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Harry Potter e i Doni della Morte (6958 citazioni)
   1) L’ascesa del Signore Oscuro (113 citazioni)
   2) In memoriam (70 citazioni)
   3) La partenza dei Dursley (126 citazioni)
   4) I sette Potter (179 citazioni)
   5) Il Guerriero caduto (255 citazioni)
   6) Il demone in pigiama (231 citazioni)
   7) Il testamento i Albus Silente (272 citazioni)
   8) Il matrimonio (213 citazioni)
   9) Un nascondiglio (151 citazioni)
   10) Il racconto di Kreacher (197 citazioni)
   11) La mazzetta (211 citazioni)
   12) La Magia è Potere (220 citazioni)
   13) La Commissione per il Censimento dei nati babbani (184 citazioni)
   14) Il ladro (141 citazioni)
   15) La vendetta del folletto (285 citazioni)
   16) Godric’s Hollow (138 citazioni)
   17) Il Segreto di Bathilda (212 citazioni)
   18) Vita e Menzogne di Albus Silente (82 citazioni)
   19) La cerva d’argento (227 citazioni)
   20) Xenophilius Lovegood (152 citazioni)
   21) La storia dei tre fratelli (182 citazioni)
   22) I Doni della Morte (186 citazioni)
   23) Villa Malfoy (351 citazioni)
   24) Il fabbricante di bacchette (257 citazioni)
   25) Villa Conchiglia (160 citazioni)
   26) La Gringott (188 citazioni)
   27) Il nascondiglio finale (73 citazioni)
   28) Lo specchio mancante (146 citazioni)
   29) Il diadema perduto (169 citazioni)
   30) Il congedo di Severus Piton (197 citazioni)
   31) La battaglia di Hogwarts (288 citazioni)
   32) La bacchetta di Sambuco (182 citazioni)
   33) La storia del Principe (345 citazioni)
   34) Ancora la foresta (119 citazioni)
   35) King’s Cross (170 citazioni)
   36) La falla nel piano (286 citazioni)
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Il fabbricante di bacchette


   Fu come sprofondare in un vecchio incubo; per un attimo si ritrovò inginocchiato accanto al corpo di Silente ai piedi della torre più alta di Hogwarts, ma in realtà stava fissando un corpo minuscolo rannicchiato sull'erba, trafitto dal pugnale d'argento di Bellatrix. Harry continuava a ripetere «Dobby... Dobby...» pur sapendo che l'elfo era in un luogo da cui non poteva essere richiamato.
   Dopo qualche minuto si rese conto che erano arrivati nel posto giusto, perché Bill e Fleur, Dean e Luna erano raccolti attorno a lui.
   «Hermione» disse all'improvviso. «Dov'È?»
   «Ron l'ha portata dentro» rispose Bill. «Guarirà».
   Harry guardò di nuovo Dobby. Sfilò la lama appuntita dal corpo dell'elfo, poi si tolse il giaccone e lo coprì.
   Sentì il mare che si frangeva sulle rocce lì vicino, mentre gli altri parlavano, discutendo argomenti che non lo interessavano, prendendo decisioni. Dean portò in casa Unci-unci ferito, Fleur corse con loro; Bill stava suggerendo dove seppellire l'elfo. Harry disse di sì senza badarci. Guardò il piccolo corpo e la cicatrice pizzicò e bruciò, e in una parte della sua mente, visto come dal lato sbagliato di un lungo telescopio, Voldemort stava punendo coloro che erano rimasti a Villa Malfoy. La sua rabbia era terribile, eppure il dolore di Harry per Dobby parve attenuarla, come fosse una tempesta lontana, all'orizzonte di un vasto oceano silenzioso.
   «Voglio farlo come si deve» furono le prime parole che si rese conto di pronunciare. «Non con la magia. Hai una vanga?»
   E poco dopo si mise al lavoro da solo, per scavare la tomba dove gli aveva mostrato Bill, in fondo al giardino, tra i cespugli. Scavava con una
    sorta di furia, godendo del lavoro manuale, crogiolandosi nella sua nonmagia, perche ogni goccia di sudore e ogni vescica erano un tributo all'elfo che aveva salvato le loro vite.
   La cicatrice bruciava, ma lui dominava il dolore; lo provava, ma ne era distaccato. Aveva finalmente imparato a controllarlo, a chiudere la mente a Voldemort, proprio come Silente aveva voluto che apprendesse da Piton. Voldemort non era riuscito a possedere Harry quando era divorato dal dolore per Sirius, e adesso i suoi pensieri non potevano penetrarlo mentre piangeva Dobby. Il dolore, sembrava, scacciava Voldemort... anche se Silente avrebbe detto che era l'amore...
   Harry continuò a scavare, sempre più a fondo nella terra fredda e dura, avvolgendo la sofferenza nel sudore, negando il male alla fronte. Nel buio, null'altro che il suono del proprio respiro e il mare impetuoso a tenergli compagnia, gli tornò in mente cos'era accaduto a Villa Malfoy, cos'aveva sentito, e la comprensione sbocciò nell'oscurità.
   Il ritmo regolare delle braccia scandiva il tempo dei pensieri. I Doni... gli Horcrux... eppure non ardeva più di quello strano desiderio ossessivo. La perdita e la paura l'avevano spento: era come se fosse stato risvegliato da un ceffone.
   Sprofondò sempre di più nella tomba e capì dov'era stato Voldemort e chi aveva ucciso nella cella più alta di Nurmengard e perché...
   Pensò a Codaliscia, morto a causa di un solo minimo, istintivo moto di pietà... Silente l'aveva previsto... di quante altre cose era già a conoscenza?
   Harry perse la nozione del tempo. Sapeva solo che il buio si era un po' schiarito quando Ron e Dean si unirono a lui.
   «Come sta Hermione?»
   «Meglio» rispose Ron. «Fleur si sta occupando di lei».
   Se gli avessero chiesto perché non aveva semplicemente creato una tomba a regola d'arte con la bacchetta, Harry avrebbe avuto la risposta pronta, ma non ne ebbe bisogno. I due saltarono nella buca, armati di pale, e insieme lavorarono in silenzio finché lo scavo fu abbastanza profondo.
   Harry avvolse l'elfo più stretto nel suo giaccone. Ron si sedette sul bordo della tomba e si tolse calze e scarpe, che infilò sui piedi nudi di Dobby. Dean offrì un berretto di lana, che Harry gli calzò con cautela sulla testa, coprendogli le orecchie da pipistrello.
   «Gli dovremmo chiudere gli occhi».
   Harry non aveva sentito gli altri avvicinarsi nel buio. Bill indossava un mantello da viaggio; Fleur un grembiulone bianco, dalla tasca del quale
    spuntava una bottiglia che Harry riconobbe come Ossofast. Hermione, pallida e incerta sulle gambe, era avvolta in una vestaglia che le avevano prestato; Ron le passò un braccio attorno alle spalle quando lei lo raggiunse. Luna, infagottata in un cappotto di Fleur, si accovacciò e posò con dolcezza le dita sulle palpebre dell'elfo, facendole scivolare sul suo sguardo vitreo.
   «Ecco» mormorò. «Ora è come se dormisse».
   Harry appoggiò l'elfo nella tomba, dispose le minuscole membra in modo che sembrasse riposare, poi risalì e guardò per l'ultima volta il piccolo corpo. Si sforzò di non crollare al ricordo del funerale di Silente, le file e file di sedie d'oro e il Ministro della Magia davanti a tutti, la litania dei successi di Silente, la maestosità della tomba di marmo bianco. Sentiva che Dobby meritava un funerale altrettanto grandioso, e invece giaceva lì in una rozza buca tra i cespugli.
   «Credo che dovremmo dire qualcosa» intervenne Luna. «Comincio io, va bene?»
   Mentre tutti la guardavano, si rivolse all'elfo morto in fondo alla tomba.
   «Grazie infinite, Dobby, per avermi salvato da quel sotterraneo. è ingiusto che tu sia morto, eri tanto buono e coraggioso. Ricorderò sempre ciò che hai fatto per noi. Spero che ora tu sia felice».
   Si voltò e guardò trepidante Ron, che si schiarì la gola e disse con voce roca: «Sì... grazie, Dobby».
   «Grazie» borbottò Dean.
   Harry deglutì.
   «Addio, Dobby». Non riuscì ad aggiungere altro, ma Luna aveva già detto tutto. Bill alzò la bacchetta e la pila di terra accanto alla tomba si levò e ricadde con precisione nello scavo, un piccolo cumulo rossastro.
   «Vi spiace se resto qui un momento?» chiese Harry agli altri.
   Mormorarono parole che non comprese; sentì pacche affettuose sulla schiena e poi tornarono tutti verso la villa, lasciandolo solo accanto all'elfo.
   Si guardò intorno: c'erano delle grosse pietre bianche, levigate dal mare, a segnare il bordo delle aiuole. Ne prese una delle più grandi, s'inginocchiò e la depose, come un cuscino sulla terra, in corrispondenza della testa di Dobby. Poi si frugò la tasca in cerca della bacchetta.
   Ne aveva due. Se n'era dimenticato, e adesso non ricordava di chi fossero; gli pareva di averle strappate dalla mano di qualcuno. Scelse la più corta, che gli parve più comoda in mano, e la puntò verso la pietra.
    Lentamente, seguendo le istruzioni che mormorava, apparvero incisioni profonde sulla superficie della pietra. Sapeva che Hermione l'avrebbe fatto meglio e forse più in fretta, ma voleva segnare quel punto così come aveva voluto scavare la tomba. Quando si rialzò, la pietra recitava:
   Qui giace Dobby, un Elfo Libero.
   Guardò la sua opera per qualche istante, poi si allontanò, la cicatrice che pizzicava, la mente occupata dalle rivelazioni che gli erano giunte mentre scavava, idee che avevano preso forma nel buio, a un tempo affascinanti e terribili.
   Quando entrò nel piccolo ingresso, li vide tutti seduti in salotto, ad ascoltare Bill. La stanza era graziosa, chiara, con un piccolo fuoco di legna portata a riva dal mare che scoppiettava nel camino. Harry non voleva infangare il tappeto, quindi rimase sulla soglia ad ascoltare.
   «... per fortuna Ginny è in vacanza. Se fosse stata a Hogwarts, sarebbero riusciti a portarla via prima che la raggiungessimo. Ora sappiamo che anche lei è al sicuro».
   Bill si guardò intorno e scorse Harry.
   «Li ho portati via tutti dalla Tana» spiegò. «Li ho trasferiti da zia Muriel. I Mangiamorte adesso sanno che Ron è con te, quindi prenderanno di mira la famiglia... non scusarti» lo anticipò vedendo la sua espressione. «Era solo questione di tempo, papà lo diceva da mesi. Siamo la più grande famiglia di traditori del sangue che esista».
   «Come sono protetti?» chiese Harry.
   «Con un Incanto Fidelius. Papà è il Custode Segreto. L'abbiamo posto anche su questa casa; qui il Custode Segreto sono io. Nessuno di noi può andare al lavoro, ma al momento non è la cosa più grave. Quando Olivander e Unci-unci si saranno ristabiliti, trasferiremo anche loro da Muriel. Qui non c'È molto posto, ma da lei sì. Le gambe di Unci-unci stanno guarendo, Fleur gli ha dato l'Ossofast: probabilmente li potremo trasferire fra un'ora o...»
   «No» lo interruppe Harry, e Ron lo guardò allarmato. «Mi servono tutti e due qui. Devo parlare con loro. è importante».
   Sentì l'autorità nella propria voce, la convinzione, il senso di decisione che avevano preso possesso di lui quando scavava la tomba di Dobby. Lo stavano fissando tutti, perplessi.
   «Vado a lavarmi» disse a Bill, guardandosi le mani ancora coperte di
    fango e del sangue di Dobby. «Poi devo vederli subito».
   Entrò in cucina e si avvicinò al lavandino, sotto una piccola finestra affacciata sul mare. L'alba colorava l'orizzonte, rosa conchiglia e oro chiaro, mentre lui si sciacquava e seguiva il corso dei pensieri che gli erano venuti alla mente nel giardino buio...
   Dobby non avrebbe più potuto dire loro chi l'aveva mandato nel sotterraneo, ma Harry sapeva che cosa aveva visto. Un penetrante occhio azzurro l'aveva guardato dal frammento di specchio e l'aiuto era arrivato. 'A Hogwarts chi chiede aiuto lo trova sempre'. Si asciugò le mani, indifferente alla bellezza della scena fuori dalla finestra e al mormorio degli altri in salotto. Guardò l'oceano e, in quell'alba, si sentì più vicino di quanto non fosse mai stato al cuore di tutto quanto.
   La cicatrice bruciava ancora, e seppe che anche Voldemort era vicino alla soluzione. Harry capiva e non capiva. L'istinto gli diceva una cosa, il cervello un'altra. Il Silente nella testa di Harry sorrideva, contemplandolo sopra le dita unite come in preghiera.
   Hai dato a Ron il Deluminatore. L'avevi capito... gli hai dato un modo per tornare...
   E avevi capito anche Codaliscia... sapevi che c'era un briciolo di rimpianto da qualche parte dentro di lui...
   E se conoscevi loro... cosa sapevi di me, Silente?
   Il mio destino è sapere, ma non cercare? Sapevi quanto mi sarebbe stato difficile? è per questo che l'hai reso così complicato? In modo che avessi il tempo di capirlo?
   Harry rimase immobile, lo sguardo vitreo, a fissare il punto in cui il contorno oro vivo del sole accecante sorgeva dall'orizzonte. Poi si guardò le mani pulite e si stupì nel vedere che reggevano uno strofinaccio. Lo posò e tornò nell'ingresso, dove avvertì la cicatrice pulsare rabbiosa; rapido come il riflesso di una libellula sull'acqua, nella sua mente balenò il profilo di un edificio che conosceva molto bene.
   Bill e Fleur erano ai piedi delle scale.
   «Devo parlare con Unci-unci e Olivander» disse Harry.
   «No» rispose Fleur. «Dovrai aspettare, Arrì. Sono tutti e due malati, stonchi...»
   «Mi spiace» insisté lui, senza fervore, «ma non posso aspettare. Ho bisogno di parlare con loro adesso. In privato... e uno alla volta. è urgente». «Harry, cosa diavolo succede?» domandò Bill. «Arrivi qui con un elfo domestico morto e un folletto privo di sensi, Hermione sembra essere stata
    torturata e Ron si rifiuta di dirmi qualsiasi cosa...»
   «Non possiamo dirti cosa stiamo facendo» spiegò Harry con calma. «Fai parte dell'Ordine, Bill, sai che Silente ci ha lasciato una missione. Non ne possiamo parlare con nessun altro».
   Fleur sbuffò d'impazienza, ma Bill non la guardò; stava fissando Harry. Il suo volto solcato da profonde cicatrici era indecifrabile. Infine rispose: «Va bene. Con chi vuoi parlare per primo?»
   Harry esitò. Sapeva che cosa dipendeva dalla sua decisione. Non c'era tempo da perdere, era il momento di scegliere: Horcrux o Doni?
   «Con Unci-unci» rispose. «Parlerò prima con Unci-unci».
   Il cuore gli batteva forte, come se avesse fatto una corsa e superato un enorme ostacolo.
   «Su di qui, allora». Bill gli fece strada.
   Harry era già salito di alcuni gradini quando si fermò e si voltò.
   «Ho bisogno anche di voi due!» gridò a Ron e Hermione, seminascosti sulla soglia del salotto.
   Si spostarono tutti e due alla luce, curiosamente sollevati.
   «Come ti senti?» chiese a Hermione. «Sei stata straordinaria... a inventarti quella storia mentre ti torturava...»
   Hermione abbozzò un sorrisetto e Ron la strinse a sé.
   «Adesso che cosa facciamo, Harry?»
   «Vedrete. Andiamo».
   Harry, Ron e Hermione seguirono Bill su per le strette scale fino a un piccolo pianerottolo dove si affacciavano tre porte.
   «Qui dentro» fece Bill, aprendo la porta della camera sua e di Fleur. Anche quella guardava sul mare, macchiato d'oro al sorgere del sole. Harry andò alla finestra, voltò le spalle alla vista spettacolare e attese, le braccia incrociate, la cicatrice in fiamme. Hermione prese la sedia vicino al tavolino da toeletta; Ron si sedette sul bracciolo.
   Bill riapparve, portando in braccio il piccolo folletto, che posò cautamente sul materasso. Unci-unci grugnì un grazie e Bill uscì chiudendo la porta.
   «Mi dispiace di averti fatto alzare» cominciò Harry. «Come vanno le gambe?»
   «Fanno male» rispose il folletto. «Ma si stanno aggiustando».
   Reggeva ancora la spada di Grifondoro e aveva una strana espressione, metà aggressiva metà interessata. Harry osservò la pelle giallastra, le dita affusolate, gli occhi neri. Fleur gli aveva tolto le scarpe: i lunghi piedi era no sporchi. Era più grande di un elfo domestico, ma non di molto. La sua testa a cupola era molto più grossa di quella di un uomo.
   «Probabilmente non ricordi...» cominciò Harry.
   «... che sono stato io a mostrarti la tua camera blindata la prima volta che sei venuto alla Gringott?» finì la frase Unci-unci. «Mi ricordo, Harry Potter. Anche tra i folletti, sei molto famoso».
   Harry e il folletto si guardarono, misurandosi. La cicatrice bruciava ancora. Harry voleva concludere in fretta la conversazione con Unci-unci, ma allo stesso tempo aveva paura di fare una mossa falsa. Stava cercando il modo migliore di formulare la sua richiesta, quando il folletto parlò.
   «Hai seppellito l'elfo» osservò, con un tono sorprendentemente astioso. «Ti ho guardato dalla finestra della camera qui accanto».
   «Sì» replicò Harry.
   Unci-unci lo guardò dagli angoli dei suoi occhi neri a mandorla.
   «Sei uno strano mago, Harry Potter».
   «In che senso?» chiese Harry, stropicciandosi distrattamente la cicatrice. «Hai scavato la tomba».
   «E allora?»
   Unci-unci non rispose. Harry pensò che lo stesse canzonando perché si era comportato come un Babbano, ma non gl'importava che il folletto approvasse la faccenda della tomba di Dobby. Si preparò per il suo attacco.
   «Unci-unci, devo chiederti...»
   «Hai anche salvato un folletto».
   «Cosa?»
   «Mi hai portato qui. Mi hai salvato».
   «Be', spero che non ti dispiaccia» ribatté Harry, un po' impaziente.
   «No, Harry Potter» rispose Unci-unci, tormentandosi la barbetta nera con un dito, «ma sei un mago molto strano».
   «Va bene» tagliò corto Harry. «Be', ho bisogno di aiuto, Unci-unci, e tu puoi darmelo».
   Il folletto non fece cenni di incoraggiamento, ma continuò a scrutare
   Harry torvo, come se non avesse mai visto nulla di simile.
   «Devo penetrare in una camera blindata della Gringott».
   Harry non aveva intenzione di dirlo in modo così diretto; le parole gli uscirono a forza mentre il dolore gli incendiava la cicatrice e vedeva di nuovo il profilo di Hogwarts. Chiuse la mente, deciso. Prima doveva trattare con Unci-unci. Ron e Hermione lo fissavano come se fosse impazzito.
   «Harry...» cominciò Hermione, ma Unci-unci la interruppe.
    «Penetrare in una camera blindata della Gringott?» ripeté, mentre cambiava posizione con una smorfia di dolore. «È impossibile».
   «Non è vero» lo contraddisse Ron. «È successo».
   «Sì» confermò Harry. «Lo stesso giorno che ti ho conosciuto, Unci-unci. Il giorno del mio compleanno, sette anni fa».
   «La camera blindata in questione a quell'epoca era vuota» ribatté il folletto, e Harry capì che, anche se aveva lasciato la Gringott, era offeso dall'idea che qualcuno avesse superato le sue difese. «La protezione era minima».
   «Be', quella in cui abbiamo bisogno di entrare non è vuota, e suppongo che la protezione sia molto potente» continuò Harry. «Appartiene ai Lestrange».
   Vide Hermione e Ron guardarsi esterrefatti, ma ci sarebbe stato tempo per le spiegazioni dopo la risposta di Unci-unci.
   «Non avete alcuna possibilità» dichiarò il folletto in tono piatto. «Nessuna. 'Quindi se cerchi nel sotterraneo / Un tesoro che ti è estraneo...'»
   «'... ladro avvisato mezzo salvato'. Sì, lo so, mi ricordo. Ma io non sto cercando di rubare tesori, non ho intenzione di prendere nulla per mio interesse personale. Mi credi?»
   Il folletto osservò Harry; la cicatrice bruciava, ma lui la ignorò, rifiutandosi di accettare il suo dolore o il suo invito.
   «Se c'È un mago di cui posso credere che non è interessato al proprio tornaconto» rispose infine Unci-unci, «quello sei tu, Harry Potter. Folletti ed elfi non sono abituati alla protezione e al rispetto che hai mostrato questa notte. Non da parte dei portatori di bacchette».
   «Portatori di bacchette» ripeté Harry: l'espressione gli suonò curiosa, e intanto la cicatrice bruciava, Voldemort volgeva i suoi pensieri verso nord e Harry non vedeva l'ora di interrogare Olivander, nella stanza accanto.
   «Il diritto di portare una bacchetta» mormorò Unci-unci «È stato a lungo conteso tra maghi e folletti».
   «Be', i folletti possono fare magie senza bacchetta» osservò Ron.
   «È irrilevante! I maghi si rifiutano di condividere i segreti dell'arte delle bacchette con altre creature magiche, ci negano la possibilità di estendere i nostri poteri!»
   «Nemmeno i folletti vogliono condividere la loro magia» ribatté Ron. «Non ci volete dire come si fabbricano le spade e le armature alla vostra maniera. I folletti sanno lavorare il metallo in un modo che i maghi non hanno mai...»
    «Non importa» intervenne Harry, notando il rossore crescente di Unciunci. «Non stiamo parlando di maghi contro folletti o qualunque altra creatura magica...»
   Unci-unci sbottò in una risata cattiva.
   «Oh, sì, è proprio di questo che stiamo parlando! Il Signore Oscuro diventa sempre più potente e la vostra razza s'impone sempre di più sulla mia! La Gringott ricade sotto la legge magica, gli elfi domestici vengono assassinati, e chi protesta tra i portatori di bacchette?»
   «Noi!» rispose Hermione. Raddrizzò la schiena, gli occhi ardenti. «Noi protestiamo! E io sono perseguitata quanto un folletto o un elfo, Unciunci! Io sono una sporca Mezzosangue!»
   «Non dire...» borbottò Ron.
   «Perché non dovrei?» ribatté Hermione. «Sporca Mezzosangue e fiera di esserlo! Con questo nuovo governo non mi trovo in una posizione migliore della tua, Unci-unci! è me che hanno scelto di torturare, dai Malfoy!»
   Scostò il colletto della vestaglia per mostrare il taglio sottile inciso da Bellatrix, scarlatto sulla sua gola.
   «Lo sapevi che è stato Harry a liberare Dobby?» chiese. «Lo sapevi che sono anni che lottiamo per la liberazione degli elfi?» Ron si agitò sul bracciolo. «Non puoi desiderare la sconfitta di Tu-Sai-Chi più di quanto la desideriamo noi, Unci-unci!»
   Il folletto fissò Hermione con la stessa curiosità che aveva manifestato nei confronti di Harry.
   «Cosa cercate nella camera blindata dei Lestrange?» chiese all'improvviso. «La spada che c'È là dentro è una copia. Questa è quella vera». Li guardò uno dopo l'altro. «Credo che tu lo sappia già. Mi hai chiesto di mentire per te, laggiù».
   «Ma nella camera blindata non c'È solo la spada falsa, vero?» chiese Harry. «Forse tu hai visto le altre cose che ci sono là dentro».
   Il cuore gli batteva fortissimo. Raddoppiò gli sforzi per ignorare il pulsare della cicatrice.
   Il folletto arricciò di nuovo la barbetta con il dito.
   «È contro la nostra legge parlare dei segreti della Gringott. Noi siamo i custodi di favolosi tesori. Abbiamo degli obblighi verso gli oggetti che ci sono stati affidati e che furono, spesso, modellati dalle nostre stesse mani».
   Il folletto accarezzò la spada e i suoi occhi neri vagarono da Harry a Hermione a Ron per tornare su Harry.
   «Così giovane» commentò infine, «per lottare contro tanti».
    «Ci aiuterai?» gli chiese Harry. «Non abbiamo speranza di entrare senza l'aiuto di un folletto. Sei la nostra unica possibilità».
   «Io... ci penserò» fu l'esasperante risposta di Unci-unci.
   «Ma...» cominciò Ron adirato; Hermione gli diede un colpetto nelle costole.
   «Grazie» disse Harry.
   Il folletto chinò il testone a cupola per ringraziare a sua volta, poi piegò le gambe corte.
   «Penso» bofonchiò, sistemandosi con ostentazione sul letto di Bill e Fleur, «che l'Ossofast abbia finito la sua azione. Finalmente potrò dormire. Perdonatemi...»
   «Sì, certo» mormorò Harry, ma prima di uscire si sporse a prendere la spada di Grifondoro che giaceva accanto al folletto. Unci-unci non protestò, ma mentre chiudeva la porta Harry pensò di aver scorto un lampo di rancore nei suoi occhi.
   «Piccolo idiota» bisbigliò Ron. «Si diverte a tenerci in sospeso».
   «Harry» sussurrò Hermione, allontanandoli dalla porta, «stai dicendo quello che penso? Stai dicendo che c'È un Horcrux nella camera blindata dei Lestrange?»
   «Sì» rispose Harry. «Bellatrix era terrorizzata quando credeva che ci fossimo entrati, era fuori di sé. Perché? Cosa pensava che avessimo visto, cos'altro temeva che avessimo portato via? Era agghiacciata all'idea che Voi-Sapete-Chi lo scoprisse».
   «Ma noi non cercavamo i posti dove è stato Voi-Sapete-Chi, i posti dove ha fatto qualcosa di importante?» obiettò Ron, sconcertato. «Lui è mai entrato nella camera blindata dei Lestrange?»
   «Non so se è mai stato alla Gringott» rifletté Harry. «Non ci ha mai tenuto dell'oro da giovane, perché nessuno gli aveva lasciato nulla. Però avrà visto la banca da fuori la prima volta che è andato in Diagon Alley».
   La cicatrice pulsava, ma lui la ignorò; voleva che Ron e Hermione capissero la storia della Gringott prima di parlare con Olivander.
   «Secondo me invidiava chiunque possedesse la chiave di una camera blindata alla Gringott. Credo che la considerasse un vero simbolo di appartenenza al mondo magico. E si fidava di Bellatrix e di suo marito. Erano i suoi servitori più devoti prima che cadesse, quelli che andarono a cercarlo quando sparì. L'ha detto la notte che è tornato, l'ho sentito io».
   Si grattò la cicatrice.
   «Secondo me, però, non ha rivelato a Bellatrix che si trattava di un Hor crux. Non ha mai detto la verità sul diario a Lucius Malfoy. Probabilmente le ha detto soltanto che era un oggetto molto prezioso e le ha chiesto di custodirlo nella sua camera blindata. Il posto più sicuro del mondo se vuoi nascondere qualcosa, mi ha detto Hagrid... a parte Hogwarts».
   Harry tacque. Ron scosse il capo.
   «Tu lo capisci proprio bene».
   «A pezzi» rispose Harry. «Pezzi... vorrei solo aver capito altrettanto bene Silente. Ma vedremo. Andiamo... tocca a Olivander».
   Ron e Hermione, confusi ma impressionati, lo seguirono attraverso il piccolo pianerottolo e bussarono alla porta di fronte a quella di Bill e Fleur. Un debole «Entrate!» fu la risposta.
   Il fabbricante di bacchette era disteso sul letto più lontano dalla finestra. Era rimasto prigioniero nel sotterraneo per più di un anno ed era stato torturato, Harry lo sapeva, almeno in una circostanza. Era emaciato, le ossa del suo volto sporgevano affilate contro la pelle giallastra. Gli occhi color argento sembravano enormi nelle orbite incavate. Le mani che posava sulla coperta avrebbero potuto appartenere a uno scheletro. Harry sedette sul letto vuoto, vicino a Ron e Hermione. Da lì il sole dell'alba non si vedeva: la stanza dava sul giardino in cima alla scogliera e sulla tomba scavata di fresco.
   «Signor Olivander, mi dispiace disturbarla» cominciò Harry.
   «Mio caro ragazzo». La voce di Olivander era flebile. «Ci hai salvato. Credevo che saremmo morti in quel posto. Non potrò mai, mai ringraziarti abbastanza».
   «Siamo stati contenti di farlo».
   La cicatrice di Harry pulsava. Sapeva per certo che non c'era quasi più tempo per arrivare prima di Voldemort al suo obiettivo o per cercare di deviarlo. Provò uno spasimo di panico... ma aveva fatto la sua scelta quando aveva deciso di parlare prima con Unci-unci. Simulando una calma che non provava, prese dalla saccoccia che portava al collo le due metà della bacchetta spezzata.
   «Signor Olivander, ho bisogno di aiuto».
   «Qualunque cosa. Qualunque cosa» rispose debolmente il fabbricante di bacchette.
   «Può ripararla? è possibile?»
   Olivander tese una mano tremante e Harry posò sul suo palmo le due metà a stento ancora attaccate.
   «Agrifoglio e piuma di fenice» commentò Olivander con voce tremula.
    «Undici pollici. Molto flessibile».
   «Già» annuì Harry. «Lei può...?»
   «No» mormorò Olivander. «Mi spiace, mi spiace tanto, ma una bacchetta che ha subito un danno del genere non può essere riparata con alcun mezzo che io conosca».
   Harry si era preparato, ma fu ugualmente un colpo. Riprese le due metà della bacchetta e le ripose nella saccoccia. Olivander fissò il punto in cui la bacchetta infranta era sparita e non distolse lo sguardo finché Harry non tirò fuori le due bacchette che aveva recuperato a Villa Malfoy.
   «Può identificare queste?» chiese.
   Olivander prese la prima e la avvicinò agli occhi miopi, rigirandola tra le dita nodose, flettendola leggermente.
   «Noce e corda di cuore di drago» sentenziò. «Dodici pollici e tre quarti. Rigida. Questa bacchetta apparteneva a Bellatrix Lestrange».
   «E questa?»
   Olivander ripeté l'esame.
   «Biancospino e crine di unicorno. Dieci pollici esatti. Sufficientemente elastica. Questa era la bacchetta di Draco Malfoy». «Era?» ripeté Harry. «Non è più sua?»
   «Forse no. Se tu l'hai presa...»
   «... sì, l'ho presa...»
   «... allora potrebbe essere tua. Naturalmente il modo in cui la si prende è importante. Molto dipende anche dalla bacchetta stessa. In generale, comunque, quando una bacchetta è stata vinta, la sua fedeltà cambia».
   Nella stanza calò il silenzio, disturbato solo dal fragore lontano del mare.
   «Parla delle bacchette come se provassero dei sentimenti» osservò Harry, «come se potessero pensare da sole».
   «È la bacchetta che sceglie il mago» rispose Olivander. «Almeno questo è sempre stato chiaro a chi ha studiato l'arte delle bacchette».
   «Ma si può comunque usare una bacchetta da cui non si è stati scelti?» chiese Harry.
   «Oh, sì, un mago che si rispetti è in grado di incanalare i propri poteri in quasi tutti gli strumenti. I migliori risultati, tuttavia, si ottengono sempre dove esiste la più forte affinità tra mago e bacchetta. Sono legami complessi. Un'attrazione iniziale e poi un reciproco desiderio di apprendimento, la bacchetta che impara dal mago e il mago dalla bacchetta».
   Il mare sciabordava; era un suono dolente.
   «Ho preso questa bacchetta a Draco Malfoy con la forza» proseguì
    Harry. «Posso usarla senza correre rischi?»
   «Credo di sì. Leggi inafferrabili governano la proprietà delle bacchette, ma la bacchetta conquistata solitamente piega il proprio volere al nuovo padrone».
   «Quindi io dovrei usare questa?» chiese Ron. Si sfilò dalla tasca la bacchetta di Codaliscia e la diede a Olivander.
   «Ippocastano e corda di cuore di drago. Nove pollici e un quarto. Fragile. Fui costretto a fabbricarla, poco dopo essere stato rapito, per Peter Minus. Sì, se l'hai conquistata, è più probabile che esegua i tuoi ordini, e meglio, di un'altra bacchetta».
   «E questo vale per tutte le bacchette, vero?» domandò Harry.
   «Ritengo di sì» rispose Olivander, gli occhi sporgenti fissi sul volto di Harry. «Poni interrogativi profondi, signor Potter. L'arte delle bacchette è una branca complicata e misteriosa della magia».
   «Quindi non è necessario uccidere il proprietario precedente per impadronirsi veramente di una bacchetta?»
   Olivander deglutì.
   «Necessario? No, non direi che è necessario uccidere».
   «Ma ci sono leggende» insisté Harry, e il suo battito accelerò, il dolore alla cicatrice si fece più intenso; era sicuro che Voldemort avesse deciso di mettere in atto la sua idea. «Leggende che parlano di una bacchetta o certe bacchette passate di mano in mano tramite omicidi».
   Olivander impallidì. Contro il candido cuscino il suo volto era grigiastro, gli occhi enormi, arrossati e gonfi di quella che sembrava paura.
   «Solo una, credo» mormorò.
   «E Lei-Sa-Chi è molto interessato a questa bacchetta, vero?» chiese Harry.
   «Io... come?» gracchiò Olivander, guardando supplichevole Ron e Hermione. «Come fai a saperlo?»
   «Voleva che lei gli dicesse come superare la connessione tra le nostre bacchette» disse Harry.
   Olivander era terrorizzato.
   «Mi ha torturato, devi capirlo! La Maledizione Cruciatus, io... io non ho avuto scelta, ho dovuto dirgli quello che sapevo, quello che sospettavo!»
   «Lo capisco» rispose Harry. «Gli ha detto dei nuclei gemelli? Gli ha detto che doveva prendere in prestito la bacchetta di un altro mago?»
   Olivander era agghiacciato, paralizzato, da quanto Harry sapeva. Annuì lentamente.
    «Ma non ha funzionato» continuò Harry. «La mia ha comunque battuto la bacchetta presa in prestito. Lei sa perché?»
   Olivander scosse il capo, lentamente come aveva appena annuito.
   «Io non... avevo mai sentito una cosa del genere. La tua bacchetta ha compiuto qualcosa di unico quella notte. La connessione tra i nuclei gemelli è incredibilmente rara, ma perché la tua bacchetta abbia spezzato quella presa in prestito non lo so...»
   «Tornando all'altra bacchetta, quella che cambia proprietario attraverso un omicidio. Quando Lei-Sa-Chi ha capito che la mia bacchetta aveva fatto qualcosa di strano, è venuto a chiederle di quell'altra, vero?»
   «Come fai a saperlo?»
   Harry non rispose.
   «Sì, me l'ha chiesto» bisbigliò Olivander. «Voleva sapere tutto quello che potevo dirgli sulla bacchetta nota sotto vari nomi, Stecca della Morte, Bacchetta del Destino o Bacchetta di Sambuco».
   Harry sbirciò Hermione. Sembrava sbalordita.
   «Il Signore Oscuro» riprese Olivander in tono frettoloso e spaventato «era sempre stato soddisfatto della bacchetta che gli avevo fabbricato io stesso tasso e piuma di fenice, tredici pollici e mezzo finché non ha scoperto la connessione dei nuclei gemelli. Ora cerca un'altra bacchetta più potente, il solo modo per sconfiggere la tua».
   «Ma presto scoprirà, se non lo sa già, che la mia si è spezzata e non si può riparare» mormorò Harry.
   «No!» esclamò Hermione sgomenta. «Non può saperlo, Harry, come potrebbe...?»
   «Prior Incantatio» spiegò Harry. «Abbiamo lasciato la tua bacchetta e quella di prugnolo dai Malfoy, Hermione. Se le esaminano con cura, se le inducono a ripetere gli incantesimi che hanno scagliato di recente, scopriranno che la tua ha spezzato la mia, scopriranno che hai cercato invano di ripararla e capiranno che da allora ho usato quella di prugnolo».
   Il poco colorito che Hermione aveva riguadagnato se ne andò. Ron guardò Harry con aria di rimprovero e disse: «Non pensiamoci adesso...»
   Ma il signor Olivander intervenne.
   «Il Signore Oscuro non cerca più la Bacchetta di Sambuco solo per distruggere te, Harry Potter. è deciso a impadronirsene perché è convinto che lo renderà davvero invulnerabile».
   «Ed è vero?»
   «Il proprietario della Bacchetta di Sambuco deve sempre temere gli at tacchi» precisò Olivander, «ma devo ammettere che l'idea che il Signore Oscuro sia in possesso della Stecca della Morte È... formidabile».
   All'improvviso Harry ricordò di non essere stato sicuro che Olivander gli piacesse, quando l'aveva conosciuto. Anche adesso che era stato imprigionato e torturato da Voldemort, l'idea che il Mago Oscuro fosse in possesso di quella Bacchetta lo ammaliava tanto quanto lo inorridiva.
   «Lei... lei pensa che questa Bacchetta esista davvero, dunque, signor Olivander?» chiese Hermione.
   «Oh, sì. è perfettamente possibile rintracciare il percorso della Bacchetta nella storia. Ci sono dei vuoti, naturalmente, periodi anche lunghi, nei quali la si è persa di vista, temporaneamente perduta o nascosta; ma riaffiora sempre. Possiede alcune caratteristiche peculiari che gli eruditi nell'arte delle bacchette sanno riconoscere. Esistono resoconti scritti, alcuni oscuri, che io e altri fabbricanti ci siamo impegnati a studiare. E parrebbero autentici».
   «Quindi lei... lei non crede che sia una fiaba, o un mito?» domandò Hermione speranzosa.
   «No» rispose Olivander. «Se debba essere trasmessa mediante un omicidio, questo lo ignoro. La sua storia è insanguinata, ma questo può essere dovuto semplicemente al fatto che è un oggetto molto desiderabile e suscita nei maghi passioni irresistibili. Immensamente potente, pericolosa nelle mani sbagliate, possiede un fascino incredibile per noi che studiamo il potere delle bacchette».
   «Signor Olivander» continuò Harry, «ha detto a Lei-Sa-Chi che Gregorovich aveva la Bacchetta di Sambuco, vero?»
   Olivander diventò se possibile ancora più pallido. Era spettrale. Deglutì. «Ma come... come fai...?»
   «Come lo so non ha importanza» ribatté Harry, chiudendo per un attimo gli occhi. La cicatrice ardeva, e per qualche istante ebbe la visione della strada principale di Hogsmeade, ancora buia, perché si trovava molto più a nord. «Ha detto a Lei-Sa-Chi che Gregorovich aveva la Bacchetta?»
   «Era una voce» sussurrò Olivander. «Una diceria, anni e anni fa, molto prima che tu nascessi! Io credo che l'abbia messa in circolazione lo stesso Gregorovich. Capisci, era un'ottima pubblicità per i suoi affari, che stesse studiando, e duplicando, le qualità della Bacchetta di Sambuco!»
   «Sì, lo capisco» convenne Harry. Si alzo. «Signor Olivander, un'ultima cosa, poi la lasceremo riposare. Cosa sa dei Doni della Morte?»
   «I... i cosa?» chiese il fabbricante di bacchette, profondamente sconcer tato.
   «I Doni della Morte».
   «Temo di non sapere di cosa stai parlando. Ha a che fare con le bacchette?»
   Harry guardò il suo volto incavato e capì che non stava recitando. Non aveva mai sentito parlare dei Doni.
   «Grazie» concluse. «Grazie infinite. Ora potrà riposare».
   Olivander era addolorato.
   «Mi ha torturato!» ansimò. «La Maledizione Cruciatus... non hai idea...» «Ce l'ho» mormorò Harry. «Davvero ce l'ho. La prego, si riposi. Grazie per avermi detto queste cose».
   Guidò Ron e Hermione giù per le scale. Vide Bill, Fleur, Luna e Dean seduti al tavolo in cucina con le loro tazze di tÈ. Lo fissarono tutti quando si affacciò sulla soglia, ma lui rivolse loro solo un cenno del capo e uscì nel giardino, con i due amici alle spalle. Harry tornò al tumulo rossiccio che copriva Dobby. Il dolore dentro la testa diventava sempre più intenso e gli costò una grande fatica chiudere fuori le visioni che lo assediavano, ma sapeva di dover resistere solo un altro poco. Avrebbe ceduto molto presto, perché aveva bisogno di verificare la sua teoria. Adesso doveva fare solo un ultimo piccolo sforzo, per spiegarla a Ron e Hermione.
   «Gregorovich aveva la Bacchetta di Sambuco, molto tempo fa» cominciò. «Ho visto Voi-Sapete-Chi che lo cercava. Quando l'ha rintracciato, ha scoperto che non l'aveva più: gli era stata rubata da Grindelwald. Non so come aveva fatto Grindelwald a sapere che l'aveva Gregorovich, ma se Gregorovich era stato così sciocco da diffondere la voce, non deve essere stato molto difficile».
   Voldemort era in piedi davanti ai cancelli di Hogwarts; Harry lo vide, e vedeva anche la lampada che ondeggiava nella primissima luce dell'alba, sempre più vicina.
   «Grindelwald usò la Bacchetta di Sambuco per diventare potente. E quando fu all'apice del suo potere, Silente, che sapeva di essere l'unico in grado di fermarlo, lo sfidò a duello e lo sconfisse, e gli prese la Bacchetta».
   «Silente aveva la Bacchetta di Sambuco?» chiese Ron. «Ma allora... adesso dov'È?»
   «A Hogwarts» rispose Harry, sforzandosi di restare con loro nel giardino in cima alla scogliera.
   «Ma allora andiamo!» incalzò Ron. «Harry, andiamo a prenderla prima
    di lui!»
   «È troppo tardi» ribatté Harry. Non ne poté fare a meno: si afferrò la testa, per aiutarsi a resistere. «Sa dove si trova. è là in questo momento». «Harry!» esclamò Ron, furente. «Da quanto lo sai... perché abbiamo perso tempo? Perché hai parlato prima con Unci-unci? Potevamo andarci... possiamo ancora...»
   «No». Harry cadde in ginocchio nell'erba. «È come dice Hermione. Silente non voleva che l'avessi io. Non voleva che la prendessi. Voleva che cercassi gli Horcrux».
   «La Bacchetta invincibile, Harry!» gemette Ron.
   «Io non devo... io devo prendere gli Horcrux...»
   E tutto si fece freddo e buio: il sole era appena comparso sopra l'orizzonte e lui scivolava al fianco di Piton, su per i prati verso il lago.
   «Ti raggiungerò tra breve nel castello» disse con la sua voce acuta e fredda. «Adesso lasciami solo».
   Piton s'inchinò e tornò indietro lungo il sentiero, il mantello nero svolazzante. Harry avanzò lento, in attesa che la sagoma di Piton sparisse. Non era bene che Piton o chiunque altro vedesse dove stava andando. Ma non c'erano luci alle finestre del castello e lui sapeva come nascondersi... in un istante impose su se stesso un Incantesimo di Disillusione che lo celò anche ai propri occhi.
   Continuò a camminare attorno alla riva del lago, contemplando il profilo dell'adorato castello, il suo primo regno, il suo diritto di nascita...
   Ed eccola, vicino al lago, riflessa nelle acque scure. La tomba di marmo bianco, una macchia superflua nel paesaggio familiare. Provò di nuovo quell'empito di euforia misurata, quell'inebriante proposito distruttivo. Levò la vecchia bacchetta di tasso: era giusto che quello fosse il suo ultimo grande gesto.
   La tomba si spaccò da un capo all'altro. La figura avvolta nel sudario era lunga e sottile come lo era stata in vita. Alzò di nuovo la bacchetta.
   Le bende si squarciarono. Il viso era traslucido, pallido, incavato, ma quasi perfettamente conservato. Avevano lasciato gli occhiali sul naso adunco: nel guardarli provò un divertito disprezzo. Le mani di Silente erano intrecciate sul petto, ed eccola lì, stretta fra le dita, sepolta con lui.
   Quel vecchio pazzo aveva davvero pensato che il marmo o la morte avrebbero protetto la Bacchetta? Aveva creduto che il Signore Oscuro non avrebbe osato violare la sua tomba? La mano simile a un ragno scese e sfilò la Bacchetta dalla presa di Silente. Quando la afferrò, una pioggia di
    scintille cadde dalla punta, brillando sul cadavere dell'ultimo proprietario: era pronta a servire un nuovo padrone.
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