«Tutto sommato non è stato uno dei compleanni migliori di Ron» commentò Fred.
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Era sera; l’infermeria era tranquilla, le tende tirate, le lampade accese. Il letto di Ron era il solo occupato. Harry, Hermione e Ginny erano seduti attorno a lui; avevano aspettato tutto il giorno fuori dalla porta doppia, cercando di guardare dentro tutte le volte che qualcuno entrava o usciva. Madama Chips li aveva lasciati passare solo alle otto. Fred e George erano arrivati dieci minuti dopo.
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«Non era così che avevamo immaginato di darti il nostro regalo» disse George cupo, posando un grosso pacco sul comodino di Ron e sedendosi vicino a Ginny.
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«Sì, quando ci figuravamo la scena lui non era svenuto» aggiunse Fred.
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«E noi eravamo a Hogsmeade, ad aspettarlo per fargli una sorpresa…» proseguì George.
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«Eravate a Hogsmeade?» chiese Ginny, alzando lo sguardo.
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«Stavamo pensando di comprare Zonko» spiegò Fred malinconico. «Una filiale a Hogsmeade, capisci, ma sai che bell’affare, se voi non avete più il permesso di uscire nei finesettimana per comprare la nostra roba… comunque adesso non importa».
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Spostò una sedia vicino a Harry e guardò il volto pallido di Ron.
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«Com’è andata esattamente, Harry?»
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Harry raccontò di nuovo la storia che aveva già riferito almeno cento volte a Silente, alla McGranitt, a Madama Chips, a Hermione e a Ginny.
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«… e poi gli ho ficcato in gola il bezoar e ha cominciato a respirare un po’ meglio, Lumacorno è corso a cercare aiuto, la McGranitt e Madama Chips sono venute subito e hanno portato Ron quassù. Dicono che si rimetterà. Madama Chips ritiene che dovrà stare qui una settimana… continuare a prendere l’essenza di Ruta…»
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«Accidenti, meno male che hai pensato a un bezoar» mormorò George.
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«Meno male che ce n’era uno nella stanza» ribatté Harry, rabbrividendo ancora al pensiero di che cosa sarebbe successo se non fosse riuscito a mettere le mani sulla pietruzza.
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Hermione tirò su col naso, in modo quasi impercettibile. Era stata straordinariamente zitta per tutto il giorno. Dopo essersi precipitata pallidissima da Harry fuori dall’infermeria e aver chiesto notizie, non aveva quasi preso parte alla discussione ossessiva tra Harry e Ginny su come Ron era stato avvelenato, ma era rimasta accanto a loro, a denti stretti e con la paura sul viso, finché non li avevano fatti entrare.
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«Mamma e papà lo sanno?» chiese Fred a Ginny.
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«L’hanno già visto, sono arrivati un’ora fa… adesso sono nell’ufficio di Silente, ma torneranno presto…»
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Ci fu una pausa e tutti guardarono Ron che borbottava qualcosa nel sonno.
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«Quindi il veleno era nel vino?» domandò Fred piano.
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«Sì»rispose subito Harry; non riusciva a pensare ad altro e fu lieto di ricominciare a parlarne. «Lumacorno l’ha versato…»
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«Avrebbe potuto mettere qualcosa nel bicchiere di Ron senza che tu lo vedessi?»
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«Probabilmente» convenne Harry, «ma perché Lumacorno dovrebbe voler avvelenare Ron?»
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«Non ne ho idea» ribatté Fred, accigliato. «Non credi che potrebbe aver confuso i bicchieri per errore? Con l’intenzione di avvelenare te?»
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«Perché Lumacorno dovrebbe voler avvelenare Harry?» domandò Ginny.
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«Non lo so» rispose Fred, «ma ci dev’essere un mucchio di gente che vorrebbe avvelenare Harry, no? Il ‘Prescelto’ e tutto il resto».
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«Quindi tu pensi che Lumacorno sìa un Mangiamorte?» chiese Ginny.
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«Tutto è possibile» mormorò Fred, cupo.
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«Potrebbe essere sotto la Maledizione Imperius» suggerì George.
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«O potrebbe essere innocente» aggiunse Ginny. «Il veleno avrebbe potuto trovarsi nella bottiglia: in quel caso probabilmente era destinato allo stesso Lumacorno».
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«Chi può voler uccidere Lumacorno?»
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«Silente pensa che Voldemort lo volesse dalla sua parte» spiegò Harry. «Lumacorno si è nascosto per un anno prima di venire a Hogwarts. E…» pensò al ricordo che Silente non era ancora riuscito a estrarre «… e forse Voldemort vuole toglierlo di mezzo, forse crede che possa essere prezioso per Silente».
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«Ma tu hai detto che Lumacorno voleva regalare quella bottiglia a Silente per Natale» gli rammentò Ginny. «Quindi magari il colpevole voleva uccidere Silente».
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«Allora non conosceva bene Lumacorno» intervenne Hermione, per la prima volta dopo ore, con la voce di chi è molto raffreddato. «Chiunque conosca Lumacorno avrebbe saputo che c’erano buone probabilità che si tenesse una cosa così ghiotta per sé».
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«Er-mo-ne» gracchiò Ron inaspettatamente.
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Tacquero tutti, osservandolo preoccupati, ma dopo aver borbottato cose incomprensibili cominciò a russare.
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Le porte dell’infermeria si spalancarono, facendoli tutti sobbalzare, e Hagrid venne verso di loro a grandi passi, i capelli coperti di goccioline di pioggia, la pelliccia d’orso svolazzante, una balestra in mano, lasciando sul pavimento una striscia di orme fangose grandi come delfini.
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«Sono stato nella Foresta tutto il giorno!»esclamò, ansante. «Aragog sta peggio, sono andato a leggerci delle storie… sono venuto su solo adesso per la cena e la professoressa Sprite mi ha detto di Ron! Come sta?»
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«Non male» rispose Harry. «Dicono che si rimetterà».
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«Non più di sei visitatori alla volta!» li sgridò Madama Chips, uscendo di corsa dal suo ufficio.
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«Siamo in sei con Hagrid» le fece osservare George.
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«Ah… già…»osservò Madama Chips che, data la mole di Hagrid, doveva averlo scambiato per più persone. Per nascondere l’imbarazzo, corse a ripulire le orme di fango con la bacchetta.
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«Non ci credo» mormorò Hagrid con voce roca, guardando Ron e scuotendo il testone arruffato. «Non posso crederci… ma guardalo, lì steso… chi è che vuole farci del male, eh?»
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«Ne stavamo proprio parlando»rispose Harry. «Non lo sappiamo».
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«Qualcuno magari ce l’ha con la squadra di Quidditch di Grifondoro?» suggerì Hagrid preoccupato. «Prima Katie, adesso Ron…»
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«Non riesco a immaginare nessuno che cerchi di far fuori un’intera squadra di Quidditch» dichiarò George.
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«Baston avrebbe ammazzato i Serpeverde, se fosse riuscito a farla franca» ammise Fred con onestà.
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«Be’, non credo che sia il Quidditch, ma penso che ci sia un nesso fra le due aggressioni» mormorò Hermione.
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«Che cosa te lo fa pensare?»
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«Be’, intanto avrebbero dovuto tutte e due essere letali e non lo sono state per pura fortuna. E poi né il veleno né la collana sembrano aver raggiunto la persona che doveva essere uccisa. Naturalmente» aggiunse meditabonda, «questo rende il colpevole ancora più pericoloso, in un certo senso, perché sembra che non gli importi quanta gente fa fuori prima di colpire il bersaglio».
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Prima che qualcuno potesse obiettare a questa sinistra affermazione, le porte si aprirono di nuovo e i signori Weasley avanzarono lungo la corsia. Durante la prima visita si erano solo accertati che Ron si sarebbe completamente ripreso; ora la signora Weasley afferrò Harry e lo abbracciò forte.
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«Silente ci ha raccontato che l’hai salvato col bezoar» singhiozzò. «Oh, Harry, che cosa possiamo dire? Hai salvato Ginny… hai salvato Arthur… adesso hai salvato Ron…»
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«Ma no… io non ho…» balbettò Harry, imbarazzato.
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«Metà della nostra famiglia ti deve la vita, adesso che ci penso». Il signor Weasley aveva la voce soffocata dall’emozione. «Be’, posso dire solo che è stato un giorno fortunato per i Weasley quando Ron ha deciso di sedersi nel tuo scompartimento sull’Espresso per Hogwarts, Harry».
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Harry non riuscì a pensare a una risposta e fu quasi felice quando Madama Chips ricordò di nuovo che erano ammessi solo sei visitatori alla volta; lui e Hermione si alzarono subito e Hagrid li seguì, lasciando Ron con la sua famiglia.
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«È terribile» ringhiò Hagrid dietro la barba mentre ripercorrevano il corridoio fino alla scalinata di marmo. «Tutta questa nuova vigilanza, e i ragazzi continuano ad avere incidenti… Silente è preoccupato da bestia… non è che ne parla molto, ma io lo capisco…»
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«Non ha alcuna idea, Hagrid?» chiese Hermione disperata.
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«Penso che ha cento e cento idee, con un cervello come il suo» rispose Hagrid con fermezza. «Ma non sa chi ha mandato la collana e nemmeno chi ha messo il veleno in quel vino, se no li avevano già presi, no? Quello che a me mi preoccupa» proseguì, a bassa voce e guardandosi indietro (Harry, per sicurezza, controllò che non ci fosse Pix sul soffitto), «è quanto tempo Hogwarts può stare aperta se c’è qualcuno che ce l’ha con i ragazzi. È la stessa storia della Camera dei Segreti, no? Ci sarà panico, altri genitori che ritirano i ragazzi, e in un baleno quelli del Consiglio…»
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Hagrid tacque al passaggio del fantasma di una donna coi capelli lunghi, che li superò svolazzando tranquillamente, poi riprese, in un roco sussurro: «… Il Consiglio vorrà chiuderci per sempre».
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«Ma non è possibile» mormorò Hermione, preoccupata.
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«Devi metterti nelle loro teste» continuò Hagrid, grave. «Cioè, è sempre stato un po’ un rischio mandare i ragazzi a Hogwarts, no? Degli incidenti te li aspetti, no, con centinaia di maghi minorenni tutti chiusi insieme, però tentato omicidio è diverso. Sfido che Silente è arrabbiato con Pi…»
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Hagrid si bloccò, con un’espressione colpevole su quel che si vedeva della sua faccia sopra la nera barba aggrovigliata.
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«Cosa?» incalzò Harry. «Silente è arrabbiato con Piton?»
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«Io non ho mai detto questo» rispose Hagrid, ampiamente tradito dal panico. «Ma guarda un po’ l’ora, è quasi mezzanotte, e io devo proprio…»
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«Hagrid, perché Silente è arrabbiato con Piton?» chiese Harry ad alta voce.
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«Ssst!» lo zittì Hagrid, nervoso e arrabbiato insieme. «Non gridare così, Harry, vuoi farmi perdere il posto? Non che ti importa, vero, ora che hai mollato Cura delle Creatu…»
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«Non cercare di farmi sentire in colpa, non funziona!» lo interruppe Harry con foga. «Che cos’ha combinato Piton?»
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«Non lo so, Harry, non dovevo nemmeno sentirla, quella roba lì! Io… be’, io venivo fuori dalla Foresta l’altra sera e li ho sentiti che parlavano… be’, veramente litigavano. Non volevo attirare l’attenzione, allora mi sono nascosto e ho provato a non ascoltare, ma non era mica tanto facile… Era una… be’, una discussione di quelle toste».
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«Allora?» lo incalzò Harry, mentre Hagrid scalpicciava, imbarazzato.
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«Allora… ho solo sentito Piton che diceva che Silente dà tutto per scontato e che forse lui — Piton — non voleva farlo più…»
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«Fare cosa?»
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«Non lo so, Harry, era come se Piton era un po’ stanchino, ecco… comunque Silente ci ha detto chiaro e tondo che aveva accettato di farlo e basta. È stato molto deciso. E poi ha detto qualcosa di Piton che doveva fare delle indagini nella sua Casa, Serpeverde. Be’, non c’è mica niente di strano in questo!» aggiunse in fretta, quando Harry e Hermione si scambiarono sguardi eloquenti. «Tutti i direttori delle Case hanno dovuto indagare sulla storia della collana…»
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«Sì, ma Silente non litiga con gli altri tre, no?» osservò Harry.
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«Senti». Hagrid, a disagio, torse fra le mani la balestra, che si spezzò in due con uno schiocco sonoro. «Lo so come la pensi su Piton, Harry, e non voglio che vedi in questa faccenda più di quello che c’è, per davvero».
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«Attenti» disse Hermione.
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Si voltarono appena in tempo per vedere l’ombra di Argus Gazza incombere sulla parete alle loro spalle, prima che il custode in persona voltasse l’angolo, ingobbito, le guance tremolanti.
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«Oho!» ansimò. «Fuori dal letto così tardi, questa è punizione!»
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«No che non lo è, Gazza» rispose Hagrid asciutto. «Sono con me, no?»
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«E che differenza fa?» chiese l’altro in tono sgradevole.
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«Sono un insegnante, razza di uno spione Magonò!» esclamò Hagrid, infiammandosi.
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Si udì un fastidioso sibilo, mentre Gazza si gonfiava di rabbia; Mrs Purr era arrivata non vista e si insinuò tra le sue magre caviglie.
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«Andate» borbottò Hagrid da un angolo della bocca.
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Harry non se lo fece dire due volte; sia lui che Hermione corsero via, e le voci di Hagrid e Gazza echeggiarono dietro di loro. Oltrepassarono Pix vicino alla svolta per la Torre di Grifondoro, ma il poltergeist filava allegramente verso la fonte delle urla, ridacchiando e gridando:
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Se scateni liti, o guai chiama Pix e li raddoppierai!
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La Signora Grassa russava e non fu contenta di essere svegliata, ma si spalancò controvoglia sulla sala comune, che grazie al cielo era tranquilla e vuota. A quanto pareva, nessuno aveva ancora saputo di Ron; Harry ne fu molto sollevato, quel giorno era già stato interrogato abbastanza. Hermione gli augurò la buonanotte e si avviò verso il dormitorio delle ragazze. Lui però indugiò, sedette vicino al fuoco e contemplò le braci morenti.
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E così Silente aveva litigato con Piton. Nonostante tutto quello che aveva detto a Harry, nonostante insistesse a fidarsi ciecamente di Piton, aveva perso le staffe con lui… Pensava che non avesse mdagato abbastanza a fondo tra i Serpeverde… o su un solo Serpeverde: Malfoy?
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Forse Silente non voleva che Harry facesse qualcosa di stupido, o che prendesse l’iniziativa, e per questo aveva finto che non ci fosse nulla di fondato nei suoi sospetti… Probabile. O forse desiderava che nulla distraesse Harry dalle loro lezioni, o dalla missione con Lumacorno. Forse non riteneva giusto confidare i propri sospetti sugli insegnanti a un sedicenne…
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«Eccoti, Potter!»
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Harry balzò in piedi, spaventato, la bacchetta pronta. Era convinto che la sala comune fosse vuota; non era preparato a vedere una sagoma massiccia alzarsi da una poltrona. Uno sguardo più attento gli rivelò Cormac McLaggen.
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«Ti stavo aspettando» esordì McLaggen, ignorando la bacchetta sfoderata di Harry. «Devo essermi addormentato. Senti, ho visto che portavano Weasley in infermeria. Non sembrava in forma per la partita della prossima settimana».
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Ci vollero alcuni istanti prima che Harry capisse di cosa stava parlando McLaggen.
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«Ah… già… il Quidditch…» mormorò, riponendo la bacchetta nella cintura dei jeans e passandosi stancamente una mano tra i capelli. «Già… potrebbe non farcela».
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«Be’, allora sarò io il Portiere, no?»chiese McLaggen.
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«Sì» rispose Harry. «Sì, direi di sì…»
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Non riuscì a pensare a niente in contrario; dopotutto, McLaggen era risultato secondo alle selezioni.
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«Ottimo» dichiarò McLaggen, soddisfatto. «Allora, quando sono gli allenamenti?»
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«Cosa? Oh… ce n’è uno domani sera».
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«Bene. Senti, Potter, prima dovremmo fare due chiacchiere. Ho degli schemi che potresti trovare interessanti».
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«D’accordo» fece Harry senza entusiasmo. «Be’, li ascolterò domani. Adesso sono stanco… ci vediamo…»
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La notizia dell’avvelenamento di Ron si diffuse in fretta il giorno dopo, ma non provocò lo scalpore suscitato dall’attacco a Katie. Tutti sembravano pensare che fosse stato un incidente, visto che in quel momento Ron si trovava nella stanza dell’insegnante di Pozioni, e siccome gli era stato somministrato un antidoto sul posto non era successo niente di grave. In effetti i Grifondoro erano molto più interessati alla partita di Quidditch contro Tassorosso: molti di loro volevano vedere Zacharias Smith, che era il Cacciatore avversario, ricevere la meritata punizione per i suoi commenti durante la partita inaugurale.
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Harry tuttavia non era mai stato meno interessato al Quidditch; era ossessionato da Draco Malfoy. Continuava a controllare la Mappa del Malandrino appena poteva, e a volte andava dove si trovava Malfoy, ma non l’aveva ancora sorpreso a combinare qualcosa di strano. E c’erano sempre quei momenti inesplicabili in cui Malfoy svaniva dalla Mappa…
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Harry però non ebbe molto tempo per meditare sull’argomento, tra gli allenamenti di Quidditch, i compiti e il continuo pedinamento di Cormac McLaggen e Lavanda Brown.
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Non riusciva a decidere chi dei due fosse più irritante. McLaggen continuava a insistere che sarebbe stato un Portiere migliore di Ron, e vedendolo giocare regolarmente anche Harry se ne sarebbe convinto; per di più era pronto a criticare gli altri giocatori e a fornire a Harry dettagliati schemi d’allenamento, tanto che più di una volta Harry fu costretto a ricordargli chi era il Capitano.
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Nel frattempo, Lavanda si avvicinava furtiva a Harry per parlare di Ron, cosa che Harry trovava quasi altrettanto estenuante delle conferenze sul Quidditch di McLaggen. All’inizio era molto seccata perché nessuno aveva pensato di dirle che Ron era in infermeria — «Insomma, sono la sua ragazza!» — ma purtroppo aveva deciso di perdonare a Harry questa dimenticanza ed era ansiosa di discutere con lui dei sentimenti di Ron, un’esperienza spiacevolissima che Harry avrebbe volentieri evitato.
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«Senti, perché non lo chiedi a lui?» le disse dopo un interrogatorio particolarmente lungo che andava da cosa Ron aveva detto di preciso sui suoi vestiti nuovi a cosa Harry pensava della loro relazione: era o no una cosa ‘seria’?
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«Be’, lo farei, ma quando vado a trovarlo è sempre addormentato!» rispose Lavanda, irritata.
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«Davvero?» chiese Harry, sorpreso, perché tutte le volte che era andato in infermeria aveva trovato Ron sveglissimo, molto interessato alla lite fra Silente e Piton e altrettanto desideroso di insultare McLaggen.
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«Hermione Granger continua ad andare a trovarlo?» domandò Lavanda all’improvviso.
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«Sì, credo di sì. Be’, sono amici, no?» nspose Harry, a disagio.
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«Amici, non farmi ridere. Non gli ha rivolto la parola per settimane dopo che lui ha cominciato a uscire con me! Ma immagino che voglia fare la pace, adesso che è così interessante…»
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«Essere avvelenato secondo te è interessante? Comunque… mi spiace, devo andare… sta arrivando McLaggen per parlare di Quidditch» e sfrecciò dentro una porta mascherata da muro e corse giù per la scorciatoia verso l’aula di Pozioni, dove grazie al cielo né Lavanda né McLaggen potevano seguirlo.
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La mattina della partita di Quidditch contro Tassorosso, Harry fece un salto in infermeria prima di scendere in campo. Ron era molto agitato: Madama Chips non gli voleva dare il permesso di vedere l’incontro, pensando che l’avrebbe sovreccitato.
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«Allora come va McLaggen?» chiese a Harry nervosamente, dimenticando di averlo già chiesto due volte.
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«Te l’ho detto» gli rispose Harry, con pazienza, «anche se fosse un fuoriclasse non vorrei averlo in squadra comunque. Dice sempre a tutti cosa fare, crede di poter giocare in qualunque ruolo meglio di noi. Non vedo l’ora di liberarmene. E, a proposito» aggiunse, alzandosi e prendendo la sua Firebolt, «vuoi smetterla di far finta di dormire quando Lavanda viene a trovarti? Anche lei mi sta facendo impazzire».
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«Oh» fece Ron, impacciato. «Sì. D’accordo».
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«Se non vuoi più uscire con lei, diglielo e basta» insistette Harry.
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«Sì… be’… non è così facile, no?» obiettò Ron. Tacque un momento. «Hermione viene qui prima della partita?» aggiunse con noncuranza.
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«No, è già scesa al campo con Ginny».
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«Oh» rispose Ron, rattristato. «Bene. Be’, buona fortuna. Spero che tu dia una bella battuta a McLag… voglio dire a Smith».
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«Ci proverò» disse Harry, mettendosi la scopa in spalla. «Ci vediamo dopo».
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Corse giù lungo i corridoi deserti; tutta la scuola era fuori, o nello stadio o per strada. Harry lanciò un’occhiata dalle finestre, cercando di stimare la forza del vento, quando un rumore davanti a sé lo costrinse a spostare lo sguardo: Malfoy avanzava verso di lui, accompagnato da due ragazze, tutte e due imbronciate e rabbiose.
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Malfoy si bloccò alla vista di Harry, poi scoppiò in una breve risata tetra e continuò a camminare.
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«Dove vai?» gli chiese Harry.
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«Già, e lo vengo a dire a te, perché sono affari tuoi, Potter» lo schernì Malfoy, beffardo. «È meglio che ti sbrighi, saranno tutti lì ad aspettare il Capitano Prescelto, il Ragazzo che Segnò, o come diavolo ti chiamano adesso».
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Una delle ragazze scoppiò in una risatina poco convinta. Harry la fissò. Lei arrossì. Malfoy spinse da parte Harry e lei e la sua amica lo seguirono trotterellando, voltarono l’angolo e sparirono.
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Harry li guardò andarsene. Era esasperante: già ce l’avrebbe fatta solo per un soffio ad arrivare puntuale in campo, ed ecco che Malfoy si aggirava furtivo, quando il resto della scuola era assente: l’occasione migliore per scoprire che cosa stava combinando. Istanti silenziosi scorsero via, e Harry rimase dov’era, paralizzato, fissando il vuoto…
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«Dove sei stato?» gli chiese Ginny quando sfrecciò nello spogliatoio. Tutta la squadra era vestita e pronta; Coote e Peakes, i Battitori, si sbatacchiavano nervosamente le mazze contro le gambe.
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«Ho incontrato Malfoy» mormorò Harry infilandosi per la testa la divisa scarlatta.
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«E allora?»
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«E allora volevo sapere come mai lui è su al castello con un paio di ragazze mentre tutti gli altri sono quaggiù…»
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«È importante in questo momento?»
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«Be’, tanto non posso scoprirlo, no?» ribatté Harry. Afferrò la Firebolt e si aggiustò gli occhiali. «Andiamo, su!»
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E senza dire altro uscì in campo, accolto da grida e fischi assordanti. C’era poco vento, tra le nuvole irregolari ogni tanto sbucavano lampi accecanti di sole.
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«Tempo rischioso!» commentò McLaggen rivolto alla squadra. «Coote, Peakes, volate controsole, così non vi vedranno arrivare…»
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«Sono io il Capitano, McLaggen, piantala di dare ordini» sbottò Harry furente. «E vai su agli anelli!»
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Quando McLaggen fu lontano, Harry si rivolse a Coote e Peakes.
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«Comunque volate controsole» disse a malincuore.
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Strinse la mano al Capitano di Tassorosso e poi, al fischio di Madama Bumb, si alzò in aria, più in alto del resto della squadra, e filò per il campo in cerca del Boccino. Se fosse riuscito a prenderlo subito, c’era una probabilità di riuscire a tornare al castello, tirar fuori la Mappa del Malandrino e scoprire che cosa stava facendo Malfoy…
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«Ecco Smith di Tassorosso con la Pluffa» una voce sognante echeggiò sul campo. «La volta scorsa era lui a fare la cronaca, e Ginny Weasley l’ha travolto, credo apposta… o almeno così pareva. Smith è stato piuttosto insolente con Grifondoro, immagino che se ne penta, adesso che sta giocando contro di loro… Oh, guardate, ha perso la Pluffa, Ginny gliel’ha presa, lei mi piace, è molto carina…»
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Harry guardò il podio del cronista. Nessuno con la testa a posto avrebbe permesso a Luna Lovegood di fare la cronaca… Ma anche da lassù i lunghi capelli biondo sporco e la collana di tappi di Burrobirra erano inconfondibili… Accanto a Luna, la professoressa McGranitt sembrava un po’ a disagio, come se in effetti avesse dei ripensamenti.
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«… Ma ora quel giocatore grosso di Tassorosso le ha tolto la Pluffa, non mi ricordo come si chiama, qualcosa come Bibbie… no, Buggins…»
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«È Cadwallader!» urlò la professoressa McGranitt. La folla rise.
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Harry si guardò intorno: nessuna traccia del Boccino. Qualche istante dopo, Cadwallader segnò. McLaggen stava apostrofando Ginny perché si era lasciata sfuggire la Pluffa, col risultato che non aveva notato la grossa palla rossa che gli planava oltre l’orecchio destro.
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«McLaggen, vuoi stare attento a quello che dovresti fare e lasciare in pace gli altri?» urlò Harry, volteggiando di fronte a lui.
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«Senti chi parla!» strillò in risposta McLaggen, rosso e furente.
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«Ed ecco che Harry Potter discute con il suo Portiere» commentò Luna soave, mentre sia i Tassorosso che i Serpeverde sugli spalti esultavano e ridacchiavano. «Non credo che questo lo aiuterà a trovare il Boccino, ma forse è un astuto stratagemma…»
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Imprecando, Harry fece dietrofront e si levò di nuovo sul campo, scrutando il cielo in cerca della pallina alata.
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Ginny e Demelza segnarono una rete a testa, dando ai tifosi rossi e oro qualcosa di cui rallegrarsi. Poi Cadwallader pareggiò, ma Luna parve non averlo notato; era disinteressata a quisquilie come il punteggio, e continuava ad attirare l’attenzione su nuvole dalla forma interessante o la possibilità che Zacharias Smith, che fino a quel momento non era riuscito a tenere la Pluffa per più di un minuto, soffrisse di una sindrome chiamata ‘Broccopatia’.
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«Settanta a quaranta per Tassorosso!» abbaiò la professoressa McGranitt nel megafono di Luna.
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«Di già?» domandò Luna distrattamente. «Oh, guardate! Il Portiere di Grifondoro si è impadronito di una delle mazze da Battitore».
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Harry si voltò a mezz’aria. Proprio così: McLaggen, per ragioni note solo a lui, aveva strappato la mazza a Peakes e gli stava mostrando come colpire Cadwallader con un Bolide.
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«Vuoi ridargli la sua mazza e tornare agli anelli?» ruggì Harry, e si precipitò verso McLaggen proprio mentre sferrava un colpo violento al Bolide e lo mancava.
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Un dolore accecante, nauseante… un lampo di luce… urla remote… e la sensazione di cadere in un profondo tunnel…
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Harry si ritrovò in un letto caldo e comodo, a fissare una lampada che gettava un cerchio di luce dorata su un soffitto denso di ombre. Alzò la testa con cautela. Alla sua sinistra c’era una persona dall’aria familiare, un tipo lentigginoso coi capelli rossi.
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«Carino da parte tua, fare un salto qui»lo accolse Ron con un gran sorriso.
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Harry batté le palpebre e si guardò intorno. Ma certo: era in infermeria. Il cielo fuori era color indaco, striato di cremisi. La partita doveva essere finita da ore… come ogni speranza di sorprendere Malfoy. Harry aveva la testa stranamente appesantita; alzò una mano e tastò un rigido turbante di bende.
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«Che cosa è successo?»
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«Frattura cranica» rispose Madama Chips, arrivando in fretta e sospingendolo di nuovo contro i cuscini. «Niente di grave, l’ho sistemata subito, ma ti tengo qui stanotte. Non dovresti fare sforzi eccessivi per qualche ora».
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«Non voglio restare qui per la notte» sbottò Harry, alzandosi a sedere e gettando indietro le coperte, «voglio trovare McLaggen e ucciderlo».
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«Mi spiace, ma temo che rientri nella definizione di ‘sforzi eccessivi’» rispose Madama Chips. Lo spinse di nuovo sul letto e alzò la bacchetta, minacciosa. «Tu rimani qui finché non ti dimetto, Potter, o chiamo il Preside».
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Tornò nel suo ufficio e Harry ricadde sui cuscini, fumante di rabbia.
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«Tu sai di quanto abbiamo perso?» chiese a Ron a denti stretti.
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«Be’, veramente sì» rispose Ron con tono di scusa. «Il punteggio finale è stato di trecentoventi a sessanta».
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«Fantastico» ringhiò Harry. «Quando acchiappo McLaggen…»
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«Non ti conviene acchiapparlo, è grosso come un troll» osservò Ron ragionevole. «Penso che quella fattura del Principe, quella delle unghie dei piedi, sarebbe un’ottima soluzione. Ma può darsi che il resto della squadra lo sistemi prima che tu esca di qui, non sono molto contenti…»
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Nella voce di Ron c’era una nota di gioia repressa a stento; era chiaramente esaltato dal fatto che McLaggen avesse combinato quel pasticcio. Harry giacque nel letto, fissando la macchia di luce sul soffitto; il cranio appena riparato non gli faceva proprio male, ma lo sentiva un po’ fragile sotto tutte quelle bende.
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«Ho sentito la cronaca da qui» continuò Ron, ora scosso dalle risate. «Spero che la faccia sempre Luna, d’ora in poi… La Broccopatia…»
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Ma Harry era ancora troppo arrabbiato per vedere il lato divertente della situazione, e dopo un po’ gli sbuffi di Ron si calmarono.
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«Ginny è passata a trovarti mentre eri svenuto» riprese dopo una lunga pausa, e l’immaginazione di Harry schizzò a velocità stellare, edificando una scena in cui Ginny, in lacrime sul suo corpo esanime, confessava il profondo sentimento che provava per lui mentre Ron impartiva la sua benedizione… «Dice che sei arrivato appena in tempo. Come mai? Sei uscito di qui abbastanza presto».
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«Oh…» fece Harry, intanto che la scena nella sua mente implodeva. «Sì… be’, ho visto Malfoy aggirarsi con due ragazze che non sembravano aver voglia di stare con lui, ed è la seconda volta che non viene al campo di Quidditch con il resto della scuola. Ha saltato anche l’ultima partita, ti ricordi?» Harry sospirò. «Vorrei averlo seguito, adesso, l’incontro è stato un tale disastro…»
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«Non dire sciocchezze» lo interruppe Ron, aspro. «Non potevi saltare la partita solo per seguire Malfoy, sei il Capitano!»
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«Voglio sapere che cos’ha in mente» rispose Harry. «E non dirmi che mi sto inventando tutto, non dopo quello che gli ho sentito dire a Piton…»
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«Non ho mai detto che ti stai inventando tutto» precisò Ron, puntellandosi su un gomito e guardando Harry, accigliato, «ma non esiste una regola per cui solo una persona alla volta può tramare qualcosa in questo posto! Malfoy sta diventando un’ossessione, Harry. Insomma, pensare di saltare la partita solo per seguirlo…»
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«Voglio prenderlo con le mani nel sacco!» esclamò Harry, frustrato. «Voglio dire, dove va quando scompare dalla Mappa?»
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«Non saprei… a Hogsmeade?» suggerì Ron, sbadigliando.
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«Non l’ho mai visto percorrere nessuno dei passaggi segreti. E credevo che adesso fossero sorvegliati».
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«Be’, allora non lo so» concluse Ron.
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Cadde il silenzio. Harry fissò il cerchio di luce, riflettendo…
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Se solo avesse avuto i poteri di Rufus Scrimgeour, avrebbe potuto far pedinare Malfoy, ma purtroppo non aveva un ufficio pieno di Auror ai suoi ordini… Pensò di sfuggita di usare l’ES per mettere in piedi qualcosa, ma l’assenza dei ragazzi dalle lezioni sarebbe stata notata; quasi tutti del resto avevano ancora l’orario pieno…
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Un sonoro russare si levò dal letto di Ron. Dopo un po’ Madama Chips uscì dal suo ufficio, avvolta in una pesante vestaglia. La cosa più semplice era fingere di dormire; Harry si rotolò sul fianco e ascoltò le tende chiudersi ai suoi colpi di bacchetta. Le luci si abbassarono, e lei tornò nell’ufficio; Harry sentì la porta scattare, e capì che stava andando a letto.
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Al buio, Harry pensò che era la terza volta che finiva in infermeria per una ferita da Quidditch. Al terzo anno era caduto dalla scopa per la presenza dei Dissennatori attorno al campo, e prima ancora tutte le ossa gli erano state rimosse dal braccio da quella frana del professor Allock… quello era stato l’infortunio più doloroso, finora… Ricordava il tormento di far ricrescere una manciata di ossa in una sola notte, un disagio non alleviato da una visita inaspettata nel cuore della…
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Harry scattò a sedere, col cuore che batteva forte e il turbante di bende tutto storto. Aveva la soluzione, finalmente: c’era un modo per far seguire Malfoy… Come poteva essersene scordato, perché non ci aveva pensato prima?
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Ma la questione era: come chiamarlo? Come fare?
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Piano, esitante, Harry parlò nel buio.
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«Kreacher!»
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Si udì un sonoro crac,e uno scalpiccio e degli strilli riempirono la stanza silenziosa. Ron si svegliò con un guaito.
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«Che cosa…?»
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Harry puntò rapido la bacchetta verso la porta dell’ufficio di Madama Chips e borbottò «Muffliato!» in modo che non accorresse. Poi si precipitò ai piedi del letto per vedere che cosa stava succedendo.
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Due elfi domestici si rotolavano sul pavimento: uno indossava uno striminzito pullover ruggine e parecchi cappelli di lana, l’altro un vecchio straccio sudicio legato sui fianchi come un perizoma. Poi si udì un altro schiocco sonoro, e Pix il Poltergeist apparve a mezz’aria sopra gli elfi in lotta.
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«Io li tenevo d’occhio, Potty!» esclamò indignato, indicando la zuffa. Poi emise una risatina stridula. «Guarda le creaturine che si accapigliano, mordi mordi, picchia picchia…»
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«Kreacher non deve insultare Harry Potter davanti a Dobby, no, non deve, o Dobby gli chiuderà la bocca!» strillò Dobby.
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«… scalcia, graffia!» gridò Pix allegramente, scagliando gessetti sugli elfi per aizzarli. «Pizzica, sgomita!»
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«Kreacher dirà quello che gli piace del suo padrone, oh, sì, e che padrone è, sudicio amico dei Mezzosangue, oh, che cosa direbbe la padrona del povero Kreacher…?»
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Non riuscirono a scoprire che cosa di preciso avrebbe detto la padrona di Kreacher, perché in quel momento Dobby gli affondò il pugnetto nodoso in bocca e gli staccò metà dei denti. Harry e Ron balzarono giù dai letti e li separarono. I due elfi continuavano a cercare di colpirsi, istigati da Pix che svolazzava attorno alla lampada strillando: «Ficcagli le dita su per il nasino, sturalo bene e tiragli le orecchie…»
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Harry puntò la bacchetta contro Pix e ordinò: «Languelingua!»Pix si strinse le mani alla gola, deglutì e volò via dalla stanza facendo gesti osceni ma senza poter parlare, perché la lingua gli si era incollata al palato.
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«Bella» si complimentò Ron, sollevando per aria Dobby così che gambe e braccia non facessero più contatto con Kreacher. «Un’altra fattura del Principe, eh?»
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«Sì»rispose Harry, torcendo il braccio raggrinzito di Kreacher in una mezza nelson. «Allora… vi proibisco di lottare! Be’, Kreacher, ti proibisco di litigare con Dobby. Dobby, so che non ho il permesso di darti ordini…»
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«Dobby è un elfo domestico libero e può obbedire a chi gli pare e Dobby farà tutto quello che Harry Potter vuole!» singhiozzo Dobby, mentre le lacrime scorrevano dal faccino raggrinzito sul pullover.
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«Bene, allora» disse Harry, e sia lui che Ron liberarono gli elfi, che caddero a terra ma non ripresero a lottare.
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«Il padrone mi ha chiamato?» gracchiò Kreacher, profondendosi in un inchino ma lanciando a Harry un’occhiata che palesemente gli augurava una morte dolorosa.
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«Sì» rispose Harry, guardando verso l’ufficio di Madama Chips per accertarsi che l’Incantesimo Muffliato tenesse; non c’era segno che avesse udito alcunché. «Ho un lavoro per te».
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«Kreacher farà tutto quello che vuole il padrone» borbottò l’elfo, inchinandosi così tanto che le sue labbra quasi sfiorarono gli alluci nodosi, «perché Kreacher non ha scelta, ma Kreacher si vergogna di avere un simile padrone, sì…»
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«Lo farà Dobby, Harry Potter!» squittì Dobby, gli occhi grandi come palline da tennis inondati di lacrime. «Dobby sarà onorato di aiutare Harry Potter!»
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«Adesso che ci penso, sarebbe bello avere tutti e due» osservò Harry. «Bene, allora… voglio che pediniate Draco Malfoy».
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Ignorando il misto di sorpresa ed esasperazione comparso sul volto di Ron, Harry continuò: «Voglio sapere dove va, con chi si incontra e che cosa fa. Voglio che lo seguiate ventiquattr’ore su ventiquattro».
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«Sì, Harry Potter!» esclamò subito Dobby, con gli occhioni luccicanti. «E se Dobby sbaglia, Dobby si butterà dalla torre più alta, Harry Potter!»
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«Non ce ne sarà alcun bisogno» assicurò Harry in fretta.
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«Il padrone vuole che io segua il più giovane dei Malfoy?» gracchiò Kreacher. «Il padrone vuole che io spii il pronipote Purosangue della mia vecchia padrona?»
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«Proprio quello» confermò Harry, prevedendo un enorme pericolo e deciso a impedirlo subito. «E ti proibisco di avvertirlo, Kreacher, e di mostrargli che cosa stai facendo, e di rivolgergli la parola, e di scrivergli messaggi, e… e di metterti in contatto con lui in qualunque modo. Capito?»
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Gli parve di vedere Kreacher affannarsi a cercare una scappatoia nelle istruzioni ricevute, e attese. Dopo qualche istante, con sua enorme soddisfazione, Kreacher fece di nuovo un profondo inchino e mormorò, amareggiato e risentito: «Il padrone pensa a tutto e Kreacher deve obbedirgli anche se Kreacher preferirebbe servire il ragazzo Malfoy, oh, sì…»
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«È deciso, allora» concluse Harry. «Voglio rapporti regolari, ma state attenti che non ci sia nessuno intorno quando venite da me. Ron e Hermione sono a posto. E non dite a nessuno che cosa state facendo. State solo appiccicati a Malfoy come un paio di cerotti antiverruche».
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