A molti chilometri di distanza, la nebbia gelida che aveva premuto contro le finestre del Primo Ministro aleggiava sopra un fiume sudicio, tra rive piene di erbacce e di rifiuti. Un’immensa ciminiera, il rudere di una fabbrica in disuso, si innalzava cupa e minacciosa. Non c’erano rumori, a parte il sussurro dell’acqua nera, e nessun segno di vita tranne una volpe macilenta scesa sulla riva per annusare speranzosa alcuni vecchi cartocci di pesce e patatine nell’erba alta.
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Ma in quel momento, con un debolissimo pop,una sottile sagoma incappucciata apparve dal nulla sul greto del fiume. La volpe rimase immobile, lo sguardo diffidente fisso su quello strano nuovo fenomeno. La sagoma parve calcolare la propria posizione per alcuni istanti, poi si avviò a rapidi passi leggeri, col lungo mantello che frusciava sull’erba.
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Un’altra figura incappucciata si materializzò con un secondo pop più sonoro.
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«Aspetta!»
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Il grido rauco spaventò la volpe appiattita tra gli arbusti, che balzò fuori dal suo nascondiglio e risalì la sponda. Ci fu un lampo di luce verde, un uggiolio, e la volpe ricadde a terra, morta.
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La seconda figura rivoltò l’animale col piede.
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«È solo una volpe» disse una decisa voce femminile da sotto il cappuccio. «Credevo che fosse un Auror… Cissy, aspetta!»
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Ma l’altra, che si era fermata e si era voltata a guardare il lampo di luce, si stava già arrampicando su per la sponda dalla quale la volpe era appena caduta.
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«Cissy… Narcissa… ascoltami…»
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La seconda donna raggiunse la prima e la afferrò per un braccio, ma questa si divincolò.
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«Torna indietro, Bella!»
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«Devi ascoltarmi!»
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«Ti ho già ascoltato. Ho deciso. Lasciami stare!»
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La donna chiamata Narcissa arrivò alla sommità dell’argine, dove una fila di vecchie sbarre separava il fiume da una stretta stradina acciottolata. L’altra donna, Bella, la raggiunse all’istante. Rimasero fianco a fianco a guardare le file di fatiscenti case di mattoni oltre la strada, le finestre tetre e cieche nell’oscurità.
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«Abita qui?» chiese Bella sprezzante. «Qui? In questo letamaio Babbano? Saremo le prime della nostra razza a mettere piede…»
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Ma Narcissa non l’ascoltava: era scivolata in un varco tra le sbarre arrugginite e già attraversava la strada di corsa.
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«Cissy, aspetta!»
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Bella seguì Narcissa, col mantello che le fluttuava alle spalle, e la vide sfrecciare in un vicolo per finire in una seconda via quasi identica. Alcuni lampioni erano rotti; le due donne correvano tra macchie di luce e di buio profondo. Bella raggiunse Narcissa prima che girasse un altro angolo, e questa volta riuscì ad afferrarla per il braccio e a farla voltare.
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«Cissy, non devi farlo, non puoi fidarti di lui…»
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«Il Signore Oscuro si fida di lui, no?»
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«Il Signore Oscuro… credo… si sbagli» ansimò Bella, e i suoi occhi brillarono per un istante sotto il cappuccio mentre si guardava intorno per controllare che fossero davvero sole. «In ogni caso, ci è stato detto di non parlare del piano con nessuno. Questo è tradimento del Signore Oscuro…»
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«Lasciami, Bella!» ringhiò Narcissa, e sfoderò la bacchetta da sotto il mantello per puntarla minacciosa contro il viso dell’altra.
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Bella si limitò a ridere. «Cissy, contro tua sorella? Non oseresti…»
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«Non c’è più niente che non oserei!»sibilò Narcissa, con una nota isterica nella voce. Calò la bacchetta come un pugnale; ci fu un altro lampo di luce e Bella lasciò andare il braccio della sorella come se si fosse scottata.
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«Narcissa!»
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Ma l’altra era corsa avanti. Strofinandosi la mano, Bella ricominciò a correre, tenendosi ora a distanza mentre si addentravano nel labirinto deserto di case di mattoni. Infine Narcissa imboccò una strada chiamata Spinner’s End, sulla quale la torreggiante ciminiera sembrava incombere come un gigantesco dito ammonitore. I suoi passi echeggiarono sull’acciottolato davanti a finestre sprangate e rotte, finché giunse all’ultima casa, dove una luce tenue baluginava attraverso le tende di una stanza al piano terra.
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Bussò alla porta prima che Bella, imprecando sottovoce, la raggiungesse. Insieme rimasero in attesa, ansanti, inalando l’odore del fiume sporco portato dalla brezza notturna. Pochi secondi dopo, avvertirono un movimento dietro la porta, che si aprì di uno spiraglio. Lo spicchio di un uomo le guardò, un uomo con lunghi capelli corvini spartiti in due bande attorno al volto olivastro dagli occhi neri.
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Narcissa gettò indietro il cappuccio. Era così pallida che parve brillare nel buio: le lunghe ciocche bionde che le ricadevano sulla schiena le davano l’aspetto di un’annegata.
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«Narcissa!» disse l’uomo, e aprì un po’ di più la porta, così che la luce cadde su di lei e anche su sua sorella. «Che piacevole sorpresa!»
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«Severus» rispose lei in un sussurro teso. «Posso parlarti? È urgente».
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«Ma certo».
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Si fece da parte per lasciarla entrare. La sorella, ancora incappucciata, la seguì senza aspettare un invito.
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«Piton» salutò seccamente passandogli davanti.
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«Bellatrix» replicò lui, e la sua bocca sottile si arricciò in un sorriso vagamente beffardo. Chiuse la porta con uno scatto.
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Erano entrati in un minuscolo salotto, che pareva un’oscura cella imbottita. Le pareti erano foderate di libri, in gran parte rilegati in vecchia pelle nera o marrone; un divano liso, una vecchia poltrona e un tavolo traballante erano riuniti in una pozza di luce tenue gettata da un lampadario a candele appeso al soffitto. Il luogo aveva un’aria trascurata, come se di solito non fosse abitato.
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Piton fece cenno a Narcissa di accomodarsi sul divano. Lei si sfilò il mantello, lo gettò da un lato e sedette, fissandosi le bianche mani tremanti intrecciate in grembo. Bellatrix abbassò il cappuccio più lentamente; bruna quanto sua sorella era bionda, con occhi dalle palpebre grevi e la mascella pronunciata, non distolse lo sguardo da Piton e rimase in piedi alle spalle di Narcissa.
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«Allora, che cosa posso fare per voi?» chiese Piton, sedendosi nella poltrona di fronte a loro.
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«Siamo… siamo soli, vero?» chiese piano Narcissa.
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«Sì, naturalmente. Be’, c’è Codaliscia, ma la feccia non conta, no?»
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Puntò la bacchetta contro la parete di libri alle proprie spalle e con un’esplosione una porta segreta si spalancò, rivelando una stretta scala sulla quale stava un ometto, immobile.
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«Come avrai capito, Codaliscia, abbiamo ospiti» disse Piton pigramente.
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L’ometto strisciò ingobbito giù dagli ultimi scalini ed entrò nella stanza. Aveva piccoli occhi acquosi, il naso a punta e uno sgradevole sorrisetto lezioso. La mano sinistra accarezzava la destra, che sembrava rinchiusa in un lucido guanto d’argento.
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«Narcissa!» esclamò con voce stridula. «E Bellatrix! Che piacere…»
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«Codaliscia ci porterà da bere, se lo desiderate» disse Piton. «E poi tornerà nella sua stanza».
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Codaliscia trasalì come se Piton gli avesse scagliato addosso qualcosa.
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«Non sono il tuo servo!» gemette, evitando lo sguardo di Piton.
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«Davvero? Ero convinto che il Signore Oscuro ti avesse messo qui per assistermi».
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«Per assisterti sì, ma non per portarti da bere e… e pulirti la casa!»
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«Non avevo idea, Codaliscia, che aspirassi a compiti più rischiosi» rispose Piton con voce di seta. «Ma possiamo provvedere: parlerò con il Signore Oscuro…»
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«Posso parlarci da solo, se voglio!»
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«Sicuro che puoi» disse Piton, sogghignando. «Ma nel frattempo portaci da bere. Un po’ di vino elfico andrà bene».
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Codaliscia esitò, pronto a ribattere, ma poi si voltò e si diresse verso una seconda porta segreta. Si udirono dei colpi e un tintinnio di bicchieri. Dopo qualche secondo fu di ritorno con una bottiglia impolverata e tre bicchieri su un vassoio. Li depose sul tavolo traballante e zampettò via, sbattendosi alle spalle la porta coperta di libri.
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Piton riempì tre bicchieri di vino rosso sangue e ne passò due alle ospiti. Narcissa mormorò un grazie, mentre Bellatrix non disse nulla, ma continuò a scrutare Piton torva. La cosa non parve turbarlo; anzi, sembrava piuttosto divertito.
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«Al Signore Oscuro» disse, levò il bicchiere e lo vuotò.
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Le sorelle lo imitarono. Piton riempì di nuovo i bicchieri.
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Narcissa bevve per la seconda volta e disse in fretta: «Severus, mi dispiace di essere arrivata così, ma dovevo vederti. Credo che solo tu possa aiutarmi…»
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Piton alzò una mano per interromperla, poi puntò di nuovo la bacchetta contro la porta nascosta che dava sulle scale. Sì udirono una forte esplosione e uno squittio, seguiti dal rumore di Codaliscia che trotterellava su per le scale.
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«Le mie scuse» disse Piton. «Negli ultimi tempi ha preso l’abitudine di origliare alle porte. Non so che intenzioni abbia… Stavi dicendo, Narcissa?»
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Lei trasse un profondo sospiro fremente e ricominciò.
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«Severus, so che non dovrei essere qui, mi è stato detto di non dire niente a nessuno, ma…»
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«Allora dovresti tenere a freno la lingua!» ringhiò Bellatrix. «Soprattutto con certe persone!»
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«’Certe persone’?» ripeté Piton, sardonico. «E che cosa dovrei dedurne, Bellatrix?»
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«Che non mi fido di te, Piton, lo sai benissimo!»
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Narcissa emise un rumore che avrebbe potuto essere un singhiozzo senza lacrime e si coprì il volto con le mani. Piton posò il bicchiere sul tavolo e si abbandonò di nuovo nella poltrona, le mani sui braccioli, sorridendo all’espressione torva di Bellatrix.
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«Narcissa, credo che dovremmo ascoltare ciò che Bellatrix arde dalla voglia di dire; ci eviterà noiose interruzioni. Su, continua, Bellatrix» la esortò. «Perché non ti fidi di me?»
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«Per un centinaio di ragioni!» rispose lei ad alta voce, avanzando da dietro il divano per sbattere il bicchiere sul tavolo. «Da dove comincio? Dov’eri quando il Signore Oscuro è caduto? Perché non l’hai mai cercato quando è sparito? Che cos’hai fatto in tutti questi anni che hai passato sotto le sottane di Silente? Perché hai impedito che il Signore Oscuro si procurasse la Pietra Filosofale? Perché non sei tornato subito quando è risorto? Dov’eri qualche settimana fa, quando abbiamo combattuto per impossessarci della profezia per il Signore Oscuro? E perché, Piton, Harry Potter è ancora vivo, quando l’hai alla tua mercé da cinque anni?»
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Tacque, il petto che si alzava e abbassava rapido, lo sguardo infuocato. Dietro di lei, Narcissa sedeva immobile, il volto ancora nascosto tra le mani.
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Piton sorrise.
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«Prima che ti risponda… Oh, sì, Bellatrix, risponderò! Potrai riferire le mie parole agli altri che mormorano alle mie spalle e spargono menzogne sulla mia slealtà verso il Signore Oscuro! Prima che ti risponda, dicevo, lascia che faccia io una domanda. Credi davvero che il Signore Oscuro non mi abbia rivolto tutte queste domande una per una? E credi davvero che se non fossi riuscito a dargli delle risposte soddisfacenti sarei qui seduto a parlare con te?»
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Bellatrix esitò. «So che crede in te, ma…»
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«Pensi che si sbagli? O che in qualche modo io l’abbia ingannato? Che mi sia preso gioco del Signore Oscuro, il mago più grande, il Legilimens più abile che il mondo abbia mai conosciuto?»
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Bellatrix non disse nulla, ma per la prima volta parve vagamente a disagio. Piton non insistette. Prese di nuovo il bicchiere, bevve alcuni sorsi e continuò: «Mi chiedi dov’ero quando il Signore Oscuro cadde. Ero dove mi aveva ordinato di stare, alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, perché desiderava che spiassi Albus Silente. Immagino tu sappia che è stato per ordine del Signore Oscuro che ho preso il posto di insegnante».
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Bellatrix annuì in modo quasi impercettibile e poi aprì la bocca, ma Piton la anticipò.
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«Mi chiedi perché non lo cercai quando sparì. Per la stessa ragione per cui Avery, Yaxley, i Carrow, Greyback, Lucius» fece un breve cenno del capo verso Narcissa, «e tanti altri non lo cercarono. Lo credetti finito. Non ne vado fiero, mi sbagliavo, ma è così… Se non avesse perdonato noi che perdemmo la fede in quel momento, gli sarebbero rimasti ben pochi seguaci».
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«Sarei rimasta io!» esclamò Bellatrix con passione. «Io, che ho trascorso molti anni ad Azkaban per lui!»
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«Sì, certo, molto ammirevole» rispose Piton annoiato. «Ovviamente non gli sei stata di grande aiuto in prigione, ma il gesto è stato senz’altro nobile…»
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«Il gesto!» strillò lei; nella sua collera c’era una vena di follia. «Mentre io sopportavo i Dissennatori, tu sei rimasto a Hogwarts, a fare il cocco di Silente!»
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«Non proprio» ribatté Piton tranquillo. «Non ha voluto darmi il posto di insegnante di Difesa contro le Arti Oscure, lo sai. A quanto pare pensava che potesse causarmi una, diciamo, ricaduta… che avrei avuto la tentazione di riprendere le vecchie abitudini».
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«Questo è stato il tuo sacrificio per il Signore Oscuro, non insegnare la tua materia preferita?» lo schernì Bellatrix. «Perché sei rimasto là tutto quel tempo, Piton? A spiare Silente per un padrone che credevi morto?»
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«Non direi» rispose Piton, «anche se il Signore Oscuro è soddisfatto che io non abbia mai abbandonato il mio posto: avevo sedici anni di informazioni su Silente da riferirgli quando è tornato, un dono ben più utile dei tuoi interminabili ricordi di quanto fosse sgradevole Azkaban…»
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«Ma sei rimasto…»
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«Sì, Bellatrix, sono rimasto» disse Piton, tradendo per la prima volta un’ombra di impazienza. «Avevo un lavoro comodo che ho preferito a una visita ad Azkaban. Stavano catturando i Mangiamorte, lo sai. La protezione di Silente mi ha tenuto fuori di prigione, è stata molto opportuna e io l’ho usata. Lo ripeto: il Signore Oscuro non è dispiaciuto che io sia rimasto, quindi non vedo perché debba esserlo tu.
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«Credo che tu voglia sapere anche» continuò a voce un po’ più alta, perché Bellatrix dava segno di volerlo interrompere, «come mai mi sono frapposto tra il Signore Oscuro e la Pietra Filosofale. La risposta è facile. Lui non sapeva se poteva fidarsi di me. Pensava, come te, che da fedele Mangiamorte fossi diventato il tirapiedi di Silente. Era in condizioni pietose, molto debole, e condivideva il corpo di un mago mediocre. Non osò rivelarsi a un alleato del passato, se quell’alleato poteva consegnarlo a Silente o al Ministero. Rimpiango profondamente che non abbia avuto fiducia in me. Sarebbe tornato al potere tre anni prima. Invece io ho visto solo l’avido, inetto Raptor che tentava di rubare la Pietra e, lo ammetto, ho fatto tutto ciò che potevo per ostacolarlo».
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La bocca di Bellatrix si contorse come se avesse trangugiato una medicina cattiva.
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«Ma quando luì è tornato tu non sei venuto, non sei volato da lui subito quando hai sentito il Marchio Nero bruciare…»
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«Esatto. Sono tornato due ore più tardi. Sono tornato per ordine di Silente».
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«Di Silente…?» cominciò Bellatrix, indignata.
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«Rifletti!» esclamò Piton, di nuovo impaziente. «Rifletti! Aspettando due ore, solo due ore, ho fatto in modo di poter restare a Hogwarts come spia! Da allora, lasciando credere a Silente che tornavo dalla parte del Signore Oscuro solo perché mi era stato ordinato, ho potuto passare informazioni su Silente e sull’Ordine della Fenice! Pensaci, Bellatrix: il Marchio Nero si stava rafforzando da mesi, sapevo che lui stava per tornare, tutti i Mangiamorte lo sapevano! Ho avuto un sacco di tempo per pensare a cosa volevo fare, per progettare la mia mossa successiva, per fuggire come Karkaroff, no?
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«L’iniziale disappunto del Signore Oscuro per il mio ritardo è del tutto svanito, te lo assicuro, quando ho spiegato che gli ero rimasto fedele anche se Silente era convinto del contrario. Sì, il Signore Oscuro credeva che io l’avessi abbandonato per sempre, ma si sbagliava».
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«Ma a che cosa sei servito?» domandò Bellatrix, come per canzonarlo. «Quali informazioni utili abbiamo ottenuto da te?»
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«Le mie informazioni sono state consegnate al Signore Oscuro» rispose Piton. «Se lui decide di non parlarne con te…»
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«Lui mi dice tutto!» ribatté Bellatrix, infiammandosi. «Dice che sono la sua più leale, più fedele…»
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«Davvero?»fece Piton, la voce delicatamente modulata a suggerire incredulità. «Lo dice ancora, dopo il fiasco al Ministero?»
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«Non è stata colpa mia!» protestò Bellatrix, arrossendo. «Il Signore Oscuro in passato mi ha fatto l’onore di rivelarmi i suoi più preziosi… Se Lucius non avesse…»
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«Non ti permettere… non ti permettere di dare la colpa a mio marito!» intervenne Narcissa, con voce bassa e mortifera, levando lo sguardo sulla sorella.
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«Non serve a nulla rinfacciarsi le colpe» disse Piton, soave. «Quel che è fatto è fatto».
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«Ma non da te!» sbottò Bellatrix, furente. «No, tu ancora una volta non c’eri mentre noi correvamo rischi, vero, Piton?»
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«Ho avuto ordine di restare indietro» rispose Piton. «Forse sei in disaccordo con il Signore Oscuro, forse credi che Silente non se ne sarebbe accorto se mi fossi unito ai Mangiamorte per combattere l’Ordine della Fenice? E… perdonami… parli di rischi… Hai affrontato sei ragazzini, no?»
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«Poco dopo, come sai benissimo, sono stati raggiunti da metà dell’Ordine!» ringhiò Bellatrix. «E già che parliamo dell’Ordine, sostieni ancora di non poter rivelare dove si trova il suo quartier generale?»
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«Io non sono il Custode Segreto, non posso pronunciare il nome di quel luogo. Sai come funziona l’incantesimo, immagino… Il Signore Oscuro è soddisfatto delle informazioni che gli ho passato sull’Ordine. Come forse hai capito, hanno portato alla recente cattura e uccisione di Emmeline Vance, e di sicuro hanno contribuito a sbarazzarsi di Sirius Black, anche se ti rendo merito di averlo finito».
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Inclinò il capo e le indirizzò un brindisi. L’espressione di Bellatrix non si ammorbidì.
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«Stai evitando la mia ultima domanda, Piton. Harry Potter. Avresti potuto ucciderlo in qualunque momento, negli ultimi cinque anni. Non l’hai fatto. Perché?»
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«Hai discusso l’argomento con il Signore Oscuro?» le chiese Piton.
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«Lui… ultimamente, noi… Lo sto chiedendo a te, Piton!»
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«Se io avessi ucciso Harry Potter, il Signore Oscuro non avrebbe potuto usare il suo sangue per rigenerarsi, rendendosi invincibile…»
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«Non vorrai farmi credere di aver previsto l’uso che avrebbe fatto del ragazzo!» disse lei, beffarda.
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«Per nulla; non avevo idea dei suoi progetti; ho già ammesso che pensavo che il Signore Oscuro fosse morto. Sto solo cercando di spiegare perché il Signore Oscuro non è dispiaciuto che Potter sia sopravvissuto, almeno fino a un anno fa…»
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«Ma perché l’hai tenuto in vita?»
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«Non hai capito? Solo la protezione di Silente mi ha tenuto fuori da Azkaban! Non trovi che assassinare il suo studente preferito l’avrebbe indotto a cambiare idea su di me? Ma c’è dell’altro. Quando Potter arrivò per la prima volta a Hogwarts circolavano ancora molte storie su di lui, voci secondo le quali lui stesso era un grande Mago Oscuro, e per questo era sopravvissuto all’attacco del Signore Oscuro. A dire il vero, molti vecchi seguaci del Signore Oscuro pensarono che Potter potesse essere un vessillo attorno al quale potevamo tutti stringerci ancora. Ero curioso, lo ammetto, e nient’affatto incline a ucciderlo nel momento in cui avesse messo piede nel castello.
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«Naturalmente mi è stato subito chiaro che non possedeva alcun talento straordinario. È riuscito a cavarsela in un certo numero di situazioni difficili grazie alla combinazione di pura fortuna e amici più brillanti di lui. È del tutto mediocre, pur se odioso e pieno di sé come suo padre. Ho fatto il possibile per farlo espellere da Hogwarts, luogo al quale credo che non appartenga affatto, ma ucciderlo, o lasciare che venisse ucciso sotto i miei occhi? Sarei stato uno sciocco a rischiare, con Silente a un passo».
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«E con tutto questo dovremmo credere che Silente non abbia mai sospettato di te?» chiese Bellatrix. «Non ha capito da che parte stai in realtà, si fida ancora incondizionatamente di te?»
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«Ho recitato bene la mia parte»rispose Piton. «E tu trascuri la più grande debolezza di Silente: deve credere il meglio delle persone. Gli ho raccontato una storia di profondissimo rimorso quando sono entrato a far parte del corpo insegnanti, fresco dei miei giorni di Mangiamorte, e lui mi ha accolto a braccia aperte, anche se, come dicevo, mi ha tenuto lontano dalle Arti Oscure per quanto ha potuto. Silente è stato un grandissimo mago… oh, sì, lo è stato» (perché Bellatrix aveva fatto un verso sarcastico), «anche il Signore Oscuro lo ammette. Sono felice di dire, tuttavia, che sta invecchiando. Il duello con il Signore Oscuro sostenuto il mese scorso lo ha scosso. Dopo di allora ha riportato una brutta ferita, perché le sue reazioni sono più lente di un tempo. Ma in tutti questi anni non ha mai smesso di avere fiducia in Severus Piton, ed è qui che sta il mio grande valore per il Signore Oscuro».
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Bellatrix era ancora insoddisfatta, anche se pareva incerta su come attaccare di nuovo.
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Approfittando del suo silenzio, Piton si rivolse alla sorella. «Allora… sei venuta a chiedermi aiuto, Narcissa?»
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Narcissa alzò lo sguardo su di lui: il volto tradiva tutta la sua disperazione.
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«Sì, Severus. Io… io credo che tu sia il solo a potermi aiutare, non ho altri a cui rivolgermi. Lucius è in prigione e…»
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Chiuse gli occhi e due grosse lacrime le spuntarono dalle palpebre.
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«Il Signore Oscuro mi ha proibito di parlarne» riprese, con gli occhi ancora chiusi. «Non vuole che nessuno sappia del piano. È… molto segreto. Ma…»
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«Se l’ha proibito, non ne devi parlare» la interruppe subito Piton. «La parola del Signore Oscuro è legge».
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Narcissa rimase senza fiato, come se lui l’avesse innaffiata di acqua fredda. Bellatrix parve soddisfatta per la prima volta da che era entrata.
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«Ecco!» esclamò trionfante. «Lo dice anche Piton: ti è stato detto di non parlare, quindi stai zitta!»
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Ma Piton si era alzato per avvicinarsi alla finestrella; spiò la strada deserta tra le tende, poi le richiuse di scatto. Si voltò a guardare Narcissa, accigliato.
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«Caso vuole che io sia informato del piano» mormorò. «Sono uno dei pochi a cui il Signore Oscuro l’ha confidato. Tuttavia, se non fossi stato messo a parte del segreto, Narcissa, saresti colpevole di alto tradimento nei confronti del Signore Oscuro».
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«Ero convinta che tu lo sapessi!» rispose Narcissa, respirando più liberamente. «Si fida tanto di te, Severus…»
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«Conosci il piano?» intervenne Bellatrix, la fugace espressione soddisfatta sostituita da una offesa. «Tu lo conosci?»
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«Certo» confermò Piton. «Ma che aiuto mi chiedi, Narcissa? Se immagini che io possa convincere il Signore Oscuro a cambiare idea, temo che non ci sia speranza, nessuna speranza».
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«Severus» sussurrò Narcissa mentre le lacrime le scorrevano sulle guance pallide. «Mio figlio… il mio unico figlio…»
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«Draco dovrebbe esserne fiero» disse Bellatrix, indifferente. «Il Signore Oscuro gli concede un grande onore. E devo dire questo di Draco: non si sottrae al suo dovere, sembra lieto di avere l’opportunità di mettersi alla prova, esaltato dalla prospettiva…»
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Narcissa prese a piangere forte, senza levare da Piton lo sguardo supplichevole.
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«È perché ha sedici anni e non ha idea di quello che lo aspetta! Perché, Severus? Perché mio figlio? È troppo pericoloso! È una vendetta per l’errore di Lucius, lo so!»
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Piton non rispose. Distolse lo sguardo dalle sue lacrime, come se fossero indecenti, ma non poté fingere di non sentirla.
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«È per questo che ha scelto Draco, vero?» insistette Narcissa. «Per punire Lucius?»
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«Se Draco ce la farà» rispose Piton, sempre senza guardarla, «verrà onorato sopra ogni altro».
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«Ma non ce la farà!» singhiozzò Narcissa. «Come potrà, quando nemmeno il Signore Oscuro…»
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Bellatrix rimase senza fiato; Narcissa parve perdere il controllo.
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«Volevo solo dire… che nessuno è ancora riuscito… Severus… per favore… tu sei l’insegnante preferito di Draco, lo sei sempre stato… sei un vecchio amico di Lucius… ti supplico… sei il prediletto del Signore Oscuro, il suo consigliere più fidato… vuoi parlargli, convincerlo…?»
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«Il Signore Oscuro non si lascerà convincere, e io non sono così stupido da provarci» replicò Piton senza enfasi. «Non posso fingere che il Signore Oscuro non sia adirato con Lucius. Lucius aveva la responsabilità dell’operazione. Si è fatto catturare, insieme a non so quanti altri, e non è nemmeno riuscito a recuperare la profezia. Sì, il Signore Oscuro è adirato, Narcissa, molto adirato».
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«Allora ho ragione, ha scelto Draco per vendicarsi!» esclamò Narcissa con voce strozzata. «Non vuole che ci riesca, vuole che rimanga ucciso nel tentativo!»
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Poiché Piton di nuovo non rispose, Narcissa parve smarrire il poco autocontrollo che le rimaneva. Si alzò, avanzò barcollando verso Piton e lo afferrò per la veste. Il volto vicino al suo, le lacrime che colavano sul petto di lui, ansimò: «Potresti farlo tu. Potresti farlo tu al posto di Draco, Severus. Tu ce la faresti, è naturale, e saresti ricompensato molto più di tutti noi…»
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Piton la prese per i polsi e si liberò dalla sua stretta. Guardandole il volto striato di lacrime, disse lentamente: «Credo che voglia che lo faccia io, alla fine. Ma ha deciso che Draco provi per primo. Vedi, nell’improbabile eventualità che Draco riesca, io potrei restare a Hogwarts ancora qualche tempo, a ricoprire il mio utile ruolo di spia».
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«Insomma, non gli importa se Draco viene ucciso!»
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«Il Signore Oscuro è molto adirato»ripeté Piton piano. «Non ha potuto ascoltare la profezia. Sai quanto me, Narcissa, che non è facile al perdono».
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Narcissa si afflosciò ai suoi piedi, gemendo e singhiozzando sul pavimento.
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«Il mio unico figlio… il mio unico figlio…»
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«Dovresti essere fiera!» intervenne Bellatrix, spietata. «Se avessi dei figli, sarei lieta di offrirli al Signore Oscuro!»
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Narcissa emise un breve strillo disperato e si afferrò i lunghi capelli biondi. Piton si chinò, la prese per le braccia, la fece alzare e la guidò verso il divano. Poi le versò altro vino e le mise a forza il bicchiere in mano.
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«Narcissa, adesso basta. Bevi questo. Ascoltami».
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La donna si calmò un po’; con mani tremanti bevve un sorso di vino, rovesciandoselo addosso.
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«Forse posso… aiutare Draco».
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Narcissa si drizzò, il volto di un biancore terreo, gli occhi enormi.
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«Severus… oh, Severus… lo aiuterai? Lo proteggerai, lo difenderai?»
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«Posso provare».
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Narcissa scagliò via il bicchiere, che scivolò sul tavolo mentre lei dal divano si buttava ai piedi di Piton, gli prendeva la mano tra le sue e vi posava le labbra.
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«Se tu lo proteggerai… Severus, me lo giuri? Stringerai il Voto Infrangibile?»
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«Il Voto Infrangibile?» L’espressione di Piton era vuota, indecifrabile.
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Bellatrix emise una risatina chioccia e trionfante. «Lo senti, Narcissa? Oh, ci proverà, certo… le sue solite parole inutili, il suo solito modo di strisciar via dal cuore dell’azione… oh, per ordine del Signore Oscuro, naturalmente!»
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Piton non guardò Bellatrix. I suoi occhi neri erano fissi in quelli azzurri e lacrimanti di Narcissa, che continuava a stringergli la mano.
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«Certo, Narcissa, stringerò il Voto Infrangibile» disse piano. «Forse tua sorella acconsentirà a essere il nostro Suggello».
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Bellatrix rimase a bocca aperta. Piton si abbassò e si inginocchiò di fronte a Narcissa. Sotto lo sguardo stupefatto di Bellatrix, si strinsero la mano destra.
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«Ti servirà la bacchetta, Bellatrix» sibilò Piton, gelido.
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Lei la sfoderò, ancora esterrefatta.
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«E dovrai avvicinarti» aggiunse Piton.
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Bellatrix si fece avanti in modo da sovrastarli e posò la punta della bacchetta sulle loro mani intrecciate.
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Narcissa parlò.
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«Severus, vuoi tu vegliare su mio figlio Draco nel suo tentativo di adempiere ai voleri del Signore Oscuro?»
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«Lo voglio» rispose Piton.
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Una lingua sottile di fiamma brillante scivolò dalla bacchetta e si avvolse attorno alle loro mani come un filo incandescente.
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«E vuoi tu, al massimo delle tue capacità, proteggerlo da ogni pericolo?»
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«Lo voglio» disse Piton.
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Una seconda lingua di fiamma scaturì dalla bacchetta e si intrecciò alla prima, formando una sottile catena ardente.
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«E se dovesse rendersi necessario… se Draco dovesse fallire…» sussurrò Narcissa (la mano di Piton si mosse nella sua, ma lui non la ritrasse), «vuoi tu portare a compimento l’impresa che il Signore Oscuro ha ordinato a Draco di eseguire?»
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Ci fu un attimo di silenzio. Bellatrix li guardava, la bacchetta sopra le loro mani intrecciate, gli occhi spalancati.
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«Lo voglio» disse Piton.
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Il volto stupefatto di Bellatrix si accese di rosso nel bagliore di una terza lingua di fiamma, che esplose dalla bacchetta, si aggiunse alle altre e si strinse attorno alle mani intrecciate, come una fune, come un feroce serpente.
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