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Harry Potter e i Doni della Morte (6958 citazioni)
   1) L’ascesa del Signore Oscuro (113 citazioni)
   2) In memoriam (70 citazioni)
   3) La partenza dei Dursley (126 citazioni)
   4) I sette Potter (179 citazioni)
   5) Il Guerriero caduto (255 citazioni)
   6) Il demone in pigiama (231 citazioni)
   7) Il testamento i Albus Silente (272 citazioni)
   8) Il matrimonio (213 citazioni)
   9) Un nascondiglio (151 citazioni)
   10) Il racconto di Kreacher (197 citazioni)
   11) La mazzetta (211 citazioni)
   12) La Magia è Potere (220 citazioni)
   13) La Commissione per il Censimento dei nati babbani (184 citazioni)
   14) Il ladro (141 citazioni)
   15) La vendetta del folletto (285 citazioni)
   16) Godric’s Hollow (138 citazioni)
   17) Il Segreto di Bathilda (212 citazioni)
   18) Vita e Menzogne di Albus Silente (82 citazioni)
   19) La cerva d’argento (227 citazioni)
   20) Xenophilius Lovegood (152 citazioni)
   21) La storia dei tre fratelli (182 citazioni)
   22) I Doni della Morte (186 citazioni)
   23) Villa Malfoy (351 citazioni)
   24) Il fabbricante di bacchette (257 citazioni)
   25) Villa Conchiglia (160 citazioni)
   26) La Gringott (188 citazioni)
   27) Il nascondiglio finale (73 citazioni)
   28) Lo specchio mancante (146 citazioni)
   29) Il diadema perduto (169 citazioni)
   30) Il congedo di Severus Piton (197 citazioni)
   31) La battaglia di Hogwarts (288 citazioni)
   32) La bacchetta di Sambuco (182 citazioni)
   33) La storia del Principe (345 citazioni)
   34) Ancora la foresta (119 citazioni)
   35) King’s Cross (170 citazioni)
   36) La falla nel piano (286 citazioni)
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La cerva d’argento


   Nevicava quando Hermione cominciò il suo turno di veglia, a mezzanotte. I sogni di Harry furono confusi e tormentati: Nagini vi scivolava dentro e fuori, prima attraverso un gigantesco anello spezzato, poi attraverso una corona di elleboro. Si svegliò più volte, nel panico, convinto che qualcuno l'avesse chiamato in lontananza, scambiando il vento che frustava la tenda per il suono di passi o di voci.
   Finalmente si alzò che era ancora buio e raggiunse Hermione, rannicchiata all'ingresso della tenda a leggere Storia della Magia alla luce della bacchetta. La neve continuava a cadere fitta e lei accolse con sollievo la proposta di fare i bagagli al più presto e partire.
   «Andremo in un posto più riparato» convenne, e tremando infilò una felpa sopra il pigiama. «Mi sembrava sempre di sentire dei movimenti, là fuori. Ho persino creduto di vedere qualcuno, un paio di volte».
   Harry, che si stava mettendo un golf, si bloccò a metà e guardò lo Spioscopio sul tavolo: era silenzioso e immobile.
   «Sono sicura di averlo solo immaginato» riprese Hermione, nervosa, «la neve nel buio gioca strani scherzi... ma forse è meglio se ci Smaterializziamo sotto il Mantello dell'Invisibilità, per sicurezza...»
   Mezz'ora dopo, ripiegata la tenda, partirono: Harry portava l'Horcrux e Hermione stringeva la borsetta di perline. La consueta morsa li inghiottì; i piedi di Harry si staccarono dal suolo innevato per urtare con forza su quella che sembrava terra ghiacciata coperta di foglie.
   «Dove siamo?» chiese, guardando una nuova massa di alberi intanto che Hermione cominciava a sfilare i picchetti della tenda dalla borsetta.
   «Nella Foresta di Dean» rispose lei. «Una volta sono venuta qui in campeggio con i miei».
   Anche lì la neve pesava sugli alberi e il freddo era pungente, ma almeno erano protetti dal vento. Passarono quasi tutta la giornata dentro la tenda, rannicchiati a scaldarsi vicino alle utili fiamme azzurre che Hermione era così abile a produrre e che si potevano raccogliere e portare con sé in un barattolo. Harry si sentiva come in convalescenza dopo una malattia breve ma grave, impressione rafforzata dalle premure di Hermione. Quel pomeriggio nuovi fiocchi cominciarono a cadere e ben presto anche la loro radura riparata fu ricoperta da una spruzzata di neve polverosa.
   Dopo due notti di poco sonno, i sensi di Harry erano più all'erta del solito. A Godric's Hollow se l'erano cavata veramente per un soffio e forse per questo Voldemort sembrava più vicino di prima, più minaccioso. Al calare
    dell'oscurità, Harry rifiutò l'offerta di Hermione di vegliare al suo posto e la mandò a dormire.
   Spostò un vecchio cuscino all'ingresso della tenda e si sedette. Indossava tutti i maglioni che poteva ma aveva lo stesso i brividi. Il buio s'infittì col passare delle ore, fino a diventare quasi impenetrabile. Harry stava per prendere la Mappa del Malandrino e contemplare per un po' il puntino di Ginny, ma poi si ricordò che erano le vacanze di Natale e che doveva essere tornata alla Tana.
   Ogni minimo movimento sembrava amplificato dalla vastità della foresta. Harry sapeva che doveva pullulare di creature, ma avrebbe voluto che restassero tutte silenziose e immobili in modo da poter distinguere i loro innocui tramestii da eventuali altri rumori, forieri di sinistri movimenti. Ricordava il fruscio di un mantello sulle foglie secche, anni prima, e subito si convinse di averlo udito di nuovo, prima di riscuotersi. I loro incantesimi di protezione funzionavano da settimane, perché avrebbero dovuto rompersi proprio adesso? Eppure non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che quella notte ci fosse qualcosa di diverso.
   Si rizzò a sedere parecchie volte, il collo dolorante perché si era addormentato in una strana posizione contro la parete della tenda. La notte raggiunse una profondità così nera e vellutata che avrebbe anche potuto trovarsi nel limbo tra la Smaterializzazione e la Materializzazione. Aveva appena sollevato una mano davanti agli occhi per vedere se riusciva a distinguere le dita quando accadde.
   Una luce argentea apparve davanti a lui, muovendosi tra gli alberi. Qualunque cosa ne fosse la fonte, si spostava senza alcun rumore. La luce sembrava galleggiare a mezz'aria verso di lui.
   Balzò in piedi, la voce paralizzata in gola, e alzò la bacchetta di Hermione. Strizzò gli occhi perché la luce divenne accecante, gli alberi le si stagliavano davanti neri come la pece, qualunque cosa fosse si avvicinava...
   Poi la fonte di luce uscì da dietro una quercia. Era una cerva bianco argento, splendente come la luna e abbagliante, che avanzava, sempre in silenzio, senza lasciare tracce di zoccoli nella fine neve fresca. Veniva verso di lui con la bella testa eretta e i grandi occhi orlati di lunghe ciglia.
   Harry fissò la creatura, colmo di stupore non per la sua stranezza, ma per la sua inspiegabile familiarità. Gli sembrava di aver atteso il suo arrivo, ma di aver dimenticato che si erano dati appuntamento. L'impulso di gridare e chiamare Hermione, che un attimo prima era stato fortissimo, svanì. Sapeva, ci avrebbe scommesso la vita, che era venuta per lui e lui soltanto.
    Si guardarono intensamente per alcuni istanti, poi lei si voltò e se ne andò.
   «No» esclamò lui, la voce incrinata, tanto a lungo era rimasto in silenzio. «Torna indietro!»
   Lei continuò ad avanzare con calma tra gli alberi e presto il suo splendore fu rigato dai loro spessi tronchi neri. Per un secondo lui esitò, tremante. La cautela gli sussurrava: può essere un trucco, un'esca, una trappola. Ma l'istinto, un istinto prepotente, gli disse che quella non era Magia Oscura. Si lanciò all'inseguimento.
   La neve scricchiolava sotto i suoi piedi, ma la cerva non faceva alcun rumore passando tra gli alberi, perché era pura luce. Lo guidò nel folto della foresta, e lui camminava veloce, sicuro che quando si fosse fermata gli avrebbe consentito di avvicinarsi. E allora avrebbe parlato e la sua voce gli avrebbe detto quello che gli occorreva sapere.
   Infine lei si fermò. Girò un'altra volta la bella testa verso di lui, che si mise a correre, con una domanda che gli bruciava dentro, ma quando aprì le labbra per formularla, lei svanì.
   L'oscurità l'aveva inghiottita, però la sua immagine luminosa era ancora impressa sulla retina di Harry; gli oscurava la vista, accendendosi quando lui abbassava le palpebre, disorientandolo. Ora aveva paura: la presenza della cerva aveva significato sicurezza.
   «Lumos!» sussurrò, e la punta della bacchetta si accese.
   La sagoma della cerva sbiadiva a ogni battito di ciglia e lui ascoltava i rumori della foresta, lontani scricchiolii di rami, morbidi fruscii di neve. Stava per essere aggredito? Era stato attirato in un'imboscata? Stava solo immaginando che ci fosse qualcuno oltre la luce della bacchetta, che lo guardava?
   Levò la bacchetta più in alto. Nessuno gli si precipitò addosso, nessun lampo di luce verde esplose da dietro un albero. Perché, allora, l'aveva portato lì?
   Qualcosa brillò alla luce della bacchetta e Harry si voltò di scatto, ma non vide altro che una pozza ghiacciata; la sua superficie nera e incrinata scintillò quando lui alzò ancora la bacchetta per osservarla.
   Si avvicinò cauto e guardò in basso. Il ghiaccio rifletteva la sua ombra distorta e il raggio di luce della bacchetta, ma in fondo, sotto la densa, nebulosa scorza grigia scintillava qualcos'altro. Una grande croce d'argento...
   Il cuore gli balzò in gola: cadde in ginocchio sul bordo della pozza e diresse la bacchetta in modo da illuminare il più possibile il fondo. Un brillio
    rosso cupo... era una spada con l'elsa incrostata di rubini... la spada di Grifondoro giaceva sott'acqua, nella foresta.
   La fissò, senza quasi respirare. Com'era possibile? Com'era finita in una pozza nel bosco, così vicino a dove si erano accampati? Qualche ignota magia aveva attratto Hermione in quel luogo, o la cerva, che lui aveva preso per un Patronus, era una sorta di guardiana del laghetto? O la spada era stata messa lì dopo il loro arrivo, proprio perché c'erano loro? In tal caso, dov'era la persona che aveva voluto consegnarla a Harry? Di nuovo puntò la bacchetta verso gli alberi e i cespugli, in cerca di una figura umana, del brillio di uno sguardo, ma non vide nessuno. Tuttavia, quando tornò a concentrarsi sulla spada che riposava sul fondo della pozza ghiacciata, la sua esaltazione era alimentata anche dalla paura.
   Puntò la bacchetta verso la sagoma argentata e mormorò: «Accio spada».
   Non si mosse. Non si era aspettato che lo facesse. Se fosse stato così facile, la spada sarebbe stata a terra, pronta per essere raccolta, non nelle profondità di un laghetto gelato. Si mise a camminare lungo il cerchio di ghiaccio, pensando alla volta che la spada gli si era consegnata. Si era trovato in un terribile pericolo, allora, e aveva chiesto aiuto.
   «Aiuto» mormorò, ma la spada rimase nel fondo della pozza, indifferente, immobile.
   Che cosa gli aveva detto Silente, pensò Harry riprendendo a camminare, l'altra volta che aveva recuperato la spada? 'Soltanto un vero Grifondoro avrebbe potuto estrarla dal cappello'. E quali erano le qualità che definivano un Grifondoro? Una vocina dentro la sua testa gli rispose: audacia, fegato, cavalleria.
   Harry si fermò ed emise un lungo sospiro; il fumo del suo fiato si disperse in fretta nell'aria gelata. Sapeva che cosa doveva fare. A essere sincero con se stesso, l'aveva saputo fin dal momento in cui aveva visto la spada sotto il ghiaccio.
   Guardò di nuovo gli alberi, ma ormai era convinto che nessuno l'avrebbe attaccato. L'avrebbero potuto fare mentre avanzava solo nella foresta, avevano avuto tutte le occasioni possibili quando stava osservando il laghetto. A questo punto la sola ragione per attardarsi era che la prospettiva era enormemente sgradevole.
   Con dita incerte Harry prese a sfilarsi i vestiti, strato dopo strato. Cosa c'entrasse la cavalleria, si disse mestamente, non lo sapeva proprio, a meno di non considerare cavalleresco non chiedere a Hermione di farlo al suo
    posto.
   Un gufo stridette e lui pensò con una stretta al cuore a Edvige. Tremava, i denti gli battevano orribilmente, eppure continuò a togliersi gli abiti finché non rimase in maglietta e mutande, scalzo nella neve. Posò in cima ai vestiti la saccoccia che conteneva la sua bacchetta, la lettera di sua madre, il frammento di specchio di Sirius e il vecchio Boccino; poi puntò la bacchetta di Hermione contro il ghiaccio.
   «Diffindo».
   Il rumore sembrò quello di una pallottola nel silenzio: la superficie della pozza s'infranse e frammenti di ghiaccio scuro dondolarono sull'acqua increspata. Non sembrava profonda, ma per prendere la spada avrebbe dovuto immergersi completamente.
   Rimuginare sul compito che lo attendeva non l'avrebbe reso più semplice né avrebbe scaldato l'acqua. Si avvicinò al bordo e posò a terra la bacchetta di Hermione ancora accesa. Poi, cercando di non pensare a quanto più freddo avrebbe avuto o ai brividi che l'avrebbero scosso, si tuffò.
   Tutti i pori della sua pelle urlarono la loro protesta: persino l'aria nei polmoni parve congelarsi quando Harry s'immerse fino alle spalle nell'acqua ghiacciata. Respirava a fatica; tremando così violentemente da far traboccare l'acqua oltre i bordi, cercò la lama con i piedi intirizziti. Voleva immergersi una volta sola.
   Rimandò più volte il momento dell'immersione totale, di secondo in secondo, ansimante e tremante, finché non si disse che doveva comunque farlo, chiamò a raccolta il coraggio e andò sotto.
   Il freddo era un'agonia: lo aggrediva come fuoco. Pensò che gli si fosse ghiacciato anche il cervello quando penetrò nell'acqua scura, arrivò sul fondo e allungò la mano, cercando la spada. Le sue dita si chiusero attorno all'elsa; la sollevò.
   Poi qualcosa gli si strinse al collo. Forse erano alghe, anche se nell'immergersi nulla l'aveva sfiorato, e alzò l'altra mano per liberarsi. Non erano alghe: la catena dell'Horcrux si era tesa e gli schiacciava la trachea.
   Harry scalciò con forza, cercando di tornare in superficie, ma riuscì solo a spingersi contro il margine roccioso del laghetto. Divincolandosi, soffocando, tirò la catena che lo strangolava, le dita gelate incapaci di allentarla, adesso piccole luci gli esplodevano dentro la testa, sarebbe affogato, non c'era nulla, nulla che potesse fare, le braccia che si chiudevano attorno al suo petto erano certamente quelle della Morte...
   Tossendo, in preda ai conati, più zuppo e gelato di quanto non fosse mai
    stato in vita sua, rinvenne, a faccia in giù nella neve. Da qualche parte accanto a lui qualcun altro ansimava e tossiva e barcollava. Era arrivata di nuovo Hermione, come quando il serpente l'aveva aggredito... eppure non sembrava lei, i colpi di tosse erano troppo profondi, i passi troppo pesanti...
   Harry non ebbe la forza di alzare la testa e scoprire l'identità del suo salvatore. Riuscì solo a portare una mano tremante alla gola e a tastare il punto in cui il medaglione gli aveva inciso un taglio netto nella carne. Era sparito: qualcuno l'aveva liberato. Poi una voce affannata parlò sopra la sua testa.
   «Ma... sei... scemo?»
   Solo la sorpresa di sentire quella voce riuscì a dargli la forza di alzarsi. Tremando violentemente, si rimise in piedi. Davanti a lui c'era Ron, vestito da capo a piedi ma bagnato fradicio, i capelli incollati al viso, la spada di Grifondoro in una mano e l'Horcrux che penzolava dalla catena spezzata nell'altra.
   «Perché cavolo» ansimò, sollevando l'Horcrux che dondolava avanti e indietro in una parodia d'ipnosi, «non ti sei tolto questa roba prima di tuffarti?»
   Harry non seppe rispondere. La cerva d'argento non era nulla, nulla a confronto del ritorno di Ron; non riusciva a crederci. Tremante, raccolse la pila di vestiti che lo aspettavano sulla riva e cominciò a infilarseli. Passandosi sopra la testa un maglione dopo l'altro fissava Ron, come se si aspettasse di vederlo sparire ogni volta che lo perdeva di vista, eppure doveva essere vero: si era appena tuffato nel laghetto, gli aveva salvato la vita.
   «Sei stato t-tu?» chiese infine Harry battendo i denti, la voce più debole del solito: in fondo era stato quasi strangolato.
   «Be'. Sì» rispose Ron, un po' confuso.
   «Tu ha-hai evocato quella cerva?»
   «Cosa? No, certo che no! Pensavo che fossi stato tu!»
   «Il mio Patronus è un cervo. Maschio».
   «Già. Mi pareva che fosse un po' diversa. Niente corna».
   Harry si riappese al collo la saccoccia di Hagrid, infilò un ultimo golf, si chinò a raccogliere la bacchetta di Hermione e si rialzò davanti a Ron. «Perché sei qui?»
   Evidentemente Ron sperava che la domanda arrivasse più in là, o mai. «Be', io sono... insomma... sono tornato. Se...» Si schiarì la voce. «Insomma. Se mi vuoi ancora».
    Ci fu una pausa, durante la quale la questione della sua partenza si erse fra loro come un muro. Però adesso Ron era lì. Era tornato. Gli aveva appena salvato la vita.
   Ron si guardò le mani. Per un attimo fu sorpreso nel vedere le cose che stringevano.
   «Ah, già, l'ho presa» osservò, piuttosto inutilmente, alzando la spada perché Harry la vedesse bene. «È per questa che ti sei buttato dentro, vero?»
   «Sì» rispose Harry. «Ma non capisco. Come hai fatto ad arrivare qui? Come sei riuscito a trovarci?»
   «È una lunga storia» rispose Ron. «Vi cercavo da ore, è una foresta grande, eh? E stavo pensando che la cosa migliore era farmi un sonnellino sotto un albero e aspettare il mattino, quando ho visto la cerva e te che la seguivi».
   «Non hai visto nessun altro?»
   «No. Io...»
   Ma esitò, scoccando uno sguardo a due alberi a qualche metro di distanza.
   «... credo di aver visto qualcosa muoversi laggiù, ma stavo correndo verso la pozza, perché tu eri andato sotto e non tornavi su, quindi non potevo perdere tempo a... ehi!»
   Harry stava già correndo verso il punto indicato da Ron. Le due querce crescevano vicine; in mezzo ai tronchi, ad altezza d'occhio, c'era uno spazio di pochi centimetri, una posizione ideale per vedere senza essere visti. Il terreno attorno alle radici, tuttavia, era sgombro di neve e Harry non vide impronte. Tornò da Ron, che aveva ancora in mano la spada e l'Horcrux.
   «Trovato qualcosa?» chiese Ron.
   «No» rispose Harry.
   «Allora come c'È entrata la spada nel laghetto?»
   «Chiunque abbia evocato quel Patronus deve avercela messa dentro». Fissarono entrambi l'elaborata spada d'argento; l'elsa coperta di rubini scintillava fioca alla luce della bacchetta di Hermione.
   «Pensi che sia quella vera?»
   «C'È un modo per scoprirlo, no?» replicò Harry.
   L'Horcrux penzolava ancora dalla mano di Ron. Il medaglione si muoveva. Harry sapeva che la cosa all'interno era di nuovo agitata. Aveva avvertito la presenza della spada e aveva cercato di uccidere Harry per evitare che la prendesse. Non era più il momento di lunghi discorsi: bisognava
    distruggere il medaglione una volta per tutte. Harry si guardò intorno, tenendo alta la bacchetta di Hermione, e individuò il posto adatto: una pietra piatta all'ombra di un platano.
   «Vieni». Fece strada a Ron, spazzò via la neve dalla superficie della roccia e tese la mano per prendere l'Horcrux. Ma quando Ron gli offrì la spada scosse il capo.
   «No, devi farlo tu».
   «Io?» esclamò Ron, spaventato. «Perché?»
   «Perché sei tu che hai preso la spada dalla pozza. Credo che debba farlo tu».
   Non era un atto di gentilezza o di generosità. Con la stessa certezza con cui aveva capito che la cerva era amica, sapeva che era Ron a dover usare la spada. Se non altro, Silente gli aveva insegnato qualcosa su certi tipi di magia, sul potere incalcolabile di certi gesti.
   «Io lo apro» continuò Harry «e tu lo colpisci. Subito, d'accordo? Perché qualunque cosa ci sia dentro, lotterà. Il pezzo di Riddle nel diario ha cercato di uccidermi».
   «Come farai ad aprirlo?» domandò Ron. Sembrava terrorizzato.
   «Gli chiederò di aprirsi, in Serpentese» rispose Harry. La soluzione gli salì così spontanea alle labbra che pensò di averla sempre saputa, nel profondo: forse c'era voluto il recente incontro con Nagini per farglielo capire. Guardò la 'S' tempestata di lucenti pietre verdi: era facile immaginarla come un minuscolo serpente curvo sulla pietra fredda.
   «No!» gridò Ron. «No, non aprirlo! Dico sul serio!»
   «Perché no?» chiese Harry. «Liberiamoci di quell'affare, sono mesi...» «Non posso, Harry, davvero... fallo tu...»
   «Ma perché?»
   «Perché quella cosa mi fa male!» sbottò Ron, allontanandosi dal medaglione sulla pietra. «Non posso toccarlo! Harry, non cerco scuse per come mi sono comportato, ma su di me ha più effetto che su di te e Hermione, mi ha messo in testa delle cose, cose che pensavo comunque, ma le ha peggiorate, non riesco a spiegarlo, poi me lo toglievo e ritornavo in me, ma poi dovevo rimettermelo addosso... non posso farlo, Harry!»
   Arretrò, trascinando la spada al suo fianco, e scosse il capo.
   «Sì che puoi» insisté Harry. «Puoi! Hai preso la spada, so che devi essere tu a usarla. Per favore, fallo fuori, Ron».
   Sentir pronunciare il suo nome funzionò come un eccitante. Ron deglutì, poi, inspirando forte dal lungo naso, si avvicinò di nuovo alla pietra.
    «Dimmi quando» gracchiò.
   «Al tre» rispose Harry. Guardò di nuovo il medaglione e strizzò le palpebre, concentrandosi sulla lettera 'S', immaginando un serpente, mentre il contenuto del ciondolo si agitava come uno scarafaggio in trappola. Sarebbe stato facile provar pena per lui, ma il taglio sul collo di Harry bruciava ancora.
   «Uno... due... tre... apriti».
   L'ultima parola suonò come un sibilo e un ringhio e le porticine d'oro del medaglione si spalancarono con un piccolo scatto.
   Dietro le finestrelle di vetro palpitavano due occhi vivi, scuri e belli come lo erano stati quelli di Tom Riddle prima di diventare scarlatti e con le pupille a fessura.
   «Colpisci» ordinò Harry, tenendo fermo il medaglione sulla pietra.
   Ron sollevò la spada con le mani tremanti: la punta rimase sospesa sugli occhi che roteavano frenetici e Harry strinse forte il ciondolo, preparandosi, immaginando già il sangue che sarebbe colato dalle finestrelle vuote.
   Poi una voce si alzò sibilando dall'Horcrux.
   «Ho visto il tuo cuore, ed è mio».
   «Non ascoltarlo!» esclamò Harry, rauco. «Colpisci!»
   «Ho visto i tuoi sogni, Ronald Weasley, e ho visto le tue paure. Tutto ciò che desideri è possibile, ma tutto ciò che temi è altrettanto possibile...» «Colpisci!» urlò Harry; la sua voce echeggiò tra gli alberi, la punta della spada tremò e Ron guardò dentro gli occhi di Riddle.
   «Il meno amato, sempre, dalla madre che voleva tanto una femmina... il meno amato, ora, dalla ragazza che preferisce il tuo amico... l'eterno secondo, sempre eclissato...»
   «Ron, colpiscilo adesso!» tuonò Harry: sentiva il medaglione vibrare nella sua presa e aveva paura di quello che poteva succedere. Ron levò ancora più alta la spada e in quel momento gli occhi di Riddle s'incendiarono di rosso.
   Dalle due finestrelle del ciondolo, dagli occhi, sbocciarono, come due grottesche bolle, le teste di Harry e Hermione, bizzarramente deformate.
   Ron urlò di spavento e indietreggiò mentre le sagome si dilatavano uscendo dal medaglione, prima il petto, poi la vita, poi le gambe, finché non si ersero fianco a fianco come alberi con una sola radice, oscillando sopra Ron e il vero Harry, che aveva mollato il ciondolo, perché era diventato all'improvviso incandescente.
   «Ron!» gridò, ma il Riddle-Harry parlò con la voce di Voldemort e Ron
    lo fissava, ipnotizzato.
   «Perché sei tornato? Stavamo meglio senza di te, eravamo più felici senza di te, lieti della tua assenza... abbiamo riso della tua stupidità, della tua vigliaccheria, della tua presunzione...»
   «Presunzione!» ripeté Riddle-Hermione, che era più bella eppure più terribile di quella vera; oscillò, ridacchiando, davanti a Ron, terrorizzato ma stregato, la spada inutile abbandonata lungo il fianco. «Chi potrebbe guardarti, chi mai vorrebbe guardarti, accanto a Harry Potter? Che cos'hai fatto mai, in confronto al Prescelto? Che cosa sei, paragonato al Ragazzo Che è Sopravvissuto?»
   «Ron, colpisci, COLPISCI!» lo esortò Harry, ma Ron non si mosse: aveva gli occhi dilatati, in cui si riflettevano Riddle-Harry e RiddleHermione, i capelli turbinanti come fiamme, gli occhi rosso acceso, le voci levate in un malvagio duetto.
   «Tua madre ha confessato» continuò beffardo Riddle-Harry, mentre Riddle-Hermione rideva «che avrebbe preferito me come figlio, che sarebbe stata felice di fare cambio...»
   «Chi non preferirebbe lui, quale donna sceglierebbe te? Non sei nulla, nulla, nulla a suo confronto» canticchiò Riddle-Hermione, e si allungò come un serpente per allacciarsi a Riddle-Harry, avvolgendolo in un abbraccio: le loro labbra si incontrarono.
   In basso, davanti a loro, il volto di Ron era pervaso dal dolore: alzò la spada, le braccia tremanti.
   «Fallo, Ron!» urlò Harry.
   Ron guardò verso di lui e a Harry parve di vedere una traccia di scarlatto nei suoi occhi.
   «Ron...?»
   La spada lampeggiò, affondò: Harry balzò di lato; si udirono un clangore metallico e un lungo urlo. Harry si rigirò, scivolando nella neve, la bacchetta pronta, ma non c'era nulla contro cui combattere.
   Le versioni mostruose di lui e Hermione erano svanite: c'era solo Ron, in piedi con la spada in mano, che guardava i resti infranti del medaglione sulla pietra piatta.
   Lentamente, Harry tornò da lui, senza sapere che cosa dire o fare. Ron aveva il respiro affannato. I suoi occhi non erano più rossi, ma dell'azzurro consueto; erano umidi, anche.
   Harry si chinò, fingendo di non averlo notato, e raccolse l'Horcrux spezzato. Ron aveva trafitto il vetro di entrambe le finestrelle: gli occhi di Rid dle erano spariti e la fodera di seta macchiata fumava. La cosa che era vissuta nell'Horcrux era scomparsa; torturare Ron era stato il suo ultimo atto.
   La spada produsse un suono metallico quando Ron la lasciò cadere a terra. Era in ginocchio, la testa fra le braccia. Tremava, ma Harry capì che non era per il freddo. Si ficcò in tasca il medaglione rotto, s'inginocchiò accanto a Ron e gli posò cautamente una mano sulla spalla. Interpretò come un buon segno che l'amico non la allontanasse.
   «Dopo che te ne sei andato» mormorò, grato del fatto che il volto di Ron fosse nascosto, «ha pianto per una settimana. Forse anche di più, ma non voleva farsi vedere. Per molte notti non ci siamo nemmeno rivolti la parola. Senza di te...»
   Non riuscì a finire; solo adesso che Ron era di nuovo lì capiva davvero quanto fosse costata loro la sua assenza.
   «È come una sorella per me» riprese. «Le voglio bene come a una sorella e immagino che per lei sia la stessa cosa. è sempre stato così. Credevo che lo sapessi».
   Ron non rispose, ma distolse il volto e si asciugò rumorosamente il naso nella manica. Harry si rialzò e si avvicinò all'enorme zaino, qualche metro più in là, che Ron aveva gettato via per correre verso la pozza a salvarlo. Se lo caricò in spalla e tornò vicino all'amico, che si mise in piedi a fatica, gli occhi arrossati, ma ormai calmo.
   «Mi dispiace» disse Ron con voce velata. «Mi dispiace di essere andato via. Lo so che sono stato un... un...»
   Si guardò intorno nel buio, come se sperasse che una parola abbastanza brutta gli piombasse addosso e se lo portasse via.
   «Direi che questa notte ti sei fatto perdonare» ribatté Harry. «Hai preso la spada. Hai distrutto l'Horcrux. Mi hai salvato la vita».
   «Detto così, mi fa sembrare molto più figo di quello che sono stato» borbottò Ron.
   «Questo genere di cose sembra sempre più figo di quello che è stato» replicò Harry. «Sono anni che cerco di dirtelo».
   Si mossero simultaneamente l'uno verso l'altro e si abbracciarono. Harry si aggrappò al dorso ancora zuppo della giacca di Ron.
   «E ora» concluse quando si separarono «dobbiamo solo ritrovare la tenda».
   Ma non fu difficile. Anche se l'inseguimento della cerva nella foresta gli era sembrato lungo, con Ron al fianco il ritorno fu sorprendentemente breve. Harry non vedeva l'ora di svegliare Hermione e fremeva d'impazienza
    quando entrò nella tenda; Ron rimase un passo indietro.
   C'era un tepore magnifico, dopo la pozza e la foresta; l'unica luce veniva dalle fiamme color pervinca che scintillavano ancora in una ciotola sul pavimento. Hermione dormiva profondamente, rannicchiata sotto le coperte, e non si mosse finché Harry non ebbe chiamato più volte il suo nome.
   «Hermione!»
   Lei si ridestò e si mise subito a sedere, scostandosi i capelli dal viso. «Cosa c'È che non va? Harry, stai bene?»
   «È tutto a posto, va tutto bene. Più che bene. Sto benissimo. C'È qualcuno».
   «Cosa vuoi dire? Chi...?»
   Vide Ron, in piedi con la spada in mano, che sgocciolava sul tappeto liso. Harry si ritrasse in un angolo buio, fece scivolare a terra lo zaino di Ron e cercò di confondersi con la tela.
   Hermione scese dal letto e avanzò come una sonnambula verso Ron, gli occhi fissi sul suo volto pallido. Si fermò davanti a lui, le labbra socchiuse, gli occhi sgranati. Ron tentò un debole sorriso speranzoso e fece per alzare le braccia.
   Hermione si scagliò in avanti e cominciò a prendere a pugni ogni centimetro di lui che riusciva a raggiungere.
   «Ahia... ahi... smettila! Ma che...? Hermione... AHIA!»
   «Tu... enorme... stronzo... Ronald... Weasley!»
   Sottolineava ogni parola con un colpo: Ron arretrò, riparandosi la testa. «Tu... torni... dopo... settimane... e... settimane... oh, dov'È la mia bacchetta?»
   Sembrava sul punto di strapparla di mano a Harry, che reagì d'istinto. «Protego!»
   Lo scudo invisibile si dilatò tra Ron e Hermione: la sua forza la fece cadere a terra. Sputando via i capelli di bocca, balzò di nuovo in piedi. «Hermione!» tentò Harry. «Calmati...»
   «No che non mi calmo!» urlò lei. Non l'aveva mai vista perdere così il controllo; sembrava pazza.
   «Ridammi la bacchetta! Ridammela!»
   «Hermione, per favore...»
   «Non dirmi cosa devo fare, Harry Potter! Non ci provare! Ridammela subito! E TU!»
   Puntò un dito accusatore contro Ron: sembrava quasi una maledizione, e
   Harry non poté biasimare l'amico che indietreggiò di parecchi passi.
    «Ti sono corsa dietro! Ti ho chiamato! Ti ho supplicato!»
   «Lo so» rispose Ron. «Hermione, mi spiace, davvero...»
   «Ah, ti spiace!»
   Rise, una risata acuta, incontrollata; Ron cercò con gli occhi l'aiuto di
   Harry, che si limitò a fare una smorfia impotente.
   «Torni dopo settimane settimane e credi che dire 'mi spiace' basti a sistemare tutto?»
   «Be', cos'altro posso dire?» urlò Ron. Harry fu lieto che reagisse.
   «Ah, non so!» gridò Hermione, con spaventoso sarcasmo. «Frugati il cervello, Ron, non dovresti metterci più di un paio di secondi...» «Hermione» intervenne Harry, che lo trovava un colpo basso, «mi ha appena salvato la...»
   «Non m'importa!» strillò lei. «Non m'importa cosa ha fatto! Settimane e settimane, e per quello che ne sapeva potevamo essere morti...»
   «Sapevo che non eravate morti!» mugghiò Ron, superando la voce di lei per la prima volta e avvicinandosi quanto gli permetteva il Sortilegio Scudo. «Harry è sempre sul Profeta e alla radio, vi cercano dappertutto, girano voci e storie pazzesche, l'avrei saputo subito se foste morti, voi non avete idea di com'È stato...»
   «Com'È stato per te?»
   La voce di Hermione ormai era così acuta che presto l'avrebbero percepita solo i pipistrelli, ma aveva raggiunto un livello di indignazione che la lasciò per un momento senza parole, e Ron colse al volo l'occasione.
   «Volevo tornare un minuto dopo che mi ero Smaterializzato, ma sono finito dritto in una banda di Ghermidori, Hermione, e non sono riuscito ad andare da nessuna parte!»
   «Una banda di cosa?» chiese Harry, mentre Hermione si abbandonava su una sedia con gambe e braccia incrociate così strette che probabilmente non le avrebbe districate prima di qualche anno.
   «Ghermidori» ripeté Ron. «Sono dappertutto, bande che cercano di far soldi consegnando Nati Babbani e traditori del loro sangue, c'È una ricompensa del Ministero per ogni cattura. Io ero solo e si vede che ho un'età da studente, erano tutti eccitati, pensavano che fossi un Nato Babbano in clandestinità. Ho dovuto inventarmi qualcosa in fretta per non farmi portare al Ministero».
   «Che cosa gli hai detto?»
   «Che ero Stan Picchetto. La prima persona che mi è venuta in mente». «E ti hanno creduto?»
    «Non sembravano sveglissimi. Uno era sicuramente mezzo troll, a giudicare dal puzzo...»
   Ron lanciò uno sguardo a Hermione, nella speranza che la battuta l'avesse ammorbidita, ma la sua faccia rimase di pietra sopra le braccia e gambe annodate.
   «Comunque, si sono messi a discutere se ero Stan o no e hanno cominciato a litigare. Era un po' patetico a essere sincero, ma loro erano cinque e io ero da solo, e mi avevano preso la bacchetta. Poi due si sono azzuffati e mentre gli altri erano distratti sono riuscito a dare un pugno nello stomaco a quello che mi teneva fermo, gli ho strappato la bacchetta, ho Disarmato il tipo che aveva preso la mia e mi sono Smaterializzato. Non mi è venuto benissimo, mi sono Spaccato di nuovo...» Ron alzò la mano destra per mostrare due unghie mancanti; Hermione inarcò freddamente le sopracciglia «... e sono finito a chilometri da dov'eravate voi. Quando sono riuscito a tornare al fiume... ve n'eravate andati».
   «Cielo, che racconto avvincente» commentò Hermione con la voce altezzosa di quando voleva ferire. «Devi essere stato semplicemente terrorizzato. Intanto noi siamo andati a Godric's Hollow e, vediamo, cos'È successo là, Harry? Ah, sì, è arrivato il serpente di Tu-Sai-Chi, ci ha quasi uccisi tutti e due e poi è arrivato Tu-Sai-Chi in persona e ci ha mancati per qualche secondo».
   «Cosa?» esclamò Ron, guardando lei e poi Harry a bocca aperta. Ma Hermione lo ignorò.
   «Pensa, Harry, perdere le unghie! A confronto le nostre sofferenze impallidiscono, vero?»
   «Hermione» mormorò Harry, «Ron mi ha appena salvato la vita».
   Lei non parve averlo sentito.
   «Una cosa vorrei sapere, però» riprese, fissando un punto a una trentina di centimetri sopra la testa di Ron. «Come hai fatto di preciso a trovarci stanotte? è importante. Se lo sappiamo, saremo sicuri di non ricevere altre visite indesiderate».
   Ron la guardò torvo, poi si sfilò un piccolo oggetto d'argento dalla tasca. «Con questo».
   Hermione dovette guardare Ron per capire che cosa le stava mostrando. «Il Deluminatore?» chiese, così sorpresa da dimenticare la sua espressione fredda e rabbiosa.
   «Non serve solo ad accendere e spegnere le luci» spiegò Ron. «Non so come funziona o come mai è successo proprio in quel momento e non pri ma, perché è da quando me ne sono andato che volevo tornare. Ma stavo ascoltando la radio, la mattina di Natale, molto presto, e ho sentito... ho sentito te».
   Guardò Hermione.
   «Mi hai sentito alla radio?» chiese lei, incredula.
   «No, ti ho sentito uscire dalla mia tasca. La tua voce» e mostrò di nuovo il Deluminatore «veniva da qui».
   «E che cos'È che avrei detto?» chiese Hermione, con un tono di voce a metà tra lo scettico e il curioso.
   «Il mio nome. 'Ron'. E hai detto... qualcosa a proposito di una bacchetta...»
   Hermione diventò tutta rossa. Harry ricordava: era stata la prima volta che uno di loro aveva pronunciato a voce alta il nome di Ron da quando se n'era andato; Hermione l'aveva nominato quando parlavano di riparare la bacchetta di Harry.
   «Così l'ho tirato fuori» continuò Ron, guardando il piccolo oggetto, «e non è che fosse diverso dal solito, ma ero sicuro di averti sentito. Allora l'ho fatto scattare. E nella mia stanza si è spenta la luce, ma ne è apparsa un'altra fuori dalla finestra».
   Ron alzò la mano libera e la puntò davanti a sé, gli occhi concentrati su qualcosa che né Harry né Hermione potevano vedere.
   «Era una sfera di luce, pulsava, tipo, ed era azzurrina, come l'alone attorno a una Passaporta, avete presente?»
   «Sì» risposero insieme Harry e Hermione, meccanicamente.
   «Ho capito che mi chiamava» proseguì Ron. «Ho preso la mia roba, mi son messo lo zaino in spalla e sono uscito in giardino.
   «La pallina di luce era lì a mezz'aria, ad aspettarmi, e quando sono uscito è rimbalzata un po' e io l'ho seguita dietro il capanno e poi lei... be', mi è entrata dentro».
   «Scusa?» chiese Harry, certo di non aver sentito bene.
   «Ha come galleggiato verso di me» spiegò Ron, mostrando il movimento con l'indice libero, «qui sul petto, e poi... è entrata. è finita qui» e toccò un punto vicino al cuore, «l'ho sentita, era bollente. E quando ce l'ho avuta dentro ho capito cosa dovevo fare, ho capito che mi avrebbe portato dove dovevo andare. Così mi sono Smaterializzato e sono sbucato su una collina. C'era neve dappertutto...»
   «Eravamo là» confermò Harry. «Ci abbiamo passato due notti, e la seconda mi sembrava di aver sentito qualcuno che si muoveva nel buio e
    chiamava!»
   «Sì, be', probabilmente ero io» disse Ron. «I vostri incantesimi protettivi funzionano, tra parentesi, perché non vi vedevo e non vi sentivo. Ero sicuro che eravate da quelle parti, però, quindi alla fine mi sono ficcato nel sacco a pelo e ho aspettato che uno di voi sbucasse fuori. Pensavo che avreste dovuto farvi vedere quando smontavate la tenda».
   «In realtà no» rispose Hermione. «Ci siamo Smaterializzati sotto il Mantello dell'Invisibilità, per maggiore prudenza. E ce ne siamo andati molto presto, perché, come ha detto Harry, avevamo sentito qualcuno».
   «Be', sono rimasto su quella collina tutto il giorno» continuò Ron. «Speravo sempre che sareste comparsi. Ma quando è venuto buio ho capito che vi avevo mancato, così ho acceso di nuovo il Deluminatore, è uscita la luce azzurra ed è entrata dentro di me, mi sono Smaterializzato e sono arrivato qui, in questi boschi. Non vi ho visti neanche stavolta, perciò potevo solo sperare che uno di voi alla fine saltasse fuori, e Harry l'ha fatto. Be', prima ho visto la cerva, ovviamente».
   «Hai visto cosa?» domandò Hermione brusca.
   Raccontarono l'accaduto e durante la storia della cerva d'argento e della spada nella pozza Hermione spostava lo sguardo torvo dall'uno all'altro, così concentrata che si scordò di tenere braccia e gambe incrociate.
   «Ma doveva essere un Patronus!» esclamò. «Non avete visto chi l'ha evocato? Non avete visto nessuno? E vi ha portati fino alla spada! Non ci posso credere! E poi cos'È successo?»
   Ron spiegò che aveva visto Harry gettarsi nella pozza e aveva aspettato che tornasse su; quando aveva capito che qualcosa non andava, si era tuffato per salvarlo, poi era tornato a prendere la spada. Arrivò fino all'apertura del medaglione, poi esitò e s'inserì Harry.
   «... e Ron l'ha trafitto con la spada».
   «E... ed è andato? Così?» sussurrò lei.
   «Be', ha... ha urlato» rispose Harry, gettando un'occhiata a Ron. «Guarda».
   Le tirò il medaglione in grembo; con cautela lei lo prese e osservò le finestrelle perforate.
   Harry, pensando che ormai fosse abbastanza sicuro, rimosse il Sortilegio
   Scudo con un tocco della bacchetta di Hermione e si rivolse a Ron.
   «Hai detto che sei scappato dai Ghermidori con una bacchetta in più?» «Cosa?» fece Ron, che stava guardando Hermione, che a sua volta osservava il ciondolo. «Oh... oh, sì».
    Aprì una fibbia dello zaino e dalla tasca sfilò una bacchetta corta e scura. «Ecco, mi sono detto che è sempre utile averne una di riserva».
   «Avevi ragione» replicò Harry, e tese la mano. «La mia si è rotta».
   «Stai scherzando?» esclamò Ron, ma in quel momento Hermione si alzò e lui la seguì con lo sguardo, preoccupato.
   Hermione mise l'Horcrux distrutto nella borsetta di perline, poi si arrampicò di nuovo sul suo letto e si distese senza dire una parola.
   Ron passò a Harry la bacchetta nuova.
   «Non potevi sperare che andasse molto meglio di così, credo» mormorò Harry.
   «Sì» rispose Ron. «Poteva finire peggio. Ti ricordi quando mi ha scatenato contro quegli uccelli?»
   «Non è ancora escluso che lo rifaccia» arrivò la voce di Hermione soffocata da sotto le coperte, ma Harry vide Ron accennare un sorrisetto mentre prendeva il pigiama marrone dallo zaino.
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