La mattina dopo, sfinito ma esaltato dall’opera compiuta nella notte, durante Incantesimi (dopo aver scagliato un Muffliato sui compagni più vicini), Harry raccontò a Ron e Hermione quello che era successo. Furono entrambi ammirati da come aveva preso il ricordo a Lumacorno e decisamente sgomenti sentendo degli Horcrux e della promessa di Silente di portarlo con sé quando ne avesse trovato un altro.
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«Urca» commentò Ron alla fine del racconto; stava agitando distrattamente la bacchetta verso il soffitto. «Urca. Andrai sul serio con Silente… a cercare di distruggere… urca».
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«Ron, stai facendo nevicare» osservò Hermione paziente, afferrandogli il polso e spostando la traiettoria della bacchetta via dal soffitto, dal quale in effetti avevano cominciato a cadere grossi fiocchi bianchi. Lavanda Brown, notò Harry, scrutava torva Hermione da un tavolo vicino: aveva gli occhi molto rossi. Hermione lasciò andare subito il braccio di Ron.
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«Ah già» fece Ron, guardandosi le spalle con sorpresa. «Scusa… adesso sembra che abbiamo tutti la forfora…»
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Spazzolò via dalla spalla di Hermione un po’ di finta neve. Lavanda scoppiò a piangere. Ron, con aria immensamente colpevole, le voltò la schiena.
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«Ci siamo lasciati» sussurrò a Harry, a mezza bocca. «Ieri sera. Quando mi ha visto uscire dal dormitorio con Hermione. Ovviamente non ha potuto vedere te, così ha creduto che fossimo solo noi due».
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«Ah» disse Harry. «Be’… non ti importa che sia finita, vero?»
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«No»ammise Ron. «È stato brutto quando ha urlato, ma almeno non ho dovuto piantarla io».
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«Codardo» osservò Hermione, ma era divertita. «Be’, è stata una brutta serata per le storie d’amore, ieri. Anche Ginny e Dean si sono lasciati».
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Sembrò a Harry che Hermione avesse l’aria di chi la sa lunga, ma di sicuro non poteva sapere che le sue viscere stavano ballando la conga: cercando di mantenere il volto impassibile e la voce indifferente, chiese: «Come mai?»
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«Oh, per una cosa stupidissima… Ginny gli ha detto di smetterla di aiutarla a passare per il buco del ritratto, come se lei non fosse capace di camminare da sola… Ma erano secoli che avevano un po’ di problemi».
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Harry lanciò un’occhiata a Dean dall’altra parte della classe. Sembrava molto infelice.
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«Questo ti pone di fronte a un dilemma, vero?» chiese Hermione.
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«Cosa intendi dire?» ribatté Harry in fretta.
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«La squadra di Quidditch» rispose lei. «Se Ginny e Dean non si parlano…»
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«Oh… oh, già»fece Harry.
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«Vitious» li avvertì Ron. Il minuscolo insegnante di Incantesimi avanzava saltellando verso di loro e Hermione era l’unica a essere riuscita a trasformare l’aceto in vino; il suo fiasco di vetro era pieno di liquido bordeaux mentre il contenuto di quelli di Harry e Ron era ancora marrone scuro.
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«Su, su, ragazzi» squittì Vitious in tono di rimprovero. «Un po’ meno chiacchiere e un po’ più di azione… Fatemi vedere che ci provate…»
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Insieme levarono le bacchette, concentrandosi con tutta la loro forza, e le puntarono contro i fiaschi. L’aceto di Harry si trasformò in ghiaccio; il fiasco di Ron esplose.
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«Sì… per compito…» disse il professor Vitious, riaffiorando da sotto il tavolo e togliendosi schegge di vetro dal cappello, «studiate».
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Dopo Incantesimi avevano una delle rare ore buche insieme e tornarono nella sala comune. Ron era decisamente allegro per la fine della stona con Lavanda e anche Hermione sembrava di buonumore, però quando le chiesero perché sorrideva rispose solo: «È una bella giornata». Nessuno dei due si accorse che una feroce battaglia infuriava nella mente di Harry:
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È la sorella di Ron.
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Ma ha mollato Dean!
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È sempre la sorella di Ron.
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Sono il suo migliore amico!
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Questo peggiorerà le cose.
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Se prima gli parlassi…
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Ti picchierebbe.
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E se non m’importasse?
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È il tuo migliore amico!
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Harry quasi non si accorse che avevano attraversato il buco del ritratto ed erano entrati nella sala comune invasa dal sole; notò solo di striscio il gruppetto di ragazzi del settimo anno, finché Hermione esclamò: «Katie! Sei tornata! Stai bene?»
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Harry la fissò: era proprio Katie Bell, del tutto ristabilita, circondata dai suoi amici festanti.
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«Sto benissimo» rispose lei allegramente. «Sono uscita dal San Mungo lunedì, ho passato un paio di giorni a casa con mamma e papà e sono tornata stamattina. Leanne mi stava raccontando di McLaggen e dell’ultima partita, Harry…»
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«Già»disse Harry, «be’, adesso che tu sei tornata e Ron è in forma, avremo una decorosa possibilità di battere Corvonero, quindi potremmo essere ancora in corsa per la Coppa. Senti, Katie…»
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Doveva chiederglielo subito; la curiosità lo distrasse perfino dal pensiero di Ginny, almeno per il momento. Attorno a loro gli amici di Katie, in ritardo per Trasfigurazione, cominciavano a raccogliere le loro cose.
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Harry abbassò la voce: «… la collana… adesso ti ricordi chi te l’ha data?»
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«No». Katie scosse la testa, dispiaciuta. «Me lo chiedono tutti, ma non ne ho proprio idea. L’ultima cosa che ricordo è che sono entrata nel bagno delle donne ai Tre Manici di Scopa».
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«Allora sei davvero entrata in bagno?» chiese Hermione.
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«Be’, so che ho aperto la porta»rispose Katie, «quindi immagino che chiunque mi abbia scagliato la Maledizione Imperius fosse lì dietro. Poi la mia memoria è un deserto fino a due settimane fa al San Mungo. È meglio che vada, la McGranitt è capacissima di darmi una punizione anche se sono tornata oggi…»
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Prese borsa e libri e rincorse i suoi amici. Harry, Ron e Hermione rimasero seduti a un tavolo vicino alla finestra a riflettere.
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«Quindi dev’essere stata una ragazza o una donna a dare a Katie la collana» ragionò Hermione, «se si trovava nel bagno delle donne».
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«O qualcuno che sembrava una ragazza o una donna» precisò Harry. «Non dimenticare che c’era un calderone pieno di Pozione Polisucco a Hogwarts. Sappiamo che in parte è stata rubata…»
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Ebbe la fugace visione di una sfilata di vari Tiger e Goyle, tutti trasformati in ragazze.
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«Credo che berrò un altro sorso di Felix» proseguì, «e ritenterò con la Stanza delle Necessità».
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«Sarebbe uno spreco totale» ribatté Hermione in tono piatto, posando la copia del Sillabario dei Sortilegi che aveva appena preso dalla borsa. «La fortuna può portarti solo fino a un certo punto, Harry. La situazione con Lumacorno era diversa: tu hai sempre avuto la capacità di convincerlo, avevi bisogno solo di ritoccare un po’ le circostanze. Ma la fortuna non basta per superare un incantesimo potente. Non consumare il resto della pozione! Ne avrai bisogno se Silente ti porterà con sé…» sussurrò.
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«Non potremmo farne dell’altra?» chiese Ron a Harry, ignorando Hermione. «Sarebbe grandioso averne una scorta… da’ un’occhiata al libro…»
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Harry prese dalla borsa il suo Pozioni Avanzate e guardò alla voce Felix Felicis.
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«Accidenti, è davvero complicata» rispose, scorrendo con gli occhi la lista degli ingredienti. «E ci vogliono sei mesi… bisogna lasciarla sobbollire…»
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«Ti pareva» ribatté Ron.
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Harry stava per mettere via il libro quando notò una pagina ripiegata sull’angolo; la aprì e vide l’Incantesimo Sectumsempra, con la nota ‘Contro i Nemici’, che aveva segnato qualche settimana prima. Non aveva ancora scoperto che effetti aveva, soprattutto perché non voleva provarla con Hermione nei paraggi, ma stava soppesando l’idea di sperimentarla su McLaggen la prima volta che l’avesse colto di sorpresa.
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La sola persona non particolarmente contenta di rivedere Katie Bell a scuola fu Dean Thomas, che non avrebbe più dovuto sostituirla come Cacciatore. Quando Harry glielo disse accusò il colpo con un certo stoicismo, limitandosi a un’alzata di spalle e a qualche brontolio, ma allontanandosi Harry ebbe la netta sensazione che Dean e Seamus borbottassero astiosamente alle sue spalle.
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Le due settimane successive videro i migliori allenamenti di Quidditch che Harry avesse mai fatto da Capitano. La squadra era così contenta di essersi liberata di McLaggen, così lieta di riavere finalmente Katie, che tutti volavano molto bene.
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Ginny non sembrava affatto turbata per la rottura con Dean; al contrario, era l’anima della squadra. Le sue imitazioni di Ron che ballonzolava su e giù tutto ansioso davanti agli anelli mentre la Pluffa filava verso di lui, o di Harry che urlava ordini a McLaggen prima di finire lungo disteso, tenevano alto il morale. Harry, ridendo con gli altri, fu felice di avere un motivo innocente per guardarla; si era beccato parecchi altri colpi di Bolide durante gli allenamenti perché non teneva gli occhi sul Boccino.
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La battaglia infuriava ancora dentro la sua testa: Ginny o Ron? A volte pensava che al Ron post-Lavanda non sarebbe importato granché se si fosse messo con Ginny; ma poi gli tornava in mente la faccia che Ron aveva fatto quando l’aveva vista baciare Dean, e si convinceva che avrebbe considerato un bieco tradimento anche se Harry l’avesse solo tenuta per mano…
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Eppure Harry non poteva fare a meno di parlare con Ginny, di ridere con lei, di tornare insieme dagli allenamenti; per quanto gli rimordesse la coscienza, si chiedeva come fare per rimanere da solo con lei; l’ideale sarebbe stato se Lumacorno avesse dato un’altra delle sue festicciole, perché Ron non ci sarebbe andato… purtroppo però Lumacorno sembrava aver abbandonato l’idea. Un paio di volte Harry pensò di chiedere aiuto a Hermione, ma sapeva che non avrebbe tollerato quell’arietta compiaciuta che gli pareva di cogliere ogni tanto, quando lei lo sorprendeva a fissare Ginny o a ridere delle sue battute. E come se non bastasse, aveva la fastidiosa sensazione che, se non le avesse chiesto di mettersi con lui, l’avrebbe fatto qualcun altro: Harry e Ron concordavano almeno sul fatto che lei riscuoteva fin troppo successo.
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La tentazione di bere un’altra sorsata di Felix Felicis si rafforzava giorno dopo giorno, perché quello era di sicuro un caso in cui valeva la pena, come diceva Hermione, di ‘ritoccare un po’ le circostanze’. Le giornate fragranti scivolarono dolcemente attraverso maggio; ogni volta che Harry incrociava Ginny, Ron stava sempre fra i piedi. Harry si ritrovò a sperare in un colpo di fortuna perché Ron si convincesse che nulla l’avrebbe potuto rendere più felice dell’amore tra il suo migliore amico e sua sorella, e li lasciasse da soli insieme per più di qualche secondo. Ma non c’era alcuna possibilità dell’una o dell’altra cosa, finché incombeva l’ultima partita della stagione; Ron voleva sempre discutere di tattica con Harry e non pensava ad altro.
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Non era il solo; l’interesse per la partita Grifondoro-Corvonero era alle stelle in tutta la scuola: era decisiva per il campionato, che era ancora aperto. Se Grifondoro avesse battuto Corvonero con un margine di trecento punti (un obiettivo ambizioso, eppure Harry non aveva mai visto la sua squadra volare meglio), avrebbe vinto il campionato. Se avesse vinto con meno di trecento punti, sarebbe stata seconda alle spalle di Corvonero; se avesse perso per cento punti sarebbe stata terza dietro Tassorosso, e se avesse perso per più di cento punti sarebbe finita quarta, e Harry sapeva che nessuno gli avrebbe mai, mai permesso di dimenticare che era stato lui a condurre la squadra all’ultimo posto per la prima volta in due secoli.
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L’attesa della partita decisiva aveva tutte le caratteristiche consuete: studenti di Case rivali che intimidivano le squadre nei corridoi; spiacevoli cori su singoli giocatori ripetuti a gran voce al loro passaggio; membri delle squadre che si pavoneggiavano o che sfrecciavano in bagno a vomitare tra una lezione e l’altra. In un certo senso, per Harry la partita era inestricabilmente legata al successo o al fallimento dei suoi progetti su Ginny: se avessero vinto per più di trecento punti, l’euforia e una bella festa scatenata potevano funzionare quanto un bel sorso di Felix Felicis.
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Nel mezzo di tutte le preoccupazioni, Harry non aveva dimenticato l’altra sua ambizione: scoprire che cosa faceva Malfoy nella Stanza delle Necessità. Continuava a guardare sulla Mappa del Malandrino e, dato che spesso non lo trovava, ne dedusse che trascorreva ancora un sacco di tempo dentro la Stanza. Harry stava perdendo le speranze di entrarvi: ci provava tutte le volte che passava di là, ma per quanto riformulasse la richiesta, la parete restava decisamente priva di porta.
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Qualche giorno prima della partita contro Corvonero, Harry si ritrovò a scendere a cena da solo: Ron era corso in un bagno a vomitare, e Hermione era sfrecciata dalla professoressa Vector per parlarle di un errore che credeva di aver commesso nell’ultimo compito di Aritmanzia. Ormai per abitudine, si ritrovò a deviare per il corridoio del settimo piano, controllando la Mappa del Malandrino: per un attimo non riuscì a vedere Malfoy da nessuna parte, e pensò che fosse ancora nella Stanza delle Necessità. Ma poi scorse il minuscolo punto corrispondente in un bagno dei maschi al piano di sotto, in compagnia non di Tiger o Goyle, ma di Mirtilla Malcontenta.
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Smise di fissare quell’improbabile coppia di nomi solo quando urtò contro un’armatura. Il gran fracasso lo riscosse; allontanandosi in fretta per timore che spuntasse Gazza, sfrecciò giù per la scala di marmo e lungo il corridoio sottostante. Raggiunse il bagno e premette l’orecchio contro la porta: non si sentiva niente. Spinse la porta molto piano.
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Draco Malfoy gli dava le spalle, aggrappato con le mani ai lati del lavandino, la testa quasi bianca china in avanti.
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«No» gemette la voce di Mirtilla Malcontenta da uno dei cubicoli. «No… dimmi che cosa c’è che non va… io posso aiutarti…»
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«Nessuno può aiutarmi» rispose Malfoy. Stava tremando. «Non posso farlo… Non posso… non funzionerà… E se non lo faccio presto… dice che mi ucciderà…»
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Harry rimase come fulminato. Malfoy stava piangendo: le lacrime scorrevano sul volto pallido e dentro il lavandino sudicio. Malfoy singhiozzò e deglutì; poi, con un gran brivido, guardò lo specchio incrinato e vide Harry che lo fissava al di sopra della sua spalla.
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Si voltò di scatto ed estrasse la bacchetta. D’istinto Harry fece lo stesso. La maledizione di Malfoy lo mancò di pochi centimetri, mandando in pezzi la lampada sulla parete accanto a lui; Harry si gettò di lato, pensò Levicorpus! e agitò la bacchetta, ma Malfoy bloccò la fattura e si preparò a scagliarne un’altra…
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«No! No! Basta!» strillò Mirtilla Malcontenta. La sua voce echeggiò forte nella stanza foderata di piastrelle. «Basta! BASTA!»
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Si udì una sonora esplosione e il bidone dietro Harry scoppiò; Harry tentò un Incantesimo delle Pastoie che rimbalzò sulla parete dietro l’orecchio di Malfoy e fracassò la cassetta sotto Mirtilla Malcontenta, che strillò ancora più forte; l’acqua si riversò dappertutto e Harry scivolò in terra, mentre Malfoy, il volto deformato dalla rabbia, urlava: «Cruci…»
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«SECTUMSEMPRA!»gridò Harry dal pavimento, agitando furiosamente la bacchetta.
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Il sangue schizzò dal volto e dal petto di Malfoy come se fosse stato colpito da una spada invisibile. Barcollò all’indietro, lasciò cadere la bacchetta dalla mano afflosciata e piombò sul pavimento allagato sollevando un enorme spruzzo.
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«No…» ansimò Harry, senza fiato.
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Scivolando e barcollando, si rialzò e si lanciò verso Malfoy, che aveva il viso lucido e rosso; le sue mani bianche raspavano il petto zuppo di sangue.
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«No… io non…»
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Harry non sapeva cosa stava dicendo; cadde in ginocchio accanto a Malfoy, che tremava in maniera incontrollabile, in una pozza di sangue.
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Mirtilla Malcontenta levò un urlo assordante: «ASSASSINIO! ASSASSINIO NEL BAGNO! ASSASSINIO!»
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La porta si spalancò dietro Harry, che alzò lo sguardo, terrorizzato: Piton si era precipitato nella stanza, livido in volto. Spinse via Harry, si chinò su Malfoy, estrasse la bacchetta e la passò sopra le profonde ferite provocate dalla maledizione, borbottando un incantesimo che sembrava quasi una canzone. Il flusso di sangue parve rallentare; Piton asciugò quello che restava dal volto di Malfoy e ripeté la formula. Le ferite parvero ricucirsi.
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Harry stava immobile a guardare, orripilato da quanto aveva fatto, senza accorgersi che era a sua volta zuppo di sangue e acqua. Mirtilla Malcontenta continuava a singhiozzare e a ululare, in alto. Quando Piton ebbe praticato la contromaledizione per la terza volta, riuscì a rimettere in piedi Malfoy.
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«Devi andare in infermeria. Può darsi che restino delle cicatrici, ma se prendi subito del dittamo forse riusciamo a evitarlo… vieni…»
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Attraversò il bagno sorreggendo Malfoy, e sulla soglia si voltò per sibilare con furia gelida: «E tu, Potter… tu aspettami qui».
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A Harry non venne in mente di disobbedire nemmeno per un attimo. Si alzò piano, tremando, e guardò il pavimento bagnato. Macchie di sangue galleggiavano come fiori cremisi sulla superficie. Non riuscì neanche a trovare la forza di dire a Mirtilla Malcontenta di star zitta, visto che lei continuava a gemere e singhiozzare con palese e crescente piacere.
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Piton tornò dieci minuti dopo. Entrò nel bagno e chiuse la porta.
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«Via» ordinò a Mirtilla, che volò subito dentro il suo water, lasciandosi alle spalle un silenzio vibrante.
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«Io non volevo» disse subito Harry. La sua voce echeggiò nel freddo spazio allagato. «Non sapevo gli effetti di quell’incantesimo».
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Ma Piton lo ignorò.
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«Evidentemente ti ho sottovalutato, Potter» mormorò. «Chi avrebbe mai pensato che tu conoscessi tale Magia Oscura? Chi ti ha insegnato quell’incantesimo?»
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«Io… l’ho letto da qualche parte».
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«Dove?»
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«Era… un libro della biblioteca» sparò Harry a casaccio. «Non ricordo come s’intito…»
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«Bugiardo» lo interruppe Piton. A Harry si seccò la gola. Sapeva che cosa stava per fare Piton e non era mai riuscito a evitarlo…
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Il bagno parve tremare davanti ai suoi occhi; lottò per bloccare tutti i pensieri ma, per quanto tentasse, il libro del Principe Mezzosangue galleggiò pigro nella sua mente, in primo piano…
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Si ritrovò a fissare gli occhi neri di Piton, in mezzo a quel bagno allagato e distrutto, nella folle speranza che non avesse visto ciò che lui temeva, ma…
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«Portami la tua borsa» sussurrò Piton, «e tutti i tuoi libri di scuola. Tutti. Ora!»
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Inutile discutere. Harry si voltò all’istante e uscì dal bagno, sollevando schizzi d’acqua. Una volta in corridoio, sfrecciò verso la Torre di Grifondoro. Quasi tutti camminavano in senso contrario; lo fissavano a bocca aperta, zuppo d’acqua e di sangue com’era, ma lui continuò a correre e non rispose a nessuna delle loro domande.
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Era stordito; era come se un adorato cucciolo fosse diventato all’improvviso un animale feroce. Ma che cosa aveva in testa il Principe per trascrivere un simile incantesimo nel suo libro? E che cosa sarebbe successo quando Piton l’avesse visto? Avrebbe raccontato a Lumacorno — lo stomaco gli ribollì — come Harry aveva ottenuto quei risultati in Pozioni per tutto l’anno? Avrebbe confiscato o distrutto il libro che gli aveva insegnato tante cose… che era diventato una sorta di guida e di amico? Harry non poteva permetterlo… non poteva…
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«Dove sei…? Perché sei bagnato fradicio…? Quello è sangue?»
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Ron era in cima alle scale, e lo guardava sconvolto.
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«Mi serve il tuo libro»ansimò Harry. «Il tuo libro di Pozioni. Presto… dammelo…»
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«Ma il Principe…?»
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«Ti spiegherò dopo!»
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Ron gli consegnò il suo Pozioni Avanzate. Harry corse avanti e tornò nella sala comune. Li afferrò la borsa di scuola, ignorando gli sguardi stupefatti di molti ragazzi che avevano già finito di cenare, si scaraventò di nuovo attraverso il buco del ritratto e corse lungo il corridoio del settimo piano.
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Scivolò e si fermò vicino all’arazzo dei troll danzanti, chiuse gli occhi e cominciò a camminare.
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Mi serve un posto dove nascondere il mio libro… Mi serve un posto dove nascondere il mio libro… Mi serve un posto dove nascondere il mio libro…
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Tre volte marciò davanti al tratto di parete vuota. Quando aprì gli occhi, eccola, finalmente: la porta della Stanza delle Necessità. Harry l’aprì di furia, si precipitò dentro e la sbatté.
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Rimase senza fiato. Nonostante la fretta, il panico, la paura di ciò che lo aspettava nel bagno, non poté non restare intimidito davanti a quella visione. Si trovava in una stanza grande come una cattedrale: dalle alte finestre piovevano lame di luce su una sorta di città dai muri altissimi, fatta degli oggetti nascosti da generazioni di abitanti di Hogwarts. C’erano strade e vicoli delimitati da pile pericolanti di mobili rotti e danneggiati, messi via forse per occultare le prove di magie maldestre, oppure nascosti da elfi domestici decisi a mantenere alta la dignità del castello. C’erano migliaia e migliaia di libri, banditi o scarabocchiati o rubati. C’erano catapulte alate e Frisbee Zannuti, alcuni ancora abbastanza vitali da svolacchiare sulle montagne di altri oggetti proibiti; c’erano bottiglie sbeccate di pozioni rapprese, cappelli, gioielli, mantelli; c’erano gusci di uova di drago, bottiglie tappate il cui contenuto scintillava ancora malvagio, diverse spade arrugginite e una pesante ascia macchiata di sangue.
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Harry corse in uno dei molti vicoli che serpeggiavano tra tutti quei tesori. Voltò a destra dopo un enorme troll impagliato, percorse qualche metro, girò a sinistra davanti all’Armadio Svanitore in cui Montague si era perso l’anno prima, e infine si fermò davanti a una vasta credenza la cui superficie piena di bolle pareva essere stata danneggiata dall’acido. Aprì una delle ante cigolanti: era già stato usato come nascondiglio per una creatura in gabbia, morta da tempo; il suo scheletro aveva cinque zampe. Harry ficcò il libro del Principe Mezzosangue dietro la gabbia e chiuse l’anta. Si fermò un istante, col cuore che batteva orrendamente, osservando la confusione… sarebbe riuscito a ritrovare quel punto, in mezzo a tutto quel ciarpame? Sollevò il busto sbeccato di un brutto vecchio stregone dalla cima di una botte vuota, lo posò sull’armadio dove il libro era nascosto, mise una vecchia parrucca polverosa e una tiara annerita sulla testa della statua per renderla più riconoscibile, poi sfrecciò a ritroso lungo i vicoli più velocemente possibile, tornò alla porta, uscì e la chiuse. Con un tonfo la porta si nascose di nuovo nella parete.
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Harry corse verso il bagno al piano di sotto, ficcando il Pozioni Avanzate di Ron nella propria borsa. Un minuto dopo era di nuovo davanti a Piton, che tese la mano in silenzio. Harry gli passò la borsa, ansimando, con un dolore lacerante nel petto, e attese.
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Piton estrasse uno per uno i libri di Harry e li esaminò. Infine l’unico rimasto fu quello di Pozioni, che osservò con grande attenzione prima di parlare.
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«Questa è la tua copia di Pozioni Avanzate,Potter?»
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«Sì» rispose Harry, ancora col fiatone.
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«Ne sei sicuro, Potter?»
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«Sì»ripeté Harry, in tono di sfida.
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«Questa è la copia di Pozioni Avanzate che hai comprato al Ghirigoro?»
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«Sì» confermò Harry.
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«E allora perché» chiese Piton, «nella prima pagina c’è scritto il nome ‘Roonil Wazlib’?»
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Il cuore di Harry perse un colpo.
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«È il mio soprannome» disse.
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«Il tuo soprannome» ripeté Piton.
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«Sì… è così che mi chiamano gli amici».
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«Lo so che cos’è un soprannome» ribatté Piton. I freddi occhi neri penetrarono ancora una volta i suoi; Harry cercò di non fissarli. Chiudi la mente… chiudi la mente… Ma non aveva mai imparato a farlo come si deve…
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«Lo sai che cosa penso, Potter?» sussurrò Piton. «Penso che sei un bugiardo e un imbroglione e che meriti una punizione con me tutti i sabati fino alla fine del quadrimestre. Che cosa ne dici, Potter?»
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«Io… io non sono d’accordo, signore» rispose Harry, continuando a rifiutarsi di guardarlo negli occhi.
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«Be’, vedremo come ti sentirai dopo le punizioni» proseguì Piton. «Sabato mattina alle dieci, Potter. Nel mio ufficio».
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«Ma signore…» balbettò Harry, guardandolo disperato. «Il Quidditch… l’ultima partita della…»
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«Alle dieci» sussurrò Piton, con un sorriso che gli scoprì i denti gialli. «Povero Grifondoro… quest’anno finirà al quarto posto, temo…»
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E uscì dal bagno. Harry fissò lo specchio rotto, più nauseato, ne era certo, di quanto Ron si fosse mai sentito in tutta la sua vita.
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«Non dirò ‘te l’avevo detto’» commentò Hermione un’ora più tardi, in sala comune.
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«Piantala, Hermione» sbottò Ron, arrabbiato.
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Harry non era sceso per cena; non aveva fame per niente. Aveva appena finito di raccontare a Ron, Hermione e Ginny quello che era successo, anche se pareva che non ce ne fosse un gran bisogno. La notizia era circolata molto in fretta: evidentemente Mirtilla Malcontenta si era presa la briga di sbucare in tutti i bagni del castello a raccontare l’accaduto; Pansy Parkinson era già andata a trovare Malfoy in infermeria, e non aveva perso tempo a diffamare Harry in lungo e in largo, e Piton aveva raccontato ai colleghi l’accaduto con dovizia di particolari; Harry era già stato chiamato fuori dalla sala comune per patire quindici minuti assolutamente spiacevoli in compagnia della professoressa McGranitt, secondo la quale era fortunato a non essere stato espulso e che approvava incondizionatamente la punizione di Piton, tutti i sabati fino alla fine del quadrimestre.
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«Te l’avevo detto che c’era qualcosa di sbagliato in quel Principe»ricominciò Hermione, incapace di trattenersi. «E avevo ragione, no?»
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«No, non credo» rispose Harry, ostinato.
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La situazione era già abbastanza brutta senza la predica di Hermione; le facce dei compagni di squadra erano state il peggiore castigo. Sentiva addosso lo sguardo di Ginny, ma non lo incrociò; non voleva leggervi delusione o rabbia. Le aveva appena annunciato che sabato avrebbe giocato da Cercatrice e Dean sarebbe rientrato come Cacciatore al suo posto. Forse, se avessero vinto, Ginny e Dean avrebbero fatto la pace nell’euforia del dopopartita… il pensiero trafisse Harry come un pugnale gelato…
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«Harry» proseguì Hermione, «come fai a difendere ancora quel libro quando quell’incantesimo…»
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«Vuoi smetterla con quel libro?» sbottò Harry. «Il Principe l’ha solo copiato! Non ha consigliato a nessuno di usarlo! Per quello che ne sappiamo, può aver preso un appunto su qualcosa che è stato usato contro di lui!»
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«Non ci credo» riattaccò Hermione. «Stai difendendo…»
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«Non sto difendendo quello che ho fatto!» la interruppe Harry. «Vorrei che non fosse mai successo, e non solo perché ho una decina di punizioni. Lo sai che non avrei usato un incantesimo del genere, nemmeno contro Malfoy, ma non puoi dar la colpa al Principe, lui non ha scritto ‘Provalo, è ottimo’… Prendeva solo appunti per sé, no? Non per qualcun altro…»
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«Mi stai dicendo» chiese Hermione, «che tornerai…?»
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«A prendermi il libro? Certo» affermò Harry con decisione. «Sentì, senza il Principe non avrei mai vinto la Felix Felicis. Non avrei mai saputo come salvare Ron dall’avvelenamento, non avrei mai…»
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«… ottenuto una fama di abile pozionista che non meriti» concluse Hermione, perfida.
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«Piantala, Hermione!» intervenne Ginny, e Harry fu così stupito, così grato che alzò lo sguardo. «A quanto pare Malfoy stava cercando di usare una Maledizione Senza Perdono: dovresti essere contenta che Harry avesse una buona contromossa!»
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«Be’, naturalmente sono felice che Harry non sia stato maledetto!» ribatté Hermione, chiaramente colpita. «Ma non puoi definire buono l’Incantesimo Sectumsempra, Ginny, guarda che cosa è successo! E avrei pensato che, visto quel che ha fatto alle vostre possibilità di vittoria…»
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«Oh, non far finta di capire il Quidditch» sbottò Ginny, «farai solo una figuraccia».
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Harry e Ron rimasero esterrefatti: Hermione e Ginny, che erano sempre andate molto d’accordo, erano sedute a braccia incrociate e guardavano torve in direzioni opposte. Ron scrutò nervosamente Harry, poi aprì un libro a casaccio e vi si nascose dietro. Harry, però, pur sapendo quanto poco se lo meritava, si sentì tutto d’un tratto incredibilmente allegro, anche se nessuno di loro disse più una parola per il resto della serata.
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Il suo buonumore non durò a lungo. Il giorno dopo dovette sopportare le frecciate dei Serpeverde, per non parlare della rabbia dei Grifondoro, inviperiti che il loro Capitano si fosse fatto bandire dalla partita decisiva della stagione. Ora di sabato mattina, anche se non l’avrebbe mai ammesso con Hermione, Harry avrebbe scambiato con gioia tutta la Felix Felicis del mondo per poter scendere in campo con Ron, Ginny e gli altri. Fu quasi insopportabile allontanarsi dalla massa di studenti che sciamavano fuori nel sole, carichi di coccarde, cappelli, stendardi e sciarpe, e scendere invece gli scalini che portavano ai sotterranei finché i rumori della folla furono cancellati, sapendo che non sarebbe riuscito a sentire né una parola della cronaca né un grido di esultanza o di disperazione.
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«Ah, Potter» lo accolse Piton, quando Harry ebbe bussato alla sua porta e fu entrato nell’ufficio sgradevolmente familiare che il professore, nonostante ormai insegnasse parecchi piani più su, non aveva abbandonato: era illuminato fiocamente come sempre e i soliti viscidi oggetti morti erano sospesi in pozioni colorate lungo le pareti. Molte scatole coperte di ragnatele erano minacciosamente accatastate sul tavolo destinato a Harry; emanavano un alone di lavoro noioso, duro e inutile.
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«Il signor Gazza cercava qualcuno che riordinasse questi vecchi archivi» continuò Piton, soave. «Sono i registri di altri malfattori di Hogwarts e delle loro punizioni. Dove l’inchiostro è sbiadito, o le schede sono state danneggiate dai topi, vorremmo che ricopiassi i misfatti e le punizioni e, assicurandoti che siano in ordine alfabetico, rimettessi le schede nei contenitori. Non devi usare la magia».
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«Certamente, professore» rispose Harry, con tutto il disprezzo che riuscì a infondere nelle ultime quattro sillabe.
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«Pensavo che potresti cominciare» proseguì Piton con un sorriso malvagio, «con le scatole da milledodici a millecinquantasei. Vi troverai dei nomi familiari, che dovrebbero accrescere in te l’interesse per il compito che ti aspetta. Ecco, vedi…»
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Estrasse con gesto teatrale una scheda da una delle scatole in cima e lesse: «James Potter e Sirius Black. Sorpresi a usare una fattura illegale contro Bertram Aubrey. Testa di Aubrey raddoppiata. Doppia punizione». Piton sorrise beffardo. «Dev’essere di grande conforto sapere che anche se sono morti resta una testimonianza delle loro gloriose imprese…»
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Harry provò la familiare sensazione di bollore in fondo allo stomaco. Si morse la lingua per non rispondere, sedette davanti alle scatole e ne prese una.
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Era, come Harry aveva previsto, un lavoro inutile e noioso, inframmezzato (evidentemente secondo i desideri di Piton) da una morsa allo stomaco ogni volta che leggeva il nome di suo padre o quello di Sirius, di solito in coppia in varie malefatte minori, qualche volta accompagnati da Remus Lupin e Peter Minus. E mentre ricopiava tutti i vari crimini e le punizioni, si chiedeva che cosa stava succedendo là fuori: la partita doveva essere appena cominciata… Ginny giocava da Cercatrice contro Cho…
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Harry continuava a guardare il grande orologio che ticchettava appeso alla parete. Sembrava che avanzasse a velocità dimezzata; forse Piton l’aveva stregato? Non era possibile che fosse lì solo da mezz’ora… un’ora… un’ora e mezzo…
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Lo stomaco di Harry cominciò a borbottare quando l’orologio segnò le dodici e mezzo. Piton, che non aveva aperto bocca dopo avergli affidato il compito, all’una e dieci finalmente alzò lo sguardo.
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«Credo che basti» annunciò, gelido. «Metti un segno dove sei arrivato. Continuerai alle dieci di sabato prossimo».
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«Sì, signore».
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Harry infilò a caso nella scatola una scheda piegata e corse fuori dalla porta prima che Piton cambiasse idea. Salì a rotta di collo i gradini di pietra, tendendo le orecchie per sentire qualche rumore dal campo, ma tutto taceva… Allora era già finita…
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Esitò fuori dalla Sala Grande affollata, poi corse su per la scalinata di marmo; che Grifondoro avesse vinto o perso, la squadra di solito festeggiava o si leccava le ferite in sala comune.
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«Quid agis?» fece incerto alla Signora Grassa, chiedendosi che cos’avrebbe trovato dentro.
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«Lo vedrai» rispose lei con espressione indecifrabile.
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E scattò in avanti.
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Un ruggito di gioia si levò dal buco alle sue spalle. Harry rimase a bocca aperta: parecchie mani lo trascinarono dentro la stanza.
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«Abbiamo vinto!» gridò Ron, balzandogli davanti e brandendo la coppa d’argento. «Abbiamo vinto! Quattrocentocinquanta a centoquaranta! Abbiamo vinto!»
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Harry si guardò intorno; c’era Ginny che gli correva incontro: aveva un’espressione dura, splendente, e lo abbracciò. E senza riflettere, senza averlo premeditato, senza preoccuparsi del fatto che cinquanta persone li stavano guardando, Harry la baciò.
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Dopo parecchi lunghi istanti… o forse mezz’ora… o forse parecchi giorni di sole… si separarono. Nella stanza era calato il silenzio. Poi partì una serie di fischi d’ammirazione e ci fu un’esplosione di risatine nervose. Harry guardò sopra la testa di Ginny e vide Dean Thomas che teneva in mano un bicchiere infranto e Romilda Vane che sembrava pronta a scagliare qualcosa. Hermione era raggiante, ma lo sguardo di Harry cercò Ron. Alla fine lo trovò, ancora aggrappato alla coppa, e con l’espressione di chi ha appena preso una bastonata in testa. Per una frazione di secondo si guardarono, poi Ron fece un piccolo cenno col capo che Harry interpretò come un ‘Be’… se proprio devi’.
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Mentre la creatura nel petto ruggiva trionfante, Harry rivolse un gran sorriso a Ginny e fece cenno senza parlare al buco del ritratto. Una lunga passeggiata nel parco sembrava appropriata, durante la quale — se ne avessero avuto il tempo — avrebbero anche potuto discutere della partita.
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