque persone che si erano presentate alla Testa di Porco.
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Alle sette e mezza, Harry (che aveva in mano una certa vecchia pergamena), Ron e Hermione lasciarono la sala comune di Grifondoro. Agli allievi del quinto anno era permesso restare nei corridoi fino alle nove, ma i tre continuarono a guardarsi nervosamente intorno per tutta la strada fino al settimo piano.
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«Reggetela» disse Harry srotolando la pergamena quando furono in cima all’ultima rampa di scale. La toccò con la bacchetta e mormorò: «Giuro solennemente di non avere buone intenzioni».
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Sulla superficie bianca della pergamena apparve una mappa di Hogwarts. Piccoli punti neri mobili, ciascuno etichettato con un nome, indicavano la posizione di diverse persone.
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«Gazza è al secondo piano» disse Harry, avvicinando la mappa agli occhi, «e Mrs Purr al quarto».
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«E la Umbridge?» chiese Hermione, preoccupata.
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«Nel suo ufficio» rispose Harry, indicando un puntino. «Bene, andiamo».
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Si avviarono di fretta lungo il corridoio verso il luogo descritto da Dobby, una striscia di parete libera di fronte a un enorme arazzo che raffigurava lo sciocco tentativo di Barnaba il Babbeo di insegnare la danza classica ai troll.
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«Bene» bisbigliò Harry, mentre un troll mangiato dalle tarme smetteva di bastonare senza pietà l’aspirante maestro di ballo per guardarli. «Dobby ha detto di passare davanti a questa parete tre volte, concentrandoci su quello che ci serve».
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E così fecero, facendo bruscamente dietrofront alla fine della parete vuota, e poi all’altro capo, accanto a un vaso grande come una persona. Ron aveva gli occhi ridotti a fessure per la concentrazione; Hermione bisbigliava tra i denti; Harry guardava fisso davanti a sé, a pugni stretti.
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Abbiamo bisogno di un posto dove imparare a combattere… pensava. Dacci un posto per allenarci… dove non ci possano trovare…
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«Harry!» esclamò Hermione, voltandosi dopo il terzo passaggio.
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Una porta lucidissima era apparsa nella parete. Ron la guardò con una certa diffidenza. Harry tese la mano, afferrò la maniglia di ottone, aprì il battente e li precedette in una stanza spaziosa, illuminata dalle stesse torce tremolanti che rischiaravano le aule sotterranee, otto piani più sotto.
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Le pareti erano occupate da librerie di legno e al posto delle sedie c’erano grandi cuscini di seta. In fondo alla stanza, una scaffalatura ospitava una serie di strumenti come Spioscopi, Sensori Segreti e un grande Avversaspecchio scheggiato che Harry era sicuro di aver visto l’anno prima appeso nell’ufficio del falso Moody.
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«Questi ci serviranno quando faremo lo Schiantesimo» disse entusiasta Ron, dando un colpetto col piede a un cuscino.
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«E guardate questi libri!» esclamò Hermione eccitata, facendo scorrere un dito lungo i dorsi di grossi tomi rilegati in pelle. «Compendio degli Anatemi più Comuni e Relative Contro-Azioni… Come Gabbare le Arti Oscure… Difendersi con gli Incantesimi… accidenti…» si voltò raggiante a guardare Harry, che capì come la presenza di centinaia di libri avesse finalmente convinto Hermione che stavano facendo la cosa giusta. «Harry, è magnifico, c’è tutto quello che ci serve, qui!»
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E senza un’altra parola prese dallo scaffale Fatture per Affatturati, sedette su uno dei cuscini e cominciò a leggere.
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Ci fu un lieve colpo alla porta. Harry si voltò: Ginny, Neville, Lavanda, Calì e Dean erano arrivati.
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«Però!» fece Dean, guardandosi intorno molto colpito. «Che posto è questo?»
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Harry cominciò a spiegare, ma prima che potesse finire arrivò altra gente e dovette ricominciare da capo. Alle otto tutti i cuscini erano stati occupati. Harry andò alla porta e diede un giro di chiave; fece un bel rumore forte e tutti tacquero, gli occhi puntali su di lui.
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«Bene» cominciò Harry, un po’ nervoso. «Questo è il posto che abbiamo trovato per le lezioni, e… ehm, direi che vi piace».
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«È fantastico!» esclamò Cho, seguita da molti mormorii di assenso.
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«È bizzarro» disse Fred, aggrottando la fronte. «Una volta ci siamo nascosti da Gazza qui, ti ricordi, George? Ma allora era solo uno stanzino delle scope».
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«Ehi, Harry, cos’è questa roba?» domandò Dean dal fondo della stanza, indicando gli Spioscopi e l’Avversaspecchio.
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«Detector Oscuri» rispose Harry, facendosi strada fra i cuscini per raggiungerli. «Fondamentalmente rivelano la presenza di Maghi Oscuri e nemici, ma non è il caso di fidarsi troppo, possono essere ingannati…»
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Guardò per un istante l’Avversaspecchio scheggiato; al suo interno si muovevano figure indistinte, ma nessuna era riconoscibile. Harry gli voltò le spalle.
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«Bene. Ho pensato a quali cose dovremmo fare prima di tutto, e… ehm…» Notò una mano alzata. «Sì, Hermione?»
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«Credo che dovremmo eleggere un capo» propose Hermione.
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«Harry è il capo» disse subito Cho, guardando Hermione come se fosse matta.
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Lo stomaco di Harry fece un’altra capriola all’indietro.
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«Sì, ma secondo me è meglio deciderlo con una vera votazione» disse Hermione, imperturbabile. «È più formale e gli conferisce autorità. Allora… chi pensa che Harry debba essere il nostro capo?»
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Tutti alzarono la mano, compreso Zacharias Smith, che però lo fece senza entusiasmo.
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«Ehm… bene, grazie» mormorò Harry, sentendosi avvampare. «E… sì, Hermione?»
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«Credo anche che dovremmo darci un nome» rispose lei allegramente, con la mano ancora alzata. «Aumenterebbe lo spirito di gruppo e l’unità, non credi?»
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«Potremmo chiamarci Lega Anti-Umbridge?» propose speranzosa Angelina.
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«O il Gruppo Il Ministero della Magia è Deficiente?» suggerì Fred.
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«Stavo pensando» disse Hermione, guardando torva Fred, «più a un nome che non lasci capire a tutti che cosa stiamo facendo, così possiamo parlarne senza problemi anche al di fuori delle riunioni».
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«Esercitazioni Segrete?» suggerì Cho. «In breve ES, così nessuno capirà di che cosa stiamo parlando?»
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«Sì, ES va bene» disse Ginny. «Però facciamo che significa Esercito di Silente, visto che è quello l’incubo peggiore del Ministero, no?»
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Ci furono molti mormorii di approvazione e risate.
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«Tutti a favore di ES?» chiese Hermione in tono autoritario, mettendosi in ginocchio sul cuscino per contare. «Siamo la maggioranza… mozione approvata!»
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Appese al muro la pergamena con le firme e scrisse in alto, a grandi lettere:
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ESERCITO DI SILENTE
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«Bene» disse Harry quando Hermione si fu seduta di nuovo, «cominciamo? Pensavo che la prima cosa da fare sia l’Expelliarmus, l’Incantesimo di Disarmo. So che è una cosa abbastanza elementare, ma io l’ho trovato molto utile…»
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«Oh, per favore» disse Zacharias Smith, alzando gli occhi al cielo e incrociando le braccia. «Non credo che l’Expelliarmus ci aiuterà contro Tu-Sai-Chi, non ti pare?»
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«Io l’ho usato contro di lui» rispose Harry pacato. «Mi ha salvato la vita, in giugno».
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Smith aprì la bocca con espressione stupida. Gli altri erano molto silenziosi.
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«Ma chi pensa che sia troppo facile può andare» aggiunse Harry.
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Smith non si mosse. E nemmeno gli altri.
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«Bene» disse Harry, con la bocca un po’ più asciutta del solito per via di tutti quegli occhi puntati addosso. «Direi di dividerci a coppie ed esercitarci».
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Dare istruzioni fu molto strano, però mai come vederle eseguire. Tutti si alzarono all’istante e si divisero. Com’era prevedibile, Neville rimase senza compagno.
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«Puoi allenarti con me» gli disse Harry. «Bene, al mio tre… uno, due, tre…»
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La stanza si riempì all’istante di grida di Expelliarmus. Le bacchette volarono in tutte le direzioni; incantesimi sbagliati colpirono i libri sugli scaffali e li fecero cadere. Harry era troppo rapido per Neville, la cui bacchetta roteò via, colpì il soffitto con una pioggia di scintille e atterrò rumorosamente in cima a una libreria. Harry la recuperò con un Incantesimo di Appello. Guardandosi intorno, si disse che aveva fatto bene a ripartire dai fondamenti: c’era un sacco di tecnica scadente. Molti non riuscivano affatto a disarmare i loro avversari, ma si limitavano a farli indietreggiare di qualche passo o sobbalzare, investiti da incantesimi troppo deboli.
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«Expelliarmus!» disse Neville, e Harry, colto alla sprovvista, senti la bacchetta volargli via di mano.
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«CE L’HO FATTA!» esultò Neville. «Non c’ero mai riuscito prima! CE L’HO FATTA!»
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«Ottimo!» disse Harry incoraggiante, sorvolando sul fatto che in un vero duello l’avversario di Neville difficilmente avrebbe guardato da un’altra parte, con la mano molle e penzolante al fianco. «Senti, Neville, puoi lavorare a turno con Ron e Hermione per qualche minuto mentre io faccio un giro e vedo come se la cavano gli altri?»
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Harry si spostò al centro della stanza. A Zacharias Smith stava succedendo qualcosa di molto strano. Ogni volta che cercava di disarmare Anthony Goldstein, era la sua bacchetta a volargli via di mano, eppure Anthony non sembrava aver aperto bocca. Harry non dovette cercare lontano per risolvere il mistero: Fred e George erano a qualche metro da Smith e gli puntavano la bacchetta alle spalle, a turno.
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«Scusa» sussurrò George, quando Harry incrociò il suo sguardo. «Impossibile resistere».
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Harry passò accanto alle altre coppie, cercando di correggere quelli che sbagliavano. Ginny era in coppia con Michael Corner: lei si comportava molto bene, mentre Michael o non era proprio capace o non voleva scagliare un incantesimo su di lei. Ernie Macmillan agitava invano la bacchetta, dando così tempo all’avversario di eludere la sua guardia; i fratelli Canon, entusiasti ma incostanti, erano i maggiori responsabili per i libri che balzavano giù dagli scaffali; Luna Lovegood era altrettanto discontinua: a volte faceva volare via la bacchetta dalle mani di Justin Finch-Fletchley, altre volte si limitava a fargli drizzare i capelli in testa.
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«Basta così, stop!» gridò Harry. «Stop! STOP!»
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Ho bisogno di un fischietto, pensò, e subito ne vide uno posato sulla fila di libri più vicina. Lo prese e soffiò forte. Tutti abbassarono le bacchette.
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«Non male» disse Harry, «ma si può senz’altro migliorare». Zacharias Smith lo guardò accigliato. «Riproviamo».
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Prese di nuovo a girare per la stanza, fermandosi qua e là per dare suggerimenti. Pian piano, il rendimento generale migliorò. Evitò per un po’ di avvicinarsi a Cho e alla sua amica, ma dopo aver osservato due volte ogni coppia nella stanza, sentì che non poteva continuare a ignorarle.
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«Oh no!» esclamò Cho piuttosto agitata, quando lui si avvicinò. «Expelliarmius! Cioè, Expellimellius! E… Oh, scusa, Marietta!»
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La manica della ragazza dai capelli ricci aveva preso fuoco; Cho la spense con la sua bacchetta e guardò Harry come se fosse stata colpa sua.
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«Sei tu che mi innervosisci, prima mi riusciva!» disse Cho con aria contrita.
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«Andava bene» mentì Harry, ma vedendo che lei inarcava le sopracciglia, disse: «Cioè, no, faceva schifo, ma so che ti riesce, ti ho osservato da laggiù».
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Lei rise. La sua amica Marietta li guardò acida e voltò loro le spalle.
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«Non farci caso» mormorò Cho. «Non voleva venire, ma l’ho convinta io. I suoi le hanno proibito di fare qualsiasi cosa che possa irritare la Umbridge. Sai, sua madre lavora al Ministero».
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«E i tuoi?» domandò Harry.
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«Anche loro mi hanno proibito di mettermi contro la Umbridge» rispose Cho con orgoglio. «Ma se credono che non combatterò Tu-Sai-Chi dopo quello che è successo a Cedric…»
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S’interruppe, confusa, e tra loro cadde un silenzio imbarazzato; la bacchetta di Terry Steeval passò sibilando accanto all’orecchio di Harry e colpì Alicia Spinnet in pieno naso.
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«Mio padre sostiene attivamente ogni iniziativa antiministeriale!» si vantò Luna Lovegood, alle spalle di Harry; evidentemente aveva origliato la sua conversazione mentre Justin Finch-Fletchley cercava di sbrogliarsi dalle vesti che gli erano volate sopra la testa. «Dice sempre che si aspetta qualsiasi cosa da Caramell; pensa solo a tutti i goblin che ha fatto assassinare! E ovviamente usa l’Ufficio Misteri per mettere a punto terribili veleni che somministra di nascosto a quelli che non sono d’accordo con lui. E poi c’è il suo Sferzatore Unghiobulare…»
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«Lascia perdere» mormorò Harry a Cho che stava per chiedere qualcosa, perplessa. Lei ridacchiò.
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«Ehi, Harry» disse Hermione dall’altro capo della stanza, «hai guardato l’ora?»
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Harry vide sbalordito che erano già le nove e dieci: dovevano tornare subito alle rispettive sale comuni o rischiavano di essere puniti da Gazza. Soffiò nel fischietto, tutti smisero di gridare «Expelliarmus» e l’ultimo paio di bacchette cadde a terra.
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«Non era affatto male» disse Harry, «ma abbiamo passato l’orario, è meglio che smettiamo. Stesso posto, stessa ora la prossima settimana?»
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«Prima!» esclamò Dean Thomas impaziente, e molti annuirono.
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Ma Angelina intervenne: «La stagione di Quidditch sta per cominciare e abbiamo bisogno di allenarci!»
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«Facciamo mercoledì prossimo» stabilì Harry. «Decideremo allora se aggiungere altri incontri. È meglio andare, ora».
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Estrasse di nuovo la Mappa del Malandrino e controllò attentamente la presenza di insegnanti al settimo piano. Fece uscire tutti, tre o quattro alla volta, e rimase a osservare preoccupato i loro puntini sulla mappa finché non giunsero sani e salvi ai dormitori: i Tassorosso lungo il passaggio seminterrato che portava anche alle cucine; i Corvonero in una torre sul lato ovest del castello, e i Grifondoro lungo il corridoio fino al ritratto della Signora Grassa.
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«È andata benissimo, Harry» disse Hermione, quando finalmente rimasero solo lei, Harry e Ron.
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«Sì!» aggiunse Ron entusiasta, mentre uscivano dalla stanza e guardavano la porta confondersi di nuovo con la pietra. «Mi hai visto mentre disarmavo Hermione, Harry?»
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«Una volta sola» precisò Hermione, piccata. «Ti ho battuto molte più volte io…»
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«Non una sola, almeno tre…»
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«Be’, se conti anche la volta in cui sei inciampato nei tuoi piedi e mi hai fatto cadere la bacchetta…»
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Litigarono per tutto il percorso fino alla sala comune, ma Harry non li ascoltava. Teneva d’occhio la Mappa del Malandrino, però pensava anche a Cho quando aveva detto che lui la rendeva nervosa.
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