Domenica mattina Hermione arrancò verso la capanna di Hagrid sfidando mezzo metro di neve. Harry e Ron volevano andare con lei, ma la loro montagna di compiti aveva di nuovo raggiunto un’altezza allarmante, perciò rimasero di malavoglia nella sala comune, cercando di ignorare gli strilli di gioia che venivano da fuori, dove gli studenti si divertivano a pattinare sul lago ghiacciato, ad andare in slitta e, cosa peggiore di tutte, a stregare le palle di neve perché sfrecciassero su fino alla Torre di Grifondoro e colpissero forte le finestre.
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«Ehi!» urlò Ron, perdendo infine la pazienza e mettendo la testa fuori. «Sono un prefetto, e se un’altra palla di neve arriva su questa finestra… AHIA!»
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Si ritrasse all’istante, la faccia piena di neve.
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«Sono Fred e George» disse amaro, sbattendosi la finestra alle spalle. «Deficienti…»
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Hermione tornò poco prima di pranzo, tremante, gli abiti zuppi fino alle ginocchia.
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«Allora?» chiese Ron, quando lei entrò. «Gli hai preparato tutte le lezioni?»
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«Ci ho provato» rispose lei in tono piatto, lasciandosi cadere su una sedia accanto a Harry. Estrasse la bacchetta e le impresse un piccolo movimento complicato così che dalla punta uscisse aria calda; poi la diresse sui propri vestiti, che presero a emanare vapore mentre si asciugavano. «Non c’era nemmeno, quando sono arrivata, ho bussato per almeno mezz’ora. E poi è tornato dalla foresta…»
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Harry emise un gemito. La foresta proibita pullulava del genere di creature che avevano le più alte probabilità di far licenziare Hagrid. «Che cosa nasconde lì dentro? L’ha detto?» chiese.
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«No» rispose Hermione sconsolata. «Dice che vuole che siano una sorpresa. Ho cercato di spiegargli chi è la Umbridge, ma proprio non ci arriva. Continuava a dire che nessuna persona sana di mente studierebbe gli Knarl invece delle Chimere… oh, non credo che abbia una Chimera» aggiunse vedendo le facce atterrite di Harry e Ron, «non perché non ci abbia provato, mi ha raccontato quanto è difficile reperire le uova. Non so più quante volte gli ho ripetuto che farebbe meglio a seguire il programma della Caporal, ma onestamente non credo che ne abbia sentito nemmeno la metà. È di un umore un po’ strano. Ancora non vuole dire dove si è fatto male in quel modo».
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Il ritorno di Hagrid al tavolo degli insegnanti, il giorno dopo a colazione, non fu salutato con entusiasmo da tutti gli studenti. Alcuni, come Fred, George e Lee, emisero ululati di gioia e si precipitarono fra i tavoli di Grifondoro e Tassorosso per andare a stringergli la mano enorme; altri, come Calì e Lavanda, si scambiarono occhiate cupe scuotendo la testa. Harry sapeva che molti di loro preferivano le lezioni della Caporal, e la cosa peggiore era che una piccolissima, obiettiva parte di lui era d’accordo: per lezione interessante la Caporal non intendeva un’ora in cui la gente rischiava di vedersi staccare la testa.
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Fu con una certa apprensione che Harry, Ron e Hermione, pesantemente infagottati contro il freddo, il martedì si avviarono verso la lezione di Hagrid. Harry era preoccupato, non solo per ciò che Hagrid poteva decidere di insegnare, ma anche per come il resto della classe, in particolare Malfoy e i suoi amici, si sarebbe comportato se la Umbridge fosse stata presente.
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Invece non videro l’Inquisitore Supremo da nessuna parte mentre marciavano a fatica nella neve. Hagrid li aspettava sul limitare della foresta. Non aveva un aspetto rassicurante: i lividi che sabato notte erano stati violacei ora si erano tinti di un giallo verdastro e alcuni dei tagli sembravano sanguinare ancora. Harry non capiva: forse era stato attaccato da qualche creatura dotata di un veleno che impediva alle ferite di guarire? Tanto per completare l’infausto quadretto, Hagrid portava in spalla qualcosa che assomigliava a mezza mucca morta.
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«Oggi lavoriamo qui!» annunciò allegramente agli studenti che si avvicinavano, accennando con la testa agli alberi scuri alle sue spalle. «È un po’ più riparato! E comunque, loro preferiscono il buio»,
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«Che cosa preferisce il buio?» chiese Malfoy a Tiger e Goyle, con una punta di panico nella voce. «Che cosa ha detto che preferisce il buio? Avete sentito?»
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Harry ripensò all’unica altra occasione in cui Malfoy era entrato nella foresta: nemmeno allora era stato molto coraggioso. Sorrise fra sé; dopo la partita di Quidditch, tutto ciò che dava fastidio a Malfoy a lui andava benissimo.
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«Pronti?» Hagrid guardò felice gli allievi. «Allora, ho pensato per voi del quinto anno a una gita nella foresta, per vedere queste creature nel loro ambiente naturale. Ora, quello che studiamo oggi è una cosa rara, mi sa che sono l’unico in Inghilterra che li ha addomesticati».
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«Ed è sicuro che siano addomesticati?» domandò Malfoy, il panico ancora più marcato. «Non sarebbe la prima volta che porta bestie selvagge a lezione, no?»
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Ci fu un mormorio di assenso tra i Serpeverde e anche alcuni Grifondoro parvero pensare che Malfoy non avesse tutti i torti.
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«Certo che sono addomesticati» disse Hagrid, lanciandogli un’occhiataccia e sistemandosi meglio la mucca morta sulla spalla.
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«E allora che cosa è successo alla sua faccia?» chiese Malfoy.
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«Fatti gli affari tuoi!» rispose Hagrid con rabbia. «Ora, se avete finito le domande stupide, venite con me!»
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Si voltò ed entrò dritto nella foresta. Nessuno pareva avere molta voglia di seguirlo. Harry guardò Ron e Hermione, che annuirono con un sospiro, e tutti e tre si avviarono dietro Hagrid, guidando il resto della classe.
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Camminarono per una decina di minuti, fino a un punto in cui gli alberi erano così fitti che era buio come al crepuscolo e non c’era neve per terra. Con un grugnito, Hagrid depose a terra la sua mezza mucca, fece un passo indietro e si voltò verso gli allievi, la maggior parte dei quali avanzavano furtivi tra gli alberi, guardandosi nervosamente intorno come se si aspettassero un agguato da un momento all’altro.
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«Venite, venite avanti» li incoraggiò Hagrid. «L’odore della carne li attirerà, ma a ogni modo gli do una voce, perché a loro ci piace sapere che sono io».
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Si voltò, scosse la testa irsuta per levarsi i capelli dagli occhi ed emise uno strano grido stridulo, che echeggiò tra gli alberi scuri come il richiamo di un uccello mostruoso. Nessuno rise: erano quasi tutti troppo spaventati.
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Hagrid ripeté il suo grido acuto. Passò un minuto, durante il quale tutta la classe continuò a guardare nervosamente intorno a sé e tra gli alberi per riuscire a scorgere che cosa stava per arrivare. E poi, quando Hagrid scosse il capo per la terza volta e gonfiò il petto enorme, Harry sferrò una gomitata a Ron e indicò lo spazio vuoto tra due tassi nodosi.
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Un paio d’occhi fissi, bianchi e lucenti si aprirono nel buio e un momento dopo il muso e il collo da drago, e poi il corpo scheletrico di un grande cavallo alato nero emersero dall’oscurità. Studiò i ragazzi per qualche istante, agitando la lunga coda, poi chinò la testa e cominciò a strappare la carne della mucca morta con le zanne appuntite.
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Un enorme senso di sollievo pervase Harry. Finalmente aveva la prova di non aver immaginato quelle creature; erano vere, anche Hagrid le conosceva. Si voltò impaziente verso Ron, che però si stava ancora guardando intorno tra gli alberi e dopo qualche attimo chiese: «Perché Hagrid non li chiama di nuovo?»
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Quasi tutti gli allievi mostravano facce confuse e nervose come quella di Ron e guardavano dappertutto tranne che verso il cavallo a pochi metri da loro. C’erano solo altre due persone che parevano vederlo: un ragazzo magro di Serpeverde che, alle spalle di Tiger, osservava mangiare il cavallo con un’espressione di profondo disgusto; e Neville, i cui occhi seguivano il moto frusciante della lunga coda nera.
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«Oh, eccone un altro!» disse fiero Hagrid quando un secondo cavallo nero emerse tra gli alberi scuri, ripiegò le ali di cuoio e chinò il capo sulla carne. «Bene… alzi la mano chi riesce a vederli!»
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Harry alzò la mano con immenso piacere; finalmente avrebbe capito il mistero di quelle bestie. Hagrid fece un cenno di assenso.
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«Eh, sì… lo sapevo che tu li vedevi, Harry» disse serio. «E anche tu, Neville? E…»
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«Chiedo scusa» intervenne Malfoy beffardo, «ma cos’è esattamente che dovremmo vedere?»
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Per risposta, Hagrid indicò la carcassa di mucca a terra. Tutta la classe la fissò per qualche secondo, poi molti trattennero il respiro e Calì strillò. Harry capiva il motivo: doveva essere davvero strano vedere brani di carne strapparsi da soli dalle ossa e svanire nell’aria.
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«Che cos’è?» chiese Calì terrorizzata, nascondendosi dietro l’albero più vicino. «Cos’è che la sta mangiando?»
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«Un Thestral» rispose con orgoglio Hagrid, e alle sue spalle Hermione emise un leggero «Oh» di comprensione. «A Hogwarts ce n’abbiamo una mandria intera. Chi di voi sa…?»
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«Ma portano davvero tanta, tanta sfortuna!» lo interruppe Calì, allarmata. «Attirano orribili sventure sulle persone che li vedono. La professoressa Cooman una volta mi ha detto…»
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«No, no, no» disse Hagrid, ridacchiando, «è solo superstizione, non portano nessuna iella, hanno un gran cervello e sono utili! Certo, questi non fanno granché, più che altro tirano le carrozze della scuola, a meno che Silente non deve fare un viaggio lungo e non ci ha voglia di Materializzarsi… eccone altri due…»
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Altri due cavalli uscirono silenziosi dal bosco; uno passò molto vicino a Calì, che rabbrividì e si strinse contro l’albero, dicendo: «Mi pare di aver sentito qualcosa, dev’essere vicino a me!»
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«Non ti preoccupare, non ti fa niente» disse paziente Hagrid. «Adesso, chi mi sa dire perché certi li vedono e certi no?»
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Hermione alzò la mano.
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«Dài, dillo» la invitò Hagrid raggiante.
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«Possono vedere i Thestral» rispose Hermione, «solo le persone che hanno visto la morte».
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«Esattissimamente» commentò Hagrid in tono solenne, «dieci punti a Grifondoro. Allora, i Thestral…»
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«Hem, hem».
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La professoressa Umbridge era arrivata. Era a pochi passi da Harry, con il mantello e il cappello verde, la tavoletta pronta. Hagrid, che non aveva mai sentito prima la sua falsa tossetta, guardò con una certa apprensione il Thestral più vicino, pensando che il suono venisse da lì.
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«Hem, hem».
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«Oh, salve!» la salutò Hagrid con un sorriso, una volta individuata la fonte del rumore.
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«Ha ricevuto il biglietto che ho inviato alla sua… dimora questa mattina?» La Umbridge, come durante il loro primo incontro, parlò ad alta voce e con lentezza, come se si rivolgesse a uno straniero un po’ tonto. «Che le diceva che avrei fatto un’ispezione oggi?»
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«Oh, sì» rispose cordiale Hagrid. «Son contento che ha trovato il posto! Be’, come vede… boh, non lo so… li vede? Oggi facciamo i Thestral…»
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«Come, scusi?» disse forte la professoressa Umbridge, portandosi la mano all’orecchio. «Che cosa ha detto?»
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«Ehm… Thestral!» urlò Hagrid. «Cavalli grossi… ehm… con le ali!»
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Sbatté le braccia enormi con aria speranzosa. La Umbridge inarcò le sopracciglia e mormorò, scrivendo sulla sua tavoletta: «Deve… fare… ricorso… a… gesti… elementari».
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«Sì… insomma…» riprese Hagrid, rivolgendosi di nuovo alla classe con aria un po’ confusa, «ehm… che cosa stavo dicendo…?»
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«Sembra… dotato… di scarsa… memoria… a breve… termine» mormorò la Umbridge, abbastanza forte perché tutti la sentissero. Draco Malfoy era felice come se Natale fosse arrivato con un mese d’anticipo; Hermione, al contrario, era livida di rabbia.
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«Sì, ecco» disse Hagrid a disagio, lanciando un’occhiata alla tavoletta della Umbridge, ma proseguendo stoicamente. «Sì, vi stavo dicendo come mai abbiamo una mandria. Ecco, abbiamo cominciato con un maschio e cinque femmine. Questo qua» e diede un colpetto al primo cavallo apparso, «si chiama Tenebrus, è il mio preferito ed è il primo che è nato qui nella foresta…»
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«È al corrente» lo interruppe la Umbridge a voce molto alta, «del fatto che il Ministero della Magia ha classificato i Thestral come “pericolosi”?»
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Harry sentì il cuore sprofondargli fin sotto le scarpe, ma Hagrid si limitò a ridacchiare.
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«I Thestral non sono pericolosi! Sì, possono anche mordere, se gli dai proprio fastidio…»
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«Manifesta… piacere… all’idea… della… violenza» mormorò la Umbridge, scribacchiando ancora sulla tavoletta.
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«No… no, via!» esclamò Hagrid, un po’ preoccupato. «Insomma, un cane morde se lo provochi, no? Ma i Thestral hanno una brutta fama solo per quella storia della morte… la gente credeva che erano cattivi segni, ma è che non capivano, no?»
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La Umbridge non rispose; finì di scrivere l’ultimo appunto, poi guardò di nuovo Hagrid e disse, sempre a voce molto alta e scandendo le parole: «Prego, continui pure la lezione come al solito. Io camminerò» e mimò con le dita l’atto di camminare (Malfoy e Pansy Parkinson furono presi da silenziosi accessi di risate), «tra gli studenti» (e indicò diversi membri della classe), «a fare domande». Si indicò le labbra.
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Hagrid la fissò, chiaramente ignaro della ragione per cui lei si comportava come se lui non capisse un linguaggio normale. Gli occhi di Hermione erano gonfi di lacrime di rabbia.
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«Vecchia megera, arpia maligna!» sussurrò, quando la Umbridge si avvicinò a Pansy Parkinson. «Lo so che cosa stai facendo, brutta perversa subdola…»
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«Ehm… allora» disse Hagrid, sforzandosi di riprendere il filo della lezione, «…i Thestral. Ci sono un sacco di cose buone da dire su di loro…»
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«Lei riesce sempre» chiese la professoressa Umbridge a Pansy Parkinson, con voce squillante, «a capire il professor Hagrid quando parla?»
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Proprio come Hermione, anche Pansy aveva le lacrime agli occhi, ma dal ridere; anzi, il tentativo di controllarsi rese la sua risposta poco comprensibile.
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«No… perché… ecco… quasi sempre… sembra… un grugnito…»
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La Umbridge prese appunti. Le poche zone senza lividi della faccia di Hagrid avvamparono, ma lui fece finta di non aver sentito la risposta di Pansy.
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«Ehm… sì… le cose buone dei Thestral. Ecco, una volta che li hai domati, come questi, non ti perdi mai più. Hanno un senso dell’orientamento mostruoso, devi solo dirgli dov’è che vuoi andare…»
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«Sempre che loro riescano a capire te» disse forte Malfoy, e Pansy Parkinson fu sopraffatta da una nuova crisi di risatine. La Umbridge li guardò con un sorriso indulgente e si rivolse a Neville.
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«Lei vede i Thestral, vero, Paciock?» domandò.
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Neville annuì.
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«Chi ha visto morire?» chiese, con indifferenza.
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«Mio… mio nonno» disse Neville.
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«E che cosa pensa di loro?» chiese la Umbridge, indicando con la mano tozza i cavalli, che avevano già quasi spolpato la carcassa.
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«Ehm…» rispose nervosamente Neville, guardando Hagrid. «Ecco, direi che… non sono male…»
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«Gli allievi… sono… troppo… intimiditi… per… ammettere… di… avere… paura…» mormorò la Umbridge, prendendo un altro appunto.
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«No!» esclamò Neville, indignato. «No, non mi fanno paura!»
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«Va tutto bene» disse la Umbridge, dando un colpetto sulla spalla di Neville con quello che doveva essere un sorriso di comprensione, ma che a Harry sembrò più un’espressione maligna. «Bene, Hagrid» riprese, parlando di nuovo lentamente e forte, «credo di avere abbastanza elementi con cui lavorare. Riceverà» (fece il gesto di prendere qualcosa a mezz’aria), «i risultati dell’ispezione» (indicò la tavoletta), «tra dieci giorni». Sollevò dieci dita corte e poi, con un ampio sorriso, più che mai simile a un rospo sotto il cappello verde, si allontanò dal gruppo, lasciando Malfoy e Pansy Parkinson in preda a risate irrefrenabili, Hermione tremante dalla rabbia e Neville confuso e turbato.
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«Quella specie di gargoyle ripugnante, ignobile e bugiarda!» esplose Hermione mezz’ora più tardi, mentre tornavano al castello lungo i solchi tracciati prima nella neve. «Visto che cosa vuole fare? Odia gli ibridi, e cerca di far passare Hagrid per una specie di troll ritardato solo perché sua madre era una gigantessa… oh, non è giusto, non è stata affatto una brutta lezione… voglio dire, capirei se fossero stati Schiopodi Sparacoda, ma i Thestral vanno bene… in effetti, per gli standard di Hagrid sono dolcissimi!»
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«La Umbridge dice che sono pericolosi» obiettò Ron.
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«Invece è come dice Hagrid, sanno difendersi» ribatté impaziente Hermione, «e immagino che un’insegnante come la Caporal non li farebbe studiare prima del livello M.A.G.O., ma insomma, sono davvero interessanti, no? E quella cosa che alcuni possono vederli e altri no! Vorrei poterli vedere anch’io».
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«Davvero?» mormorò Harry.
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Hermione parve sconvolta.
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«Oh, Harry… scusami… no, certo che non voglio… ho detto una cosa stupida».
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«Non fa niente» tagliò corto lui, «non ti preoccupare».
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«Mi ha sorpreso che tanta gente potesse vederli» disse Ron, «Tre in una classe…»
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«Sì, Weasley, ci stavamo proprio chiedendo…» disse una voce venata di perfidia. Senza che nessuno di loro avesse sentito i passi attutiti dalla neve, Malfoy, Tiger e Goyle erano arrivati alle loro spalle. «Credi che se avessi visto qualcuno tirare le cuoia vedresti meglio la Pluffa?»
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Tutti e tre scoppiarono a ridere mentre li superavano, poi attaccarono il ritornello di Perché Weasley è il nostro re. Le orecchie di Ron s’infuocarono.
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«Ignorali, ignorali e basta» disse Hermione, ed estrasse la bacchetta per ripetere l’incantesimo dell’aria calda, in modo da aprire nella neve intatta un varco che li portasse fino alle serre.
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Arrivò dicembre e portò con sé altra neve e un’autentica valanga di compiti per gli allievi del quinto anno. I doveri di prefetto di Ron e Hermione divennero ancora più gravosi via via che Natale si avvicinava. Furono incaricati di sovrintendere alla decorazione del castello («Provaci tu ad appendere un festone quando all’altro capo c’è Pix che tenta di strozzarti» disse Ron), di sorvegliare gli allievi del primo e del secondo anno che dovevano trascorrere gli intervalli all’interno per via del freddo pungente («E fanno anche gli arroganti, quei mocciosi, noi non eravamo così maleducati al primo anno» osservò Ron) e di pattugliare i corridoi a turno con Argus Gazza, che sospettava che lo spirito vacanziero potesse esprimersi in improvvisi duelli di magia («Ha il letame al posto del cervello, quello lì» commentò Ron furioso). Erano così impegnati che Hermione aveva perfino smesso di sferruzzare berretti da elfo e si rammaricava perché gliene mancavano solo tre.
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«Tutti quei poveri elfi domestici che non ho ancora liberato, costretti a restare qui per Natale perché non ci sono abbastanza berretti!»
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Harry, che non aveva avuto il cuore di dirle che era Dobby a portar via tutti i suoi lavori a maglia, si concentrò ancora di più sul tema di Storia della Magia. In ogni caso, non aveva voglia di pensare al Natale. Per la prima volta nella sua carriera scolastica desiderava ardentemente passarlo lontano da Hogwarts. Tra la squalifica dal Quidditch e il rischio che Hagrid fosse messo in verifica, provava un profondo risentimento nei confronti della scuola. L’unica cosa che aspettava con ansia erano le riunioni dell’ES, e quelle sarebbero state interrotte per le vacanze, visto che quasi tutti i componenti avrebbero passato il Natale con le famiglie. Hermione sarebbe andata a sciare con i suoi genitori, idea che divertì moltissimo Ron, che non aveva mai sentito di Babbani che si legavano assi di legno ai piedi per scivolare giù dalle montagne. Lui tornava alla Tana. Harry lo invidiò per molti giorni prima che Ron dicesse, rispondendo alla sua domanda su come sarebbe tornato a casa per Natale: «Ma vieni anche tu! Non te l’ho detto? La mamma mi ha scritto di invitarti settimane fa!»
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Hermione alzò gli occhi al cielo, ma Harry ne fu enormemente sollevato: la prospettiva del Natale alla Tana era davvero meravigliosa, anche se appena offuscata dal senso di colpa per non passare le feste con Sirius. Si chiese se fosse possibile convincere la signora Weasley a invitare il suo padrino. Anche se dubitava che Silente avrebbe permesso a Sirius di lasciare Grimmauld Place, non poté fare a meno di pensare che la madre di Ron non l’avrebbe voluto; erano sempre ai ferri corti. Sirius non l’aveva più cercato da quell’ultima apparizione nel fuoco, e anche se Harry si rendeva conto che con la Umbridge all’erta sarebbe stato poco prudente cercare di parlargli, non gli piaceva il pensiero di Sirius solo nella vecchia casa di sua madre, magari a dividere una solitaria galletta con Kreacher.
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Harry arrivò presto nella Stanza delle Necessità per l’ultima riunione dell’ES prima delle vacanze, e meno male, perché quando le torce si accesero vide che Dobby si era dato la pena di abbellire il locale con decorazioni natalizie. Era sicuro che fosse stato l’elfo: nessun altro avrebbe potuto appendere al soffitto cento medaglioni dorati, tutti con il ritratto di Harry e con la scritta: «BUON NATALE HARRY POTTER SIGNORE!»
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Harry aveva appena tolto l’ultimo quando la porta si aprì cigolando ed entrò Luna Lovegood, trasognata come al solito.
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«Ciao» disse in tono assente, guardando ciò che restava delle decorazioni. «Sono carine, le hai appese tu?»
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«No» rispose Harry, «è stato Dobby, l’elfo domestico».
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«Vischio» disse sognante Luna, indicando un grosso grappolo di bacche bianche che pendeva quasi sopra la testa di Harry. Lui indietreggiò con un salto. «Hai fatto bene» disse Luna con molta serietà. «Spesso è infestato di Nargilli».
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L’arrivo di Angelina, Katie e Alicia gli risparmiò la necessità di chiedere che cos’erano i Nargilli. Tutt’e tre erano trafelate e molto infreddolite.
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«Be’» disse Angelina accigliata, togliendosi il mantello e gettandolo in un angolo, «finalmente ti abbiamo sostituito».
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«Sostituito?» ripeté Harry senza capire.
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«Te, Fred e George» si spazientì lei. «Abbiamo un nuovo Cercatore!»
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«Chi?» chiese Harry.
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«Ginny Weasley» rispose Katie.
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Harry la guardò con occhi sbanati.
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«Sì, lo so» disse Angelina, estraendo la bacchetta e flettendo il braccio, «ma in realtà è piuttosto brava. Non quanto te, ovviamente» e gli lanciò un’occhiata molto torbida, «ma visto che te non ti possiamo avere…»
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Harry si morse la lingua per impedirsi di ribattere: non capiva che lui rimpiangeva il posto in squadra cento volte più di lei?
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«E i Battitori?» chiese cercando di mantenere un tono indifferente.
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«Andrew Kirke» rispose Alicia senza entusiasmo, «e Jack Sloper. Nessuno dei due è un fenomeno, ma in confronto agli altri idioti che si sono presentati…»
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L’arrivo di Ron, Hermione e Neville pose fine a quella deprimente conversazione, e in cinque minuti la stanza si riempì tanto da evitare a Harry di incrociare i roventi sguardi di rimprovero di Angelina.
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«Bene» disse, richiamando l’attenzione di tutti. «Ho pensato che questa sera potremmo ripassare quello che abbiamo fatto finora, perché è l’ultimo incontro prima delle vacanze e non ha senso cominciare qualcosa di nuovo se poi non ci vediamo per tre settimane…»
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«Non facciamo nulla di nuovo?» brontolò Zacharias Smith, con un bisbiglio che si udì benissimo. «Se l’avessi saputo non sarei venuto».
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«Allora ci dispiace molto che Harry non te l’abbia detto» ribatté Fred a voce alta.
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Molti ridacchiarono. Harry vide che Cho rideva e provò la familiare sensazione di vuoto allo stomaco, come se avesse saltato un gradino scendendo le scale.
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«…esercitiamoci a coppie» disse Harry. «Cominciamo con l’Incantesimo di Ostacolo, per dieci minuti, poi sistemiamo i cuscini e proviamo ancora gli Schiantesimi».
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Si divisero tutti, obbedienti; Harry fece coppia con Neville, come al solito. La stanza si riempì subito di grida intermittenti di «Impedimento!» Le persone restavano bloccate per un minuto circa, durante il quale il compagno non poteva far altro che osservare le altre coppie al lavoro, poi si liberavano e restituivano l’incantesimo.
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Neville aveva fatto progressi incredibili. Dopo un po’, quando Harry si fu liberato per tre volte di seguito, lo mandò a lavorare con Ron e Hermione, in modo da fare il giro della stanza e guardare gli altri. Quando passò accanto a Cho, lei lo guardò raggiante; Harry resistette alla tentazione di tornarci molte altre volte.
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Dopo dieci minuti di Incantesimo di Ostacolo, coprirono il pavimento di cuscini e ricominciarono con gli Schiantesimi. Lo spazio era davvero troppo poco perché tutti lavorassero nello stesso momento; metà del gruppo stava a guardare gli altri per un po’, poi si scambiavano. Harry si sentì pieno d’orgoglio mentre li osservava. A dire il vero, Neville Schiantò Padma Patil al posto di Dean, ma sbagliò davvero di poco, e tutti gli altri erano migliorati tantissimo.
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Alla fine dell’ora, Harry li interruppe.
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«State diventando molto bravi» disse, con un gran sorriso. «Al ritorno dalle vacanze possiamo cominciare a lavorare sulle cose serie… magari perfino i Patronus».
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Si diffuse un mormorio eccitato. La stanza si svuotava poco a poco; uscendo, quasi tutti augurarono a Harry buon Natale. Allegro, lui raccolse i cuscini insieme a Ron e Hermione e li ammucchiò in ordine. Ron e Hermione uscirono dalla stanza prima di lui; Cho era ancora lì e Harry sperava in un suo “Buon Natale”.
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«No, vai pure» sentì che diceva alla sua amica; il cuore gli fece un balzo che lo portò dalle parti del pomo d’Adamo.
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Fece finta di raddrizzare la pila di cuscini. Era sicuro che fossero soli e aspettò che lei parlasse. Invece udì un singhiozzo.
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Si voltò e vide Cho al centro della stanza, il viso rigato di lacrime.
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«Co…?»
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Non sapeva che fare. Cho piangeva in silenzio.
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«Che cosa succede?» le chiese con voce flebile.
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Lei scosse il capo e si asciugò gli occhi sulla manica.
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«S-scusa» disse con voce appannata. «Credo… dev’essere… imparare queste cose… mi fa pensare… se lui le avesse sapute… sarebbe vivo».
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Il cuore di Harry precipitò giù, superò la sua abituale posizione e atterrò vicino all’ombelico. Avrebbe dovuto immaginarlo: voleva parlare di Cedric.
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«Lui le sapeva, queste cose» replicò Harry serio. «Era proprio bravo, o non sarebbe mai arrivato al centro di quel labirinto. Ma se Voldemort vuole davvero ucciderti, non hai possibilità».
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Al nome di Voldemort le sfuggì un singhiozzo, ma fissò Harry senza battere ciglio.
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«Tu sei sopravvissuto quando eri solo un bambino» disse piano.
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«Sì, è vero» rispose stancamente Harry, avviandosi alla porta. «Ma non so perché, e non lo sa nessuno, quindi non c’è da esserne orgogliosi».
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«Oh, non andar via!» lo supplicò Cho, con la voce intrisa di pianto. «Mi dispiace di stare così… non volevo…»
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Singhiozzò di nuovo. Era molto carina anche con gli occhi rossi e gonfi. Harry si sentiva totalmente depresso. Avrebbe tanto preferito un semplice “Buon Natale”.
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«So che dev’essere terribile per te» disse lei, asciugandosi di nuovo gli occhi con la manica. «Io che ti parlo di Cedric, quando l’hai visto morire… immagino che tu voglia solo dimenticare…»
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Harry non rispose; era vero, ma dirlo gli sembrava troppo crudele.
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«S-sei un bravo insegnante, sai» disse Cho, sorridendo tra le lacrime. «Non ero mai riuscita a Schiantare nulla, prima».
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«Grazie» mormorò Harry, impacciato.
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Si guardarono per un lungo istante. Harry provava un ardente desiderio di fuggire dalla stanza, ma allo stesso tempo era del tutto incapace di muovere i piedi.
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«Vischio» sussurrò Cho, indicando il soffitto sopra la sua testa.
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«Sì» disse Harry. Aveva la bocca arida. «Però dev’essere pieno di Nargilli».
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«Che cosa sono i Nargilli?»
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«Non ne ho idea» ammise Harry. Lei si era fatta più vicina. Gli sembrava di avere la mente Schiantata. «Devi chiedere a Lunatica. A Luna, voglio dire».
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Cho emise un buffo suono, a metà tra un singhiozzo e una risata. Era ancora più vicina. Avrebbe potuto contarle le lentiggini sul naso.
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«Mi piaci un sacco, Harry».
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Non riuscì più a pensare. Un formicolio si era impadronito di lui, paralizzandogli braccia, gambe e cervello.
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Era troppo vicina. Vedeva ogni lacrima appesa alle sue ciglia…
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* * *
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Tornò nella sala comune mezz’ora dopo e trovò Ron e Hermione seduti nei posti migliori, vicino al fuoco; gli altri erano andati quasi tutti a dormire. Hermione stava scrivendo una lunga lettera; aveva già riempito mezzo rotolo di pergamena, che penzolava dal tavolo. Ron era disteso sul tappeto e tentava di finire i compiti di Trasfigurazione.
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«Che cosa ti ha trattenuto?» chiese, quando Harry si lasciò cadere sulla poltrona accanto a Hermione.
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Harry non rispose. Era sotto shock. Metà di lui voleva raccontare a Ron e Hermione quanto era appena successo, ma l’altra metà voleva portare il segreto con sé nella tomba.
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«Stai bene, Harry?» domandò Hermione, guardandolo al di sopra della piuma.
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Harry scrollò le spalle, scoraggiato. A dire il vero, non lo sapeva nemmeno lui. «Che cosa c’è?» chiese Ron, puntellandosi su un gomito per vederlo meglio. «Che cosa ti è successo?»
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Harry non sapeva come dirlo, anzi, non sapeva ancora se voleva dirlo. Aveva appena deciso di non parlarne, quando Hermione prese il controllo.
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«È Cho?» chiese in tono professionale. «Ti ha bloccato dopo la riunione?»
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Confuso e sorpreso, Harry annuì. Ron ridacchiò, ma s’interruppe quando incrociò lo sguardo di Hermione.
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«E… che cosa voleva?» chiese, con finta disinvoltura.
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«Lei» cominciò Harry, la voce roca; se la schiarì e riprovò. «Lei… eh…»
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«Vi siete baciati?» domandò bruscamente Hermione.
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Ron scattò a sedere così in fretta che rovesciò il calamaio sul tappeto. Senza badarci affatto, fissò Harry.
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«Allora?» chiese.
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Harry guardò prima il miscuglio di curiosità e ilarità sul viso di Ron, poi il vago cipiglio di Hermione, e annuì.
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«AH!»
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Ron fece un gesto trionfante col pugno e scoppiò in una risata che fece sobbalzare alcuni timidi allievi del secondo anno vicino alla finestra. Un sorriso riluttante si aprì sul viso di Harry mentre guardava Ron rotolarsi sul tappeto. Hermione rivolse a Ron uno sguardo di profondo disgusto e ritornò alla sua lettera.
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«E allora?» domandò finalmente Ron, tornando a guardare Harry. «Com’è stato?»
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Harry ci pensò un momento.
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«Umido» rispose, con sincerità.
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Il verso di Ron avrebbe potuto esprimere giubilo o disgusto; difficile dirlo.
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«Perché stava piangendo» aggiunse Harry, cupo.
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«Oh» fece Ron, sorridendo un po’ meno. «Baci così da schifo?»
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«Non lo so» disse Harry, che non ci aveva pensato, e subito si preoccupò. «Forse sì».
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«Certo che no» intervenne Hermione distrattamente, sempre scrivendo la sua lettera.
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«E tu come lo sai?» chiese Ron, tagliente.
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«Perché Cho passa la metà del tempo a piangere, in questi giorni» rispose Hermione. «Piange a pranzo, a cena, nei bagni, ovunque».
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«Allora un po’ di baci dovrebbero tirarla su» osservò sorridendo Ron.
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«Ron» disse Hermione sprezzante, intingendo la punta della piuma nel calamaio, «sei l’essere più insensibile che abbia mai avuto la sventura di incontrare».
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«E perché?» domandò Ron, indignato. «Che razza di persona è, una che piange quando uno la bacia?»
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«Già» disse Harry, con una nota di disperazione, «perché si comporta così?»
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Hermione li guardò quasi compassionevole.
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«Non capite i sentimenti di Cho in questo momento?» chiese.
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«No» risposero Harry e Ron in coro.
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Hermione sospirò e posò la piuma.
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«Be’, ovviamente è molto triste per la morte di Cedric. Poi immagino che sarà confusa perché le piaceva Cedric e adesso le piace Harry, e non riesce a capire chi le piace di più. E poi si sentirà in colpa, pensando che baciare Harry sia un insulto alla memoria di Cedric, e si preoccuperà di quello che gli altri potrebbero dire se cominciasse a uscire con lui. E probabilmente non capisce nemmeno bene che cosa prova per Harry, perché lui era con Cedric quando è morto, e quindi è tutto molto confuso e doloroso. Oh, e ha anche paura di essere buttata fuori dalla squadra di Quidditch di Corvonero perché sta volando malissimo».
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Un silenzio attonito accolse il suo discorso, poi Ron disse: «Uno non può provare tutte quelle cose insieme. Scoppia».
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«Solo perché tu possiedi la varietà di emozioni di un cucchiaino non significa che siamo tutti così» commentò acida Hermione, riprendendo la piuma.
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«Ha cominciato lei» raccontò Harry. «Io non avrei… mi è più o meno saltata addosso… e subito dopo mi piange sulla spalla… non sapevo che cosa fare…»
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«Non è colpa tua» lo confortò Ron, allarmato alla sola idea.
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«Dovevi solo essere carino con lei» disse Hermione, guardandolo con ansia. «Sei stato carino, vero?»
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«Be’» fece Harry, mentre uno sgradevole calore gli incendiava il viso. «Le ho… dato dei colpetti sulla spalla».
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Hermione parve trattenersi con estrema difficoltà dall’alzare gli occhi al cielo.
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«Be’, poteva andare peggio, immagino» disse. «La vedrai di nuovo?»
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«Per forza» rispose Harry. «Abbiamo le riunioni dell’ES, no?»
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«Hai capito che cosa intendo» si spazientì Hermione.
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Harry tacque. Le parole di Hermione aprivano un nuovo scenario di raccapriccianti possibilità. Cercò di immaginare di andare da qualche parte con Cho, magari a Hogsmeade, e restare solo con lei per ore e ore. Naturalmente lei si aspettava un invito dopo quello che era successo… il pensiero gli fece contrarre dolorosamente lo stomaco.
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«Oh be’» disse Hermione distante, seppellendo ancora una volta il viso nella lettera, «avrai un sacco di occasioni per chiederglielo».
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«Ma se non vuole chiederglielo?» obiettò Ron, che guardava Harry con un’espressione insolitamente penetrante.
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«Non dire sciocchezze» replicò Hermione distrattamente. «È un secolo che a Harry piace Cho, no, Harry?»
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Lui non rispose. Certo, Cho gli piaceva da un secolo, ma ogni volta che aveva immaginato di stare solo con lei se l’era sempre figurata contenta, e non a piangergli a dirotto sulla spalla.
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«A proposito, a chi lo scrivi quel romanzo?» chiese Ron a Hermione, cercando di leggere il pezzo di pergamena che ormai toccava terra. Hermione lo sollevò per impedirgli di vedere.
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«A Viktor».
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«Krum?»
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«Quanti altri Viktor conosciamo?»
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Ron non disse nulla, ma s’incupì. Rimasero in silenzio ancora per una ventina di minuti; Ron finì il suo tema di Trasfigurazione tra molti sbuffi d’impazienza e cancellature, Hermione scrisse senza posa fino al margine estremo della pergamena per poi arrotolarla con cura e sigillarla, e Harry fissò il fuoco del camino, desiderando più di ogni altra cosa veder apparire la testa di Sirius che gli dava consigli sulle ragazze. Ma il fuoco si spense poco a poco, finché i tizzoni non crollarono inceneriti e Harry, guardandosi intorno, vide che ancora una volta erano gli ultimi rimasti nella sala comune.
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«Be’, ’notte» disse Hermione con un gran sbadiglio, e si avviò al dormitorio femminile.
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«Ma che cosa ci trova in Krum?» chiese Ron, mentre lui e Harry salivano le scale.
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«Be’» fece Harry riflettendoci. «È più grande… è un giocatore di Quidditch di fama internazionale…»
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«Sì, ma a parte quello» replicò Ron, irritato. «Voglio dire, è un idiota musone, no?»
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«Un po’ musone lo è» concesse Harry, che stava ancora pensando a Cho.
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Si spogliarono e si misero i pigiami in silenzio; Dean, Seamus e Neville erano già addormentati. Harry posò gli occhiali sul comodino e s’infilò nel letto, ma non chiuse le tende; rimase a guardare la striscia di cielo stellato visibile dalla finestra vicina al letto di Neville. Se ieri notte a quell’ora avesse saputo che entro ventiquattr’ore avrebbe baciato Cho Chang…
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«’Notte» grugnì Ron da un punto imprecisato alla sua destra.
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«’Notte» rispose Harry.
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Forse la prossima volta… se ci fosse stata una prossima volta… lei sarebbe stata più felice. Doveva invitarla fuori; lei se l’era aspettato e magari era arrabbiata con lui… oppure era a letto, e piangeva ancora per Cedric? Non sapeva cosa pensare. La spiegazione di Hermione faceva sembrare tutto molto più difficile.
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Ecco che cosa dovrebbero insegnarci qui, pensò, voltandosi di fianco, come funziona la testa delle ragazze… sarebbe molto più utile di Divinazione, se non altro…
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Neville respirava rumorosamente. Un gufo tubò nel buio.
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Harry sognò di essere di nuovo nella stanza dell’ES. Cho lo stava accusando di averla attirata con l’inganno; diceva che le aveva promesso centocinquanta figurine delle Cioccorane se fosse venuta. Harry protestava… Cho gridava: «Cedric mi dava montagne di figurine delle Cioccorane, guarda!» Tivara fuori dal mantello manciate di figurine e le scagliava in aria. Poi si trasformava in Hermione, che diceva: «Gliel’hai promesso, Harry… io credo che faresti meglio a darle qualcos’altro… che ne dici della tua Firebolt?» e Harry ribatteva che non poteva dare a Cho la sua Firebolt perché ce l’aveva la Umbridge, e comunque tutta quella faccenda era ridicola, era andato nella stanza dell’ES solo per appendere delle decorazioni natalizie a forma di testa di Dobby…
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Il sogno cambiò…
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Il suo corpo era liscio, forte e flessuoso. Scivolava tra lucenti sbarre metalliche sulla pietra scura e fredda… era appiattito sul pavimento, e strisciava sul ventre… era buio, eppure riusciva a vedere gli oggetti intorno a lui che scintillavano di colori strani e intensi… voltava la testa… a prima vista il corridoio era deserto… invece no… un uomo era seduto sul pavimento davanti a lui, il mento chino sul petto, la sagoma che brillava nel buio…
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Harry tirò fuori la lingua… assaporò l’odore dell’uomo nell’aria… era vivo, ma addormentato… seduto davanti a una porta in fondo al corridoio…
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Harry voleva morderlo… dominò l’impulso… aveva cose più importanti da fare…
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Ma l’uomo si stava svegliando… un mantello argenteo gli cadde dalle ginocchia mentre balzava in piedi e Harry vide la sua sagoma tremula e sfocata ergersi su di lui, vide che si sfilava la bacchetta dalla cintura… non aveva scelta… si levò dal pavimento e colpì una, due, tre volte, affondando le zanne nella carne dell’uomo, sentendo le costole che si scheggiavano tra le sue fauci, il caldo fiotto di sangue…
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L’uomo urlava di dolore… poi tacque… ricadde all’indietro contro la parete… il sangue schizzava sul pavimento…
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La fronte gli faceva male da morire… sembrava che stesse per scoppiare…
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«Harry! HARRY!»
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Aprì gli occhi. Ogni centimetro del suo corpo era coperto di sudore gelido; le coperte lo avvolgevano come una camicia di forza; gli sembrava di avere un attizzatoio rovente sulla fronte…
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«Harry!»
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Ron era chino su di lui, molto spaventato. C’erano altre sagome ai piedi del letto. Harry si prese la testa fra le mani; il dolore era lancinante… si voltò su un fianco e vomitò oltre l’orlo del materasso.
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«Sta male» disse una voce atterrita. «Chiamiamo qualcuno?»
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«Harry! Harry!»
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Doveva dirlo a Ron, era molto importante che gli dicesse… inspirando a forza, Harry si alzò a sedere, cercando di non vomitare di nuovo, con un dolore quasi accecante.
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«Tuo padre» ansimò. «Tuo padre… è stato attaccato…»
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«Cosa?» chiese Ron senza capire.
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«Tuo padre! È stato morso, è grave, c’era sangue dappertutto…»
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«Vado a chiedere aiuto» disse la stessa voce spaventata, e Harry sentì dei passi correre fuori dal dormitorio.
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«Harry, tu…» balbettò Ron incerto «…stavi solo sognando…»
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«No!» urlò Harry furioso; era essenziale che Ron capisse. «Non era un sogno… un sogno normale… io ero lì, l’ho visto… sono stato io…»
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Sentiva mormorare Seamus e Dean, ma non ci badò. Il dolore alla fronte gli era un po’ calato, ma sudava e tremava ancora, febbricitante. Ebbe un altro conato e Ron fece un balzo indietro.
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«Harry, tu stai male» esclamò con voce spezzata. «Neville è andato a chiamare aiuto».
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«Io sto bene!» tossì Harry pulendosi la bocca sul pigiama, sempre scosso da brividi incontrollabili. «Io non ho niente, è di tuo padre che ti devi preoccupare… dobbiamo scoprire dov’è, sta sanguinando, io ero… era un serpente enorme».
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Cercò di scendere dal letto, ma Ron lo respinse indietro; Dean e Seamus bisbigliavano ancora lì vicino. Harry non seppe dire se passò un minuto oppure dieci; rimase lì a tremare, con il dolore alla cicatrice che si affievoliva pian piano… poi si udirono passi affrettati su per le scale, e di nuovo la voce di Neville.
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«Di qua, professoressa».
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La professoressa McGranitt entrò di corsa nel dormitorio, avvolta nella sua vestaglia scozzese, gli occhiali un po’ storti sul naso ossuto.
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«Che cosa c’è, Potter? Dove ti fa male?»
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Non era mai stato così felice di vederla; era di un membro dell’Ordine della Fenice che aveva bisogno in quel momento, non di qualcuno che facesse un sacco di storie o prescrivesse inutili pozioni.
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«È il papà di Ron» disse, tirandosi su. «È stato attaccato da un serpente ed è grave, io l’ho visto».
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«Che cosa vuol dire, l’hai visto?» chiese la McGranitt, aggrottando le sopracciglia scure.
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«Non lo so… dormivo e poi ero lì…»
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«Vuoi dire che l’hai sognato?»
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«No!» rispose Harry furioso; possibile che nessuno capisse? «Prima stavo facendo un sogno completamente diverso, una cosa stupida… e poi questo l’ha interrotto. Era vero, non l’ho immaginato. Il signor Weasley dormiva sul pavimento ed è stato attaccato da un serpente gigantesco, c’era un sacco di sangue, lui è svenuto, qualcuno deve scoprire dov’è…»
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La McGranitt lo guardava attraverso le lenti storte come se ciò che vedeva la terrorizzasse.
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«Non sto mentendo e non sono matto!» la supplicò Harry, quasi urlando. «Gliel’ho detto, io l’ho visto!»
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«Ti credo, Potter» rispose brusca la professoressa McGranitt. «Mettiti la vestaglia, andiamo dal Preside».
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