«Ma perché non vai più a lezione di Occlumanzia?» chiese accigliata Hermione.
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«Te l’ho detto» bofonchiò Harry. «Secondo Piton, adesso che ho le basi posso cavarmela da solo».
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«Allora hai smesso di fare sogni strani?» insisté lei, scettica.
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«Più o meno» rispose Harry senza guardarla.
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«Piton non avrebbe dovuto smettere, se non sei assolutamente sicuro di poterli controllare!» esclamò Hermione indignata. «Harry, dovresti tornare da lui a chiedergli…»
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«No» tagliò corto Harry. «Lascia perdere, va bene?»
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Era il primo giorno delle vacanze di Pasqua, e come sua abitudine Hermione ne aveva dedicato una buona parte alla stesura di un programma di ripasso per tutti e tre. Harry e Ron l’avevano lasciata fare: era più semplice che mettersi a discutere, e poteva sempre tornare utile.
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Ron era rimasto sbigottito scoprendo che mancavano solo sei settimane agli esami.
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«Come mai sei tanto sorpreso?» domandò Hermione, picchiando la bacchetta su ogni quadratino della tabella in modo che ogni materia prendesse un colore diverso.
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«Non saprei» rispose Ron, «ma con tutto quello che è successo…»
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«Fatto!» disse Hermione, e gli diede il suo programma. «Se lo segui, non dovresti avere problemi».
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Ron abbassò lo sguardo con aria cupa, ma di colpo s’illuminò.
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«Mi hai lasciato una sera libera alla settimana!»
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«Per l’allenamento di Quidditch» rispose Hermione.
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Il sorriso di Ron si spense.
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«A che cosa serve?» brontolò. «Quest’anno abbiamo tante probabilità di vincere la Coppa quante ne ha papà di diventare Ministro della Magia».
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Hermione non replicò: stava guardando Harry che fissava con aria assente la parete di fronte, mentre Grattastinchi gli sfiorava una mano, tentando di convincerlo a grattargli le orecchie.
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«Qualcosa non va, Harry?»
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«Come?» disse lui in fretta. «No, niente».
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Prese una copia di Teoria della Magia Difensiva e fece finta di cercare qualcosa nell’indice. Grattastinchi decise di lasciarlo perdere e si ritirò sotto la sedia di Hermione.
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«Prima ho visto Cho» buttò lì Hermione. «Sembrava triste anche lei… avete litigato un’altra volta?»
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«Che co… oh, sì, abbiamo litigato» disse Harry, cogliendo al volo la scusa.
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«Per cosa?»
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«Per quella spia della sua amica, Marietta».
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«Be’, non ti do torto!» sbottò Ron. «Se non fosse stato per lei…»
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E si lanciò in una tirata contro Marietta Edgecombe, cosa che Harry trovò molto riposante: non doveva fare altro che accigliarsi, annuire e dire «Certo» e «Proprio così» ogni volta che Ron si fermava a riprendere fiato, lasciando la mente libera di indugiare, sempre più depressa, sulla scena vista nel Pensatoio.
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Il ricordo gli rodeva le viscere. Era sempre stato così sicuro che i suoi genitori fossero persone meravigliose da non aver mai avuto difficoltà a ignorare le calunnie di Piton sul carattere del padre. Hagrid e Sirius non gli avevano sempre detto che tipo eccezionale era? (Già, be’… guarda che tipo era Sirius, lo punzecchiò una voce interiore… altrettanto antipatico, no?) D’accordo, una volta aveva sentito la professoressa McGranitt dire che da studenti suo padre e Sirius avevano combinato un sacco di guai, però da come ne parlava sembravano più dei precursori dei gemelli Weasley, e Harry non riusciva a immaginarsi Fred e George che mettevano qualcuno a testa in giù tanto per divertirsi, a meno di non detestarlo… Malfoy, forse, o qualcuno che proprio se lo meritava…
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Si sforzò di convincersi che Piton se l’era meritato, ma Lily non aveva forse chiesto: «Che cosa ti ha fatto?» E James aveva risposto: «È più il fatto che esiste, non so se mi spiego». James aveva dato inizio a tutto solo perché Sirius si annoiava. Rammentò quando, in Grimmauld Place, Lupin aveva detto che Silente lo aveva nominato prefetto nella speranza che riuscisse a tenere sotto controllo James e Sirius… ma da quanto aveva visto nel Pensatoio, Lupin era rimasto lì a guardare…
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Però Lily era intervenuta, rifletté; sua madre era stata corretta. Eppure il ricordo della sua espressione mentre litigava con James lo disturbava quanto tutto il resto: era chiaro che provava solo disgusto per lui, e Harry non riusciva a capire perché alla fine l’avesse sposato. Un paio di volte si chiese perfino se James l’avesse costretta…
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Per quasi cinque anni, il pensiero di suo padre era stato per lui una fonte di conforto e d’ispirazione. Se qualcuno gli diceva che assomigliava al padre, si sentiva avvampare di orgoglio. E ora… ora quello stesso pensiero lo rendeva infelice.
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Col trascorrere delle vacanze di Pasqua l’aria si fece più ventosa, luminosa e tiepida, ma Harry, come gli altri studenti del quinto e del settimo anno, rimase chiuso nel castello a ripassare, trascinandosi avanti e indietro dalla biblioteca. Quanto al suo malumore, fingeva che dipendesse solo dagli esami imminenti e, dato che anche tutti i suoi compagni di Grifondoro erano stufi di studiare, la scusa funzionò.
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«Harry, dico a te, mi senti?»
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«Eh?»
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Si voltò. Ginny Weasley, piuttosto spettinata, lo aveva raggiunto al tavolo della biblioteca dov’era seduto tutto solo. Era domenica sera tardi: Hermione era tornata alla Torre di Grifondoro per ripassare Antiche Rune, e Ron aveva l’allenamento di Quidditch.
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«Ciao» la salutò, spostando i libri. «Come mai non sei all’allenamento?»
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«È già finito. Ron ha dovuto accompagnare Jack Sloper in infermeria».
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«Perché?»
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«Non ne siamo sicuri, ma pensiamo che si sia colpito da solo con la mazza». Sospirò. «Comunque… è appena arrivato un pacco che ha superato tutti i controlli della Umbridge».
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Posò sul tavolo una scatola avvolta in carta marrone, chiaramente aperta e richiusa alla meno peggio. Sopra era scarabocchiato in inchiostro rosso: Ispezionato e Approvato dall’Inquisitore Supremo di Hogwarts.
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«Uova di Pasqua da parte della mamma» spiegò Ginny. «Ce n’è uno anche per te… eccolo».
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Gli tese un bell’uovo di cioccolato: era decorato con piccoli Boccini glassati e secondo l’etichetta conteneva un sacchetto di Api Frizzole. Harry lo fissò un momento e poi, inorridito, si sentì salire un nodo alla gola.
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«Stai bene, Harry?» sussurrò Ginny.
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«Sì, sto bene» rispose Harry brusco. Il nodo alla gola era doloroso. Non capiva perché un uovo di Pasqua dovesse fargli quell’effetto.
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«Sembri piuttosto giù, ultimamente» insisté Ginny. «Sono sicura che se parlassi con Cho…»
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«Non è con Cho che voglio parlare» disse Harry frettoloso.
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«E con chi allora?» chiese Ginny, osservandolo attentamente.
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«Io…»
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Si guardò attorno per assicurarsi che nessuno potesse sentirli. Madama Pince era a parecchi scaffali di distanza, impegnata a timbrare una pila di libri per un’ansiosa Hannah Abbott.
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«È con Sirius che vorrei parlare» borbottò. «Ma lo so che non posso». Tanto per fare qualcosa, scartò l’uovo, lo ruppe e se ne infilò un pezzo in bocca.
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«Be’» disse lentamente Ginny, prendendone un po’ anche lei, «se proprio vuoi parlare con Sirius, possiamo trovare un modo, immagino».
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«Ma andiamo» disse Harry, disperato. «Con la Umbridge che controlla tutti i camini e legge tutta la nostra posta?»
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«Quando sei cresciuta con Fred e George» disse Ginny pensosa, «dopo un po’ cominci a credere che se hai abbastanza fegato tutto è possibile».
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Harry la guardò. E forse per effetto del cioccolato — Lupin consigliava sempre di mangiarne un pezzetto dopo un incontro con i Dissennatori — o forse solo perché aveva finalmente confidato a qualcuno il desiderio che gli bruciava dentro da una settimana, si sentì un po’ rincuorato.
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«CHE COSA CREDETE DI FARE?»
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«Oh, acci…» bisbigliò Ginny, balzando in piedi. «Mi ero scordata…»
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Madama Pince piombò su di loro, la faccia avvizzita contorta dalla furia.
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«Cioccolato in biblioteca!» strillò. «Fuori… fuori… FUORI!»
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E con un gesto della bacchetta comandò ai libri, alla borsa e al calamaio di Harry di mettere in fuga lui e Ginny, picchiandoli sulla testa mentre scappavano a tutta velocità.
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* * *
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Come per sottolineare l’importanza degli esami in arrivo, prima della fine delle vacanze sui tavoli della Torre di Grifondoro apparve una pila di opuscoli, volantini e avvisi relativi alle diverse professioni magiche, e sulla bacheca fu affisso un nuovo annuncio:
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ORIENTAMENTO PROFESSIONALE
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DURANTE LA PRIMA SETTIMANA DEL TRIMESTRE ESTIVO, TUTTI GLI STUDENTI DEL QUINTO ANNO SOSTERRANNO UN BREVE COLLOQUIO COL DIRETTORE DELLA PROPRIA CASA PER DISCUTERE DELLA LORO FUTURA PROFESSIONE.
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DI SEGUITO SONO ELENCATI GLI ORARI DEGLI APPUNTAMENTI INDIVIDUALI.
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Scorrendo la lista, Harry vide di essere atteso nell’ufficio della professoressa McGranitt lunedì alle due e mezzo, il che significava perdere la maggior parte di Divinazione. Lui e gli altri studenti del quinto anno passarono quasi tutto l’ultimo finesettimana di Pasqua a studiare i vari materiali informativi.
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«Di sicuro Guarigione non fa per me» disse Ron l’ultima sera delle vacanze. Era immerso nella lettura di un opuscolo che aveva sulla copertina l’osso-e-bacchetta incrociati del San Mungo. «Qui dice che devi aver preso come minimo “O” al M.A.G.O. di Pozioni, Erbologia, Trasfigurazione, Incantesimi e Difesa contro le Arti Oscure. Insomma… accidenti… hai detto niente, eh?»
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«È un lavoro di grande responsabilità, no?» osservò distrattamente Hermione, esaminando uno sgargiante volantino rosa e arancione intitolato: TI PIACEREBBE LAVORARE ALLE RELAZIONI BABBANE? «Per questo non sembra che ci sia bisogno di grandi qualifiche: chiedono soltanto un G.U.F.O. in Babbanologia. Le cose più importanti sono entusiasmo, pazienza e un buon senso dell’umorismo!»
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«Ci vuole altro che senso dell’umorismo per trattare con mio zio» commentò cupo Harry. «Un buon senso per schivare i colpi, piuttosto». Era a metà di un opuscolo sulla banca dei maghi. «Sentite qui: Cercate una professione interessante che comporti viaggi, avventure e tesori da conquistare a vostro rischio e pericolo? In tal caso, prendete in considerazione un impiego alla Banca Magica Gringott. Al momento cerchiamo aspiranti Spezzaincantesimi per elettrizzanti opportunità all’estero… Vogliono Aritmanzia, però; tu potresti farcela, Hermione!»
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«Non m’interessa lavorare in banca» replicò in tono vago Hermione, ora immersa in AVETE IL TOCCO GIUSTO PER ADDESTRARE TROLL DA GUARDIA?
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«Ehi» sussurrò una voce all’orecchio di Harry, che si voltò di scatto. Fred e George si erano uniti a loro. «Ginny ci ha parlato del tuo problema» disse Fred, allungando le gambe sul tavolo di fronte e facendo scivolare a terra parecchi opuscoli sulle possibilità di lavoro al Ministero della Magia. «Vuoi parlare con Sirius, no?»
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«Che cosa?» sbottò Hermione, bloccandosi con una mano sospesa a metà nell’atto di prendere FAI IL BOTTO AL DIPARTIMENTO DELLE CATASTROFI E DEGLI INCIDENTI MAGICI.
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«Già…» rispose Harry, tentando di suonare indifferente, «sì, mi piacerebbe…»
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«Non dire sciocchezze». Hermione si raddrizzò e lo fissò incredula. «Con la Umbridge che fruga in tutti i camini e perquisisce tutti i gufi?»
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«Oh… questo è un problema che si può aggirare facilmente» disse George, stiracchiandosi e sorridendo. «Tutto sta nel provocare un diversivo. Forse avrete notato che durante le vacanze di Pasqua siamo rimasti tranquilli».
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«Che senso aveva, ci siamo chiesti, rovinare le vacanze?» proseguì Fred. «Nessuno, ci siamo risposti. Senza contare che avremmo mandato a rotoli i piani di ripasso di tutti, ed era l’ultima cosa che volevamo».
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Rivolse un cenno ipocrita a Hermione, che parve spiazzata da tanta premura.
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«Però da domani si torna al lavoro» riprese allegramente Fred. «E visto che abbiamo intenzione di sollevare un bel parapiglia, tanto vale che Harry ne approfitti per fare quattro chiacchiere con Sirius».
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«Sì, ma…» disse Hermione, con l’aria di dover spiegare qualcosa di molto semplice a una persona molto ottusa, «anche se riusciste a mettere in piedi un’azione diversiva, come farebbe Harry a parlare con lui?»
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«Dall’ufficio della Umbridge» rispose Harry a voce bassa.
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Ci pensava da due settimane e non aveva trovato altra soluzione. La stessa Umbridge gli aveva detto che il suo era l’unico camino escluso dalla sorveglianza.
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«Ma sei matto?» sussurrò Hermione.
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Ron aveva abbassato il suo opuscolo sul Commercio di Funghi Coltivati e li ascoltava diffidente.
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«Non credo» disse Harry, scrollando le spalle.
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«E come pensi d’infilarti nel suo ufficio?»
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Harry aveva la risposta pronta. «Il coltello di Sirius».
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«Scusa?»
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«Due Natali fa, Sirius mi ha regalato un coltello capace di aprire qualunque serratura. Perciò anche se lei ha stregato la porta — e scommetto che l’ha fatto — e Alohomora non funziona…»
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«Tu che cosa ne pensi?» chiese Hermione a Ron, e a Harry tornò in mente la signora Weasley che si rivolgeva al marito durante la loro prima cena in Grimmauld Place.
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«Non saprei» rispose Ron, allarmato all’idea di dover esprimere un’opinione. «Se Harry vuole farlo, sta a lui decidere, no?»
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«Questo è parlare da amico e da Weasley» disse Fred, dandogli una pacca sulla schiena. «Bene, allora. Pensavamo di agire domani subito dopo le lezioni, quando tutti sono nei corridoi, per ottenere il massimo effetto. Saremo da qualche parte nell’ala est, Harry, in modo da attirarla lontano dal suo ufficio. Dovremmo riuscire a garantirti una ventina di minuti, diciamo?» Lanciò un’occhiata a George.
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«Nessun problema» annuì George.
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«Di che diversivo si tratta?» chiese Ron.
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«Lo vedrai, fratellino» rispose Fred. Lui e George si alzarono. «O meglio… lo vedrai se domani pomeriggio verso le cinque passi nel corridoio di Gregory il Viscido».
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Il giorno dopo Harry si svegliò prestissimo, preoccupato quasi quanto la mattina dell’udienza al Ministero della Magia. A innervosirlo, però, non era solo la prospettiva d’insinuarsi nell’ufficio della Umbridge e usare il suo camino per parlare con Sirius, anche se già questo era abbastanza: quel giorno avrebbe rivisto Piton per la prima volta da quando era stato cacciato dal suo ufficio.
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Dopo essere rimasto per un po’ a pensare alla giornata che lo aspettava, si alzò in silenzio, andò alla finestra accanto al letto di Neville e contemplò la gloriosa mattinata. Il cielo era di un luminoso blu opalescente appena velato. In lontananza vedeva l’alto faggio sotto il quale James un tempo aveva tormentato Piton. Non era sicuro di che cosa potesse dirgli Sirius per giustificare quello che aveva visto nel Pensatoio, ma desiderava disperatamente ascoltare la sua versione dei fatti, qualunque circostanza attenuante, qualunque cosa potesse scusare il comportamento del padre…
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Un movimento al limitare della foresta proibita attrasse la sua attenzione. Socchiuse gli occhi, schermandoli dal sole, e vide Hagrid emergere dal folto degli alberi. Sembrava che zoppicasse. Perplesso, lo vide raggiungere a fatica la porta della sua capanna e sparirvi dentro. Harry continuò a osservare la capanna per parecchi minuti. Hagrid non ricomparve, ma dopo un po’ un ricciolo di fumo si srotolò dal camino: non doveva essere così malridotto da non riuscire ad accendere il fuoco.
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Harry voltò le spalle alla finestra, tornò al suo baule e cominciò a vestirsi.
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Con l’idea d’intrufolarsi nell’ufficio della Umbridge davanti a sé, non si era aspettato una giornata riposante, ma non aveva messo in conto i martellanti tentativi di Hermione di dissuaderlo. Per la prima volta, una lezione di Storia della Magia del professor Rüf la vide distratta almeno quanto Harry e Ron, impegnata a bisbigliare un torrente di prediche che Harry si sforzò di ignorare.
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«…e se ti sorprende sul fatto, a parte espellerti, capirà che stavi parlando con Tartufo e stavolta suppongo che ti costringerà a bere il Veritaserum e a rispondere alle sue domande…»
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«Hermione» sussurrò Ron indignato, «smettila di fargli la predica e ascolta Rüf. Non vorrai costringermi a prendere appunti?»
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«Per una volta, non morirai!»
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Quando scesero nel sotterraneo, né Harry né Ron le rivolgevano più la parola, ma Hermione, imperterrita, approfittò di quel silenzio per riversare su di loro un flusso ininterrotto di oscure ammonizioni, borbottate in un sibilo veemente che fece perdere a Seamus cinque minuti buoni per controllare che il suo calderone non avesse perdite.
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Quanto a Piton, sembrava deciso a comportarsi come se Harry non esistesse. Naturalmente Harry era abituato a quella tattica, una delle preferite di zio Vernon, e tutto sommato fu sollevato di non dover affrontare di peggio. In effetti, rispetto alle punzecchiature e alle malignità che di solito era costretto a subire da Piton, quel nuovo modo di fare era un netto miglioramento, e fu una lieta sorpresa scoprire che, se lasciato in pace, era in grado di preparare una Soluzione Corroborante senza troppi problemi. Alla fine della lezione ne versò una parte in una fiaschetta, la tappò e la portò alla cattedra per la valutazione, certo di essersi guadagnato almeno una “O”.
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Si era appena voltato quando sentì un tonfo. Malfoy scoppiò in una risata acuta. Harry si voltò di scatto. La sua fiaschetta era in mille pezzi sul pavimento e Piton lo fissava con gioia maligna.
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«Ooops» sussurrò. «Un altro zero, Potter».
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Troppo furibondo per parlare, Harry tornò al suo calderone per riempire un’altra fiaschetta e costringere Piton a dargli un voto, ma scoprì inorridito che era vuoto.
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«Mi dispiace!» esclamò Hermione, premendosi le mani sulla bocca. «Davvero, Harry. Pensavo che avessi finito, così ho pulito tutto!»
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Harry non riuscì a pronunciare una sola parola. Non appena la campanella suonò, corse fuori dal sotterraneo senza guardarsi indietro, e a pranzo — per evitare che Hermione ricominciasse a tormentarlo — prese posto fra Neville e Seamus.
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Quando arrivò a Divinazione era così di malumore da essersi completamente scordato l’appuntamento con la professoressa McGranitt, e gli tornò in mente solo quando Ron gli chiese come mai non era andato al colloquio di orientamento professionale. Si precipitò al piano di sopra e arrivò senza fiato, con pochi minuti di ritardo.
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«Mi scusi, professoressa» ansimò, chiudendo la porta. «Mi ero dimenticato».
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«Non importa, Potter» disse la McGranitt in tono asciutto, ma nello stesso istante qualcuno tirò su col naso. Harry si voltò.
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La professoressa Umbridge era seduta in un angolo, con una tavoletta sulle ginocchia, una vezzosa ruche attorno al collo e un orrido sorrisetto soddisfatto sulla faccia.
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«Siediti, Potter» disse brusca la professoressa McGranitt. Le sue mani erano scosse da un lieve tremito mentre riordinava gli opuscoli che ingombravano la scrivania.
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Harry si sedette dando le spalle alla Umbridge e si sforzò di ignorare il grattare della sua piuma sulla tavoletta.
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«Allora, Potter, scopo di questo colloquio è discutere di quale carriera desideri intraprendere, e aiutarti a decidere le materie da seguire nel sesto e settimo anno» disse la professoressa McGranitt. «Hai già pensato a che cosa ti piacerebbe fare dopo aver lasciato Hogwarts?»
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«Ehm…» esordì Harry.
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Il raschiare della piuma alle sue spalle era davvero fastidioso.
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«Sì?» lo incoraggiò la professoressa McGranitt.
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«Ecco, pensavo, forse, di diventare un Auror» borbottò Harry.
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«Per questo è necessario il massimo dei voti» disse la professoressa McGranitt. Sfilò un piccolo opuscolo scuro dal cumulo sulla scrivania e lo aprì. «Si richiedono un minimo di cinque M.A.G.O., e nessun voto inferiore a “Oltre Ogni Previsione”. Più una serie di rigorosi esami attitudinali e psicologici nell’ufficio degli Auror. È una carriera difficile, Potter: ammettono solo i migliori. In effetti, non credo che abbiano ammesso nessuno negli ultimi tre anni».
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In quel momento la professoressa Umbridge diede un colpetto minuscolo di tosse, come se stesse cercando di vedere quanto riusciva a farlo piano. La professoressa McGranitt la ignorò.
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«Vorrai sapere quali materie dovresti studiare, suppongo» proseguì, alzando un po’ la voce.
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«Sì» rispose Harry. «Ci sarà Difesa contro le Arti Oscure, vero?»
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«Naturalmente» disse in tono pratico la professoressa McGranitt. «Consiglierei anche…»
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La professoressa Umbridge tossì di nuovo, appena un po’ più forte. La professoressa McGranitt chiuse gli occhi un istante, li riaprì, e proseguì come se niente fosse.
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«Consiglierei anche Trasfigurazione, perché spesso gli Auror devono Trasfigurare o Detrasfigurare nel loro lavoro. E ti avverto, Potter, che personalmente non accetto studenti nella mia classe di M.A.G.O. a meno che nel G.U.F.O. non abbiano raggiunto o superato “Oltre Ogni Previsione”. Direi che al momento la tua media è “Accettabile”, perciò dovrai impegnarti molto di più. Inoltre dovresti continuare Incantesimi, che tornano sempre utili, e Pozioni. Sì, Potter, Pozioni» aggiunse, con appena l’ombra di un sorriso. «Agli Auror è indispensabile la conoscenza di pozioni e antidoti. E dal momento che il professor Piton si rifiuta di accettare studenti con meno di “Eccezionale” nel loro G.U.F.O…»
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La professoressa Umbridge tossì di nuovo, stavolta in modo più rumoroso.
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«Posso offrirle una pastiglia, Dolores?» chiese brusca la professoressa McGranitt senza guardarla.
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«Oh no, grazie mille» disse la Umbridge con quella risata leziosa che Harry detestava. «Mi chiedevo solo se mi fosse concesso di interromperla un attimino, Minerva».
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«Suppongo di sì» replicò la professoressa McGranitt a denti stretti.
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«Ecco… mi chiedevo se il signor Potter abbia esattamente il carattere adatto per diventare un Auror» cinguettò la professoressa Umbridge.
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«Ah, sì?» replicò altezzosa la professoressa McGranitt. «Bene Potter» riprese, come se non ci fosse stata alcuna interruzione, «se la tua è un’aspirazione seria, ti consiglio di concentrarti al massimo per alzare i tuoi voti in Trasfigurazione e Pozioni. Vedo che negli ultimi due anni il professor Vitious ti ha dato da Accettabile’ a “Oltre Ogni Previsione”, perciò per Incantesimi non dovresti avere problemi. Quanto a Difesa contro le Arti Oscure, i tuoi voti in genere sono alti, in particolare il professor Lupin era convinto che… è sicura di non volere una pastiglia, Dolores?»
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«No, no, grazie, Minerva» tubò la professoressa Umbridge, che aveva tossito più forte che mai. «Mi è solo venuto il dubbio che forse lei non abbia presenti gli ultimi voti di Harry in Difesa contro le Arti Oscure. Ero sicura di averle fatto pervenire un appunto».
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«Sarebbe questo?» chiese la professoressa McGranitt disgustata, sfilando una pergamena rosa dal fascicolo di Harry. Le lanciò un’occhiata, inarcò d’un millimetro le sopracciglia e la rimise nel plico senza fare commenti.
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«Allora, Potter, come dicevo… il professor Lupin era convinto che dimostrassi una spiccata attitudine per la materia, e ovviamente per un Auror…»
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«Forse non ha decifrato la mia calligrafia, Minerva?» chiese la professoressa Umbridge con voce mielata, scordandosi di tossire.
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«Certo che l’ho decifrata» rispose la professoressa McGranitt a denti così stretti che parve mordere ogni parola.
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«Be’, allora sono confusa… non capisco come possa dare al signor Potter false speranze…»
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«False speranze?» ripeté la professoressa McGranitt, sempre senza degnarla d’uno sguardo. «Ha ottenuto voti alti in tutti gli esami di Difesa contro le Arti Oscure…»
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«Mi dispiace terribilmente di doverla contraddire, Minerva, ma come vedrà dal mio appunto, Harry da me ha ricevuto voti molto bassi…»
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«Forse avrei dovuto essere più chiara» disse la professoressa McGranitt, voltandosi finalmente a guardare la Umbridge dritto negli occhi. «Ha ottenuto il massimo dei voti in tutti gli esami di Difesa contro le Arti Oscure sostenuti con un insegnante competente».
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Il sorriso della professoressa Umbridge si spense come una lampadina fulminata. Si appoggiò allo schienale, voltò un foglio della tavoletta e prese a scribacchiare a tutta velocità, gli occhi sporgenti che guizzavano da una parte all’altra. La professoressa McGranitt tornò a rivolgersi a Harry, il naso sottile fremente, lo sguardo fiammeggiante.
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«Qualche domanda, Potter?»
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«Sì» disse Harry. «Se si ottiene un punteggio abbastanza alto al M.A.G.O., che tipo di esami psicologici e attitudinali fanno al Ministero?»
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«Dunque… bisogna dimostrare la propria capacità di reagire sotto pressione e così via; dare prova di perseveranza e dedizione, perché l’addestramento di un Auror dura almeno altri tre anni; e mostrare grande abilità in Difesa pratica. Vuol dire che dovrai studiare molto anche finita la scuola, perciò a meno che tu non sia preparato…»
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«Scoprirà anche» intervenne la Umbridge con voce gelida, «che il Ministero controlla la fedina di chiunque faccia domanda per diventare Auror. La fedina penale».
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«…a meno che tu non sia preparato ad affrontare nuovi esami dopo essere uscito da Hogwarts, faresti meglio a cercare un altro…»
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«Il che significa che questo ragazzo ha tante probabilità di diventare un Auror quante ne ha Silente di tornare in questa scuola».
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«Ottime probabilità, dunque» replicò la professoressa McGranitt.
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«Potter ha precedenti criminali» disse ad alta voce la Umbridge.
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«Potter è stato assolto da tutte le accuse» ribatté la McGranitt a voce ancora più alta.
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La professoressa Umbridge si alzò. Era così bassa che non faceva grande differenza, ma il suo atteggiamento pignolo e affettato aveva ceduto il posto a una rigida furia che rendeva stranamente sinistra la sua larga faccia molle.
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«Potter non ha la minima possibilità di diventare un Auror!»
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Anche la professoressa McGranitt si alzò, e nel suo caso l’effetto fu molto più impressionante: torreggiava sopra la professoressa Umbridge.
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«Potter» annunciò in tono squillante, «ti aiuterò a diventare Auror, fosse l’ultima cosa che faccio! Dovessi addestrarti di notte, mi assicurerò che tu raggiunga i voti richiesti!»
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«Il Ministro della Magia non assumerà mai Harry Potter!» disse la Umbridge in un’esplosione di rabbia.
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«Quando Potter sarà pronto, potrebbe anche esserci un nuovo Ministro della Magia!» urlò la professoressa McGranitt.
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«Aha!» La Umbridge le puntò contro un dito tozzo. «Ecco! Sicuro! È questo che vuole, vero, Minerva McGranitt? Vuole che Albus Silente prenda il posto di Cornelius Caramell! E lei vuol prendere il mio, vero? Diventare Sottosegretario Anziano del Ministro, e per giunta Preside!»
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«Lei farnetica» ribatté con sommo disprezzo la professoressa McGranitt. «Potter, il nostro colloquio di orientamento professionale è concluso».
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Senza farselo ripetere, e senza il coraggio di guardare la professoressa Umbridge, Harry si gettò la borsa in spalla e uscì in fretta dall’ufficio. Si allontanò lungo il corridoio, inseguito dalle voci della Umbridge e della professoressa McGranitt, che continuavano a urlare.
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Quando quel pomeriggio la professoressa Umbridge entrò in classe per la lezione di Difesa contro le Arti Oscure, aveva ancora il fiato corto.
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«Mi auguro che tu ci abbia ripensato» gli sussurrò Hermione mentre aprivano il libro al Capitolo Trentaquattro: “Come negoziare ed evitare le rappresaglie”. «La Umbridge sembra già di pessimo umore…»
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Di tanto in tanto, la Umbridge scoccava occhiate di fuoco a Harry, che tenne ostinatamente la testa china, lo sguardo fisso su Teoria della Magia Difensiva senza davvero vederlo, riflettendo…
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Poteva immaginarsi la reazione della professoressa McGranitt se fosse stato sorpreso nell’ufficio della Umbridge poche ore dopo che lei si era esposta in quel modo per lui… Tutto sommato, niente gli impediva di tornare nella Torre di Grifondoro e sperare che durante le vacanze estive gli capitasse la possibilità di parlare con Sirius della scena del Pensatoio… niente, a parte il fatto che la sola idea di seguire quella ragionevole linea di condotta lo faceva sentire come se avesse del piombo nello stomaco… E poi c’erano Fred e George, che avevano già preparato il loro piano diversivo, per non parlare del coltello regalatogli da Sirius, che al momento si trovava nella sua borsa insieme al Mantello dell’Invisibilità.
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Restava il fatto che se lo avessero sorpreso…
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«Silente si è sacrificato per non farti espellere, Harry!» bisbigliò Hermione, nascondendosi dietro il libro. «E se oggi ti fai buttare fuori, sarà stato inutile!»
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Poteva lasciar perdere e rassegnarsi a vivere col ricordo di quello che il padre aveva fatto un giorno d’estate, più di vent’anni prima…
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E poi ricordò una cosa che Sirius gli aveva detto quando era apparso nel camino della sala comune di Grifondoro…
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Sei meno simile a tuo padre di quanto pensassi… Il rischio sarebbe stato il pepe per James…
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Ci teneva davvero, ad assomigliare a suo padre?
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«Ti prego, Harry, lascia stare!» sussurrò angosciata Hermione mentre la campanella annunciava la fine dell’ora.
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Non le rispose; non sapeva che cosa fare.
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Ron sembrava deciso a non esprimere la sua opinione e a non dare consigli; non voleva guardare Harry, ma quando Hermione aprì la bocca per una nuova predica, le sibilò: «Adesso dacci un taglio, eh? Può decidere da solo».
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Fuori dall’aula, Harry aveva il cuore in gola. Era a metà del corridoio quando sentì gli inconfondibili rumori di un diversivo in lontananza. Urla e strilli echeggiavano da qualche parte sopra di loro, e gli studenti che uscivano dalle aule si fermavano e alzavano timorosi lo sguardo al soffitto…
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La Umbridge schizzò in corridoio alla velocità consentita dalle sue gambe tozze, estrasse la bacchetta e si avviò di fretta nella direzione opposta. Ora o mai più.
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«Harry… ti prego!» implorò debolmente Hermione.
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Ma ormai aveva deciso; tenendo stretta la borsa, si fece largo fra gli studenti che correvano, curiosi di vedere che cosa stava succedendo nell’ala est.
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Quando arrivò nel corridoio della Umbridge, lo trovò deserto. S’infilò svelto dietro un’armatura — che voltò l’elmo cigolando per osservarlo — poi aprì la borsa e ne estrasse il coltello di Sirius e il Mantello dell’Invisibilità. Infine abbandonò il riparo offerto dall’armatura e raggiunse l’ufficio della Umbridge.
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Infilò la lama del coltello magico nella fessura tra il muro e la porta, la mosse piano su e giù, poi la estrasse. Con uno scatto sommesso, la porta si spalancò. Sgattaiolò dentro svelto, la chiuse e si guardò attorno.
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Niente si muoveva, a parte gli orridi gattini che continuavano a zampettare nei piatti appesi sopra le scope confiscate.
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Si tolse il Mantello e si avvicinò al camino. Non ci mise molto a trovare quello che cercava: una scatolina piena di lucente Polvere Volante.
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Si accovacciò davanti al focolare spento. Gli tremavano le mani. Non l’aveva mai fatto prima, anche se credeva di sapere come funzionava. Infilò la testa nel camino, prese un pizzico abbondante di Polvere e la gettò sui ciocchi ordinatamente ammucchiati davanti a lui. Subito ne esplosero fiamme color smeraldo.
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«Al numero dodici di Grimmauld Place!» disse con voce forte e chiara.
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Fu una delle sensazioni più bizzarre che avesse mai provato. Aveva già viaggiato con la Polvere Volante ma allora era stato tutto il suo corpo a essere risucchiato dalle fiamme nella rete di camini magici che copriva l’intero paese. Stavolta le ginocchia rimasero saldamente incollate al pavimento freddo dell’ufficio della Umbridge, e solo la testa sfrecciò tra le fiamme smeraldine…
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Di colpo com’era cominciato, il turbinio finì. Lottando contro un attacco di nausea, con la sensazione di avere una sciarpa incredibilmente calda avvolta attorno alla testa, aprì gli occhi e scoprì che stava guardando dal camino della cucina il lungo tavolo di legno dove un uomo era seduto e meditava su una pergamena.
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«Sirius?»
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L’uomo sussultò e si voltò di scatto. Non era Sirius, ma Lupin.
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«Harry!» esclamò sbigottito. «Che cosa… cos’è successo, va tutto bene?»
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«Sì» rispose Harry. «Volevo solo… ecco, mi sarebbe piaciuto… parlare con Sirius».
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«Te lo chiamo subito». Lupin si alzò in piedi, ancora perplesso. «È andato di sopra a cercare Kreacher… sembra che si sia di nuovo rintanato in soffitta…»
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Uscì in fretta dalla cucina, e Harry rimase a fissare la sedia e le gambe del tavolo. Si chiese perché Sirius non gli avesse mai detto quanto era scomodo comunicare via camino; le sue ginocchia stavano già protestando per il prolungato contatto col duro pavimento di pietra della Umbridge.
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Dopo pochi istanti, Lupin fu di ritorno con Sirius alle calcagna.
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«Che cosa succede?» chiese ansioso Sirius. Si scostò dagli occhi i lunghi capelli neri e si sedette in terra in modo che lui e Harry fossero alla stessa altezza. Lupin s’inginocchiò accanto a lui con aria preoccupata. «Stai bene? Ti serve aiuto?»
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«No» rispose Harry, «niente del genere… volevo solo parlare… di mio padre».
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I due si scambiarono un’occhiata stupefatta, ma Harry non aveva tempo per sentirsi a disagio; le ginocchia gli facevano sempre più male e temeva che fossero già passati almeno cinque minuti dall’inizio dell’azione diversiva; George gliene aveva garantiti soltanto venti. Perciò, senza indugiare, raccontò quello che aveva visto nel Pensatoio.
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Quando ebbe finito, Sirius e Lupin rimasero un momento in silenzio. Alla fine Lupin disse piano: «Non giudicare tuo padre da quello che hai visto, Harry. Aveva solo quindici anni…»
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«Anch’io ho quindici anni!» protestò Harry.
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«Il fatto è» intervenne Sirius, «che James e Piton si sono odiati fin dal primo istante, è una di quelle cose… puoi capirlo, no? Perché James era tutto quello che Piton avrebbe voluto essere: popolare, un asso nel Quidditch… un asso praticamente in tutto. Mentre Piton era solo un piccolo stravagante immerso fino al collo nelle Arti Oscure, e James — credimi, Harry — ha sempre detestato le Arti Oscure».
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«D’accordo, però ha attaccato Piton senza motivo, solo perché… be’, solo perché tu hai detto che ti annoiavi» concluse Harry quasi scusandosi.
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«Non ne vado fiero» rispose in fretta Sirius.
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Lupin lanciò a Sirius un’occhiata in tralice e poi disse: «Senti, Harry, devi capire che a scuola tuo padre e Sirius erano i migliori… tutti li ritenevano il massimo, e se ogni tanto esageravano…»
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«Se ogni tanto ci comportavamo come piccoli bastardi arroganti, vuoi dire» intervenne Sirius.
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Lupin sorrise.
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«Continuava a spettinarsi i capelli» disse Harry, addolorato.
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Sirius e Lupin scoppiarono a ridere.
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«Me n’ero scordato, di quella sua abitudine» disse Sirius in tono affettuoso.
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«Giocava col Boccino?» chiese Lupin.
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«Sì» rispose Harry, fissando perplesso Sirius e Lupin che sorridevano. «Be’… a me è sembrato piuttosto idiota».
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«Ma certo che lo era!» replicò Sirius. «Lo eravamo tutti! Be’… a parte Lunastorta» aggiunse lealmente, lanciando un’occhiata a Lupin.
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Ma Lupin scosse il capo. «Vi ho mai chiesto di lasciare in pace Piton? Ho mai avuto il coraggio di dirvi che secondo me stavate esagerando?»
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«Be’, sì» disse Sirius, «qualche volta ci hai fatto vergognare… era comunque qualcosa…»
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«E poi» riprese Harry, ormai deciso a dire tutto quello che gli passava per la testa, «continuava a guardare le ragazze in riva al lago sperando di farsi notare!»
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«Si comportava sempre da sciocco quando c’era Lily». Sirius scrollò le spalle. «Non poteva fare a meno di esibirsi ogni volta che lei era nei paraggi».
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«Ma perché lo ha sposato?» chiese Harry, desolato. «Lo odiava!»
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«Ma no» replicò Sirius.
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«Cominciarono a uscire insieme al settimo anno» spiegò Lupin.
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«Dopo che James aveva abbassato un po’ la cresta» precisò Sirius.
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«E smesso di gettare incantesimi sulla gente tanto per divertirsi» disse Lupin.
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«Anche su Piton?» chiese Harry.
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«Be’» rispose Lupin pensieroso, «Piton era un caso speciale. Insomma, non perdeva mai occasione per lanciare maledizioni su James, perciò era logico che lui reagisse…»
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«E mia mamma era d’accordo?»
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«Lei non lo sapeva» disse Sirius. «Quando James aveva un appuntamento con Lily non portava certo Piton con sé, e non si metteva a fargli incantesimi davanti a lei». Fissò accigliato Harry, che ancora non sembrava convinto. «Senti» disse, «tuo padre era il mio migliore amico, ed era una brava persona. Molti si comportano da idioti a quindici anni. Ma poi gli è passata».
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«Sì, d’accordo» si sforzò di annuire Harry. «È che non avrei mai pensato di sentirmi dispiaciuto per Piton».
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«A proposito» disse Lupin, aggrottando la fronte, «come ha reagito quando ha scoperto quello che avevi visto?»
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«Ha detto che non mi avrebbe più insegnato Occlumanzia» rispose Harry con un’alzata di spalle. «Sai che dispiacere…»
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«CHE COSA?» L’urlo di Sirius fece trasalire Harry, e un po’ di cenere gli andò su per il naso.
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«Dici sul serio?» chiese Lupin. «Ha smesso di darti lezioni?»
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«Sì». Li fissò entrambi, sorpreso. Gli sembrava una reazione eccessiva. «Ma non ci sono problemi, non me ne importa, anzi, a dire la verità è un sollievo…»
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«Vengo subito a dire un paio di cosette a Piton!» sbottò Sirius, alzandosi di scatto, ma Lupin lo costrinse a rimettersi seduto.
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«Se bisogna parlare con Piton, lo farò io!» disse con fermezza. «Ma, Harry, devi andare subito a dirgli che non può interrompere le lezioni per nessuna ragione… Quando Silente verrà a saperlo…»
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«Ma non posso! Mi ammazzerebbe!» esclamò Harry, turbato. «Voi non l’avete visto quando siamo usciti dal Pensatoio».
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«Harry, per te niente è più importante che imparare Occlumanzia!» disse severo Lupin. «Hai capito? Niente!»
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«Sì, d’accordo» borbottò Harry sconcertato, per non dire infastidito. «Proverò a parlargli, ma non sarà…»
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Tacque. Udì un lontano rumore di passi.
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«Sta arrivando Kreacher?»
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«No» rispose Sirius, guardandosi alle spalle. «Dev’essere qualcuno dalla tua parte».
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Il cuore di Harry saltò parecchi battiti.
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«Devo andare!» esclamò, e ritrasse di scatto la testa dal camino di Grimmauld Place. Per un momento ebbe l’impressione che gli piroettasse sulle spalle, ma un attimo dopo si ritrovò in ginocchio davanti al fuoco della Umbridge, la testa ben ferma al suo posto, mentre le fiamme verde smeraldo guizzavano e si spegnevano.
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«Presto, presto!» sentì bofonchiare una voce stridula in corridoio. «Ah, l’ha lasciato aperto…»
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Aveva fatto appena in tempo a rimettersi il Mantello dell’Invisibilità quando Gazza entrò di corsa nell’ufficio. Sembrava fuori di sé dalla gioia e borbottava febbrilmente mentre attraversava la stanza, apriva un cassetto della scrivania e vi frugava dentro.
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«Approvazione Frustate… Approvazione Frustate… finalmente avrò il permesso… se la cercano da anni…»
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Prese una pergamena, la baciò e corse via stringendosela al petto.
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Harry balzò in piedi e, dopo aver controllato di avere con sé la borsa e di essere interamente coperto dal Mantello dell’Invisibilità, riaprì la porta e si affrettò a seguire Gazza, che zoppicava a una velocità mai vista.
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Un piano più sotto, decise che poteva arrischiarsi a tornare visibile. Si tolse il Mantello, lo infilò nella borsa e riprese a correre. Sembrava che nella Sala d’Ingresso fosse scoppiato un pandemonio. Scese a capofitto la scalinata di marmo e scoprì che vi si era riunita praticamente tutta la scuola.
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Era come la sera del licenziamento della Cooman. Gli studenti erano in piedi lungo le pareti (alcuni, notò Harry, coperti di una sostanza stranamente simile a Puzzalinfa), e c’erano anche insegnanti e fantasmi. Tra la folla spiccavano i membri della Squadra d’Inquisizione, che ostentavano un’aria estremamente compiaciuta; Pix, librandosi al di sopra della calca, guardava Fred e George che — immobili al centro — avevano l’espressione inconfondibile di chi è appena stato incastrato.
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«Bene!» esultò la Umbridge. Harry la vide ferma pochi gradini sotto di lui, ancora una volta intenta a guardare dall’alto la preda. «Allora, vi sembra divertente trasformare un corridoio in una palude, eh?»
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«Molto divertente, sì» rispose Fred, fissandola senza la minima traccia di paura.
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Quasi piangendo di gioia, Gazza si avvicinò alla Umbridge.
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«Ho trovato il modulo, signora Preside» gracchiò, sventolando la pergamena che Harry gli aveva visto prendere dalla scrivania. «Ho il modulo, e ho la frusta pronta… mi permetta di procedere subito…»
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«Benissimo, Argus. Voi due» e di nuovo abbassò lo sguardo su Fred e George, «scoprirete molto presto che cosa succede a chi combina guai nella mia scuola».
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«Sa una cosa?» replicò Fred. «Credo proprio di no».
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Si voltò verso il gemello.
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«George» disse, «credo che abbiamo raggiunto l’età per interrompere la nostra carriera accademica».
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«Condivido in pieno la tua opinione» rispose disinvolto George.
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«È arrivata l’ora di mettere alla prova il nostro talento nel mondo reale, non credi?»
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«Assolutamente».
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E prima che la Umbridge potesse dire una sola parola, levarono le bacchette e dissero all’unisono: «Accio scope!»
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In lontananza risuonò uno schianto fragoroso. Una rapida occhiata a sinistra, e Harry si chinò appena in tempo. Le scope di Fred e George — una si trascinava ancora dietro la pesante catena e il piolo di ferro al quale la Umbridge l’aveva legata — sfrecciarono nei corridoi e verso i loro proprietari; svoltarono a destra, scesero fluide le scale e si fermarono davanti ai gemelli, la catena sferragliante sui lastroni di pietra del pavimento.
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«A mai più rivederci» disse Fred alla professoressa Umbridge e salì a cavallo della sua scopa.
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«Sì, non si disturbi a darci sue notizie» aggiunse George, montando sulla sua.
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Lo sguardo di Fred passò in rassegna la folla silenziosa e attenta.
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«Se a qualcuno servisse una Palude Portatile, identica a quella che avete visto all’opera, si presenti al numero novantatré di Diagon Alley… Tiri Vispi Weasley» annunciò a voce alta. «La nostra nuova sede!»
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«Sconti speciali per gli studenti di Hogwarts che giureranno di usare i nostri prodotti per sbarazzarsi di quella vecchia megera» aggiunse George, accennando alla Umbridge.
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«FERMATELI!» strepitò lei, ma troppo tardi. All’avvicinarsi della Squadra d’Inquisizione, Fred e George si staccarono dal pavimento, schizzando a quasi cinque metri da terra, il piolo di ferro che oscillava minaccioso sotto di loro. Fred individuò il poltergeist che, al capo opposto della Sala, si librava alla sua stessa altezza.
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«Falle vedere i sorci verdi anche per noi, Pix».
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E Pix, che fino ad allora Harry non aveva mai visto prendere ordini da nessuno, levò il berretto a sonagli e scattò sull’attenti mentre, fra gli applausi tumultuosi degli altri studenti, Fred e George eseguivano un’inversione di marcia e sfrecciavano fuori dal portone, verso il tramonto radioso.
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