PER ORDINE DEL MINISTERO DELLA MAGIA
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Dolores Jane Umbridge (Inquisitore Supremo) sostituirà Albus Silente in qualità di Preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
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Quanto sopra ai sensi del Decreto Didattico Numero Ventotto.
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Firmato: Cornelius Oswald Caramell, Ministro della Magia
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Gli avvisi erano comparsi in tutta la scuola durante la notte, ma non spiegavano come mai ogni singolo abitante del castello fosse al corrente del fatto che Silente aveva sconfitto due Auror, l’Inquisitore Supremo, il Ministro della Magia e il suo Assistente per poi svanire nel nulla. Ovunque Harry andasse, il solo argomento di conversazione era la fuga di Silente, e anche se nel passare di bocca in bocca alcuni particolari erano stati travisati (sentì una ragazza del secondo anno assicurare a un’altra che Caramell era stato ricoverato al San Mungo con una zucca al posto della testa), l’accuratezza delle informazioni era incredibile. Per esempio, tutti sapevano che Harry e Marietta erano stati gli unici ragazzi presenti nell’ufficio del Preside e, dato che Marietta era tenuta sotto chiave in infermeria, Harry si ritrovò assediato dalle richieste di un resoconto di prima mano.
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«Silente non ci metterà molto a ricomparire» disse fiducioso Ernie Macmillan, dopo aver ascoltato la storia di Harry mentre tornavano da Erbologia. «Non sono riusciti a eliminarlo quando eravamo al secondo anno e non ci riusciranno neanche stavolta. Il Frate Grasso mi ha detto» e abbassò la voce con tono da cospiratore, costringendo Harry, Ron e Hermione ad avvicinarsi per sentirlo, «che ieri sera, dopo averlo cercato in lungo e in largo nel castello e tutt’attorno, la Umbridge ha tentato di rientrare nel suo ufficio, però non è riuscita a superare il gargoyle. L’ufficio del Preside è sigillato, per lei». Ernie ridacchiò. «A quanto pare, la cosa non le è piaciuta».
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«Immagino che non vedesse l’ora di sistemarsi là dentro» commentò acida Hermione, salendo i gradini di pietra che portavano nella Sala d’Ingresso. «E di spadroneggiare da lassù su tutti gli insegnanti, quella stupida vecchia tronfia avida…»
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«Ehi, Granger, ci tieni davvero a finire la frase?»
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Draco Malfoy era sbucato da dietro una porta, con Tiger e Goyle alle calcagna. La sua pallida faccia aguzza era accesa di malizia.
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«Temo che dovrò togliere qualche punto a Grifondoro e a Tassorosso» annunciò in tono strascicato.
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«Non puoi togliere punti ai prefetti, Malfoy» lo rimbeccò subito Ron.
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«Lo so che i prefetti non possono togliersi punti fra di loro, Re dei Furboni» ghignò Malfoy. Tiger e Goyle ridacchiarono. «Ma i membri della Squadra d’Inquisizione…»
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«La cosa?» sbottò Hermione.
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«La Squadra d’Inquisizione, Granger». Malfoy indicò una piccola “I” d’argento sulla veste, subito sotto la spilla da prefetto. «Un gruppo di studenti, scelti personalmente dalla professoressa Umbridge, che sostengono il Ministero della Magia. E chi fa parte della Squadra d’Inquisizione ha il potere di sottrarre punti… perciò, Granger, te ne toglierò cinque per aver parlato in modo scortese della nostra nuova Preside. E cinque a te, Macmillan, per avermi contraddetto. Cinque a te, Potter, perché mi sei antipatico. Weasley, hai la camicia fuori posto, perciò ne toglierò cinque anche a te. E… oh, sì, dimenticavo che sei una Mezzosangue, Granger, perciò via altri dieci».
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Ron estrasse la bacchetta, ma Hermione lo bloccò sussurrando: «No!»
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«Saggia mossa, Granger» sogghignò Malfoy. «Preside nuovo, vita nuova… comportati bene, Potter… Weasley, sei sempre il nostro re.»
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Si allontanò sghignazzando, seguito da Tiger e Goyle.
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«Stava bluffando» disse Ernie, sconvolto. «Non può avere il permesso di togliere punti… è assurdo… minerebbe alla base tutto il sistema dei prefetti».
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Ma Harry, Ron e Hermione si erano già voltati verso le grandi clessidre incastonate nella parete alle loro spalle, dove erano segnati i punti di ogni Casa. Quella mattina, Grifondoro e Corvonero erano in testa alla pari. Ma ora, davanti ai loro occhi, molte piccole pietre scintillanti volarono in alto, diminuendo la quantità nella parte in basso. In effetti, la sola clessidra che sembrava invariata era quella di Serpeverde, ancora piena di smeraldi.
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«Ve ne siete accorti, eh?» disse la voce di Fred.
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Lui e George erano discesi dalla scala di marmo e si erano uniti a loro.
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«Malfoy ci ha appena tolto un sacco di punti» protestò Harry furibondo, guardando le pietre spostarsi verso l’alto nella clessidra di Grifondoro.
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«Sì, durante l’intervallo Montague ci ha provato anche con noi» disse George.
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«Come, “provato”?» chiese Ron.
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«Non è riuscito a finire la frase» rispose Fred. «Anche perché lo abbiamo infilato a capofitto dentro l’Armadio Svanitore al primo piano».
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Hermione lo fissò sbigottita.
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«Ma così finirete in un guaio terribile!»
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«Non finché Montague non ricompare, e potrebbero volerci settimane. Chissà dove è andato a sbattere» replicò imperterrito Fred. «E poi abbiamo deciso che non c’importa niente di finire nei guai».
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«Perché, vi è mai importato?» chiese Hermione.
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«Certo» rispose George. «Non ci hanno mai espulso, no?»
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«Abbiamo sempre saputo qual era il limite» disse Fred.
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«Anche se magari ogni tanto l’abbiamo superato di un filino» precisò George.
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«Però non abbiamo mai provocato veri disastri» concluse Fred.
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«E invece adesso?» chiese Ron incerto.
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«Be’, adesso…» disse George.
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«…dato che Silente non c’è più…»
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«…riteniamo che un po’ di confusione…»
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«…sia proprio quello che si merita la nostra cara Preside» concluse Fred.
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«Ma non dovete!» bisbigliò Hermione. «Assolutamente! Ne approfitterebbe per espellervi!»
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«Proprio non ci arrivi, eh?» Fred le sorrise. «Non c’interessa restare qui. Ce ne andremmo in questo istante, se prima non volessimo dimostrare il nostro sostegno a Silente. Ragion per cui…» e controllò l’orologio, «sta per cominciare la Fase Uno. Se fossi in voi, per pranzo farei in modo di trovarmi nella Sala Grande, così gli insegnanti non potranno accusarvi di essere coinvolti».
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«Essere coinvolti in cosa?» domandò Hermione preoccupata.
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«Vedrai» disse George. «Su, sbrigatevi, da bravi».
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Fred e George si voltarono e sparirono nella folla sempre più fitta che scendeva le scale per andare a pranzo. Con aria estremamente sconcertata, Ernie borbottò qualcosa su un compito di Trasfigurazione da finire e si allontanò.
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«Penso che sia una buona idea toglierci da qui, sapete» disse nervosa Hermione. «Nel caso…»
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«Sì, giusto» annuì Ron. Si diressero tutti e tre verso le porte della Sala Grande, ma Harry aveva appena intravisto il soffitto (quel giorno era percorso da nuvole bianche sospinte dal vento) quando sentì qualcuno battergli sulla spalla. Si voltò e si trovò quasi naso contro naso con Gazza, il custode. Si affrettò a indietreggiare. Gazza era meglio guardarlo a distanza.
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«La Preside vuole vederti, Potter» sogghignò.
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«Non sono stato io» disse stupidamente Harry, pensando a Fred e George. Una risata silenziosa fece tremolare le guance di Gazza.
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«Coda di paglia, eh?» borbottò maligno. «Seguimi».
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Harry lanciò un’occhiata a Ron e Hermione, che avevano entrambi l’aria allarmata. Scrollò le spalle e seguì Gazza risalendo la marea di studenti affamati per tornare nella Sala d’Ingresso.
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Gazza sembrava di buonumore, e mentre salivano la scalinata di marmo canticchiava stridulo fra sé. «Le cose sono cambiate, qui, Potter» disse quando raggiunsero il primo pianerottolo.
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«Me ne sono accorto» replicò freddo Harry.
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«Sissignore… glielo dicevo da anni, a Silente, che era troppo tenero con voialtri». Sbottò in una risatina maligna. «Voi sudicioni non avreste mai tirato una sola Pallottola Puzzola se aveste saputo che potevo cavarvi la pelle a frustate! E nessuno avrebbe osato lanciare Frisbee Zannuti nei corridoi se avessi potuto appendervi per le caviglie nel mio ufficio! Ma quando entrerà in vigore il Decreto Didattico Numero Ventinove, allora avrò mano libera… e lei ha chiesto al Ministro di firmare un ordine per l’espulsione di Pix… oh, sì! Le cose saranno molto diverse, con lei al timone…»
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A quanto pareva, la Umbridge si era conquistata il pieno appoggio di Gazza, pensò Harry, e il peggio era che probabilmente lui si sarebbe dimostrato un alleato fondamentale: la sua conoscenza dei passaggi segreti e dei nascondigli della scuola era probabilmente seconda solo a quella dei gemelli Weasley.
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«Eccoci arrivati» annunciò Gazza sogghignando. Batté tre colpi sulla porta della professoressa Umbridge e la aprì. «Potter per lei, signora».
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L’ufficio della Umbridge, così familiare a Harry dopo tante punizioni, era sempre il solito, tranne che sulla scrivania era comparsa una grossa targa di legno con la parola Preside scritta in lettere dorate. Con una fitta al cuore, Harry vide la sua Firebolt e le Tornado di Fred e George incatenate con lucchetti a un robusto piolo di ferro infilato nella parete alle spalle della Umbridge.
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Era seduta alla scrivania e scribacchiava rapida su una delle sue pergamene rosa, ma non appena entrarono alzò la testa e rivolse loro un sorriso smagliante.
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«Grazie, Argus» disse dolcemente.
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«Di niente, signora». Gazza s’inchinò per quanto glielo permettevano i suoi reumatismi e uscì camminando a ritroso.
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«Si sieda» ordinò la Umbridge brusca, indicando una sedia. Harry obbedì. Lei riprese a scrivere, lasciandolo a fissare i disgustosi gattini che sgambettavano sui piatti appesi alla parete, e a chiedersi quali nuovi orrori avesse in serbo.
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«Bene» disse finalmente, posando la piuma e fissandolo con l’aria soddisfatta di un rospo che si accinge a ingoiare una mosca particolarmente succulenta. «Che cosa le andrebbe di bere?»
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«Prego?» chiese Harry, sicuro di non aver sentito bene.
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«Bere, signor Potter». Se possibile, il suo sorriso sembrava ancora più soddisfatto. «Tè? Caffè? Succo di zucca?»
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Agitò la bacchetta a ogni nome, e subito un bicchiere o una tazza apparvero sulla scrivania.
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«Niente, grazie» rispose Harry.
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«Desidero che lei beva qualcosa insieme a me» insisté la Umbridge con una dolcezza minacciosa. «Scelga qualcosa».
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«E va bene… tè, allora» disse Harry, alzando le spalle.
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La Umbridge si alzò con una complicata manovra per dargli la schiena mentre aggiungeva il latte al tè. Poi fece il giro della scrivania, sempre con la stessa espressione di sinistra dolcezza.
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«Ecco qui». Gli consegnò la tazza. «Lo beva prima che si raffreddi, mi raccomando. E ora, signor Potter… Mi sembrava il caso di fare una chiacchierata dopo tutto lo scompiglio di ieri sera».
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Harry non aprì bocca. La Umbridge tornò a sedersi dietro la scrivania e aspettò. Dopo lunghi secondi silenziosi, gli chiese vivacemente: «Allora, non beve il suo tè?»
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Di scatto Harry accostò la tazza alle labbra, e altrettanto di scatto la riabbassò. Uno degli orridi gattini dietro la Umbridge aveva grandi, tondi occhi blu identici all’occhio magico di Malocchio Moody, e a Harry era appena venuto in mente che cosa avrebbe detto Malocchio se fosse venuto a sapere che aveva bevuto una cosa offerta da un nemico.
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«Che cosa c’è?» chiese la Umbridge, che non lo aveva perso di vista un istante. «Vuole lo zucchero?»
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«No, grazie».
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Harry avvicinò di nuovo la tazza alla bocca e, guardandosi bene dallo schiudere le labbra, finse di sorseggiare. Il sorriso della Umbridge si allargò.
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«Bene» mormorò. «Molto bene. Allora…» Si protese verso di lui. «Dov’è Albus Silente?»
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«Non lo so» rispose pronto Harry.
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«Beva, beva» disse lei, sempre sorridendo. «Allora, Potter, smettiamola con questi giochetti. Io so che lei sa dove si trova. Voi due ci siete dentro fino al collo, dall’inizio. Consideri la sua posizione…»
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«Non so dov’è» ripeté Harry.
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Ancora una volta, finse di bere.
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«Molto bene» disse la Umbridge, decisamente contrariata. «In tal caso sarà così gentile da dirmi dov’è Sirius Black».
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Harry sentì una morsa chiudergli lo stomaco e la mano che reggeva la tazza tremò, facendola tintinnare contro il piattino. La riavvicinò alle labbra — sempre sigillate — e la inclinò tanto che un po’ di tè caldo gli gocciolò sulla veste.
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«Non lo so» rispose, un po’ troppo in fretta.
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«Signor Potter» disse la Umbridge, «le ricordo che in ottobre ho quasi catturato il criminale Black nel camino di Grifondoro. So perfettamente che era lì per incontrarsi con lei, e se ne avessi avuto le prove nessuno di voi due sarebbe in libertà al momento, glielo assicuro. Allora, signor Potter… dov’è Sirius Black?»
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«Non lo so» ripeté Harry. «Non ne ho la minima idea».
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Rimasero a fissarsi così a lungo che Harry si sentì lacrimare gli occhi. Finalmente la Umbridge si alzò.
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«Benissimo, Potter. Per questa volta accetterò la sua parola, ma lei è avvertito: ho il pieno appoggio del Ministero. Tutti i canali di comunicazione della scuola sono sotto controllo. Un Controllore Metropolvere tiene d’occhio ogni camino di Hogwarts… tranne il mio, naturalmente. La Squadra d’Inquisizione fermerà tutti i gufi per aprire e leggere la posta in entrata e in uscita dal castello. E il signor Gazza sorveglierà i passaggi segreti. Se trovo uno straccio di prova…»
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BUM!
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Perfino il pavimento tremò. Sbigottita, la Umbridge scivolò di lato e fu costretta ad aggrapparsi alla scrivania per non cadere.
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«Che cosa…?»
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Stava guardando la porta e Harry ne approfittò per svuotare la tazza ancora piena nel vaso di fiori secchi più vicino. Dal piano di sotto arrivava un frastuono di urla e passi di corsa.
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«Torni a pranzo, Potter!» gridò la Umbridge. Levò la bacchetta e si precipitò fuori dall’ufficio. Dopo averle concesso pochi secondi di vantaggio, Harry si affrettò a seguirla per vedere l’origine di quel pandemonio.
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Non gli fu difficile scoprirlo. Un piano più sotto regnava il caos. Qualcuno (e lui aveva un’idea molto precisa di chi fosse) aveva dato fuoco a quella che sembrava un’intera cassa di fuochi d’artificio magici.
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Draghi formati da scintille verdi e oro sfrecciavano nei corridoi emettendo vampe roventi e botti assordanti; girandole rosa shocking grandi quasi due metri sibilavano nell’aria, simili a pericolosi dischi volanti; razzi dalle lunghe code di luccicanti stelle argentate rimbalzavano sui muri; bengala tracciavano parolacce a mezz’aria; petardi esplodevano dappertutto come mine; e invece di consumarsi e svanire — o fermarsi e spegnersi — tutte quelle meraviglie pirotecniche sembravano acquistare energia e velocità.
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A metà delle scale, Gazza e la Umbridge sembravano paralizzati dall’orrore. Harry vide una delle girandole più grandi decidere che le occorreva più spazio di manovra e roteare verso di loro con un sibilo sinistro. I due si chinarono di scatto con uno strillo atterrito e la girandola sfrecciò fuori dalla finestra alle loro spalle. Nel frattempo, diversi draghi e un grosso pipistrello violetto che emetteva minacciosi sbuffi di fumo approfittarono della porta aperta in fondo al corridoio per svignarsela verso il secondo piano.
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«Svelto, Gazza!» strillò la Umbridge. «Se non facciamo qualcosa si spargeranno per tutta la scuola… Stupeficium!»
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Uno zampillo di luce rossa scaturì dalla punta della sua bacchetta e centrò un razzo… ma invece di bloccarsi, quello esplose con tanta violenza da aprire un foro nel quadro di una strega dall’aria melensa in mezzo a un campo; la strega riuscì a fuggire appena in tempo, per riapparire pochi secondi dopo schiacciata nel quadro vicino, dove due maghi impegnati in una partita a carte si alzarono galantemente per farle posto.
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«Non usi gli Schiantesimi, Gazza!» urlò la Umbridge a voce abbastanza alta da farsi sentire da tutti, anche se l’incantesimo era stato opera sua.
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«Ha ragione, Preside!» ansimò Gazza, che essendo un Magonò non sarebbe riuscito a Schiantare un bel niente. Si tuffò in un vicino ripostiglio, ne riemerse con una scopa e cominciò ad agitarla verso i fuochi turbinanti: nel giro di pochi istanti, la scopa era in fiamme.
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Harry aveva visto abbastanza; ridendo, corse verso una porta nascosta dietro un arazzo poco più avanti nel corridoio. Nel passaggio trovò anche Fred e George, che ascoltavano gli strilli della Umbridge e di Gazza soffocando a stento le risate.
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«Notevole» commentò Harry piano, sorridendo. «Davvero notevole… di questo passo manderete in rovina il dottor Filibuster…»
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«Lo spero» sussurrò George, asciugandosi le lacrime. «Oh, mi auguro che provi a farli Evanescere… a ogni tentativo si moltiplicano per dieci».
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I fuochi d’artificio continuarono a sfrigolare e a dilagare per tutta la scuola, ma anche se erano decisamente rumorosi, in particolare i petardi, gli altri insegnanti non parvero preoccupati.
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«Ma guarda» commentò sarcastica la professoressa McGranitt quando un drago entrò nella sua aula, sparando botti e sputando fiamme. «Signorina Brown, le dispiacerebbe correre a informare la Preside che abbiamo in classe un fuoco d’artificio fuggiasco?»
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Il risultato fu che la professoressa Umbridge passò il suo primo pomeriggio da Preside correndo qua e là per rispondere agli appelli degli altri insegnanti, nessuno dei quali sembrava in grado di liberarsi dei fuochi d’artificio senza il suo aiuto. Mentre tornava alla Torre di Grifondoro alla fine delle lezioni, fu con immensa soddisfazione che Harry vide una Umbridge arruffata e sporca di fuliggine uscire barcollando, la faccia lucida di sudore, dall’aula del professor Vitious.
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«Mille grazie, professoressa!» le gridò dietro il professor Vitious con la sua vocetta stridula. «Naturalmente avrei potuto sbarazzarmi da solo di quei bengala, ma non ero sicuro di averne l’autorità». E sorridendo le chiuse la porta dell’aula sulla faccia ringhiosa.
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Quella sera, Fred e George furono accolti da eroi nella sala comune di Grifondoro. Perfino Hermione si fece largo tra la folla per congratularsi con loro.
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«Erano fantastici, quei fuochi» disse ammirata.
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«Grazie». George sembrava al tempo stesso sorpreso e compiaciuto. «I Fuochi Forsennati Weasley. Purtroppo abbiamo dato fondo a tutte le nostre scorte; adesso ci toccherà ricominciare da capo».
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«Ne è valsa la pena, però» disse Fred, che stava raccogliendo ordinazioni dai vocianti Grifondoro. «Se vuoi aggiungere il tuo nome alla lista delle prenotazioni, Hermione, sono cinque galeoni per una scatola di Spari Standard e venti per una di Detonazioni Deluxe…»
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Hermione tornò al tavolo dove Harry e Ron erano seduti a fissare le loro borse come sperando che i compiti saltassero fuori per farsi da soli.
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«Perché non ci prendiamo una sera libera?» suggerì allegramente lei, mentre un razzo Coda d’Argento Weasley sfrecciava davanti alla finestra. «In fondo le vacanze di Pasqua cominciano venerdì e avremo un sacco di tempo per studiare».
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«Ti senti bene?» chiese Ron incredulo.
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«Ora che me lo fai notare» disse Hermione ridendo, «mi sento un po’… ribelle».
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Un’ora dopo, quando Harry e Ron andarono a letto, in lontananza risuonavano ancora i botti dei fuochi fuggitivi; e mentre si spogliavano, un petardo passò davanti alla Torre tracciando risoluto nel cielo la parola “CACCA”.
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Harry s’infilò nel letto sbadigliando. Senza gli occhiali, i fuochi che di tanto in tanto passavano davanti alla finestra gli apparivano come chiazze indistinte, simili a nubi scintillanti, belle e misteriose contro il cielo nero. Si rigirò, chiedendosi che cosa ne pensava la Umbridge del suo primo giorno al posto di Silente e come avrebbe reagito Caramell alla notizia che a Hogwarts regnava il caos. Chiuse gli occhi sorridendo fra sé…
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I sibili e i botti dei fuochi d’artificio sembravano allontanarsi… o forse era lui che si allontanava da loro…
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Era di nuovo nel corridoio che conduceva all’Ufficio Misteri e si dirigeva a passo svelto verso la solita porta nera… fa’ che si apra… fa’ che si apra…
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Si aprì. Era dentro la stanza circolare dalle molte porte… La attraversò senza esitare, spinse una porta identica alla prima, e anche quella si aprì…
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Si trovava in una lunga camera rettangolare dove echeggiava uno strano ticchettio meccanico. Sulle pareti danzavano granelli di luce, ma non si fermò a indagare… doveva andare avanti…
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C’era un’altra porta davanti a lui… anche questa si spalancò al suo tocco…
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Ecco che si trovava in un locale fiocamente illuminato, alto e vasto come una cattedrale, pieno di file e file di scaffali torreggianti, ognuno coperto da piccole, polverose sfere di vetro… l’eccitazione accelerò i battiti del suo cuore… sapeva dove andare… cominciò a correre, e tuttavia i suoi piedi non rimbombavano nell’enorme stanza deserta…
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Là dentro c’era qualcosa che lui desiderava, che voleva a tutti i costi…
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Qualcosa che lui — o qualcun altro — voleva…
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La cicatrice bruciava…
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BANG!
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Si svegliò di soprassalto, confuso e irritato. Il dormitorio buio echeggiava di risate.
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«Forte!» disse Seamus, stagliato contro la finestra. «Credo che una di quelle girandole abbia colpito un razzo… è come se si fossero accoppiati, venite a vedere!»
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Harry sentì Ron e Dean alzarsi e correre alla finestra, ma lui rimase a letto, immobile e silenzioso, mentre il dolore alla cicatrice si placava e un’ondata di delusione lo sommergeva. Aveva l’impressione che qualcosa di meraviglioso gli fosse stato strappato di mano all’ultimo momento… c’era arrivato così vicino, stavolta.
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Fuori dalle finestre della Torre di Grifondoro svolazzavano porcellini rosei dalle ali argentate. Harry rimase ad ascoltare le grida di esultanza dei compagni nei dormitori ai piani di sotto. E si sentì stringere lo stomaco quando gli venne in mente che la sera dopo lo aspettava un’altra lezione di Occlumanzia.
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Passò il giorno successivo con la paura di quel che avrebbe detto Piton scoprendo quanto si era addentrato nell’Ufficio Misteri durante l’ultimo sogno. Si sentiva tremendamente in colpa per non essersi mai esercitato dall’ultima lezione, e del resto da quando Silente se n’era andato erano successe troppe cose ed era certo che, per quanto potesse sforzarsi, non sarebbe mai riuscito a svuotare la mente. Però dubitava che Piton fosse disposto ad accettare quella scusa.
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Tentò di fare qualche esercizio all’ultimo minuto durante le lezioni, ma fu inutile. Tutte le volte che restava in silenzio, cercando di cancellare pensieri ed emozioni, Hermione gli chiedeva se qualcosa non andava. E tutto sommato non era l’ideale svuotarsi il cervello mentre gli insegnanti ti mitragliavano con un fuoco di fila di domande.
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Rassegnato al peggio, dopo cena si diresse verso l’ufficio di Piton. A metà della Sala d’Ingresso, vide Cho venire in fretta verso di lui.
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«Da questa parte» le disse Harry, lieto di una scusa per ritardare il suo incontro con Piton, e le fece cenno di raggiungerlo accanto alle enormi clessidre. Quella di Grifondoro era ormai praticamente vuota. «Tutto bene? La Umbridge non ti ha interrogato sull’ES, vero?»
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«Oh, no» rispose rapida Cho. «Era solo che… volevo solo dirti… Harry, non mi sarei mai sognata che Marietta…»
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«Sì, d’accordo» replicò Harry imbronciato. Era convinto che Cho avrebbe potuto scegliere con più cura le proprie amicizie; era una scarsa consolazione, per quanto lo riguardava, che Marietta fosse sempre chiusa in infermeria e Madama Chips non avesse ancora trovato un rimedio per i suoi brufoli.
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«È una ragazza deliziosa, davvero» riprese Cho. «Ha solo commesso un errore…»
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Harry la fissò incredulo.
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«Una ragazza deliziosa che ha commesso un errore? Ci ha traditi tutti quanti, te inclusa!»
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«Be’… ce la siamo cavata, no?» insisté Cho in tono supplichevole. «Sua mamma lavora al Ministero, sai, e per lei è difficile…»
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«Anche il papà di Ron lavora al Ministero!» sbottò Harry, furioso. «E nel caso ti sia sfuggito, lui non va in giro con spia scritto sulla faccia…»
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«È stato un giochetto orribile, quello di Hermione Granger!» replicò con veemenza Cho. «Doveva dircelo, che aveva stregato la lista…»
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«Secondo me è stata un’idea geniale» ribatté gelido Harry. Il volto di Cho parve prendere fuoco e i suoi occhi luccicarono.
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«Ma certo, dimenticavo… se è stata un’idea della tua cara Hermione…»
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«Non rimetterti a piangere» l’avvertì Harry.
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«Non intendevo farlo!» gridò lei.
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«Sì… ecco… bene… devo già affrontare abbastanza problemi al momento».
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«E valli ad affrontare, allora!» strillò Cho, girando sui tacchi e allontanandosi in fretta.
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Schiumante di rabbia, Harry scese le scale che portavano al sotterraneo e, pur sapendo per esperienza che se fosse arrivato pieno di collera e risentimento sarebbe stato più facile per Piton penetrargli nella mente, non poté impedirsi di rimuginare su un altro paio di cosette da dire a Cho sulla sua amica Marietta.
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«Sei in ritardo, Potter» lo accolse gelido Piton mentre Harry chiudeva la porta.
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Gli dava la schiena, e come al solito stava rimuovendo alcuni dei suoi pensieri per versarli nel Pensatoio di Silente. Lasciò cadere l’ultimo filo argenteo nel bacile di pietra e si voltò verso di lui.
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«Allora» gli chiese, «ti sei esercitato?»
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«Sì» mentì Harry, concentrandosi su una gamba della scrivania.
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«Lo scopriremo subito» disse Piton in tono soave. «Su la bacchetta, Potter».
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Harry prese il suo solito posto dall’altra parte della scrivania. Il cuore gli batteva rapido per la collera nei confronti di Cho e l’ansia per quello che Piton gli avrebbe estratto dalla mente.
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«Al tre…» disse pigramente Piton. «Uno… due…»
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All’improvviso la porta si spalancò ed entrò Draco Malfoy.
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«Professor Piton, signore… oh, mi scusi…» S’interruppe, lo sguardo che andava stupito da Piton a Harry.
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«Nessun problema, Draco» disse Piton, abbassando la bacchetta. «Potter è qui per qualche ripetizione di Pozioni».
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Harry non aveva visto Malfoy così esultante da quando la Umbridge era comparsa per assistere alle lezioni di Hagrid.
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«Non lo sapevo» disse Malfoy, lanciando un’occhiata furtiva a Harry, che si sentì arrossire. Avrebbe dato qualunque cosa per potergli gridare la verità o, meglio ancora, per scagliargli una robusta fattura.
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«Allora, Draco, di che cosa si tratta?» chiese Piton.
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«È la professoressa Umbridge, signore… le serve il suo aiuto. Hanno trovato Montague, signore. Incastrato dentro un water al quarto piano».
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«E come c’è finito?»
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«Non saprei, signore, è un po’ confuso».
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«Molto bene, molto bene. Potter, riprenderemo la lezione domani sera».
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Si voltò e uscì in fretta dall’ufficio. Prima di seguirlo, Malfoy fissò Harry e mosse le labbra a sillabare «Ripetizioni?», poi se ne andò anche lui.
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Furioso, Harry mise via la bacchetta e fece per uscire. Almeno aveva davanti ventiquattr’ore per esercitarsi; era stato fortunato a cavarsela per il rotto della cuffia, ma era dura sapere che Malfoy avrebbe raccontato a tutta la scuola che Potter aveva bisogno di ripetizioni in Pozioni.
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Era già alla porta quando la vide: una chiazza di luce tremolante che danzava sullo stipite. Si fermò a guardarla perplesso, e poi ricordò: somigliava alle luci viste in sogno la notte prima nella seconda stanza dell’Ufficio Misteri.
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Si voltò. La luce veniva dal Pensatoio sulla scrivania. Il suo contenuto bianco-argenteo fluttuava e turbinava. I pensieri di Piton… quelli che voleva tenere segreti nel caso che Harry fosse riuscito a superare le sue difese…
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Fissò il Pensatoio con crescente curiosità… quali pensieri Piton era tanto ansioso di nascondergli?
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Di nuovo la luce argentea tremò sulla parete… Harry fece due passi verso la scrivania, riflettendo. Possibile che fossero informazioni sull’Ufficio Misteri che Piton voleva tenergli nascoste?
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Si guardò alle spalle, il cuore che batteva sempre più forte e rapido. Quanto ci sarebbe voluto a Piton per estrarre Montague dal water? E sarebbe tornato subito in ufficio o lo avrebbe accompagnato in infermeria? Era molto più probabile che lo accompagnasse… in fin dei conti Montague era il Capitano della squadra di Quidditch di Serpeverde, e Piton avrebbe voluto assicurarsi che stesse bene.
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Superò la breve distanza che ancora lo separava dal Pensatoio e rimase immobile, lo sguardo immerso nelle sue profondità. Esitò, le orecchie tese, poi estrasse di nuovo la bacchetta. Nell’ufficio e nel corridoio regnava il più assoluto silenzio.
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Immerse la punta della bacchetta nel fluido argenteo, che prese a turbinare rapido, e quando si sporse sul Pensatoio vide che il suo contenuto era diventato trasparente. Ancora una volta guardava una stanza dall’alto, attraverso un foro circolare nel soffitto… Per la precisione, e a meno di non sbagliarsi di grosso, quella era la Sala Grande.
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Il suo fiato appannò la superficie dei pensieri di Piton… il suo cervello sembrava incapace di decidere… era assurdo, ma la tentazione era irresistibile… tremava da capo a piedi… Piton poteva tornare da un momento all’altro… poi pensò alla rabbia di Cho e al ghigno di Malfoy, e una folle audacia s’impadronì di lui.
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Prese fiato e tuffò il viso dentro i pensieri di Piton. Un attimo dopo, il pavimento dell’ufficio sussultò, rovesciandolo a capofitto nel Pensatoio…
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Precipitava in un’oscurità gelida, rotolando furiosamente, e poi…
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Era al centro della Sala Grande, ma le tavole delle quattro Case erano scomparse. C’erano invece oltre un centinaio di tavoli più piccoli, tutti rivolti nella stessa direzione, ciascuno occupato da uno studente chino a scrivere su un rotolo di pergamena. L’unico suono era il raspare delle piume e il raro fruscio di una pergamena smossa. A quanto pareva, era in corso un esame.
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I raggi del sole si riversavano dalle alte finestre sulle teste ricurve, traendone riflessi castani, ramati o dorati. Harry si guardò attorno. Piton doveva essere da qualche parte là attorno… dopotutto quello era un suo ricordo.
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E infatti eccolo là, seduto alla destra di Harry. Il giovane Piton aveva un aspetto pallido, filaccioso, come una pianta cresciuta al buio. Aveva sottili capelli flosci e unti che sfioravano il banco, mentre scriveva col naso adunco a un centimetro dalla pergamena. Harry si spostò alle sue spalle e lesse l’intestazione dell’esame: DIFESA CONTRO LE ARTI OSCURE — GIUDIZIO UNICO PER I FATTUCCHIERI ORDINARI.
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Dunque Piton doveva avere quindici o sedici anni, più o meno l’età di Harry. La sua mano volava sulla pergamena; aveva scritto almeno trenta centimetri più dei suoi vicini, e per giunta con una calligrafia minuta e stretta.
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«Ancora cinque minuti!»
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La voce fece sussultare Harry. Voltandosi, vide la sommità della testa del professor Vitious spostarsi fra i banchi poco lontano, passare accanto a un ragazzo con arruffati capelli neri… capelli neri molto arruffati…
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Harry si mosse così in fretta che, se fosse stato solido, avrebbe rovesciato parecchi tavoli. Invece scivolò come in sogno attraverso due corridoi tra i banchi, e ne risalì un terzo… La nuca del ragazzo bruno era più vicina: si raddrizzava, riponeva la piuma, prendeva il rotolo di pergamena per rileggere quello che aveva scritto…
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Harry si fermò davanti al tavolo e abbassò lo sguardo su suo padre. Suo padre a quindici anni.
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Una vampata di eccitazione gli esplose nello stomaco: era come guardare se stesso, ma con alcuni errori intenzionali. James aveva gli occhi nocciola, il naso un po’ più lungo di quello di Harry e nessuna cicatrice sulla fronte, però avevano lo stesso viso sottile, la stessa bocca, le stesse sopracciglia; i capelli di James stavano ritti esattamente come quelli di Harry, le sue mani avrebbero potuto essere quelle di Harry, e Harry sapeva che quando James si fosse alzato, sarebbero stati più o meno della stessa altezza.
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James sbadigliò e si passò una mano fra i capelli, arruffandoli ancora di più. Poi, dopo un’occhiata al professor Vitious, si voltò per rivolgere un sorriso a un ragazzo seduto quattro tavoli dietro di lui.
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Con un altro sussulto, Harry vide Sirius, rilassato sulla sedia in bilico sulle gambe posteriori, rivolgere a James un cenno soddisfatto. Sirius era molto attraente: i capelli scuri che gli ricadevano sugli occhi gli davano un’aria di distratta eleganza che né James né Harry avrebbero mai potuto eguagliare, e una ragazza seduta alle sue spalle lo fissava sognante, anche se lui non pareva essersene accorto. E due banchi dietro la ragazza — di nuovo Harry si sentì stringere piacevolmente lo stomaco — c’era Remus Lupin. Sembrava piuttosto pallido, aveva l’aria malaticcia (che fosse vicina la luna piena?) e non aveva ancora finito di pensare all’esame: rileggeva le risposte grattandosi accigliato il mento con l’estremità della piuma.
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Ma allora anche Codaliscia doveva essere nei paraggi… e infatti Harry lo individuò nel giro di pochi istanti: un piccoletto con i capelli color topo, il naso appuntito e l’espressione ansiosa, che si mordeva le unghie, guardava la pergamena, strusciava i piedi, e di tanto in tanto lanciava un’occhiata speranzosa al compito del suo vicino. Harry lo fissò un momento, poi tornò a guardare James, che stava scarabocchiando su un frammento di pergamena. Aveva disegnato un Boccino e continuava a tracciare le lettere “L.E.” Che cosa potevano significare?
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«Giù le piume!» squittì il professor Vitious. «Anche tu, Stebbins! Per favore, restate seduti mentre raccolgo i compiti! Accio!»
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Più di cento rotoli di pergamena sfrecciarono per aria e atterrarono fra le sue braccia tese, rovesciandolo a terra. Parecchi studenti scoppiarono a ridere; un paio nella prima fila si alzarono, lo presero sotto i gomiti e lo tirarono su di peso.
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«Grazie… grazie» ansimò il professor Vitious. «Molto bene, potete andare!»
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Harry abbassò lo sguardo su suo padre, che cancellò in fretta tutti gli “L.E.”, si alzò di scatto, infilò piuma e pergamena in una borsa che si mise a tracolla, e aspettò che Sirius lo raggiungesse.
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Voltandosi, Harry vide Piton muoversi fra i banchi verso la porta che dava nella Sala d’Ingresso, chiaramente ancora concentrato sull’esame. Spigoloso nonostante le spalle curve, camminava con l’andatura nervosa di un ragno, i capelli unti appiccicati sul viso.
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Una banda di ragazze chiacchierine lo separava da James, Sirius e Lupin, e confondendosi tra loro Harry riuscì a non perderlo di vista e intanto a cogliere le voci di James e dei suoi amici.
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«Ti è piaciuta la domanda numero dieci, Lunastorta?» chiese Sirius uscendo dalla Sala.
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«Eccome» rispose allegramente Lupin. «Indicate i cinque segni che identificano un lupo marinaro. Un’ottima domanda».
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«Credi di essere riuscito a individuarli tutti e cinque?» scherzò James fingendosi preoccupato.
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«Credo proprio di sì» replicò serio Lupin, mentre si univano alla folla accalcata davanti al portone, ansiosa di uscire all’aperto. «Uno: è seduto sulla mia sedia. Due: indossa i miei vestiti. Tre: si chiama Remus Lupin».
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Codaliscia fu il solo a non ridere.
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«Io ho indicato la forma del muso, le pupille e la coda a ciuffo» disse ansioso, «però non mi è venuto in mente altro…»
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«Ma quanto sei zuccone, Codaliscia?» sbuffò James. «Corri in giro con un lupo mannaro una volta al mese…»
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«Abbassa la voce» lo implorò Lupin.
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Harry si voltò di nuovo. Piton era vicino, ancora intento a ripercorrere le domande dell’esame… ma quello era il suo ricordo e se una volta all’aperto avesse deciso di prendere un’altra direzione, Harry non sarebbe più riuscito a tenere d’occhio il padre. Con suo grande sollievo, quando James e i suoi amici puntarono verso il lago, Piton li seguì senza rendersene conto. Così, tenendosi qualche passo davanti a lui, Harry riuscì a restare vicino a James e agli altri.
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«Secondo me l’esame era una sciocchezza» sentì dire Sirius. «Mi stupirei se non prendessi come minimo “Eccezionale”».
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«Anch’io». James infilò una mano in tasca e ne estrasse un agitatissimo Boccino d’Oro.
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«E quello dove l’hai preso?»
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«Sgraffignato» fu la distratta risposta. James prese a giocherellare col Boccino: gli consentiva di allontanarsi al massimo trenta centimetri prima di riacciuffarlo; aveva ottimi riflessi. Codaliscia lo guardava ammirato.
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Si fermarono in riva al lago, sotto lo stesso faggio dove tempo prima Harry, Ron e Hermione avevano trascorso una domenica a finire i compiti, e si distesero sull’erba. Ancora una volta Harry si voltò, e con sollievo vide che Piton si era seduto poco lontano, all’ombra di alcuni cespugli. Era sempre immerso nella lettura dei fogli del G.U.F.O., il che lasciò Harry libero di sedersi sull’erba, a metà strada tra il faggio e i cespugli, e osservare i quattro sotto l’albero. Il sole splendeva abbagliante sulla superficie del lago e sul gruppetto di ragazze ridenti che si erano tolte calze e scarpe per rinfrescarsi i piedi nell’acqua.
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Lupin aveva preso un libro e leggeva. Sirius guardava gli studenti che ciondolavano sul prato. James continuava a giocare col Boccino: lasciava che si allontanasse sempre di più e lo riacchiappava all’ultimo secondo. Codaliscia lo fissava a bocca aperta, trattenendo il fiato e applaudendo a ogni presa particolarmente difficile. Dopo cinque minuti di quella scena, Harry cominciò a chiedersi perché James non gli diceva di darci un taglio, ma James sembrava godersi tutta quell’attenzione. Notò anche che suo padre aveva l’abitudine di passarsi una mano fra i capelli come per evitare che stessero troppo in ordine, e che continuava a lanciare occhiate alle ragazze in riva al lago.
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«Mettilo via, dài» sbottò finalmente Sirius, mentre James eseguiva un’abile presa e Codaliscia strillava eccitato. «Prima che il nostro amico se la faccia addosso».
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Codaliscia arrossì, ma James sorrise.
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«Se ti dà fastidio» disse, infilando di nuovo in tasca il Boccino. Harry ebbe la netta impressione che Sirius fosse il solo a cui James fosse disposto a dare retta.
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«Che noia» disse Sirius. «Vorrei che fosse luna piena».
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«Tu, forse» brontolò Lupin da dietro il libro. «Dobbiamo ancora fare Trasfigurazione: se ti annoi, puoi interrogarmi. Tieni…» E gli tese il libro.
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Ma Sirius sbuffò. «Non ho bisogno di ripassare quella roba, so già tutto».
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«Questo ti tirerà su, Felpato» disse James sommesso. «Guarda chi c’è…»
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Sirius voltò la testa. E s’immobilizzò come un cane che annusa la preda.
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«Eccellente» sussurrò. «Mocciosus».
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Harry si voltò per seguire il suo sguardo.
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Piton si era alzato e stava infilando le pergamene del G.U.F.O. nella borsa. Mentre usciva dall’ombra dei cespugli e si avviava sul prato, anche Sirius e James si alzarono.
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Lupin e Codaliscia rimasero seduti: Lupin aveva ancora la testa china sul libro, ma gli occhi immobili, e fra le sopracciglia gli era comparsa una ruga sottile; lo sguardo di Codaliscia, invece, guizzava avido da Sirius e James a Piton.
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«Tutto bene, Mocciosus?» chiese James ad alta voce.
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Piton reagì con rapidità sorprendente, come se si fosse aspettato un attacco: lasciò cadere la borsa, infilò una mano nella veste e aveva già la bacchetta a mezz’aria quando James gridò: «Expelliarmus!»
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La bacchetta di Piton fece un volo di tre metri e cadde sull’erba dietro di lui. Sirius sbottò in una risata simile a un latrato.
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«Impedimenta!» disse, puntando a sua volta la bacchetta su Piton, e facendolo cadere a terra lungo disteso.
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Molti studenti si voltarono e alcuni si avvicinarono. Qualcuno sembrava preoccupato, qualcun altro soltanto divertito.
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Piton rimase a terra, ansante, mentre James e Sirius avanzavano verso di lui con le bacchette levate. James lanciava occhiate di sbieco alle ragazze sulla riva. Anche Codaliscia era in piedi ora e dopo aver girato attorno a Lupin per avere una visuale migliore, osservava avido la scena.
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«Com’è andato l’esame, Mocciosus?» chiese James.
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«Lo tenevo d’occhio, aveva il naso incollato alla pergamena» sogghignò Sirius. «Con tutto l’unto che ci avrà lasciato, non riusciranno a leggere una parola».
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Parecchi ragazzi scoppiarono a ridere. A quanto pareva, Piton non era un tipo molto amato. Codaliscia diede in un risolino acuto, Piton tentò di alzarsi, ma l’incantesimo era ancora attivo e perciò non poté fare altro che divincolarsi, come trattenuto da funi invisibili.
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«Aspetta… tu» ansimò, alzando su James uno sguardo carico d’odio, «aspetta… e vedrai!»
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«Aspettare cosa?» chiese gelido Sirius. «Che cosa farai, Mocciosus, ci userai per soffiarti il naso?»
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Dalla bocca di Piton scaturì un torrente d’imprecazioni miste a incantesimi, ma con la bacchetta a tre metri di distanza era impotente.
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«Faresti meglio a lavarti la bocca» commentò freddo James. «Gratta e netta!»
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Un attimo dopo, una saponosa schiuma rosea eruttò dalle labbra di Piton, provocandogli conati di vomito, soffocandolo…
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«Lascialo STARE!»
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James e Sirius si voltarono di scatto. La mano libera di James salì subito ad arruffargli i capelli.
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A gridare era stata una delle ragazze in riva al lago. Aveva folti capelli rosso scuro che le arrivavano alle spalle e occhi a mandorla di un verde incredibile… gli stessi occhi di Harry.
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Sua madre.
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«Tutto bene, Evans?» disse James con una voce di colpo più profonda, più matura.
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«Lascialo stare» ripeté Lily, fissandolo disgustata. «Che cosa ti ha fatto?»
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«Be’…» rispose James, fingendo di ponderare la questione, «è più il fatto che esiste, non so se mi spiego…»
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Parecchi studenti risero, Sirius e Codaliscia compresi, ma non Lupin — in apparenza ancora tutto preso dal suo libro — e nemmeno Lily.
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«Ti credi divertente, Potter» disse gelida. «Ma sei solo un bullo arrogante e prepotente. Lascialo stare».
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«Solo se esci con me, Evans» replicò rapido James. «Esci con me, e non alzerò mai più la bacchetta su Mocciosus».
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Dietro di lui l’Incantesimo di Ostacolo stava svanendo, e sputacchiando bolle di sapone Piton prese a strisciare verso la bacchetta caduta.
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«Non accetterei nemmeno se dovessi scegliere fra te e una piovra gigante» replicò Lily.
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«Ti è andata male, Ramoso» disse Sirius spiccio, e si voltò verso Piton. «EHI!»
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Troppo tardi. Piton aveva già puntato la bacchetta contro James: ne scaturì un lampo di luce, e su una guancia di James comparve un taglio che gli schizzò la veste di sangue. James ruotò su se stesso, partì un secondo lampo di luce e un attimo dopo Piton penzolava per aria all’ingiù, la veste che gli ricadeva sopra la testa mostrando le pallide gambe ossute e un paio di mutande grigiastre.
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Un applauso si levò dalla piccola folla; Sirius, James e Codaliscia si rotolavano dalle risate.
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«Mettilo giù!» gridò Lily. La sua espressione furiosa aveva per un attimo quasi ceduto il posto al sorriso.
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«Ai tuoi ordini». James fece scattare la bacchetta all’insù, e Piton si afflosciò a terra. Districandosi dalla veste, si rialzò rapido, la bacchetta pronta, ma Sirius gridò: «Petrificus Totalus!» e Piton cadde di nuovo, rigido come un palo.
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«LASCIATELO STARE!» urlò Lily, ed estrasse a sua volta la bacchetta. James e Sirius la fissarono preoccupati.
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«Dài, Evans, non costringermi a farti un incantesimo» disse ansioso James.
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«Allora liberalo!»
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James sospirò, poi si voltò verso Piton e mormorò un controincantesimo.
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«Ecco fatto» disse, mentre Piton si rialzava a fatica. «Ti è andata bene che ci fosse Evans, Mocciosus…»
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«Non mi serve l’aiuto di una piccola schifosa Mezzosangue!»
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Lily trasalì.
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«Molto bene» replicò freddamente. «Vuol dire che in futuro non mi prenderò la briga di aiutarti. E se fossi in te mi laverei le mutande, Mocciosus».
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«Chiedi scusa a Evans!» ruggì James, puntando la bacchetta contro Piton.
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«Non voglio che mi chieda scusa perché l’hai costretto tu!» urlò Lily. «Siete uguali, voi due».
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«Che cosa?» protestò James. «Io non ti avrei MAI chiamato una… tu-sai-come!»
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«Sempre a spettinarti i capelli perché ti sembra affascinante avere l’aria di uno che è appena sceso dalla scopa, sempre a esibirti con quello stupido Boccino e a camminare tronfio nei corridoi e lanciare incantesimi su chiunque ti infastidisca solo perché sei capace… sei così pieno di te che non so come fa la tua scopa a staccarsi da terra! Mi dai la NAUSEA».
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Lily si voltò e corse via.
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«Evans!» le gridò dietro James. «Ehi, EVANS!»
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Lily non si voltò.
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«Ma che cos’ha?» bofonchiò James, tentando — senza riuscirci — di comportarsi come se la risposta non avesse per lui alcuna importanza.
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«Leggendo fra le righe, amico, direi che secondo lei sei un po’ presuntuoso» rispose Sirius.
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«Bene» disse James, che sembrava furibondo. «Bene…»
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Saettò un altro lampo di luce, e ancora una volta Piton si ritrovò a mezz’aria, a testa in giù.
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«Allora… chi vuole vedermi togliere le mutande a Mocciosus?»
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Harry non scoprì mai se James avesse davvero tolto le mutande a Piton, perché una mano gli serrò il braccio come una morsa. Si voltò di scatto per vedere chi lo avesse afferrato e scorse con un brivido di terrore un Piton adulto, pallido di rabbia.
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«Ti stai divertendo?»
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Si sentì sollevare e la giornata estiva svanì; fluttuava verso l’alto attraverso una tenebra gelida, la mano di Piton sempre stretta attorno al braccio. Poi, con la sensazione di aver fatto una capriola a mezz’aria, atterrò in piedi sul pavimento di pietra del sotterraneo accanto al Pensatoio, nel cupo ufficio dell’attuale insegnante di Pozioni.
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«Allora» ripeté Piton, stringendogli il braccio con tanta forza da fermargli la circolazione. «Allora… ti stavi divertendo, Potter?»
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«N-no» disse Harry, tentando di liberarsi.
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Era uno spettacolo spaventoso: Piton era pallidissimo, le labbra tremanti ritratte sui denti.
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«Un uomo spiritoso, tuo padre, vero?» ringhiò, scrollandolo così forte da fargli scivolare gli occhiali sul naso.
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«Io… non…»
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Piton lo scagliò lontano con tanta violenza che Harry ruzzolò sui lastroni di pietra. «Non ripeterai mai a nessuno quello che hai visto!» ululò.
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«No» balbettò Harry, rimettendosi in piedi e tenendosi più lontano possibile da lui. «No, certo che no…»
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«Fuori! Fuori di qui! Non voglio vederti mai più qui dentro!»
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Mentre Harry filava verso l’uscita, un vaso di scarafaggi morti esplose sopra la sua testa. Spalancò la porta e fuggì in corridoio, senza fermarsi finché non ebbe messo tre piani fra sé e Piton. Soltanto allora si appoggiò ansante alla parete, massaggiandosi il braccio indolenzito.
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Non aveva voglia di tornare così presto nella Torre di Grifondoro, né di raccontare a Ron e Hermione quello che aveva scoperto. Perché a riempirlo di orrore e infelicità non era stata la reazione rabbiosa di Piton, ma il fatto che lui, Harry, sapeva fin troppo bene che cosa si prova a essere umiliati davanti a tutti e perciò che cosa aveva provato Piton mentre James si faceva beffe di lui. E a ferirlo era anche il fatto che, a giudicare da quanto aveva appena visto, suo padre era davvero un presuntuoso arrogante, proprio come Piton gli aveva sempre detto.
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