«Ron!» esclamò in un soffio Harry, strisciando verso la finestra e aprendola in modo da poter parlare attraverso le sbarre. «Ron, come hai… che cosa…?»
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Lo spettacolo che gli si presentò davanti agli occhi lo lasciò senza fiato. Ron si sporgeva fuori dal finestrino posteriore di una vecchia automobile color turchese, parcheggiata a mezz’aria. E dai sedili anteriori i gemelli Fred e George, i fratelli maggiori di Ron, guardavano Harry sorridendo.
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«Tutto bene, Harry?»
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«Ma che cosa ti è capitato?» chiese Ron. «Perché non hai risposto alle mie lettere? Ti ho chiesto almeno una dozzina di volte di venire a stare da noi, e quando papà è tornato a casa e ha detto che avevi avuto un richiamo ufficiale per avere usato la magia di fronte ai Babbani…»
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«Non sono stato io… e come ha fatto, lui, a saperlo?»
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«Lui lavora al Ministero» disse Ron. «Lo sai che non siamo autorizzati a fare incantesimi fuori della scuola…»
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«Senti chi parla!» disse Harry guardando l’auto volante.
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«Oh, questa non conta» disse Ron. «L’abbiamo solo presa in prestito; è di papà, non abbiamo fatto noi l’incantesimo. Ma fare magie di fronte ai Babbani con cui vivi…»
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«Te l’ho detto, non sono stato io… ma è troppo lungo da spiegare. Però puoi dire tu a Hogwarts che i Dursley mi hanno chiuso a chiave e non mi fanno tornare a scuola, e che naturalmente io non posso fare niente di magico per liberarmi, se no il Ministero penserà che è il secondo incantesimo che ho fatto in tre giorni…»
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«Sta’ un po’ zitto!» disse Ron. «Siamo venuti a prenderti, tu vieni a casa con noi».
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«Ma neanche voi potete fare incantesimi…»
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«Non ci servono gli incantesimi» disse Ron con un ghigno accennando ai sedili anteriori. «Dimentichi chi è con me».
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«Lega questo intorno alle sbarre» disse Fred gettando a Harry l’estremità di una corda.
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«Se i Dursley si svegliano sono morto» disse Harry legando strettamente la corda intorno a una sbarra, mentre Fred metteva in moto.
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«Non preoccuparti» disse Fred, «e stai indietro».
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Harry indietreggiò nell’ombra accanto a Edvige, che sembrava essersi resa conto dell’importanza di quel che stava accadendo e rimaneva immobile e silenziosa. Il motore girava sempre più forte e d’un tratto, con uno schianto, le sbarre si staccarono e l’automobile schizzò in avanti. Harry corse di nuovo alla finestra: l’inferriata penzolava a qualche metro da terra. Ansimando, Ron la caricò in macchina. Harry tendeva l’orecchio, ma dalla stanza da letto dei Dursley non giungeva alcun rumore.
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Quando le sbarre furono al sicuro sul sedile posteriore, accanto a Ron, Fred fece marcia indietro avvicinandosi il più possibile alla finestra di Harry.
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«Sali!» disse Ron.
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«Ma tutta la mia roba per Hogwarts… la bacchetta magica… il manico di scopa…»
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«Dove sono?»
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«Chiusi nell’armadio del sottoscala, e io non posso uscire da questa stanza…»
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«Non c’è problema» disse George dal sedile anteriore. «Levati di mezzo, Harry».
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Fred e George si arrampicarono cautamente sulla finestra ed entrarono nella camera di Harry. ‘Avrei dovuto pensarci’, si disse Harry mentre George estraeva dalla tasca una comune forcina da capelli e cominciava a forzare la serratura.
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«Molti maghi pensano che imparare questo tipo di trucchi da Babbani sia una perdita di tempo» disse Fred, «ma per noi sono cose che vale la pena di imparare, anche se ci vuole un po’ di tempo».
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Si udì un piccolo scatto e la porta si spalancò.
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«Allora… andiamo a prendere il tuo baule… tu intanto prendi tutto quel che può servirti da questa stanza e dallo a Ron» bisbigliò George.
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«Fai attenzione all’ultimo gradino, scricchiola» gli sussurrò Harry a sua volta, e i gemelli furono inghiottiti nel buio del pianerottolo.
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Harry si affrettò a radunare tutte le cose che aveva nella stanza e a passarle a Ron dalla finestra. Poi aiutò Fred e George a issare il baule su per le scale. Harry sentì zio Vernon tossire.
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Finalmente, ansimanti, i ragazzi raggiunsero il pianerottolo e portarono il baule attraverso la stanza fino alla finestra. Fred risalì in macchina e cominciò a tirare insieme a Ron, mentre Harry e George spingevano da dentro. Un centimetro dopo l’altro, il baule scivolò fuori.
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Zio Vernon tossì un’altra volta.
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«Ancora un po’» ansimò Fred. «Ancora una bella spinta…»
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Harry e George dettero una spallata al baule, che cadde sul sedile posteriore dell’automobile.
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«Ok, andiamo» bisbigliò George.
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Ma Harry non aveva fatto in tempo ad arrampicarsi sul davanzale che fu raggiunto da un grido improvviso e acuto alle sue spalle, seguito immediatamente dalla voce tonante di zio Vernon.
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«QUELLA DANNATA CIVETTA!»
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«Ho dimenticato Edvige!»
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Harry attraversò di corsa la stanza mentre si accendeva la luce sul pianerottolo; afferrò la gabbia di Edvige, si precipitò alla finestra e la consegnò a Ron. Si stava arrampicando di nuovo sul cassettone, quando zio Vernon mollò un pugno sulla porta che, non essendo chiusa a chiave, si spalancò.
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Per una frazione di secondo zio Vernon rimase lì, incorniciato dalla porta; poi muggì come un toro inferocito e si lanciò su Harry afferrandolo per una caviglia.
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Ron, Fred e George avevano preso l’amico per le braccia e tiravano con tutta la forza possibile.
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«Petunia!» tuonò zio Vernon. «Sta scappando! STA SCAPPANDO!»
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Ma i tre fratelli Weasley diedero uno strattone violentissimo e la gamba di Harry sfuggi alla presa di zio Vernon. Non appena Harry fu nell’automobile ed ebbe chiuso la portiera, Ron gridò: «Via a tutto gas, Fred!» e la macchina balzò d’un colpo verso la luna.
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Harry non riusciva a crederci… era libero. Tirò giù il finestrino, con l’aria della notte che gli scompigliava i capelli, e guardò i tetti di Privet Drive che si allontanavano alle sue spalle. Zio Vernon, zia Petunia e Dudley erano rimasti a guardare, ammutoliti, dalla finestra di Harry.
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«Ci vediamo la prossima estate!» gridò lui.
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I Weasley commentarono con una fragorosa risata e Harry si rimise seduto comodo, con un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro.
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«Libera Edvige» disse a Ron. «Può seguirci in volo. Sono mesi che non ha modo di sgranchirsi le ali».
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George passò la forcina da capelli a Ron e un attimo dopo Edvige si librava felice in aria, seguendoli come un fantasma.
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«Allora… racconta tutto, Harry!» lo esortò Ron impaziente. «Che cosa è successo?»
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Harry raccontò tutto di Dobby, dell’avvertimento che gli aveva dato, del disastro del dolce guarnito di violette. Quando ebbe terminato ci fu un lungo silenzio sbalordito.
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«Pazzesco» disse infine Fred.
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«Decisamente incomprensibile» convenne George. «E non ti ha neanche detto chi sarebbe l’autore di questo complotto?»
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«Credo che non potesse farlo» disse Harry. «Vi dico, ogni volta che stava per lasciarsi sfuggire di bocca qualcosa cominciava a sbattere la testa contro il muro».
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Vide Fred e George scambiarsi un’occhiata.
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«Pensate che mi abbia mentito?»
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«Be’» disse Fred, «mettiamola cosi: gli elfi domestici hanno poteri magici propri, ma in genere non possono usarli senza il permesso del loro padrone. Mi sa che il vecchio Dobby è stato mandato per impedirti di tornare a Hogwarts. Qualcuno ha pensato di farti uno scherzo. Sai di nessuno, a scuola, che ce l’abbia con te?»
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«Sì» risposero immediatamente all’unisono Harry e Ron.
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«Draco Malfoy» spiegò Harry. «Mi odia».
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«Draco Malfoy?» fece George voltandosi. «Per caso il figlio di Lucius Malfoy?»
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«Probabilmente sì, se non sbaglio non è un nome molto comune» disse Harry. «Perché?»
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«Ho sentito papà che ne parlava» disse George. «Era un grosso sostenitore di Tu-Sai-Chi».
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«E quando Tu-Sai-Chi scomparve» disse Fred girandosi per guardare in faccia Harry, «Lucius Malfoy tornò dicendo che lui non aveva mai avuto cattive intenzioni. Un mucchio di stupidaggini… Papà pensa che facesse parte della cerchia più stretta di Tu-Sai-Chi».
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Harry aveva già sentito voci del genere a proposito della famiglia di Malfoy e quindi non ne fu affatto sorpreso. Al suo confronto, Dudley Dursley diventava un ragazzo gentile, premuroso e sensibile.
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«Non so se i Malfoy abbiano un elfo domestico…» disse Harry.
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«Be’, chiunque siano i suoi proprietari saranno senz’altro maghi ricchissimi e di antica famiglia».
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«Il sogno di mamma è di avere un elfo domestico che le stiri il bucato» disse George. «Ma ci dobbiamo accontentare di un vecchio fantasma pidocchioso che vive in soffitta e di certi gnomi che girano per il giardino. Gli elfi domestici si presentano quando si è proprietari di immensi manieri e antichi castelli, e altri posti del genere. In casa nostra stai tranquillo che non ce ne trovi neanche uno…»
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Harry taceva. A giudicare dal fatto che Draco Malfoy aveva in genere il meglio del meglio, la sua famiglia doveva nuotare nell’oro, oro di maghi. Non gli riusciva difficile immaginare Malfoy aggirarsi tutto tronfio in un grande maniero. E anche mandare il servo di famiglia per impedire a Harry di tornare a Hogwarts suonava come il genere di cose di cui Malfoy poteva essere capace. Era forse stato ingenuo, Harry, a prendere sul serio Dobby?
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«Meno male che siamo venuti a recuperarti, comunque» disse Ron. «Ero molto preoccupato che tu non rispondessi alle mie lettere. All’inizio avevo pensato a un errore di Errol…»
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«Chi è Errol?»
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«Il nostro gufo. E vecchio. Non sarebbe la prima volta che sbaglia una consegna. Allora ho cercato di farmi prestare Hermes…»
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«Chi?»
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«Il gufo che papà e mamma hanno comprato a Percy quando lui è stato nominato Prefetto» spiegò Fred da davanti.
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«Ma Percy non me l’ha voluto prestare» proseguì Ron. «Ha detto che ne aveva bisogno lui».
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«Percy si è comportato in modo molto strano tutta l’estate» disse George aggrottando la fronte. «Ha mandato un sacco di lettere e ha passato un sacco di tempo chiuso in camera sua… Voglio dire, ma quante volte vorrà lucidarlo un distintivo da Prefetto! …Stai virando troppo a ovest, Fred» soggiunse, indicando una bussola sul cruscotto. Fred sterzò.
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«E vostro padre sa che avete preso la macchina?» chiese Harry immaginando già la risposta.
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«Ehm… no» rispose Ron. «Lui stanotte doveva lavorare. Se siamo fortunati riusciremo a rimetterla in garage senza che mamma si accorga che l’abbiamo fatta volare».
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«E che lavoro fa vostro padre al Ministero della Magia?»
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«Lavora nella divisione più noiosa» disse Ron. «L’Ufficio per l’Uso Improprio dei Manufatti dei Babbani».
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«Il che cosa?»
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«Si occupa di oggetti di Babbani, appartenenti a maghi che li hanno stregati per impedire ai Babbani di usarli di nuovo. L’anno scorso, per esempio, è morta una vecchia strega e il suo servizio da tè è stato venduto a un negozio di antiquariato. Lo ha comprato una Babbana, se lo è portato a casa e ha cercato di servirci il tè a degli amici. E stato un incubo… papà ha dovuto fare straordinari per settimane intere».
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«Che cosa è successo?»
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«La teiera era impazzita e schizzava tè bollente dappertutto, e un signore è finito in ospedale con le pinze per lo zucchero appese al naso. Papà ha lavorato come un pazzo, in ufficio ci sono soltanto lui e un vecchio stregone di nome Perkins, e hanno dovuto fare Incantesimi di Memoria e ogni sorta di artifici per mettere a tacere la cosa…»
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«Ma vostro padre… questa macchina…»
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Fred scoppiò a ridere. «Sì, papà va matto per tutto quel che riguarda i Babbani; abbiamo il capanno pieno zeppo di aggeggi che provengono dal loro mondo. Lui li smonta, ci introduce qualche incantesimo dentro e poi li rimonta. Se facesse un’ispezione in casa nostra dovrebbe mettersi subito agli arresti. È una cosa che manda mamma fuori dai gangheri».
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«Quella è la strada principale» disse George guardando in giù attraverso il parabrezza. «Tra dieci minuti siamo arrivati… meno male, sta albeggiando…»
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Un pallido bagliore rosato era visibile all’orizzonte, verso oriente.
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Fred scese di quota e Harry scorse nell’oscurità un collage di campi e di boschi.
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«Noi siamo un po’ fuori del paese» disse George. «Ottery St Catchpole…»
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L’automobile continuava ad abbassarsi. Ora, attraverso gli alberi, brillava il contorno di un sole rosso vivo.
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«Ci siamo!» disse Fred quando, con un lieve sobbalzo, ebbero toccato il suolo. Erano atterrati vicino a un garage malandato, in un piccolo cortile, e Harry vide per la prima volta la casa di Ron.
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Aveva l’aria di essere stata, un tempo, un grosso porcile di pietra, ma qua e là erano state aggiunte delle stanze per un’altezza di diversi piani e, così contorta, la costruzione sembrava proprio reggersi in piedi per magia (il che, come Harry rammentò a se stesso, era probabilmente vero). Sul tetto rosso facevano capolino quattro o cinque comignoli. Su un’insegna sbilenca fissata a terra, vicino all’entrata, si leggeva: ‘La Tana’. Dietro alla porta principale, alla rinfusa, erano ammucchiati degli stivaloni di gomma e un calderone tutto arrugginito. Molte galline marroni ben pasciute andavano beccando qua e là per l’aia.
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«Be’, non è un granché» disse Ron.
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«Ma è magnifica!» esclamò Harry felice, pensando a Privet Drive.
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Scesero dalla macchina.
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«Ora saliamo senza far rumore» disse Fred, «e aspettiamo che mamma ci chiami per la colazione. Poi tu, Ron, scendi giù saltellando e dici: ‘Mamma, guarda chi è arrivato stanotte!’; lei sarà tutta contenta di vedere Harry e nessuno dovrà mai sapere che abbiamo fatto volare la macchina».
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«Va bene» disse Ron. «Vieni Harry, io dormo al…»
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Ma Ron, con gli occhi fissi sulla casa, aveva assunto un orribile colorito verdognolo. Gli altri tre si girarono di scatto.
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La signora Weasley stava attraversando il cortile a passo di marcia, gettando lo scompiglio tra i polli, e per quanto fosse una donna bassa, rotondetta e dal viso gentile, in quel momento assomigliava notevolmente a una tigre dai denti a sciabola.
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«Oh!» disse Fred.
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«Accidenti…» fece eco George.
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La signora Weasley gli si piantò davanti con le mani sui fianchi, guardando a una a una le facce colpevoli. Indossava un grembiule a fiori e una bacchetta magica le sporgeva dalla tasca.
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«E allora?» disse.
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«…’Giorno mamma» disse George con quella che evidentemente considerava una voce disinvolta e accattivante.
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«Avete la minima idea di quanto mi sono preoccupata?» chiese la signora Weasley in un sibilo letale.
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«Scusaci, mamma, ma vedi, dovevamo…»
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Tutti e tre i figli della signora Weasley erano più alti di lei, ma si fecero piccoli piccoli quando li investì la sua rabbia.
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«Letti vuoti! Neanche un biglietto… L’auto sparita… Potevate esservi schiantati… Ero fuori di me dall’angoscia… Ma a voi che vi importava?… Mai in tutta la vita… Ma aspettate che vostro padre torni a casa. Bill, Charlie e Percy non ci hanno mai dato preoccupazioni di questo genere…»
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«Percy il perfetto, ti pareva» bofonchiò tra sé Fred.
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«NON VI FAREBBE MALE ASSOMIGLIARGLI UN PO’!» gridò la signora Weasley puntando un dito contro il petto di Fred. «Potevate morire, potevano vedervi, potevate far perdere il posto a vostro padre…»
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Sembrò che durasse ore. La signora Weasley si sgolò ben bene, poi si volse verso Harry, che si era fatto da parte.
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«Sono molto contenta di vederti, Harry caro» disse. «Vieni, entra e fai colazione».
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Si voltò e rientrò in casa e Harry, dopo aver lanciato uno sguardo nervoso a Ron, che annuì con fare incoraggiante, la seguì.
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La cucina era piccola e piuttosto ingombra. Nel mezzo c’era un misero tavolo di legno con delle sedie; Harry si sedette sul bordo di una di esse, guardandosi intorno. Non era mai stato in una casa di maghi.
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L’orologio, sulla parete di fronte, aveva una sola lancetta e niente numeri. Sul quadrante c’erano scritte cose come: ‘Ora di fare il tè’, ‘Ora di dar da mangiare ai polli’ e ‘Sei in ritardo’. Sulla mensola del camino, uno sopra l’altro, erano accatastati libri con titoli come Incantate il vostro formaggio, Incantesimi da forno, e Banchetti in un minuto: questa sì che è magia! E a meno che le orecchie di Harry non lo ingannassero, la vecchia radio vicino al lavandino aveva appena annunciato «L’ora della magia, con l’incantatrice pop Celestina Warbeck».
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La signora Weasley si muoveva per la stanza rumorosamente, preparando la colazione un po’ alla buona e gettando occhiate bieche ai suoi figli mentre lanciava le salsicce nella padella. Di tanto in tanto bofonchiava frasi del tipo: «Non so cosa avete in testa» oppure: «Non me lo sarei mai aspettato».
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«Non ce l’ho con te, caro» rassicurò Harry, lasciando cadere otto o nove salsicce nel suo piatto. «Arthur e io eravamo preoccupati anche per te. Proprio ieri sera dicevamo che saremmo venuti noi stessi a prenderti se per venerdì Ron non avesse ricevuto una tua risposta. Ma veramente!» (ora gli stava aggiungendo nel piatto tre uova fritte) «Volare con una macchina non regolamentare per tutto il paese… chiunque avrebbe potuto vedervi…»
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Poi, con noncuranza, agitò la bacchetta magica verso i piatti da lavare nel lavandino e quelli cominciarono a pulirsi da soli, con un lieve acciottolio di sottofondo.
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«Il cielo era coperto, mamma» disse Fred.
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«Non parlare con la bocca piena!» lo rimbeccò la signora Weasley.
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«Ma quelli lo stavano facendo morire di fame, mamma!» disse George.
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«Lo stesso vale per te!» disse la signora Weasley, ma fu con un’espressione lievemente addolcita che cominciò a tagliare il pane per Harry e a imburrarglielo.
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In quel momento una figuretta dai capelli rossi e dalla lunga camicia da notte comparve in cucina, lanciò un gridolino e corse via di nuovo.
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«È Ginny» disse Ron sottovoce a Harry. «Mia sorella. Non ha fatto che parlare di te tutta l’estate».
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«Sì, vedrai che ti chiederà l’autografo, Harry» commentò Fred ridendo, ma poi, cogliendo l’occhiata di sua madre, chinò la faccia sul piatto senza più dire una parola. Regnò il silenzio fino a che tutti e quattro i piatti non furono puliti, il che richiese un tempo sorprendentemente breve.
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«Mamma mia, quanto sono stanco» sbadigliò Fred posando coltello e forchetta. «Penso che me ne andrò a letto e…»
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«Nossignore!» lo interruppe la signora Weasley. «È colpa tua se sei stato alzato tutta la notte. Adesso vai in giardino e provvedi a ripulirlo degli gnomi che lo hanno invaso e sono diventati insopportabili».
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«Oh, mamma…»
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«E voi due lo aiuterete» proseguì lei guardando Ron e Fred. «Tu puoi andare a letto, caro» soggiunse rivolta a Harry. «Non sei stato tu a chiedergli di far volare quel rottame di macchina».
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Ma Harry, che si sentiva ben sveglio, si affrettò a dire: «Io aiuto Ron, non ho mai visto ripulire un giardino dagli gnomi…»
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«E molto gentile da parte tua, ma è un lavoro noioso» disse la signora Weasley. «Vediamo un po’ cosa ha da dirci Allock in proposito».
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E prese un librone dalla mensola del camino. George emise un gemito.
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«Mamma, sappiamo come mandare via gli gnomi dal giardino».
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Harry guardò la copertina del libro. In elaborate lettere d’oro c’era scritto: Guida alla disinfestazione domestica, di Gilderoy Allock. Sul frontespizio, c’era una grande foto di un mago molto avvenente, con i capelli biondi ondulati e due luminosi occhi azzurri. Come sempre la foto era animata; il mago, che Harry immaginò essere Gilderoy Allock, ammiccava con aria impertinente a tutti loro. La signora Weasley gli sorrise.
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«Oh, è straordinario» disse. «Nessuno è più esperto di disinfestazioni, è un libro meraviglioso…»
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«Mamma ha una cotta per lui» disse Fred con un bisbiglio ben udibile.
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«Non essere ridicolo, Fred» disse la signora Weasley diventando alquanto rossa. «E va bene, se voi pensate di saperne più di Allock datevi da fare, e guai a voi se trovo in giro anche un solo gnomo!»
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Sbadigliando e borbottando, i fratelli Weasley uscirono trascinando i piedi. Harry li seguì: il giardino era grande e corrispondeva esattamente alla sua idea di giardino. Ai Dursley non sarebbe piaciuto: era pieno di erbacce e aveva urgente bisogno di una sistemata, ma tutt’intorno al muro di cinta c’erano alberi nodosi, dalle aiuole spuntavano piante che Harry non aveva mai visto e c’era un grosso stagno verde pieno di ranocchie.
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«Anche i Babbani hanno gli gnomi da giardino, sai?» disse Harry a Ron mentre attraversavano il prato.
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«Sì, le ho viste quelle cose che loro scambiano per gnomi» disse Ron con la testa infilata in un cespuglio di peonie. «Come tanti piccoli e grassi Babbo Natale con la canna da pesca…»
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Si udì un violento rumore di zuffa, il cespuglio di peonie tremò tutto e Ron si raddrizzò: «Questo è uno gnomo» disse tutto serio.
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«Lasssiami! Lasssiami!» squittiva quello.
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Di certo non assomigliava a Babbo Natale. Era piccolo e coriaceo, con una grossa testa calva e bitorzoluta, tale e quale a una patata. Ron lo tenne sospeso in aria, mentre quello scalciava con i suoi piccoli piedi duri. Lo prese per le caviglie e lo mise a testa in giù.
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«Ecco come bisogna fare» disse. Sollevò lo gnomo sopra la testa («Lasssiami!») e lo fece roteare in aria come un lazo, descrivendo grandi cerchi. Poi vide la faccia sconvolta di Harry e aggiunse: «Non si fanno male… Ma bisogna stordirli in modo che non ritrovino la strada delle loro tane».
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Mollò la presa e quello volò a dieci metri di altezza per poi atterrare con un tonfo nel campo oltre la siepe.
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«Fai pena» disse Fred. «Scommetto che io riesco a lanciare il mio oltre quella ceppaia».
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Hany imparò ben presto a non provare troppo dispiacere per gli gnomi. Stava per lanciare il primo che prese al di là della siepe, ma lo gnomo, avvertendo la sua indecisione, gli affondò i denti affilati come rasoi nel dito e Harry ebbe molta difficoltà a scrollarselo di dosso fino a che…
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«Ehi, Harry… devi averlo tirato a più di quindici metri…»
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Ben presto l’aria fu annebbiata da gnomi volanti.
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«Lo vedi? Non sono molto intelligenti» disse George afferrandone cinque o sei alla volta. «Quando capiscono che si sta facendo la disinfestazione escono tutti fuori per guardare. Ormai dovrebbero avere imparato a starsene fermi».
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Poco dopo, frotte di gnomi cominciarono ad allontanarsi dal giardino in ordine sparso.
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«Torneranno» disse Ron guardandoli scomparire nella siepe, dall’altra parte del campo. «Ci stanno bene qui… Papà è troppo indulgente con loro, li trova divertenti…»
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In quel momento si udì sbattere la porta di ingresso.
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«È tornato!» disse George. «Papà è a casa!»
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Attraversarono il giardino, affrettandosi a rientrare.
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Il signor Weasley era crollato su una sedia in cucina, si era tolto gli occhiali e se ne stava a occhi chiusi. Era magro e quasi calvo, ma quei pochi capelli che gli erano rimasti erano dello stesso colore rosso di tutti i suoi figli. Indossava un lungo abito verde, tutto impolverato e sgualcito dal viaggio.
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«Che nottata!» bofonchiò allungando la mano per prendere la teiera, mentre i ragazzi gli si sedevano intorno. «Nove sopralluoghi. Nove! E il vecchio Mundungus Fletcher ha cercato di farmi il malocchio mentre ero girato dall’altra parte…»
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Il signor Weasley bevve una lunga sorsata di tè e sospirò.
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«Trovato niente, papà?» chiese Fred tutto premuroso.
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«Tutto quel che sono riuscito a prendere è qualche chiave che si rimpicciolisce e un bollitore che morde» sbadigliò il signor Weasley. «Abbiamo visto anche roba molto sospetta, ma per fortuna non era di mia competenza. Morlake è stato portato via per essere interrogato su alcuni stranissimi furetti, ma questo, grazie al cielo, riguarda il Comitato per gli Incantesimi Sperimentali…»
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«Perché uno si dovrebbe prendere la briga di far rimpicciolire delle chiavi?» chiese George.
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«È una trappola per i Babbani» sospirò il signor Weasley. «Vendergli una chiave che si rimpicciolisce, in modo che quando ne hanno bisogno non riescono a trovarla… Naturalmente è molto difficile arrestare qualcuno, perché non esiste Babbano che ammetterebbe che la sua chiave rimpicciolisce… Direbbe di averla persa. Benedetta gente, farebbero qualsiasi cosa per far finta che la magia non esiste, anche quando ce l’hanno sotto il naso… D’altra parte, è da non credersi la roba su cui i nostri fanno gli incantesimi…»
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«COME LE AUTOMOBILI, PER ESEMPIO?»
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La signora Weasley era comparsa brandendo un lungo attizzatoio come fosse una spada. Il signor Weasley spalancò gli occhi e rivolse alla moglie uno sguardo carico di sensi di colpa.
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«M-macchine, dici, Molly cara?»
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«Proprio così, macchine, Arthur» replicò la signora Weasley con gli occhi dardeggianti. «Immagina un mago che compra una vecchia automobile arrugginita e dice alla moglie che vuole solo smontarla per vedere come funziona, mentre in realtà intende fare un incantesimo per farla volare».
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Il signor Weasley sbatté gli occhi.
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«Be’, mia cara, penso che converrai con me che facendo questo lui è perfettamente in regola, anche se… ehm… forse avrebbe fatto meglio a… dire alla moglie la verità… Vedi, c’è una scappatoia nella legge… per cui se lui non intendeva far volare la macchina, il fatto che la macchina potesse volare non…»
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«Arthur Weasley, quando hai scritto quella legge hai fatto in modo che ci fosse una scappatoia!» gridò la moglie. «Così potevi continuare a rabberciare nel tuo capanno tutto quel ciarpame dei Babbani! E perché tu lo sappia, con la macchina che non avevi intenzione di far volare, stamattina è arrivato Harry!»
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«Harry?» chiese stupefatto il signor Weasley. «Harry chi?»
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Si guardò intorno, scorse Harry e trasalì.
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«Santo cielo, ma è Harry Potter? Molto lieto di conoscerti. Ron ci ha parlato così tanto di…»
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«Questa notte, i tuoi figli hanno volato con quella macchina fino a casa di Hany e poi sono tornati indietro!» gridò la signora Weasley. «Che cosa hai da dire al riguardo?»
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«Ma davvero?» disse il signor Weasley tutto eccitato. «Ed è andato tutto bene? V-voglio dire» balbettò mentre gli occhi di sua moglie mandavano faville, «a-avete f-fatto m-molto male, ragazzi… molto molto male…»
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«Lasciamoli a sbrogliarsela da soli» bisbigliò Ron a Harry, mentre la signora Weasley si gonfiava come un tacchino. «Vieni, ti faccio vedere la mia stanza».
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Sgusciarono fuori dalla cucina e attraversarono uno stretto corridoio fino a una scala zigzagante che conduceva ai piani superiori. Al terzo c’era una porta socchiusa: Harry fece in tempo a vedere un paio di occhi scuri e luminosi che lo guardavano fisso prima che la porta si chiudesse con uno scatto.
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«È Ginny» disse Ron. «E strano che sia cosi timida. Di solito non sta mai zitta…»
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Salirono altre due rampe, fino a raggiungere una porta tutta scrostata con una targa che diceva ‘Stanza di Ronald’.
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Harry entrò, sfiorando con la testa il soffitto spiovente, e sbatté gli occhi: era come entrare in una fornace. Quasi tutto, nella stanza di Ron, sembrava essere di un violento color arancio: il copriletto, le pareti, perfino il soffitto. Poi Harry si rese conto che Ron aveva ricoperto quasi completamente la consunta carta da parati con poster delle stesse sette persone, che salutavano animatamente, tutti con indosso sgargianti abiti arancioni, e muniti di manici di scopa.
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«La tua squadra di Quidditch?» chiese Harry.
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«I Cannoni di Chudley» disse Ron indicando il copriletto arancione guarnito con due ‘C’ gigantesche e una palla di cannone lanciata a tutta velocità. «Nona in classifica».
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I libri di scuola di Ron erano ammonticchiati in un angolo, accanto a una pila di fumetti della serie Le avventure di Martin Miggs, il Babbano matto. La bacchetta magica di Ron era buttata sul davanzale della finestra, sopra una boccia da pesci piena di uova di rana; in un angolino assolato dormiva beatamente Crosta, il topo grigio.
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Harry scavalcò un mazzo di carte da gioco Autorimescolanti sparse sul pavimento e guardò fuori dall’angusta finestra. Nei campi, in lontananza, vide un esercito di gnomi strisciare furtivi, in fila indiana, sotto la siepe dei Weasley. Poi si voltò a guardare Ron, che lo stava osservando piuttosto nervoso, come in attesa della sua opinione.
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«È un po’ piccola» si affrettò a dire Ron. «Non è certo come quella che avevi a casa dei Babbani. E poi io mi trovo proprio sotto il fantasma che vive in soffitta. Non fa che picchiare sui tubi e lamentarsi».
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Ma Harry disse con un largo sorriso: «Questa è la casa più bella dove sia mai stato».
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A Ron si arrossarono le orecchie.
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