Harry era così sollevato che la McGranitt lo prendesse sul serio che non esitò, balzò giù dal letto all’istante, si mise la vestaglia e inforcò gli occhiali.
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«Weasley, e meglio che venga anche tu» disse la McGranitt.
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La seguirono, superando le figure silenziose di Neville, Dean e Seamus, fuori dal dormitorio e giù per le scale a chiocciola fino alla sala comune, oltre il ritratto della Signora Grassa e lungo il corridoio illuminato dalla luna. Harry sentiva che il panico poteva traboccare da un momento all’altro; voleva correre, chiamare Silente; il signor Weasley sanguinava mentre loro camminavano così tranquilli; e se quelle zanne (Harry cercò in tutti i modi di non pensare “le mie zanne”) fossero state velenose? Incrociarono Mrs Purr, che li guardò con gli occhi simili a lampadine soffiando leggermente, ma la McGranitt disse «Sciò!» e la gatta scivolò via nell’ombra. Dopo pochi minuti giunsero al gargoyle di pietra a guardia dell’ufficio di Silente.
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«Ape Frizzola» disse la professoressa McGranitt.
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Il gargoyle si animò e fece un balzo di lato; la parete al suo fianco si aprì rivelando una scala a chiocciola di pietra in continuo movimento, come una scala mobile. Tutti e tre salirono sui gradini; la parete si chiuse con un tonfo e salirono a spirale fino alla lucida porta di quercia con il batacchio a forma di grifone.
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Benché fosse mezzanotte passata, si udivano voci nella stanza, un gran parlare. Sembrava che Silente stesse intrattenendo almeno una decina di persone.
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La McGranitt bussò tre volte e le voci cessarono di colpo, come se qualcuno le avesse spente. La porta si aprì da sola e la McGranitt precedette Harry e Ron all’interno.
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La stanza era immersa nella semioscurità; gli strani strumenti d’argento sui tavoli erano silenziosi e fermi invece che ronzanti e fumanti come al solito; i ritratti dei vecchi Presidi che coprivano le pareti sonnecchiavano nelle comici. Accanto alla porta, un magnifico uccello rosso e oro, grande come un cigno, era appollaiato sul suo trespolo, con la testa sotto l’ala.
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«Oh, è lei, professoressa… e… ah».
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Silente era seduto alla sua scrivania, su una sedia dallo schienale alto; si chinò in avanti nel cerchio di luce della candela che illuminava le carte sparse davanti a lui. Indossava una vestaglia viola e oro, sontuosamente ricamata, sopra una camicia da notte candida, ma era perfettamente sveglio, e i suoi penetranti occhi azzurri fissavano la professoressa McGranitt.
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«Professor Silente, Potter ha avuto un… un incubo» esordì la McGranitt. «Dice…»
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«Non era un incubo» intervenne Harry.
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La McGranitt si voltò verso di lui, un po’ torva.
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«Molto bene, Potter, raccontalo tu al Preside».
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«Io… ecco, io stavo dormendo…» cominciò Harry e, nonostante la paura e l’ansia di farsi capire da Silente, fu un po’ irritato dal fatto che il Preside non lo guardasse, ma tenesse gli occhi fissi sulle proprie dita intrecciate. «Ma non era un sogno normale… era vero… l’ho visto succedere…» Respirò a fondo. «Il papà di Ron, il signor Weasley… è stato aggredito da un serpente gigantesco».
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Le sue parole parvero echeggiare nell’aria, e suonarono vagamente ridicole, perfino comiche. Ci fu una pausa durante la quale Silente si appoggiò allo schienale e fissò pensieroso il soffitto. Pallido e spaventato, Ron guardava da Harry a Silente.
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«Come lo hai visto?» chiese Silente piano, ancora senza guardare Harry.
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«Be’… non lo so» rispose Harry, nervoso… ma che cosa importava? «Nella mia testa, credo…»
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«Mi hai frainteso» disse Silente, calmo. «Voglio dire… ricordi… ehm… da quale posizione hai osservato l’attacco? Eri vicino alla vittima, o guardavi la scena dall’alto?»
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Era una domanda così curiosa che Harry fissò Silente a bocca aperta: sembrava che lui già sapesse…
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«Il serpente ero io» disse. «Ho visto tutto dal punto di vista del serpente».
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Per un momento nessuno parlò, poi Silente, guardando Ron che era ancora bianco come il latte, domandò con voce diversa, più tagliente: «Arthur è ferito in modo grave?»
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«Sì» rispose Harry con enfasi. Perché erano tutti così lenti a capire? Non si rendevano conto di quanto sanguina una persona quando viene morsa al fianco da zanne così lunghe? E come mai Silente non si degnava nemmeno di guardarlo?
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Ma Silente si alzò così in fretta che Harry trasalì, e si rivolse a uno dei vecchi ritratti appeso quasi sotto il soffitto. «Everard» chiamò. «E anche tu, Dilys!»
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Un mago dal viso olivastro con una frangetta nera e un’anziana strega con lunghi boccoli argentei nella cornice accanto, che parevano entrambi profondamente assopiti, aprirono gli occhi all’istante.
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«Stavate ascoltando?» chiese Silente.
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Il mago annuì; la strega rispose: «Si capisce».
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«L’uomo ha i capelli rossi e gli occhiali» disse Silente. «Everard, dovrai dare l’allarme e accertarti che lo trovino le persone giuste…»
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Entrambi assentirono e uscirono di lato dalle cornici, ma invece di riapparire nei quadri vicini (come succedeva di solito a Hogwarts) non si videro più. Una cornice conteneva ormai soltanto lo sfondo di un tendaggio nero, l’altra una bella poltrona di cuoio. Harry notò che molti altri Presidi sulle pareti, pur russando e sbavando in maniera molto convincente, continuavano a sbirciarlo da sotto le ciglia, e capì chi stava parlando quando avevano bussato.
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«Everard e Dilys sono stati due dei più celebrati Presidi di Hogwarts» spiegò Silente, aggirando Harry, Ron e la McGranitt per avvicinarsi al magnifico uccello che dormiva sul trespolo.
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«La loro fama è tale che entrambi hanno i ritratti appesi in altre importanti istituzioni magiche. E poiché sono liberi di muoversi fra i loro ritratti, potranno dirci che cosa accade altrove…»
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«Ma il signor Weasley potrebbe essere ovunque!» esclamò Harry.
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«Per favore, sedetevi tutti e tre» disse Silente, come se Harry non avesse parlato. «Everard e Dilys forse ci metteranno un po’. Professoressa McGranitt, vuole procurarci altre sedie?»
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La McGranitt estrasse la bacchetta dalla tasca della vestaglia e la agitò; tre sedie comparvero dal nulla, di legno e con lo schienale diritto, piuttosto diverse dalla comoda poltrona di chintz che Silente aveva evocato durante l’udienza di Harry. Harry si sedette, e voltando il capo osservò il Preside sfiorare con un dito la cresta dorata di Fanny. La fenice si svegliò subito, raddrizzò la bella testa e guardò Silente con i lucidi occhi scuri.
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«Avremo bisogno» le disse lui molto piano, «di un segnale d’allarme».
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Ci fu un lampo di fuoco, e la fenice sparì.
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Silente andò a prendere uno dei fragili strumenti d’argento di cui Harry non aveva mai saputo la funzione, lo portò alla sua scrivania, sedette di nuovo di fronte a loro e lo toccò delicatamente con la punta della bacchetta.
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Lo strumento si animò all’istante e cominciò a emettere tintinnii ritmici. Minuscoli sbuffi di fumo verde pallido uscirono dal piccolo tubo d’argento in cima. Silente li osservò con attenzione, aggrottando la fronte. Dopo qualche secondo, gli sbuffi divennero una striscia costante di fumo che si addensò e salì a spirale nell’aria… all’estremità spuntò una testa di serpente, con le fauci aperte. Harry si chiese se lo strumento stesse confermando la sua storia: guardò impaziente il Preside, in attesa di un cenno che gli desse ragione, ma lui non alzò gli occhi.
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«Sicuro, sicuro» mormorò invece, evidentemente a se stesso, sempre osservando la lingua di fumo senza la minima traccia di sorpresa. «Ma diviso nell’essenza?»
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Harry non capì proprio nulla della domanda. La figura, invece, si divise all’istante in due serpenti: entrambi si attorcigliavano e oscillavano nell’aria. Con uno sguardo di cupa soddisfazione, Silente diede allo strumento un altro lieve colpetto con la bacchetta: il tintinnio rallentò e si spense, e le serpi di fumo si diradarono, divennero una nebbia informe e svanirono.
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Silente ripose lo strumento sul suo tavolino con le gambe sottili. Harry vide che molti dei Presidi nei ritratti lo seguivano con lo sguardo, poi, appena si accorsero che Harry li stava osservando, finsero di nuovo di dormire. Harry voleva chiedere a che cosa serviva quello strano strumento, ma prima che potesse farlo, si udì un grido dall’alto della parete alla loro destra; il mago di nome Everard era riapparso nel suo ritratto, un po’ ansante.
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«Silente!»
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«Allora?» chiese subito Silente.
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«Ho urlato finché non è arrivato qualcuno di corsa» disse il mago, asciugandosi la fronte con la tenda alle sue spalle, «ho detto che avevo sentito qualcosa scendere le scale… non sapevano se credermi ma sono andati lo stesso a controllare… lo sai, non ci sono ritratti da cui guardare, laggiù. Comunque l’hanno portato su poco dopo. Non ha un bell’aspetto, è coperto di sangue, sono corso al ritratto di Elfrida Cragg per guardarlo meglio quando uscivano…»
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«Bene» disse Silente, mentre Ron trasaliva. «Immagino che Dilys l’abbia visto arrivare, allora…»
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Pochi istanti dopo, anche la strega dai boccoli d’argento riapparve nel suo ritratto; si lasciò cadere tossicchiando nella poltrona e disse: «Sì, Silente, l’hanno portato al San Mungo… sono passati davanti al mio ritratto… sta male…»
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«Grazie» rispose Silente. Si rivolse alla McGranitt.
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«Minerva, ho bisogno che lei vada a svegliare gli altri ragazzi Weasley».
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«Ma certo…»
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La McGranitt si alzò e andò in fretta alla porta. Harry lanciò un’occhiata obliqua a Ron, che era terrorizzato.
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«Silente… e Molly?» chiese la professoressa McGranitt, sostando sulla soglia.
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«Quello sarà compito di Fanny quando avrà finito di controllare se qualcuno si avvicina» disse Silente. «Ma forse lo sa già… ha quel suo ottimo orologio…»
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Harry sapeva che si riferiva all’orologio che non indicava l’ora, ma la posizione e le condizioni dei diversi membri della famiglia Weasley, e con un tuffo al cuore pensò che la lancetta del signor Weasley doveva essere puntata su pericolo mortale. Ma era molto tardi. La signora Weasley probabilmente dormiva e non stava guardando l’orologio. Harry si sentì gelare ripensando al Molliccio che si trasformava nel corpo senza vita del signor Weasley, gli occhiali di traverso, il volto coperto di sangue… ma non sarebbe morto… non era possibile…
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Silente stava rovistando in un mobile alle spalle di Harry e Ron. Ne riemerse reggendo un vecchio bollitore annerito, che posò con cautela sulla scrivania. Levò la bacchetta e mormorò «Portus!» Per un momento il bollitore tremolò, risplendendo di una strana luce blu; poi il tremito cessò e il bollitore tornò più nero e opaco di prima.
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Silente andò a un altro ritratto, stavolta quello di un mago dall’aria scaltra, con la barba a punta, che indossava i colori verde e argento di Serpeverde, e apparentemente immerso in un sonno così profondo da non sentire la voce che tentava di svegliarlo.
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«Phineas. Phineas».
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I soggetti dei ritratti che tappezzavano la stanza non fingevano più di dormire; si spostavano nelle cornici per veder meglio che cosa succedeva. Il mago dall’aria astuta continuava a far finta, e allora anche qualcuno degli altri prese a gridare il suo nome.
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«Phineas! Phineas! PHINEAS!»
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Il ritratto non poté più ignorarli; ebbe un sussulto teatrale e spalancò gli occhi.
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«Chi mi chiama?»
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«Ho bisogno che tu vada a visitare l’altro tuo ritratto, Phineas» disse Silente. «Ho ancora un messaggio».
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«L’altro mio ritratto?» ripeté Phineas con voce acuta e un lungo sbadiglio falso (ma i suoi occhi percorsero la stanza e si posarono su Harry). «Oh, no, Silente, sono troppo stanco stasera».
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Harry riconobbe qualcosa di familiare nella voce di Phineas: dove l’aveva già sentita? Ma prima che potesse pensarci, i ritratti sulle altre pareti insorsero.
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«Insubordinazione, signore!» tuonò un mago corpulento dal naso rosso, agitando i pugni. «Omissione ingiustificata di servizio!»
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«Siamo obbligati dall’onore a servire l’attuale Preside di Hogwarts!» gridò un vecchio mago dall’aria fragile, che Harry riconobbe come Armando Dippet, il predecessore di Silente. «Vergognati, Phineas!»
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«Lo convinco io, Silente?» si offrì una strega con lo sguardo penetrante, levando una bacchetta stranamente grossa, non molto diversa da una sferza.
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«Oh, d’accordo» disse il mago chiamato Phineas, guardando la bacchetta con vaga apprensione, «ma a quest’ora potrebbe aver distrutto il mio ritratto, si è sbarazzato di quasi tutta la famiglia…»
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«Sirius sa che non deve distruggere il tuo ritratto» ribatté Silente, e Harry si ricordò dove aveva già sentito quella voce: in una cornice apparentemente vuota nella sua stanza da letto a Grimmauld Place. «Devi riferirgli che Arthur Weasley è gravemente ferito e che la moglie, i figli e Harry Potter arriveranno tra breve a casa sua. Chiaro?»
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«Arthur Weasley ferito, moglie, figli e Harry Potter vanno da lui» cantilenò Phineas con voce annoiata. «Sì, sì… molto bene…»
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Scivolò via dalla cornice e sparì, proprio nel momento in cui la porta dell’ufficio si apriva di nuovo. Fred, George e Ginny entrarono, seguiti dalla professoressa McGranitt, tutti e tre sconvolti e arruffati, ancora in pigiama.
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«Harry, che cosa succede?» domandò Ginny, spaventata. «La professoressa dice che hai visto che papà è ferito…»
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«Vostro padre è rimasto ferito nel corso del suo lavoro per l’Ordine della Fenice» disse Silente, prima che Harry potesse parlare. «È stato portato all’Ospedale San Mungo per Malattie e Ferite Magiche. Ora vi rimando a casa di Sirius, che è molto più comoda della Tana per raggiungere l’ospedale. Vostra madre arriverà lì».
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«Come ci andiamo?» gli chiese Fred, scosso. «Polvere Volante?»
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«No» rispose. «Non è sicura al momento, la Metropolvere è sorvegliata. Prenderete una Passaporta». Indicò il vecchio bollitore dall’aria innocente posato sulla sua scrivania. «Aspettiamo solo che Phineas Nigellus torni a riferire… voglio essere sicuro che la strada sia sgombra…»
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Al centro dell’ufficio apparve un breve lampo di fuoco lasciandosi dietro un’unica piuma dorata che fluttuò dolcemente sul pavimento.
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«È il segnale di Fanny» disse Silente, afferrando la piuma mentre cadeva. «La professoressa Umbridge deve aver saputo che non siete nei vostri letti… Minerva, vada a distrarla, le racconti una storia qualunque…»
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La professoressa McGranitt uscì in un fruscio di stoffa scozzese.
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«Dice che ne sarà deliziato» annunciò una voce annoiata alle spalle di Silente; il mago Phineas era riapparso davanti al suo stendardo di Serpeverde. «Il mio propronipote ha sempre avuto gusti strani in fatto di ospiti».
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«Venite qui, allora» ordinò Silente a Harry e ai Weasley. «Presto, prima che arrivi qualcuno».
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Harry e gli altri si raccolsero attorno alla sua scrivania.
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«Avete già usato tutti una Passaporta prima d’ora?» chiese Silente; loro annuirono e tesero una mano per toccare un punto del bollitore annerito. «Bene. Al mio tre, allora… uno… due…»
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Accadde in una frazione di secondo: nella pausa infinitesimale prima del “tre”, Harry guardò Silente (erano molto vicini) e il limpido sguardo azzurro del Preside si spostò dalla Passaporta al suo viso.
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All’improvviso la sua cicatrice bruciò come se la vecchia ferita si fosse riaperta… e inaspettato, involontario, un odio spaventoso s’impadronì di Harry, così intenso che per un istante non desiderò altro che colpire, mordere, affondare le zanne nell’uomo di fronte a lui…
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«…tre».
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Harry sentì un sussulto potente all’altezza dell’ombelico; la terra svanì da sotto i suoi piedi, la mano restò incollata al bollitore; urtò contro gli altri mentre venivano scagliati in un turbinio di colori e raffiche di vento, con il bollitore che li trascinava in avanti… finché i suoi piedi toccarono terra con tanta forza che le ginocchia gli cedettero, il bollitore cadde con uno schianto e da qualche parte molto vicino una voce gracchiò: «Rieccoli, i marmocchi del traditore del suo sangue. È vero che loro padre sta morendo?»
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«FUORI!» ruggì una seconda voce.
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Harry si rialzò; erano arrivati nella buia cucina nel seminterrato di Grimmauld Place numero dodici. Le uniche fonti di luce erano il focolare e una candela tremolante, che illuminavano i resti di una cena solitaria. Kreacher si dileguò nel corridoio, voltandosi a guardarli con malevolenza mentre si aggiustava il gonnellino; Sirius corse loro incontro, preoccupato. Non si era fatto la barba ed era ancora vestito da giorno; emanava anche un vago sentore di alcol stantio, come Mundungus.
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«Che cosa succede?» domandò, allungando la mano per aiutare Ginny ad alzarsi. «Phineas Nigellus mi ha detto che Arthur è stato gravemente ferito…»
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«Chiedi a Harry» disse Fred.
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«Sì, voglio sentire anch’io» aggiunse George.
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I gemelli e Ginny lo fissavano. I passi di Kreacher si erano fermati sulle scale, fuori.
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«È stato…» cominciò Harry, era ancora peggio che spiegarlo alla McGranitt e a Silente. «Ho avuto… una specie… di visione».
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E raccontò loro tutto quello che aveva visto, anche se modificò la storia dicendo che aveva assistito all’attacco da un lato della stanza, e non con gli occhi del serpente. Ron, che era ancora molto pallido, gli rivolse un’occhiata fugace, ma non disse nulla. Quando Harry finì, Fred, George e Ginny continuarono a fissarlo per un po’. Harry non sapeva se era la sua immaginazione, ma gli parve di leggere un’accusa nei loro occhi. Be’, se lo biasimavano solo per aver visto l’agguato, era felice di non aver raccontato che era dentro il serpente.
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«La mamma è qui?» chiese Fred a Sirius.
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«Probabilmente non sa ancora nulla» rispose Sirius. «L’importante era portarvi via prima che la Umbridge potesse interferire. Immagino che Silente abbia mandato qualcuno a dirlo a Molly, ora».
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«Dobbiamo andare al San Mungo» disse Ginny affannata. Guardò i fratelli; ovviamente erano ancora tutti in pigiama. «Sirius, puoi prestarci dei mantelli o qualcosa del genere?»
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«Aspetta, non potete andare al San Mungo adesso!» esclamò Sirius.
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«Certo che possiamo, se vogliamo!» protestò Fred con espressione ostinata. «È nostro padre!»
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«E come farete a spiegare che sapevate che Arthur è stato aggredito ancora prima che l’ospedale avvisasse sua moglie?»
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«E che differenza fa?» domandò George, accalorandosi.
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«Molta, perché non vogliamo far sapere che Harry ha visioni di cose che accadono a centinaia di chilometri da lui!» rispose Sirius, arrabbiato. «Avete idea di come il Ministero userebbe un’informazione del genere?»
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Le facce di Fred e George dicevano che a loro non importava nulla del Ministero. Ron era ancora cinereo e silenzioso.
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Ginny disse: «Potremmo averlo saputo da qualcun altro… da qualcuno che non è Harry».
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«E chi, per esempio?» ribatté Sirius con impazienza. «Sentite, vostro padre è stato ferito mentre lavorava per l’Ordine e le circostanze sono già abbastanza sospette senza che i suoi figli lo sappiano due secondi dopo: potreste danneggiare seriamente quello che l’Ordine…»
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«Chi se ne frega dell’Ordine!» gridò Fred.
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«Papà sta morendo!» urlò George.
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«Vostro padre sapeva quello che faceva e non vi ringrazierebbe se intralciaste i piani dell’Ordine!» anche Sirius alzò la voce. «Le cose stanno così… ecco perché voi non fate parte dell’Ordine… non capite… ci sono cose per cui vale la pena di morire!»
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«È facile dirlo, per te, chiuso qui dentro!» urlò Fred. «Non mi pare che stai rischiando il collo!»
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Il poco colore rimasto sul viso di Sirius svanì. Per un momento parve che volesse colpire Fred, ma quando parlò la sua voce era calma e determinata.
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«So che è difficile, ma dobbiamo agire tutti come se non sapessimo nulla. Dobbiamo stare qui almeno finché non abbiamo notizie di vostra madre, è chiaro?»
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Fred e George avevano ancora un’espressione ribelle. Ginny, invece, andò alla sedia più vicina e vi si lasciò cadere. Harry guardò Ron, che fece un buffo movimento, a metà tra un cenno di assenso e una scrollata di spalle, e sedettero anche loro. I gemelli diedero un’altra occhiata furente a Sirius, poi rassegnati si sistemarono ai lati di Ginny.
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«Bene» disse Sirius incoraggiante, «forza… beviamo tutti qualcosa mentre aspettiamo. Accio Burrobirra!»
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Levò la bacchetta mentre parlava e cinque o sei bottiglie arrivarono in volo dalla dispensa, scivolarono sul tavolo sparpagliando i resti della cena di Sirius e si fermarono con grazia davanti a ognuno di loro. Bevvero tutti, e per un po’ gli unici suoni furono il crepitio del fuoco e il rumore sordo delle bottiglie sul tavolo.
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Harry beveva solo per avere qualcosa da fare. Aveva lo stomaco gonfio di un orribile, bruciante, ribollente senso di colpa. Non sarebbero stati lì se non fosse stato per lui; sarebbero stati ancora a dormire nei loro letti. E non serviva a nulla ripetersi che dando l’allarme aveva permesso che il signor Weasley fosse ritrovato, perché c’era anche quel fatto innegabile: era stato lui ad aggredire il padre dei suoi amici.
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Non fare lo stupido, tu non hai le zanne, si disse, cercando di mantenere la calma, anche se la mano che reggeva la bottiglia tremava, eri a letto, non stavi attaccando nessuno…
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Ma allora che cos’è successo nello studio di Silente? si chiese. Era come se volessi attaccare anche lui…
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Posò la bottiglia più forte di quanto volesse, e un po’ di Burrobirra traboccò sul tavolo. Nessuno ci badò. Poi una lingua di fuoco a mezz’aria illuminò i piatti sporchi di fronte a loro, e tra esclamazioni di sorpresa un rotolo di pergamena cadde sul tavolo, insieme a una piuma dorata di fenice.
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«Fanny!» esclamò Sirius, afferrando la pergamena. «Non è la scrittura di Silente… dev’essere un messaggio di vostra madre… tieni…»
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Lanciò la lettera tra le mani di George, che la aprì e lesse ad alta voce: «Papà è ancora vivo. Sto andando al San Mungo. Restate dove siete. Vi darò notizie appena posso. Mamma».
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George guardò gli altri.
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«Ancora vivo…» ripeté lentamente. «Ma se dice così…»
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Non finì la frase. Anche a Harry parve che il signor Weasley fosse sospeso tra la vita e la morte. Sempre straordinariamente pallido, Ron fissava il retro della lettera come se gli potesse sussurrare parole di conforto. Fred sfilò la pergamena dalle mani di George e la rilesse da solo, poi guardò Harry, che sentì la mano tremare di nuovo e la strinse più forte attorno alla bottiglia.
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Se Harry aveva mai passato una notte più lunga di quella, non lo ricordava. Sirius a un certo punto suggerì, senza la minima convinzione, che andassero tutti a letto, ma gli sguardi disgustati dei Weasley furono una risposta sufficiente. Rimasero seduti attorno al tavolo in silenzio, a guardare lo stoppino della candela affondare sempre più nella cera liquida, avvicinando di tanto in tanto le bottiglie alle labbra, parlando solo per chiedere l’ora, per chiedersi ad alta voce che cosa stava succedendo, e per rassicurarsi a vicenda che se ci fossero state brutte notizie le avrebbero sapute, perché la signora Weasley doveva essere già arrivata al San Mungo da un pezzo.
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Fred si appisolò, con la testa che ciondolava sulla spalla. Ginny era acciambellata sulla sedia come un gatto, ma non dormiva; Harry vedeva il fuoco riflesso nei suoi occhi. Ron era seduto con il capo fra le mani; impossibile dire se fosse sveglio o no. Harry e Sirius si guardavano di tanto in tanto, sentendosi degli intrusi nel dolore della famiglia… e aspettavano, aspettavano…
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Alle cinque e dieci del mattino, secondo l’orologio di Ron, la porta della cucina si aprì e apparve la signora Weasley. Era molto pallida, ma quando tutti si voltarono verso di lei e Fred, Ron e Harry si alzarono a metà dalle sedie, sorrise debolmente.
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«Guarirà» disse, sfinita. «Sta dormendo. Più tardi possiamo andare a trovarlo, ora c’è Bill con lui; si prenderà una mattina di permesso».
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Fred ricadde sulla sedia con il volto fra le mani. George e Ginny si precipitarono ad abbracciare la madre. Ron scoppiò in una risata stentata e tracannò in un sorso il resto della Burrobirra.
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«Colazione!» annunciò Sirius a voce alta e allegra, saltando in piedi. «Dov’è quello stramaledetto elfo domestico? Kreacher! KREACHER!»
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Ma Kreacher non rispose.
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«Ah, lasciamo perdere» mormorò Sirius, contando i presenti. «Allora, colazione per… sette… uova e pancetta, direi, tè e pane tostato…»
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Harry corse ai fornelli ad aiutarlo. Non voleva intromettersi nella gioia dei Weasley e temeva il momento in cui Molly gli avrebbe chiesto di raccontare di nuovo la sua visione. Ma aveva appena preso i piatti dalla credenza quando la signora Weasley glieli tolse dalle mani e lo abbracciò.
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«Non so che cosa sarebbe successo se non fosse stato per te, Harry» disse con voce velata. «Avrebbero potuto non trovarlo per ore, e allora sarebbe stato troppo tardi, ma grazie a te è vivo e Silente è riuscito a inventare una storia credibile per giustificare la presenza di Arthur lì, non sai in che guaio si sarebbe trovato altrimenti, guarda il povero Sturgis…»
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Harry riusciva a stento a sopportare la sua riconoscenza, ma per fortuna lei lo lasciò andare subito per ringraziare Sirius di essersi occupato dei suoi figli durante la notte. Sirius disse che era stato un piacere, e che sperava che sarebbero rimasti tutti da lui mentre il signor Weasley era all’ospedale.
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«Oh, Sirius, ti sono così grata… dicono che ci vorrà un po’, e sarebbe magnifico stare più vicini… naturalmente significa che forse saremo qui per Natale».
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«Più siamo, meglio è!» esclamò Sirius con una sincerità così palese che la signora Weasley lo guardò raggiante, si mise un grembiule e cominciò a dare una mano con la colazione.
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«Sirius» mormorò Harry, che non poteva sopportare oltre quella scena. «Ti posso parlare un momento… adesso?»
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Entrò nella dispensa e Sirius lo seguì. Senza preamboli, Harry gli raccontò ogni dettaglio della sua visione, compreso il fatto che il serpente che aveva attaccato il signor Weasley era proprio lui.
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Quando si fermò per riprendere fiato, Sirius gli chiese: «L’hai raccontato a Silente?»
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«Sì» rispose Harry con impazienza, «ma non mi ha spiegato che cosa vuol dire. Ormai non mi dice più niente».
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«Sono sicuro che se ci fosse stato motivo di preoccuparsi te l’avrebbe detto» ribatté Sirius deciso.
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«Ma non è tutto» proseguì Harry, la voce appena più forte di un bisbiglio. «Sirius, io… io sto impazzendo, credo. Nell’ufficio di Silente, prima di prendere la Passaporta… per un paio di secondi ho pensato di essere un serpente, mi sentivo un serpente… la cicatrice mi faceva male quando guardavo Silente… Sirius, io volevo aggredirlo!»
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Riusciva a vedere solo una parte del viso del padrino; il resto era immerso nell’oscurità.
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«Dev’essere stata una conseguenza della visione» tentò Sirius. «Stavi ancora pensando al sogno, o quello che era, e…»
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«No» disse Harry scuotendo la testa, «era come se qualcosa montasse dentro di me, come se ci fosse un serpente dentro di me».
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«Hai bisogno di dormire» concluse Sirius deciso. «Ora fai colazione e poi vai di sopra a letto; dopo pranzo potrai andare a trovare Arthur con gli altri. Sei sotto shock, Harry: ti stai accusando di qualcosa che hai solo visto, e meno male che l’hai visto, se no Arthur poteva morire. Smettila di preoccuparti».
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Gli batté una mano sulla spalla e uscì dalla dispensa, lasciandolo solo nell’oscurità.
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Tutti passarono la mattinata dormendo, tranne Harry. Salì nella stanza che lui e Ron avevano condiviso nelle ultime settimane dell’estate. Ron si addormentò nel giro di pochi minuti, mentre Harry si sedette sul letto vestito, appoggiandosi alle sbarre di metallo della testata, in una posizione volutamente scomoda, deciso a non addormentarsi per paura di tornare a essere il serpente e scoprire, al risveglio, di aver attaccato Ron o di essere strisciato per la casa a caccia di uno degli altri…
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Quando Ron si svegliò, Harry finse di essersi goduto anche lui un sonno ristoratore. I loro bauli arrivarono da Hogwarts durante il pranzo, così poterono vestirsi da Babbani per andare al San Mungo. Tutti tranne Harry erano chiassosamente felici e ciarlieri mentre scambiavano le vesti con jeans e felpe. Quando Tonks e Malocchio arrivarono per scortarli attraverso Londra, li salutarono con calore: risero di cuore alla vista della bombetta che Malocchio portava sulle ventitré per nascondere l’occhio magico e gli assicurarono che Tonks, nonostante i capelli rosa acceso e di nuovo corti, avrebbe attirato l’attenzione molto meno di lui in metropolitana.
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Tonks era assai interessata alla visione di Harry, ma lui non aveva la minima intenzione di parlarne.
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«Non c’è sangue Veggente nella tua famiglia, vero?» gli chiese curiosa mentre sedevano fianco a fianco su un treno che sferragliava verso il centro della città.
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«No» rispose Harry, pensando alla professoressa Cooman e sentendosi insultato.
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«No» ripeté pensierosa Tonks, «no, immagino che non sia una vera profezia, la tua, giusto? Insomma, tu non vedi il futuro, vedi il presente… bizzarro. Utile, però…»
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Harry non rispose; per fortuna scesero alla fermata dopo, una stazione nel cuore di Londra, e nel trambusto della discesa lasciò che Fred e George si mettessero tra lui e Tonks, che guidava il gruppo. Tutti la seguirono sulla scala mobile; Moody chiudeva la fila zoppicando, con il cappello di traverso e una mano nodosa infilata tra i bottoni della giacca, stretta intorno alla bacchetta. Harry credette di avvertire l’occhio nascosto che lo fissava. Per evitare altre domande sul suo sogno, chiese a Malocchio dov’era nascosto il San Mungo.
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«Non lontano» grugnì Moody quando uscirono nell’aria invernale in un’ampia via piena di negozi, affollata di gente che faceva le compere di Natale. Spinse Harry davanti a sé e lo seguì da vicino; Harry sapeva che l’occhio roteava in tutte le direzioni sotto la bombetta storta. «Non è stato facile trovare un buon posto per un ospedale. A Diagon Alley non c’era nulla di abbastanza grande e non potevamo metterlo sottoterra come il Ministero, non sarebbe stato salubre. Alla fine sono riusciti a trovare un edificio qui. Così i maghi malati possono fare avanti e indietro confondendosi tra la folla».
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Afferrò la spalla di Harry per evitare di esserne separato da un nugolo di gente decisa a infilarsi in un negozio pieno di aggeggi elettrici.
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«Eccoci» disse Moody un attimo più tardi.
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Erano arrivati davanti a un vecchio grande magazzino, di mattoni rossi, chiamato Purge Dowse Ltd. Il luogo aveva un’aria trascurata e misera; nelle vetrine c’erano solo alcuni manichini scheggiati con le parrucche di traverso, disposti a caso, vestiti alla moda di dieci anni prima. Enormi cartelli sulle porte polverose dicevano Chiuso per ristrutturazione. Harry udì distintamente una grossa signora carica di pacchetti dire alla sua amica mentre passavano: «Non è mai aperto, quel posto…»
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«Bene» disse Tonks, facendo cenno agli altri di avvicinarsi a una vetrina con un solo manichino particolarmente brutto. Le ciglia finte erano quasi staccate e portava un grembiulino di nylon verde. «Tutti pronti?»
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Gli altri annuirono e si accalcarono attorno a lei. Moody diede a Harry un’altra spinta fra le scapole per farlo avanzare e Tonks accostò il viso alla vetrina, guardando il manichino bruttissimo, mentre il suo respiro appannava il vetro. «Salve» disse, «vorremmo vedere Arthur Weasley».
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Harry pensò che Tonks non poteva farsi sentire dal manichino se parlava a voce così bassa attraverso un vetro, con gli autobus che passavano e il frastuono della strada. Poi gli venne in mente che i manichini non sentivano comunque. Un secondo dopo spalancò la bocca sbalordito vedendo che il manichino annuiva appena e faceva cenno di avvicinarsi con il dito snodato; Tonks prese Ginny e la signora Weasley per i gomiti, entrò nella vetrina e svanì.
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Fred, George e Ron entrarono subito dopo. Harry si guardò intorno nella folla frenetica; nessuno sembrava sprecare uno sguardo per Purge Dowse Ltd, né aver notato che sei persone si erano appena volatilizzate sotto gli occhi di tutti.
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«Dài» grugnì Moody, con un’altra botta nella schiena di Harry, e insieme passarono attraverso quello che parve un velo di acqua fredda, per uscirne caldi e asciutti dalla parte opposta.
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Non c’era traccia del brutto manichino o della vetrina. Si trovavano in quella che sembrava una grande sala di accettazione, con file di maghi e streghe seduti su traballanti sedie di legno, alcuni dall’aspetto perfettamente normale, intenti a sfogliare vecchie copie del Settimanale delle Streghe, altri affetti da orrende deformità, tipo zampe da elefante o mani supplementari che spuntavano dal torace. La sala era poco meno rumorosa della strada, anche perché molti pazienti producevano suoni bizzarri: una strega con il viso sudato al centro della prima fila, che si sventolava vigorosamente con una copia del La Gazzetta del Profeta, emetteva un fischio acuto e continuo, sbuffando vapore dalla bocca; in un angolo uno stregone dall’aspetto sudicio risuonava come una campana appena si muoveva, e a ogni rintocco la testa gli vibrava in modo spaventoso, tanto che doveva afferrarsi le orecchie per tenerla ferma.
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Maghi e streghe in vesti verde acido andavano su e giù per le file di sedie, facendo domande e prendendo appunti su tavolette come quella della Umbridge. Harry notò il simbolo che portavano ricamato sul petto: una bacchetta e un osso incrociati.
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«Sono medici?» chiese a Ron a bassa voce.
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«Medici?» ripeté Ron, quasi spaventato. «Quei Babbani matti che tagliuzzano la gente? Nooo, questi sono Guaritori».
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«Di qua!» gridò la signora Weasley, sovrastando i rintocchi dello stregone nell’angolo, e tutti si misero in fila con lei davanti a una bionda paffuta seduta a una scrivania con il cartello Informazioni. La parete alle sue spalle era coperta di avvisi e locandine che dicevano cose del tipo: TENETE I CALDERONI PULITI: LE VOSTRE POZIONI NON DIVENTERANNO VELENI e UN ANTIDOTO NON APPROVATO DA UN GUARITORE QUALIFICATO PUÒ ESSERE LETALE. Cera anche un grande ritratto di una strega dai lunghi boccoli argentei, con la scritta:
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Dilys DerwentGuaritrice al San Mungo1722–1741Preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts1741–1768
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Dilys osservava il gruppo dei Weasley come per contarli; quando Harry incrociò il suo sguardo lei ammiccò appena, si avviò di lato fuori dal ritratto e sparì.
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Nel frattempo, in testa alla fila, un giovane mago eseguiva una strana danza sul posto e cercava, tra gemiti di dolore, di spiegare la sua situazione alla strega seduta alla scrivania.
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«Sono queste — ahia — scarpe che mi ha regalato mio fratello — ohi — mi stanno mangiando — AHI — i piedi — le guardi, devono avere qualche — AARGH — fattura e non riesco — AAAAARGH — a levarmele». Saltellava da un piede all’altro come se stesse danzando sui carboni ardenti.
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«Ma le scarpe non le impediscono di leggere, giusto?» disse la strega bionda, acida, indicando un grande cartello alla sinistra della scrivania. «Deve andare al reparto Lesioni da Incantesimo, quarto piano. C’è scritto lì. Il prossimo!»
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Quando il mago si allontanò zoppicando e balzellando, il gruppo dei Weasley fece qualche passo avanti e Harry lesse il cartello:
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PIANTERRENO — INCIDENTI DA MANUFATTI
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ESPLOSIONI DI CALDERONI, RITORNO DI FIAMMA DI BACCHETTE, SCONTRI TRA SCOPE ECCETERA
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PRIMO PIANO — LESIONI DA CREATURE
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MORSI, PUNTURE, SCOTTATURE, SPINE, ECCETERA
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SECONDO PIANO — BATTERI MAGICI
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MALATTIE CONTAGIOSE: VAIOLO DI DRAGO, NAUSEA DA SVANIMENTO, SCROFUNGULUS ECCETERA
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TERZO PIANO — AVVELENAMENTO DA POZIONI E PIANTE
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ERUZIONI, RIGURGITI, RISA INCONTROLLABILI ECCETERA
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QUARTO PIANO — LESIONI DA INCANTESIMO
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FATTURE INELIMINABILI, MALEDIZIONI, APPLICAZIONE ERRATA DI INCANTESIMI ECCETERA
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QUINTO PIANO
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SALA DA TÈ PER I VISITATORI/NEGOZIO
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SE SIETE INCERTI SU DOVE ANDARE, INCAPACI DI ARTICOLARE DISCORSI INTELLIGIBILI O DI RICORDARE PERCHÉ SIETE QUI, LA NOSTRA STREGACCOGLIENZA SARÀ LIETA DI AIUTARVI
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Un mago molto anziano e curvo con un cornetto acustico era arrivato in testa alla fila, trascinando i piedi. «Devo vedere Broderick Bode!» sibilò.
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«Corsia quarantanove, ma temo che stia perdendo il suo tempo» tagliò corto la strega. «È in stato confusionale, sa… crede ancora di essere una teiera. Il prossimo!»
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Un mago dall’aria afflitta teneva la sua bambina per la caviglia, mentre lei svolazzava con le immense ali piumate che le erano spuntate sulla schiena attraverso il pagliaccetto.
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«Quarto piano» disse la strega con voce annoiata, senza chiedere nulla, e l’uomo sparì oltre la porta a due battenti accanto alla scrivania, reggendo sua figlia come un curioso palloncino. «Il prossimo!»
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La signora Weasley si avvicinò.
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«Buondì» disse, «mio marito, Arthur Weasley, doveva essere trasferito in un altro reparto questa mattina, potrebbe dirci…?»
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«Arthur Weasley?» ripeté la strega, facendo scorrere il dito su un lungo elenco. «Sì. Primo piano, seconda porta a destra, reparto Dai Llewellyn».
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«Grazie» disse la signora Weasley. «Andiamo».
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La seguirono oltre la doppia porta lungo uno stretto corridoio in cui erano allineati altri ritratti di famosi Guaritori, illuminato da bocce di cristallo piene di candele che fluttuavano vicino al soffitto, simili a enormi bolle di sapone. Altri maghi e streghe in vesti verde acido entravano e uscivano dalle doppie porte; quando passarono davanti a una porta un gas giallo puzzolente invase il corridoio; ogni tanto si udiva un lamento in lontananza. Una rampa di scale li condusse al corridoio delle Lesioni da creature. La seconda porta a destra recava la dicitura: Reparto Dai “Pernicioso” Llewellyn: morsi gravi. Sotto, su un cartellino in una comice di bronzo, c’era scritto a mano: Guaritore Responsabile: Ippocrate Smethwyck. Tirocinante: Augustus Pye.
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«Noi aspettiamo fuori, Molly» disse Tonks. «È meglio che Arthur non veda troppa gente in una volta… Prima la famiglia».
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Malocchio ringhiò la sua approvazione e si appoggiò al muro, mentre il suo occhio magico roteava in tutte le direzioni. Anche Harry si fece indietro, ma la signora Weasley tese un braccio e lo spinse dentro, dicendo: «Non fare lo sciocco, Harry, Arthur ti vuole ringraziare».
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La corsia era piccola e piuttosto buia, visto che c’era un’unica finestra minuscola molto in alto di fronte alla porta. La luce proveniva perlopiù da altre sfere di cristallo luminose raggruppate al centro del soffitto. Le pareti erano rivestite di pannelli di quercia dov’era appeso il ritratto di un mago dall’aria piuttosto arcigna, con la scritta: Urquhart Rackharrow, 1612-1697, Inventore della Maledizione Espellivisceri.
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C’erano solo tre pazienti. Il signor Weasley occupava il letto in fondo alla stanza, sotto la piccola finestra. Fu un sollievo per Harry vedere che era seduto, appoggiato a un mucchio di cuscini, e leggeva La Gazzetta del Profeta alla luce dell’unico raggio di sole che cadeva sul suo letto. Quando si avvicinarono alzò il capo e fece un gran sorriso.
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«Ciao!» disse, gettando da parte Il Profeta. «Bill se n’è appena andato, Molly, doveva tornare al lavoro, ma dice che passerà da voi più tardi».
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«Come stai, Arthur?» chiese la signora Weasley, chinandosi per baciarlo sulla guancia e guardandolo in viso con ansia. «Sei ancora un po’ pallidino».
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«Mi sento benissimo» disse lui, allegro, e tese il braccio buono per stringere Ginny. «Se solo potessero togliermi le bende, verrei a casa».
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«Perché non possono toglierle, papà?» domandò Fred.
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«Be’, ogni volta che ci provano comincio a sanguinare come un matto» rispose in tono leggero il signor Weasley, prendendo la bacchetta dal comodino ed evocando sei sedie accanto al letto. «A quanto pare nelle zanne di quel serpente c’era un veleno insolito, che non fa rimarginare le ferite. Sono sicuri di trovare un antidoto, comunque: hanno avuto casi peggiori del mio, e nel frattempo non devo fare altro che prendere una Pozione Rimpolpasangue ogni ora. Invece quel tipo laggiù…» disse, abbassando la voce e accennando al letto di fronte, in cui giaceva un uomo verdastro e malaticcio che fissava il soffitto «…è stato morso da un lupo mannaro, poveretto. Non c’è cura».
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«Un lupo mannaro?» sussurrò la signora Weasley, allarmata. «È prudente tenerlo in una corsia? Non dovrebbe stare in una stanza privata?»
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«Mancano ancora due settimane alla luna piena» le ricordò piano il signor Weasley. «I Guaritori sono venuti a parlargli questa mattina, per cercare di convincerlo che potrà condurre una vita quasi normale. Io gli ho raccontato, ovviamente senza fare nomi, che conosco bene un lupo mannaro, una persona molto simpatica, che trova la sua condizione piuttosto semplice da controllare».
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«E lui che cos’ha detto?» domandò George.
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«Che avrebbe dato un morso anche a me se non fossi stato zitto» rispose malinconico il signor Weasley. «E quella donna lì» e indicò l’altro letto occupato, accanto alla porta, «non dice ai Guaritori che cosa l’ha morsa, e questo ci fa pensare che stesse maneggiando qualcosa di illecito. Qualunque cosa fosse, le ha portato via un bel pezzo di gamba, e puzza da morire quando le tolgono le bende».
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«Allora, papà, ci racconti che cosa ti è successo?» domandò Fred, avvicinando la sedia al letto.
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«Be’, lo sapete già, no?» disse il signor Weasley sorridendo a Harry. «È molto semplice… avevo avuto una giornata lunga, mi sono addormentato in servizio, sono stato colto di sorpresa e poi morso».
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«Ne parlano sul Profeta?» chiese Fred indicando il quotidiano che suo padre aveva messo da parte.
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«No, certo che no» rispose il signor Weasley, con una punta di amarezza nel sorriso. «Il Ministero non ammetterebbe mai che un serpente enorme e orrendo è arrivato…»
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«Arthur!» lo ammonì sua moglie.
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«…a me» concluse in fretta lui, anche se Harry era sicuro che stesse per dire qualcos’altro.
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«Insomma, dov’eri quando è successo, papà?» chiese George.
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«Affari miei» rispose il signor Weasley, con un sorrisetto. Riprese La Gazzetta del Profeta, la riaprì e disse: «Stavo leggendo dell’arresto di Willy Widdershins quando siete arrivati. Sapete che hanno scoperto che c’era lui dietro quella faccenda dei gabinetti rigurgitanti di quest’estate? Uno dei suoi incantesimi è rimbalzato, il gabinetto è esploso e l’hanno trovato svenuto tra le macerie, coperto da capo a piedi di…»
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«Quando dici “in servizio”» lo interruppe Fred, a bassa voce, «che cosa intendi?»
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«Hai sentito tuo padre» bisbigliò la signora Weasley, «non parliamo di queste cose qui! Raccontaci di Willy Widdershins, Arthur».
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«Be’, non chiedermi come, ma si è salvato dall’accusa dei gabinetti» disse cupo suo marito. «Immagino che un po’ d’oro sia passato di mano…»
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«Eri di guardia, vero?» insisté George sussurrando. «Sorvegliavi l’arma? La cosa che Tu-Sai-Chi sta cercando?»
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«George, zitto!» sbottò la signora Weasley.
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«Comunque» riprese il signor Weasley a voce più alta, «stavolta Willy è stato beccato mentre vendeva maniglie mordaci ai Babbani, e non credo che se la possa cavare perché, stando all’articolo, due Babbani hanno perso alcune dita e ora sono al San Mungo per la ricrescita delle ossa e la modifica della memoria. Ma ci pensate, dei Babbani al San Mungo! Chissà in che reparto sono».
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E si guardò intorno incuriosito, come in cerca di un cartello indicatore.
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«Harry, non avevi detto che Tu-Sai-Chi possiede un serpente?» chiese Fred, guardando se suo padre reagiva. «Uno grosso? L’hai visto la notte in cui è tornato, non è vero?»
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«Ora basta» intervenne sua madre, irritata. «Malocchio e Tonks sono qui, Arthur, e vogliono vederti. Voi aspettate fuori» disse ai suoi figli e a Harry. «Dopo potete venire a salutarlo. Andate».
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Tornarono in corridoio. Malocchio e Tonks entrarono nella stanza e si chiusero la porta alle spalle. Fred inarcò le sopracciglia.
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«Bene» commentò in tono gelido, rovistando nelle tasche, «continuate così. Non diteci nulla».
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«Cerchi queste?» chiese George, e gli porse un groviglio di fili color carne.
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«Mi hai letto nel pensiero» rispose Fred con un ghigno. «Vediamo se al San Mungo mettono l’Incantesimo Imperturbabile sulle porte delle corsie?»
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Lui e George sbrogliarono i fili, districarono cinque Orecchie Oblunghe e le distribuirono in giro. Harry esitò.
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«Forza, Harry, prendila! Hai salvato la vita a papà. Se c’è uno che ha il diritto di origliare, sei tu».
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Sorridendo suo malgrado, Harry prese l’estremità del nastro e se la infilò nell’orecchio, imitando i gemelli.
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«Pronti, via!» sussurrò Fred.
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I nastri color carne si contorsero come lunghi vermi sottili e strisciarono sotto la porta. Sulle prime Harry non sentì nulla, poi sobbalzò: il bisbiglio di Tonks gli giungeva chiaro come se stesse parlando accanto a lui.
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«…hanno perquisito tutta la zona ma non hanno trovato il serpente da nessuna parte. Sembra che si sia volatilizzato dopo l’agguato, Arthur… ma Tu-Sai-Chi non poteva pensare che un serpente sarebbe riuscito a entrare, no?»
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«Io credo che l’abbia mandato in perlustrazione» grugnì Moody, «perché finora non ha avuto una gran fortuna, giusto? No, credo che stia cercando di farsi un’idea precisa di che cosa deve affrontare, e se Arthur non fosse stato lì la bestia avrebbe avuto molto più tempo per guardarsi intorno. E così Potter dice che ha visto tutto?»
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«Sì» rispose la signora Weasley. Suonava piuttosto a disagio. «Sapete, sembra quasi che Silente se lo aspettasse».
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«Ah, be’» disse Moody, «che quel ragazzo abbia qualcosa di strano lo sappiamo tutti».
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«Silente sembrava preoccupato per Harry quando gli ho parlato stamattina» sussurrò la signora Weasley.
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«Certo che è preoccupato» ringhiò Moody. «Il ragazzo vede le cose da dentro la testa del serpente di Tu-Sai-Chi. Certo Potter non si rende conto di che cosa significa, ma se è posseduto da Tu-Sai-Chi…»
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Harry si strappò via l’Orecchio Oblungo, col cuore che batteva all’impazzata e il viso che avvampava. Si voltò verso gli altri. Lo stavano fissando, con i fili che spuntavano ancora dalle orecchie, improvvisamente spaventati.
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