I piedi di Harry toccarono il suolo. Vide High Street di Hogsmeade, dolorosamente familiare: vetrine buie, il profilo delle montagne nere oltre il villaggio, la curva là in fondo che portava a Hogwarts e la luce alle finestre dei Tre Manici di Scopa. Con una stretta al cuore fu trafitto dal ricordo di come fosse arrivato proprio lì, quasi un anno prima, sorreggendo un Silente senza forze; tutto questo nell'istante dell'atterraggio, ma quando ancora stava allentando la stretta sulle braccia di Ron e Hermione, accadde.
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Un urlo simile a quello di Voldemort quando aveva scoperto il furto della coppa lacerò l'aria: scosse tutti i nervi di Harry, e lui capì immediatamente che a provocarlo era stato il loro arrivo. Guardò gli amici sotto il Mantello e la porta dei Tre Manici di Scopa si spalancò: una decina di Mangiamorte avvolti nei mantelli e incappucciati si riversarono in strada, le bacchette pronte.
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Harry afferrò Ron per il polso prima che alzasse la sua. Ce n'erano troppi per Schiantarli e provandoci avrebbero rivelato la loro posizione. Un Mangiamorte agitò la bacchetta e l'urlo cessò. Continuò però a echeggiare tra le montagne in lontananza.
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«Accio Mantello!» ruggì un altro Mangiamorte.
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Harry lo tenne stretto, ma il Mantello non si mosse: l'Incantesimo di Ap
pello non aveva funzionato.
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«Non sei sotto la tua coperta, eh, Potter?» urlò il Mangiamorte che aveva tentato l'incantesimo, e poi, ai suoi compagni: «Sparpagliatevi. è qui».
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Sei Mangiamorte corsero verso di loro: Harry, Ron e Hermione si infilarono a tutta velocità nella strada laterale più vicina e i Mangiamorte li mancarono per pochi centimetri. Attesero nel buio, ascoltando i passi dei Mangiamorte che correvano avanti e indietro, proiettando con le bacchette raggi di luce lungo la strada.
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«Andiamo via!» sussurrò Hermione. «Smaterializziamoci subito!» «Ottima idea» disse Ron, ma prima che Harry potesse rispondere, un
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Mangiamorte urlò: «Sappiamo che sei qui, Potter, non hai scampo! Ti troveremo!»
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«Ci stavano aspettando» bisbigliò Harry. «Hanno predisposto quell'incantesimo per intercettarci. Avranno anche escogitato qualcos'altro per trattenerci qui, per intrappolarci...»
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«E i Dissennatori?» gridò un altro Mangiamorte. «Liberiamoli, lo troveranno subito!»
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«Il Signore Oscuro vuole che Potter muoia per mano sua...»
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«... ma i Dissennatori non lo uccideranno! Il Signore Oscuro vuole la vita di Potter, non la sua anima. Sarà più facile ucciderlo se prima è stato baciato!»
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Voci di assenso. Il terrore s'impadronì di Harry: per respingere i Dissennatori avrebbero dovuto evocare dei Patroni, che li avrebbero traditi all'istante.
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«Dobbiamo provare a Smaterializzarci, Harry!» ripeté Hermione in un sussurro.
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Lui avvertì il freddo innaturale calare sulla strada. La luce fu risucchiata da tutto fino alle stelle, che sparirono. Nell'oscurità totale, sentì Hermione prenderlo per mano e girarono sul posto insieme.
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L'aria attraverso la quale avrebbero dovuto spostarsi sembrava solidificata: non potevano Smaterializzarsi; i Mangiamorte avevano fatto le cose per bene. Il freddo mordeva sempre più a fondo le carni di Harry. Arretrò ancora con Ron e Hermione lungo la stradina laterale, seguendo i muri a tentoni, cercando di non far rumore. Poi i Dissennatori girarono l'angolo silenziosi: erano dieci o più, visibili perché fatti di un buio più denso di ciò che li circondava, con i loro mantelli neri e le mani putrefatte. Potevano sentire la paura? Sì, Harry ne era certo: adesso erano più rapidi e traevano quei respiri corti e rochi che detestava, assaporando la disperazione nell'a
ria, sempre più vicini...
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Alzò la bacchetta: non poteva, non voleva subire il bacio dei Dissennatori, a qualsiasi costo. Fu a Ron e Hermione che pensò quando sussurrò: «Expecto Patronum!»
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Il cervo d'argento uscì dalla sua bacchetta e caricò: i Dissennatori si dispersero e da un punto nel buio si levò un urlo di trionfo.
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«È lui, laggiù, laggiù, ho visto il suo Patronus, è un cervo!»
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I Dissennatori si ritirarono, ricomparvero le stelle e i passi dei Mangiamorte divennero più sonori; ma prima che Harry, in preda al panico, riuscisse a decidere che fare, udì un rumore di catenacci, una porta si aprì sulla sinistra della stradina e una voce roca chiamò: «Potter, qui dentro, presto!»
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Obbedì senza esitare: i tre si precipitarono oltre la soglia.
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«Di sopra, tenete addosso il Mantello, fate piano!» borbottò una figura alta, che li oltrepassò per uscire in strada e si chiuse la porta alle spalle con un tonfo.
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Harry non aveva idea di dove fossero, ma alla luce esitante di una sola candela riconobbe il sudicio pavimento coperto di segatura della Testa di Porco. Corsero dietro il banco, oltre una seconda porta che conduceva a una traballante scala di legno, e salirono più veloci che poterono. Arrivarono in un salotto con un tappeto liso e un piccolo camino, sopra il quale era appeso un grande ritratto a olio di una ragazza bionda che guardava la stanza con una sorta di vacua dolcezza.
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Dalla strada giungevano delle urla. Ancora avvolti nel Mantello dell'Invisibilità, i tre strisciarono verso la finestra velata di sporco e guardarono giù. Il loro salvatore, che Harry riconobbe come il barista della Testa di Porco, era l'unico a capo scoperto.
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«E allora?» stava urlando contro uno degli incappucciati. «E allora? Se portate i Dissennatori nella mia via, io gli spedisco contro un Patronus! Non li voglio vicini, ve l'ho detto, non lo tollero!»
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«Quello non era il tuo Patronus!» ribatté un Mangiamorte. «Quello era un cervo, era di Potter!»
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«Un cervo!» ruggì il barista, ed estrasse la bacchetta. «Un cervo! Idiota... Expecto Patronum!»
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Qualcosa di grosso e cornuto eruppe dalla bacchetta: a testa bassa, si avventò verso High Street e sparì.
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«Non è quello che ho visto io...» osservò il Mangiamorte, ma non era più tanto sicuro.
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«Il coprifuoco è stato violato, hai sentito il segnale» insisté uno dei suoi compagni. «C'era qualcuno per la strada, è contro le regole...»
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«Se mi va di far uscire il gatto, lo faccio, e al diavolo il vostro coprifuoco!»
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«Sei stato tu a far scattare l'Incanto Gnaulante?»
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«E allora? Mi mandate ad Azkaban? Volete uccidermi perché ho messo il naso fuori dalla porta di casa mia? Prego, fate pure! Ma spero per il vostro bene che non abbiate schiacciato i vostri piccoli Marchi Neri per chiamarlo. Non sarà contento di essere stato convocato per me e il mio vecchio gatto, eh?»
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«Non preoccuparti per noi» ribatté un Mangiamorte, «bada a te stesso, hai violato il coprifuoco!»
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«E dov'È che farete i vostri commerci di pozioni e veleni quando il mio pub sarà chiuso? Che ne sarà dei vostri piccoli traffici?»
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«Stai minacciando...?»
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«Io tengo la bocca chiusa, è per questo che venite qui, no?»
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«Ripeto che ho visto un Patronus cervo!» urlò il primo Mangiamorte. «Cervo?» tuonò il barista. «È una capra, idiota!»
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«D'accordo, ci siamo sbagliati» ammise il secondo Mangiamorte. «Viola ancora il coprifuoco e non saremo così indulgenti!»
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I Mangiamorte tornarono verso High Street. Hermione gemette di sollievo, uscì da sotto il Mantello e si lasciò cadere su una sedia traballante. Harry chiuse con cura le tende, poi tirò via il Mantello da sé e Ron. Sentirono il barista sprangare di nuovo la porta di sotto e salire le scale.
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L'attenzione di Harry fu catturata da qualcosa sulla mensola del camino: un piccolo specchio rettangolare appoggiato sotto il ritratto della fanciulla.
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Il barista entrò.
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«Maledetti imbecilli» mugugnò burbero, guardandoli uno alla volta. «Come vi è saltato in mente di venire qui?»
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«Grazie» replicò Harry, «non potremo mai ringraziarla abbastanza. Ci ha salvato la vita».
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Il barista grugnì. Harry si avvicinò e lo osservò, cercando di vedere oltre i lunghi, stopposi capelli grigio ferro e la barba. Portava gli occhiali. Dietro le lenti sudicie, gli occhi erano di un azzurro vivido e penetrante.
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«È il suo occhio quello che ho visto nello specchio». Nella stanza calò il silenzio. Harry e il barista si fissarono. «Lei ci ha mandato Dobby».
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Il barista annuì e si guardò intorno in cerca dell'elfo.
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«Pensavo che fosse con voi. Dove l'avete lasciato?»
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«È morto» rispose Harry. «L'ha ucciso Bellatrix Lestrange».
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Il volto del barista rimase impassibile. Dopo qualche istante l'uomo disse: «Mi dispiace. Mi stava simpatico, quell'elfo».
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Si voltò e accese le lampade a colpi di bacchetta, evitando di guardarli. «Lei è Aberforth» mormorò Harry rivolto alla schiena dell'uomo.
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Questi non confermò e non negò, ma si chinò ad accendere il fuoco. «Come l'ha avuto?» chiese Harry, avvicinandosi allo specchio di Sirius, il gemello di quello che aveva rotto quasi due anni prima.
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«L'ho comprato da Mundungus un annetto fa» rispose Aberforth. «Albus mi aveva detto cos'era. Cercavo di tenervi d'occhio».
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Ron rimase senza fiato.
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«La cerva d'argento!» esclamò, eccitato. «Era sempre lei?»
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«Di cosa stai parlando?» chiese Aberforth.
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«Qualcuno ci ha mandato un Patronus a forma di cerva!»
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«Con un cervello del genere potresti essere un Mangiamorte, ragazzo.
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Non hai appena visto che il mio Patronus è una capra?»
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«Oh» fece Ron. «Sì... be', ho molta fame!» aggiunse a mo' di scusa, mentre il suo stomaco gorgogliava fragoroso.
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«Ho del cibo» ribatté Aberforth, e uscì dalla stanza. Riapparve qualche minuto dopo con una grossa pagnotta, del formaggio e una caraffa di peltro colma di idromele, che posò su un tavolino davanti al fuoco. Affamati, mangiarono e bevvero, e per un po' gli unici rumori furono lo scoppiettio del fuoco, il tintinnio dei bicchieri e il rumore delle mascelle.
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«Bene» cominciò Aberforth quando si furono saziati; Harry e Ron si erano abbandonati sonnolenti nelle poltrone. «Dobbiamo pensare al modo migliore per tirarvi fuori di qui. Di notte non si può, avete sentito cosa succede se si esce di casa con il buio: parte l'Incanto Gnaulante e vi saltano addosso come Asticelli sulle uova di Doxy. Non credo di poter far passare un cervo per una capra un'altra volta. All'alba, quando cesserà il coprifuoco, potrete rimettervi il Mantello e andarvene a piedi. Uscite subito da Hogsmeade, andate sulle montagne: là potrete Smaterializzarvi. Magari incontrate Hagrid. Si nasconde lassù in una grotta con Grop da quando hanno cercato di arrestarlo».
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«Noi non ce ne andiamo» rispose Harry. «Dobbiamo entrare a Hogwarts».
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«Non essere stupido, ragazzo» replicò Aberforth. «Dobbiamo» insisté Harry.
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«Quello che dovete fare» osservò Aberforth, chinandosi in avanti, «È andare il più lontano possibile da qui».
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«Lei non capisce. Non c'È molto tempo. Dobbiamo entrare nel castello. Silente... cioÈ, suo fratello... voleva che noi...»
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Per un attimo la luce del fuoco rese le lenti unte degli occhiali di Aberforth opache, di un bianco luminescente e piatto, che a Harry ricordò gli occhi ciechi del ragno gigante, Aragog.
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«Mio fratello Albus voleva un sacco di cose» commentò Aberforth, «e di solito la gente aveva il vizio di farsi del male nel corso dei suoi grandiosi piani. Vattene da questa scuola, Potter, e anche dal paese, se puoi. Dimentica mio fratello e i suoi audaci progetti. è andato dove niente di tutto questo può ferirlo e tu non gli devi nulla».
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«Lei non capisce» ripeté Harry.
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«Oh, davvero?» mormorò Aberforth. «Tu credi che io non capissi mio fratello? Credi di aver conosciuto Albus meglio di me?»
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«Non è questo che volevo dire» replicò Harry, un po' inebetito dalla stanchezza e dall'eccesso di cibo e vino. «È che... mi ha lasciato un compito».
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«Ma davvero?» fece Aberforth. «Un bel lavoretto, spero. Piacevole? Facile? Il genere di cosa che un qualsiasi maghetto possa eseguire senza troppi sforzi?»
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Ron sbottò in una risata cupa. Hermione era tesa.
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«Io... non è facile, no» rispose Harry. «Ma devo...»
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«'Devi'? Perché 'devi'? è morto, no?» insisté Aberforth senza riguardo.
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«Lascia perdere, ragazzo, se non vuoi fare la sua fine! Salvati!»
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«Non posso».
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«Perché no?»
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«Io...» Harry era sopraffatto; non riusciva a spiegarsi, quindi decise di contrattaccare. «Ma anche lei lotta, fa parte dell'Ordine della Fenice...» «Una volta» lo corresse Aberforth. «L'Ordine della Fenice non c'È più. Tu-Sai-Chi ha vinto, è finita, e chiunque finga di credere il contrario si sbaglia. Qui non sarai mai al sicuro, Potter, lui ti vuole troppo. Vai all'estero, entra in clandestinità, salvati. Meglio se porti questi due con te». E indicò Ron e Hermione col pollice. «Saranno sempre in pericolo, adesso che tutti sanno che lavorano con te».
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«Non posso andar via. Ho un compito...»
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«Passalo a qualcun altro!»
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«Non posso. Devo essere io, Silente mi ha spiegato...»
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«Oh, davvero? E ti ha detto tutto, è stato onesto con te?»
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Harry avrebbe voluto con tutto il cuore rispondere di sì, ma quel semplice monosillabo non gli salì alle labbra. Aberforth parve capire che cosa stava pensando.
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«Conoscevo mio fratello, Potter. Ha succhiato la segretezza con il latte di mia madre. Segreti e bugie, ecco come siamo cresciuti, e Albus... aveva un talento naturale».
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Lo sguardo del vecchio si posò sul ritratto della fanciulla sopra il camino. Harry si accorse che era la sola immagine nella stanza. Non c'erano foto di Albus Silente né di altri.
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«Signor Silente» intervenne timidamente Hermione. «Quella è sua sorella? Ariana?»
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«Sì» rispose subito Aberforth. «Hai letto Rita Skeeter, eh, signorina?» Anche alla luce rosata del fuoco si notava che Hermione era arrossita. «Ce ne ha parlato Elphias Doge» spiegò Harry, cercando di difendere
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Hermione.
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«Quel vecchio stupido» borbottò Aberforth, tracannando un'altra sorsata di idromele. «Era convinto che il sole brillasse da tutti i pori di mio fratello. Be', come un sacco di altra gente, voi tre compresi, a quanto pare».
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Harry rimase in silenzio. Non era il momento di manifestare i dubbi che lo arrovellavano da mesi. Aveva fatto la sua scelta scavando la tomba per Dobby; aveva deciso di proseguire lungo il tortuoso, rischioso sentiero tracciato per lui da Albus Silente, di accettare che non gli fosse stato detto tutto ciò che avrebbe voluto sapere, ma di fidarsi e basta. Non nutriva alcun desiderio di dubitare ancora, non voleva sentir dire nulla che lo distogliesse dal suo scopo. Incrociò lo sguardo di Aberforth, straordinariamente simile a quello del fratello: gli occhi azzurri sembravano passare ai raggi X l'oggetto del loro esame, proprio allo stesso modo, e Harry pensò che Aberforth sapesse che cosa stava pensando e lo disprezzasse per questo.
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«Il professor Silente teneva a Harry, ci teneva molto» mormorò Hermione.
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«Ma davvero?» ribatté Aberforth. «È buffo: un sacco di persone a cui mio fratello teneva molto sono finite peggio che se le avesse lasciate in pace».
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«Cosa vuol dire?» chiese Hermione trepidante.
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«Lascia perdere» rispose Aberforth.
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«Ma è una cosa grave da dire!» obiettò Hermione. «Lei... lei si riferisce a sua sorella?»
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Aberforth la scrutò accigliato: le sue labbra si mossero come se stessero masticando le parole che tratteneva. Poi sbottò.
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«Quando mia sorella aveva sei anni, fu aggredita da tre ragazzi Babbani. L'avevano vista fare magie, spiando attraverso la siepe del giardino: era una bambina, non poteva controllarlo, nessuno ci riesce a quell'età. Erano spaventati, immagino. Attraversarono a forza la siepe, e quando lei non riuscì a spiegare il trucco, esagerarono un po' nel tentativo di fermare la mostriciattola».
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Gli occhi di Hermione erano enormi alla luce del fuoco; Ron pareva nauseato. Aberforth si levò in piedi, alto come Silente, improvvisamente terribile nella rabbia e nell'intensità del suo dolore.
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«L'hanno distrutta: non si è mai più ripresa. Non voleva usare la magia, ma non poteva sbarazzarsene, si è come rigirata dentro di lei e l'ha fatta impazzire, esplodeva quando lei non riusciva a dominarla, e a volte era strana, pericolosa. Ma la maggior parte del tempo era dolce, spaventata e innocua.
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«Mio padre inseguì quei bastardi» continuò Aberforth, «e li aggredì. Lo rinchiusero ad Azkaban. Non disse mai perché l'aveva fatto, perché se il Ministero avesse scoperto cos'era diventata Ariana l'avrebbe fatta rinchiudere per sempre al San Mungo. L'avrebbero considerata una minaccia allo Statuto Internazionale di Segretezza, squilibrata com'era, con la magia che le schizzava fuori quando non riusciva più a controllarla.
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«Dovevamo tenerla al sicuro, nascondere le sue condizioni. Abbiamo traslocato, abbiamo messo in giro la voce che era ammalata e mia madre si è occupata di lei, cercava di farla stare tranquilla e serena.
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«Ero io il suo preferito» aggiunse, e in quel momento un ragazzino sporco balenò sotto le rughe e la barba arruffata di Aberforth. «Non Albus, lui stava sempre in camera sua quando era a casa, a leggere i suoi libri e contare i suoi premi, a mantenere viva la corrispondenza con 'i maghi più influenti dell'epoca'» rise. «Non aveva tempo da perdere con lei. Lei preferiva me. Io riuscivo a farla mangiare quando non ce la faceva mia madre, io riuscivo a calmarla durante i suoi accessi, e quando era tranquilla mi aiutava a dar da mangiare alle capre.
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«Poi, a quattordici anni... be', io non c'ero. Se ci fossi stato, sarei riuscito a calmarla. Ebbe uno dei suoi attacchi, e mia madre non era più giovane come una volta e... fu un incidente. Ariana non riuscì a controllarsi. Ma mia madre rimase uccisa».
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Harry provò un orribile misto di pietà e ripugnanza; non voleva sentire
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altro, ma Aberforth continuò a raccontare e lui si chiese da quanto tempo non ne parlava; o se ne avesse mai parlato.
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«E questo mandò a monte il viaggio di Albus attorno al mondo col piccolo Doge. I due tornarono per il funerale di mia madre e poi Doge partì da solo, e Albus diventò il capofamiglia. Ha!»
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Aberforth sputò nel fuoco.
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«Avrei badato io a lei, glielo dissi, a me non importava della scuola, sarei rimasto a casa volentieri. Mi rispose che dovevo completare la mia istruzione e che avrebbe preso lui il posto di mia madre. Un bel passo indietro per il Signor Genio, non ti danno premi per star dietro a una sorella mezza matta, per impedirle di far saltare in aria la casa un giorno sì e uno no. Ma Albus se la cavò, per qualche settimana... finché non arrivò quell'altro».
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Ora Aberforth aveva un'espressione decisamente minacciosa.
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«Grindelwald. Finalmente mio fratello aveva trovato un suo pari con cui parlare, un ragazzo intelligente e dotato quanto lui. E allora Ariana passò in secondo piano, perché loro avevano i loro progetti per un nuovo ordine magico da ideare, e i Doni da cercare, o quel che era che li interessava tanto. Progetti grandiosi per il bene di tutta la stirpe magica, e se una ragazzina veniva trascurata, che importanza aveva, visto che Albus lavorava per il bene superiore.
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«Ma dopo qualche settimana non ne potevo più. Era quasi il momento di tornare a Hogwarts, così gliel'ho detto, a tutti e due, faccia a faccia, così come adesso sono qui con voi». Aberforth abbassò lo sguardo su Harry e non ci volle molta immaginazione per figurarselo come un adolescente magro e arrabbiato che affrontava il fratello maggiore. «Ho detto: è meglio che lasci perdere, adesso. Non puoi spostarla, non sta abbastanza bene, non te la puoi portare dietro, ovunque tu stia pensando di andare a fare i tuoi discorsi, a cercare di farti un seguito. Non gli è piaciuto» continuò Aberforth, gli occhi schermati per un attimo dalla luce del fuoco sulle lenti, che brillarono di nuovo vuote e bianche. «A Grindelwald non è piaciuto per niente. Si è arrabbiato. Mi ha detto che ero un ragazzino stupido, che cercavo di intralciare lui e quel genio di mio fratello... non capivo che la mia povera sorella non avrebbe più dovuto nascondersi una volta che avessero cambiato il mondo, tirato i maghi fuori dalla clandestinità e messo al loro posto i Babbani?
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«Scoppiò una lite... io presi la mia bacchetta e lui la sua, e il migliore amico di mio fratello mi inflisse la Maledizione Cruciatus... Albus cercò di
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fermarlo e ci ritrovammo tutti e tre a lottare, e i lampi e le esplosioni la facevano impazzire, non riusciva a sopportarlo...»
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Il volto di Aberforth impallidì come se avesse subito una ferita mortale.
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«... io credo che volesse aiutarmi, ma non sapeva quello che faceva: non so chi di noi sia stato, potrebbe essere stato chiunque... e morì».
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La voce gli si spezzò sull'ultima parola e lui si lasciò cadere sulla sedia più vicina. Il viso di Hermione era bagnato di lacrime e Ron era pallido quasi quanto lui. Harry non provava altro che disgusto: avrebbe preferito non ascoltare, avrebbe desiderato potersi ripulire la mente da tutto questo.
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«Mi... mi spiace tanto» sussurrò Hermione.
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«Perduta» mormorò Aberforth. «Perduta per sempre».
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Si asciugò il naso sul polsino e si schiarì la gola.
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«Naturalmente Grindelwald tagliò la corda. Aveva già collezionato una bella lista di malefatte nel suo paese e non voleva che anche Ariana fosse messa sul suo conto. E così Albus era libero. Libero dal fardello della sorella, libero di diventare il mago più grande del...»
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«Non è mai stato libero» lo interruppe Harry.
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«Come?» chiese Aberforth.
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«Mai» ripeté Harry. «La notte che morì, suo fratello aveva bevuto una pozione che lo fece uscire di senno. Urlava, supplicava qualcuno che non c'era. 'Non far del male a loro, ti prego... fai male a me, invece'».
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Ron e Hermione lo fissarono. Non aveva mai raccontato nei particolari che cos'era accaduto sull'isola al centro del lago: gli eventi dopo il ritorno suo e di Silente a Hogwarts avevano eclissato tutto il resto.
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«Credeva di essere di nuovo con lei e Grindelwald, lo so» continuò Harry, ricordando il piagnucolio e le suppliche di Silente. «Vedeva Grindelwald che faceva del male a lei e ad Ariana... era una tortura per lui: se l'avesse visto allora, non direbbe che era libero».
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Aberforth sembrava smarrito nella contemplazione delle proprie mani nodose e coperte di vene. Dopo una lunga pausa domandò: «Come fai, Potter, a essere sicuro che mio fratello non fosse più interessato al bene superiore che a te? Come fai a essere sicuro di non essere superfluo, come la mia sorellina?»
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Una scheggia di ghiaccio perforò il cuore di Harry.
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«Non ci credo. Silente voleva bene a Harry» intervenne Hermione. «Perché non gli ha detto di nascondersi, allora?» ribatté Aberforth. «Perché non gli ha detto: 'Pensa a te stesso, è così che si sopravvive'?» «Perché» rispose Harry, prima che potesse farlo Hermione, «a volte bi
sogna pensare a qualcosa di più della propria salvezza! A volte bisogna pensare al bene superiore! Questa è una guerra!»
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«Hai diciassette anni, ragazzo!»
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«Sono maggiorenne, e continuerò a combattere anche se lei si è arreso!» «Chi ha detto che mi sono arreso?»
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«'L'Ordine della Fenice non c'È più'» ripeté Harry. «'Tu-Sai-Chi ha vinto,
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È finita, e chiunque finga di credere il contrario si sbaglia'».
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«Non dico che mi piace, ma è la verità!»
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«No, non lo È» disse Harry. «Suo fratello sapeva come annientare LeiSa-Chi e me l'ha spiegato. Continuerò a tentare finché non ci riuscirò... o morirò. Non pensi che io non sappia come potrebbe andare a finire. Lo so da anni».
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Aspettò che Aberforth ridesse di lui o replicasse, ma non lo fece. Si limitò ad aggrottare le sopracciglia.
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«Dobbiamo entrare a Hogwarts» riprese Harry. «Se non può aiutarci, aspetteremo l'alba, la lasceremo in pace e cercheremo di trovare un modo da soli. Se invece può... be', questo è un ottimo momento per dirlo».
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Aberforth rimase immobile sulla sedia, scrutando Harry con il suo sguardo così straordinariamente simile a quello del fratello. Infine si schiarì la voce, si alzò, fece il giro del tavolino e si avvicinò al ritratto di Ariana.
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«Sai cosa fare» le disse.
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Lei sorrise, si voltò e se ne andò, non come le altre persone nei ritratti, dal lato della cornice, ma in quello che sembrava un lungo tunnel dipinto dietro di lei. Guardarono la sua figura sottile allontanarsi, inghiottita dall'oscurità.
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«Ehm... cosa?» fece Ron.
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«C'È solo un modo per entrare, ormai» spiegò Aberforth. «Dovete sapere che sorvegliano tutti i vecchi passaggi segreti da una parte e dall'altra, ci sono Dissennatori tutto attorno alle mura di cinta e pattuglie regolari dentro la scuola, stando alle mie fonti. Hogwarts non è mai stata così ben sorvegliata. Cosa pensi di poter fare una volta dentro, con Piton al comando e i Carrow come suoi vice... be', in fondo è quello che cerchi, no? Hai detto che sei pronto a morire».
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«Ma cosa...?» mormorò Hermione, guardando accigliata il ritratto di Ariana.
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Un puntino bianco era ricomparso in fondo al tunnel dipinto, Ariana stava tornando verso di loro, diventando sempre più grande man mano che si
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avvicinava. Ma c'era qualcun altro, qualcuno più alto di lei, che zoppicava al suo fianco e sembrava emozionato. I suoi capelli erano più lunghi di quanto Harry li avesse mai visti; aveva diversi tagli sul viso e gli abiti laceri. Le due figure s'ingrandirono finché le loro teste e le spalle riempirono il ritratto. Poi il quadro scattò in avanti come una porticina, rivelando l'ingresso di un vero tunnel. E dal tunnel, zazzeruto, ferito, stracciato, sbucò il vero Neville Paciock, che scoppiò in un ruggito di gioia, balzò giù dalla mensola del camino e gridò: «Sapevo che saresti venuto! Lo sapevo, Harry!»
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