Harry era già abbastanza lontano quando crollò su un muretto in Magnolia Crescent, ansimando per lo sforzo. Sedette immobile, ancora sopraffatto dall'ira, ad ascoltare i tonfi affannosi del suo cuore.
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Ma dopo dieci minuti di solitudine totale nella stradetta buia, una nuova emozione lo travolse: il panico. Non si era mai trovato in un guaio peggiore, in tutti i sensi. Era solo, abbandonato nel cupo mondo Babbano, senza un posto dove andare. E, quel che era peggio, aveva appena praticato una vera magia, il che voleva dire che sarebbe stato quasi certamente espulso da Hogwarts. Aveva violato il Decreto per la Restrizione delle Arti Magiche tra i Minorenni con tanta evidenza che era sorpreso che gli emissari del Ministero della Magia non gli fossero già alle costole.
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Harry rabbrividì e guardò Magnolia Crescent da una parte e dall'altra. Che cosa gli sarebbe successo? Sarebbe stato arrestato, o semplicemente bandito dal mondo della magia? Pensò a Ron e a Hermione, e il suo cuore sprofondò ancora un po'. Harry era certo che, criminale o no, Ron e Hermione sarebbero stati pronti ad aiutarlo, ma erano tutti e due all'estero, e senza Edvige non aveva modo di comunicare con loro.
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Non aveva nemmeno del denaro Babbano. C'erano alcune monete magiche in un sacchetto in fondo al baule, ma il resto della fortuna ereditata dai genitori era depositato in una camera blindata della Banca per Maghi Gringott a Londra. E non sarebbe mai riuscito a trascinare il baule fino a Londra. A meno che...
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Guardò la bacchetta, che teneva ancora stretta in pugno. Se era già praticamente espulso (al pensiero il cuore gli batteva così forte da fargli male), un altro po' di magia non poteva guastare. Aveva il Mantello dell'Invisibilità ereditato da suo padre: e se avesse gettato un incantesimo sul baule per renderlo leggero come una piuma, lo avesse legato al manico di scopa, si fosse avvolto nel mantello e fosse volato fino a Londra? Così avrebbe potuto prelevare il resto del denaro dalla camera blindata e... cominciare la sua vita di reietto. Era una prospettiva orribile, ma Harry non poteva restare li seduto per sempre, a meno di non voler spiegare a un poliziotto Babbano che cosa ci faceva nel cuore della notte con un manico di scopa e un mucchio di libri d'incantesimi.
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Harry riaprì il baule e spinse da una parte il contenuto per cercare il Mantello dell'Invisibilità, ma prima ancora di averlo trovato si alzò all'improvviso e si guardò intorno un'altra volta.
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Avvertiva un curioso formicolio alla nuca: era come se qualcuno lo stesse osservando. Ma la strada pareva deserta, e le luci erano tutte spente nelle grandi case squadrate.
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Si chinò di nuovo sul baule, ma si rialzò quasi immediatamente e strinse più forte la bacchetta. Lo avvertiva, più che sentirlo con le orecchie: c'era qualcuno o qualcosa lì nello stretto passaggio tra il garage e la staccionata alle sue spalle. Harry cercò di strizzare gli occhi per vedere meglio. Se solo la cosa si fosse mossa, avrebbe scoperto se si trattava di un gatto randagio o di qualcos'altro.
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«Lumos» mormorò Harry, e una luce abbagliante apparve sulla punta della bacchetta. La tenne alta sopra la testa, e l'intonaco incrostato di ghiaino del numero 2 all'improvviso prese a brillare; la porta del garage scintillò e Harry scorse distintamente il vasto profilo di qualcosa di molto grosso, dagli enormi occhi lucenti...
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Harry fece un passo indietro, inciampò nel baule e cadde. La bacchetta gli sfuggì di mano mentre Harry allungava un braccio per attutire la caduta. Il ragazzo atterrò bruscamente nel canaletto di scolo...
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Si udì un BANG assordante e Harry alzò le mani per ripararsi da un'improvvisa luce accecante...
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Con un grido, rotolò sul marciapiedi, appena in tempo. Un attimo dopo, un gigantesco paio di ruote sovrastate da due enormi fanali frenava bruscamente a pochi centimetri da lui. Come Harry poté constatare, il tutto apparteneva a un autobus a tre piani di un viola intenso, apparso dal nulla. Le lettere d'oro sul parabrezza dicevano: Il Nottetempo.
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Per un attimo Harry si chiese se la caduta lo avesse rimbambito. Poi un autista in uniforme viola balzò giù dal pullman e prese a parlare ad alta voce nella notte.
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«Benvenuti sul Nottetempo, mezzo di trasporto di emergenza per maghi e streghe in difficoltà. Allungate la bacchetta, salite a bordo e vi portiamo dove volete. Mi chiamo Stan Picchetto, e sono il vostro bigliettaio per questa not...»
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Il bigliettaio s'interruppe alla vista di Harry, che era ancora seduto per terra. Harry afferrò la bacchetta e si rialzò. Visto da vicino, Stan Picchetto sembrava poco più grande di lui: aveva diciotto, diciannove anni al massimo, con grandi orecchie a sventola e un bel po' di brufoli.
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«Che ci fai lì per terra?» domandò Stan, abbandonando il tono professionale.
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«Sono caduto» disse Harry.
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«Ma davvero?» chiese Stan con una risatina.
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«Non l'ho fatto apposta» rispose Harry seccato. Aveva i jeans strappati al ginocchio, e la mano che aveva gettato indietro per frenare la caduta sanguinava. All'improvviso gli venne in mente perché era caduto, e si voltò rapido a guardare il passaggio tra il garage e la staccionata. I fari del Nottetempo lo inondavano di luce, ed era vuoto.
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«Che guardi?» disse Stan.
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«C'era una cosa nera» disse Harry indicando riluttante il passaggio. «Come un cane... ma grosso...»
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Guardò Stan, che lo fissava a bocca aperta. A disagio, Harry vide lo sguardo di Stan posarsi sulla cicatrice che aveva sulla fronte.
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«Che c'hai sulla testa?» chiese Stan bruscamente.
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«Niente» rispose rapido Harry schiacciandosi i capelli sulla cicatrice. Se il Ministero della Magia lo stava cercando, non voleva certo facilitargli il compito.
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«Com'è che ti chiami?» insistette Stan.
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«Neville Paciock» disse Harry sparando il primo nome che gli venne in mente. «Allora... questo autobus» riprese in fretta, sperando di distrarre Stan, «hai detto che va dappertutto?»
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«Orpo!» disse Stan tutto fiero. «Dove ti pare, finché c'è strada. Sott'acqua però no che non ci va. Ehi» disse, di nuovo sospettoso, «ci hai fermato, eh? Hai messo fuori la bacchetta, vero?»
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«Sì» rispose Harry in fretta. «Senti, quanto costa andare fino a Londra?»
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«Undici falci» rispose Stan, «ma per tredici ti diamo anche una cioccolata bella fumante, e per quindici una borsa dell'acqua calda e uno spazzolino da denti, del colore che vuoi, eh».
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Harry frugò ancora una volta nel baule, estrasse un sacchetto e porse a Stan alcune monete d'argento. Poi insieme caricarono il baule sul pullman, con la gabbia di Edvige sopra, in bilico.
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Dentro non c'erano i sedili; al loro posto, una mezza dozzina di letti, vicini ai finestrini chiusi da tende. Accanto a ogni letto c'era una candela accesa in un candeliere, che illuminava il rivestimento a pannelli di legno della carrozza. In fondo al pullman, un piccolo mago con un berretto da notte mormorò: «Non ora, grazie, sto mettendo le lumache in salamoia» e si rigirò nel sonno.
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«Puoi metterti qui» sussurrò Stan spingendo il baule di Harry sotto il letto dietro il conducente, seduto in poltrona al volante. «Questo è il nostro autista, Ernie Urto. Questo è Neville Paciock, Ern».
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Ernie Urto, un anziano mago con gli occhialoni spessi, fece un cenno a Harry, che si appiattì nervosamente la frangia e si sedette sul letto.
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«Diamoci una mossa, Ern» disse Stan prendendo posto nella poltrona accanto a quella di Ernie.
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Si udi un altro terribile BANG, e un attimo dopo Harry si trovò lungo disteso sul letto, sbalzato all'indietro dalla velocità del Nottetempo. Si raddrizzò, guardò fuori dal finestrino e vide che sfrecciavano lungo una strada del tutto nuova. Stan osservò divertito l'espressione stupefatta di Harry.
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«È qui che eravamo quando ci hai chiamati» spiegò. «Dov'è che siamo, Ern? In Galles?»
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«Mmm» disse Ernie.
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«Come mai i Babbani non sentono il rumore dell'autobus?» chiese Harry.
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«Figurati!» disse Stan sprezzante. «Non ci sentono e non ci vedono. Non si accorgono mai di nulla, quelli».
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«Meglio che vai a svegliare Madama Palude, Stan» disse Ern. «Tra un minuto saremo ad Abergavenny».
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Stan superò il letto di Harry e scomparve su per una scaletta di legno. Harry guardò ancora fuori dal finestrino, sempre più nervoso. Pareva che Ernie non avesse idea di come si usa un volante. Il Nottetempo continuava a salire sobbalzando sul marciapiede, ma non urtava nulla: file di lampioni, cassette delle lettere e bidoni si ritraevano al suo passaggio e tornavano al loro posto subito dopo.
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Stan scese di nuovo, seguito da una strega verdina avvolta in un mantello da viaggio.
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«Eccoci, Madama Palude» disse Stan allegramente, mentre Ern frenava di colpo e i letti scivolavano in avanti. Madama Palude si portò un fazzoletto alla bocca e scese i gradini barcollando. Stan le lanciò la borsa e richiuse la portiera; ci fu un altro BANG assordante, ed eccoli avanzare rombando lungo una stretta stradina di campagna, con gli alberi che si toglievano di torno a balzi.
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Harry non sarebbe riuscito a dormire nemmeno se fosse stato a bordo di un autobus che non faceva bang e non andava a centocinquanta all'ora. Senti una stretta allo stomaco mentre tornava a riflettere su quello che lo aspettava e a chiedersi se i Dursley erano riusciti a far scendere zia Marge dal soffitto.
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Stan aveva aperto La Gazzetta del Profeta e ora leggeva, con la lingua fra i denti. Una grossa foto di un uomo con il volto scavato e lunghi capelli
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arruffati strizzò l'occhio a Harry dalla prima pagina. Aveva l'aria stranamente familiare.
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«Quell'uomo!» disse Harry, dimenticando i guai per un istante. «Era al telegiornale dei Babbani!»
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Stan guardò la prima pagina e ridacchiò.
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«Sirius Black» disse, e annuì. «Ma dove vivi? Certo che era al telegiornale dei Babbani».
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Allo sguardo vacuo di Harry reagì con una risatina di superiorità, sfilò la prima pagina e gliela porse.
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«Tocca che leggi i giornali, Neville, si sì».
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Harry sollevò la pagina aila luce della candela e lesse:
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BLACK ANCORA LATITANTE
Sirius Black, probabilmente il più efferato criminale mai rinchiuso nella fortezza di Azkaban, è ancora in libertà, come ha confermato oggi il Ministero della Magia.
«Stiamo facendo tutto il possibile per riacciuffare Black» ha dichiarato stamane il Ministro della Magia, Cornelius Caramell, «e chiediamo alla comunità magica di mantenere la calma».
Caramell è stato criticato da alcuni membri della Federazione Internazionale dei Maghi per aver informato il Primo Ministro Babbano della fuga di Black.
«Ho dovuto farlo» ha ribattuto Caramell, seccato. «Black è pazzo. È un pericolo per chiunque lo incontri, mago o Babbano. Il Primo Ministro mi ha personalmente garantito che non svelerà a nessuno la vera identità di Black. E poi, diciamocelo, chi gli crederebbe se lo facesse?»
Mentre tra i Babbani è stata diffusa la notizia che Black è armato di pistola (una specie di bacchetta magica di metallo che i Babbani usano per uccidersi a vicenda), la comunità magica vive nel terrore di una strage come quella di dodici anni fa, quando Black uccise tredici persone con un solo incantesimo».
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Harry guardò gli occhi tenebrosi di Sirius Black, l'unica parte di quel volto scavato che avesse una parvenza di vita. Harry non aveva mai incontrato un Vampiro, ma aveva visto delle figure sui libri al corso di Difesa contro le Arti Oscure, e Black, con la sua pelle di un bianco cereo, lo sembrava proprio.
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«Fa paura, eh?» disse Stan, che aveva osservato Harry mentre leggeva.
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«Ha ucciso tredici persone?» chiese Harry restituendo la pagina a Stan. «Con un solo incantesimo?»
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«Sì» disse Stan, «in mezzo alla folla. In pieno giorno, sì sì. Bel pasticcio, vero, Ern?»
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«Mmm» commentò Ern cupo.
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Stan fece ruotare la poltrona per guardare meglio Harry.
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«Black stava dalla parte di TuSaiChi» disse.
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«Chi, Voldemort?» chiese Harry senza riflettere.
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Stan impallidì, brufoli compresi; Ern sterzò così bruscamente che un'intera fattoria dovette fare un balzo indietro per evitare l'autobus.
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«Ma sei impazzito?» strillò Stan. «Che ti viene in mente di dire quel nome, eh?»
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«Mi dispiace» disse Harry in fretta. «Scusate, io... io mi sono dimenticato...»
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«Dimenticato!» disse Stan debolmente. «Orpo, ho il cuore che mi scoppia...»
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«Allora... allora Black era un sostenitore di TuSaiChi?» esclamò Harry per farsi perdonare.
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«Sì sì» disse Stan senza smettere di massaggiarsi il petto. «Sì, proprio così. Molto vicino a TuSaiChi, dicono. Ma quando il piccolo Harry Potter ha dato una bella lezione a TuSaiChi...»
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Harry si appiattì di nuovo la frangia con un gesto nervoso.
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«... hanno beccato tutti quelli che stavano con TuSaiChi, vero, Ern? Molti hanno capito che era finita, senza più TuSaiChi, e si sono calmati. Ma Sirius Black no. Dicono che credeva di essere il braccio destro di TuSaiChi. Comunque, hanno circondato Black in una via piena di Babbani; lui ha tirato fuori la bacchetta e ha fatto saltare tutta la via, e così ci ha rimesso la pelle un mago più una dozzina di Babbani che passavano di lì. Ti rendi conto? E lo sai che cos'ha fatto dopo, Black?» continuò Stan in un sussurro.
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«Cosa?»
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«Si è messo a ridere» disse Stan. «A ridere, capito? E quando sono arrivati i rinforzi del Ministero della Magia, si è fatto portare via come se niente fosse, piegato in due dalle risate. Perché è matto, vero, Ern? Non è matto?»
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«Se non lo era quando è andato ad Azkaban, lo è diventato» disse Ern con la sua voce lenta. «Io mi tirerei un colpo piuttosto che mettere piede là dentro. Gli sta bene, comunque... con quello che ha combinato...»
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«Hanno fatto una bella fatica a mettere tutto a tacere, vero, Ern?» disse Stan. «La strada per aria, e tutti quei Babbani stecchiti. Com'è che l'hanno chiamata, Ern?»
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«Una fuga di gas» grugnì Ernie.
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«E adesso è fuori» disse Stan tornando a osservare la foto della faccia scavata di Black sul giornale. «Nessuno era mai scappato da Azkaban, vero Ern? Chissà come ha fatto. Spaventoso, eh? Voglio dire, contro le guardie di Azkaban dev'essere stata una bella fatica, eh, Ern?»
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Ernie all'improvviso rabbrividì.
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«Parliamo di qualcos'altro, Stan, da bravo. Quelle guardie di Azkaban mi fanno venire il mal di pancia solo a pensarci».
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Stan, riluttante, ripiegò il giornale e Harry appoggiò la fronte al finestrino del Nottetempo. Si sentiva malissimo. Non riusciva a immaginare che cosa avrebbe raccontato Stan ai passeggeri di lì a qualche notte.
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Sentito di quell'Harry Potter? Ha fatto esplodere la sua zietta! E poi è salito qui sul bus, proprio qui, vero, Ern? Stava cercando di fuggire, sì sì...
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Lui, Harry, aveva infranto la legge dei maghi proprio come Sirius Black. Gonfiare zia Marge era così grave da farlo finire ad Azkaban? Harry non sapeva nulla della prigione dei maghi, anche se ne parlavano tutti con autentico terrore. Hagrid, il guardiacaccia di Hogwarts, ci aveva trascorso due mesi solo l'anno prima. Harry non avrebbe dimenticato facilmente la paura sul viso di Hagrid quando gli avevano detto dove l'avrebbero portato, e Hagrid era una delle persone più coraggiose che Harry conoscesse.
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Il Nottetempo viaggiava nell'oscurità, mettendo in fuga parchimetri e cespugli, alberi e cabine del telefono, e Harry, disteso sul materasso di piume nell'oscurità, si sentiva irrequieto e abbattuto. Dopo un po', Stan si ricordò che Harry aveva pagato la cioccolata calda, ma gliela versò tutta sul cuscino mentre il bus si trasferiva bruscamente da Anglesea ad Aberdeen. Uno alla volta, maghi e streghe in vestaglia e ciabatte vennero giù dai piani superiori per scendere dall'autobus. Sembravano tutti molto felici di farlo.
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Alla fine, Harry rimase l'unico passeggero.
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«Allora, Neville» disse Stan, battendo le mani, «a Londra dove?»
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«A Diagon Alley» disse Harry.
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«Va bene» disse Stan, «allora tieniti forte...»
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BANG!
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Ed eccoli sfrecciare lungo Charing Cross Road. Harry si rizzò a sedere e osservò gli edifici e le panchine che si ritraevano dal percorso del Nottetempo. Il cielo impallidiva lentamente. Harry rifletté sul da farsi: stare
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tranquillo per un paio d'ore, andare alla Gringott non appena apriva, poi partire: per dove, non lo sapeva.
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Ern schiacciò il freno e il Nottetempo si arrestò davanti a un piccolo pub dall'aria squallida, il Paiolo magico, dietro il quale c'era l'ingresso segreto a Diagon Alley.
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«Grazie» disse Harry a Ern.
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Scese i gradini con un balzo e aiutò Stan a scaricare il baule e la gabbia di Edvige.
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«Be'» disse Harry, «allora addio!»
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Ma Stan era distratto. In piedi vicino alla portiera, scrutava il buio ingresso del Paiolo magico.
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«Eccoti qui, Harry» disse una voce.
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Prima ancora di voltarsi, Harry sentì una mano sulla spalla. Nello stesso istante Stan esclamò:
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«Orpo! Ern, vieni qui! Vieni qui!»
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Harry si voltò a guardare il proprietario della mano e si sentì gelare: era Cornelius Caramell, il Ministro della Magia in persona.
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Stan balzò a un passo da loro.
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«Come l'ha chiamato Neville, Ministro?» domandò, eccitato.
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Caramell, un ometto corpulento con un lungo mantello gessato, aveva l'aria stanca e infreddolita.
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«Neville?» ripeté accigliato. «Questo è Harry Potter».
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«Lo sapevo!» strillò Stan giulivo. «Ern! Ern! Indovina chi è il nostro Neville, Ern! E Harry Potter, si sì! Ha la cicatrice!»
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«Sì» disse Caramell asciutto, «e sono molto contento che il Nottetempo abbia dato un passaggio a Harry, ma io e lui ora dobbiamo entrare al Paiolo magico...»
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Caramell premette più forte la spalla di Harry, pilotandolo dentro il pub. Una sagoma curva che reggeva una lanterna apparve da dietro il bancone. Era Tom, l'avvizzito, sdentato proprietario del locale.
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«L'ha trovato, Ministro!» disse Tom. «Qualcosa da bere? Birra? Brandy?»
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Alle loro spalle si sentì un rumore di cose trascinate e una serie di sbuffi, e apparvero Ern e Stan con il baule di Harry e la gabbia di Edvige. I due si guardarono intorno eccitati.
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«Orpo, perché non ce l'hai detto subito chi eri, Neville?» chiese Stan sorridendo, mentre la faccia gufesca di Ernie spiava curiosa da sopra la sua spalla.
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«Un salottino privato, Tom, per favore» disse Caramell con uno sguardo eloquente.
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«Addio». Harry salutò Stan ed Ernie in tono sconsolato, mentre Tom indicava a Caramell il corridoio dietro il bancone.
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«Addio, Neville!» gridò Stan.
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Caramell guidò Harry lungo lo stretto corridoio, e seguendo la lanterna si ritrovarono in un salottino. Tom schioccò le dita, il fuoco si accese nella stufa, e l'oste usci con un profondo inchino.
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«Siediti, Harry» disse Caramell indicando una sedia vicino al fuoco.
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Harry sedette, con la pelle d'oca sulle braccia nonostante il calore. Caramell si sfilò il mantello gessato e lo gettò da una parte, poi si tirò su i pantaloni del completo verde bottiglia e si sedette davanti a Harry.
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«Sono Cornelius Caramell, Harry. Il Ministro della Magia».
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Harry lo sapeva già, naturalmente: aveva già visto Caramell una volta, ma siccome in quella circostanza indossava il Mantello dell'Invisibilità di suo padre, Caramell non poteva e non doveva saperlo.
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Tom ricomparve con un grembiule infilato sulla camicia da notte: portava un vassoio con tè e tartine. Lo posò sul tavolo tra Caramell e Harry e uscì dal salottino, richiudendosi la porta alle spalle.
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«Bene, Harry» disse Caramell versando il tè, «ci hai fatto prendere un bello spavento, lo ammetto. Scappare così da casa dei tuoi zii! Cominciavo a pensare... ma sei sano e salvo, e questa è la cosa importante».
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Caramell imburrò una tartina e spinse il piatto verso Harry.
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«Mangia, Harry, sembri un fantasma. Allora... ti farà piacere sapere che abbiamo risolto l'increscioso gonfiore della signora Marge Dursley. Due membri del Dipartimento di Cancellazione della Magia Accidentale sono stati mandati a Privet Drive qualche ora fa. La signora Dursley è stata bucata e la sua memoria è stata modificata. Non ricorda nulla dell'incidente. È tutto, ed è finita bene».
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Caramell sorrise a Harry sopra l'orlo della tazza di tè, come uno zio che osservi il nipote preferito. Harry, che non credeva alle sue orecchie, aprì la bocca, non riuscì a pensare a niente di sensato da dire e la richiuse.
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«Ah, sei preoccupato per la reazione dei tuoi zii?» chiese Caramell. «Be', non lo nego, sono molto arrabbiati, Harry, ma sono pronti a riprenderti con loro la prossima estate, purché tu rimanga a Hogwarts per le vacanze di Natale e di Pasqua».
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Harry finalmente riuscì a parlare.
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«Rimango sempre a Hogwarts per le vacanze di Natale e di Pasqua» dis
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se, «e non voglio tornare mai più a Privet Drive».
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«Su, su, sono sicuro che cambierai idea quando ti sarai calmato un po'» disse Caramell in tono preoccupato. «Sono la tua famiglia, dopotutto, e sono certo che in fondo vi volete bene, ehm, molto in fondo».
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Harry non si curò di correggere Caramell. Stava ancora aspettando di sapere che cosa gli sarebbe toccato.
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«Quindi» riprese Caramell imburrandosi un'altra tartina, «resta da decidere dove passerai le ultime tre settimane di vacanza. Il mio suggerimento è che tu prenda una stanza qui al Paiolo magico e...»
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«Avanti» sbottò Harry, «qual è la punizione che mi aspetta?»
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Caramell strizzò gli occhi.
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«Punizione?»
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«Ho infranto la legge!» disse Harry. «Il Decreto per la Restrizione delle Arti Magiche fra i Minorenni!»
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«Oh, caro ragazzo, non vogliamo certo punirti per una cosetta del genere!» esclamò Caramell, agitando impaziente la tartina. «È stato un incidente! Nessuno finisce ad Azkaban solo per aver gonfiato una zia!»
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Ma ciò non collimava affatto con i precedenti di Harry con il Ministero della Magia.
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«L'anno scorso ho ricevuto un'ammonizione ufficiale solo perché un elfo domestico ha spiaccicato una torta in casa di mio zio!» disse a Caramell. accigliato. «Il Ministero della Magia ha detto che sarei stato espulso da Hogwarts se avessi praticato un altro incantesimo laggiù!»
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A meno che i suoi occhi non lo ingannassero, Harry notò che Caramell assumeva all'improvviso un'aria circospetta.
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«Le circostanze cambiano, Harry... dobbiamo tener conto... nel clima attuale... non vuoi essere espulso, vero?»
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«Certo che no» rispose Harry.
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«Bene, allora qual è il problema?» disse Caramell sollevato. «Mangia una tartina, Harry, io vado a vedere se Tom ha una camera libera per te».
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Caramell uscì dal salottino mentre Harry lo fissava stupito. Stava succedendo qualcosa di molto strano. Perché Caramell lo aveva atteso al Paiolo magico, se non per punirlo? E ora che ci pensava, era normale che il Ministro della Magia in persona si occupasse di incantesimi di minorenni?
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Caramell tornò, accompagnato da Tom il locandiere.
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«La camera 11 è libera, Harry» disse Caramell. «Credo che starai molto comodo. Solo una cosa, sono certo che capirai... Non voglio che tu vada in giro per la Londra Babbana, chiaro? Resta a Diagon Alley. E torna qui tut
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te le sere prima che faccia buio. Sono certo che capirai. Tom ti terrà d'occhio per conto mio».
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«D'accordo» disse Harry lentamente, «ma perché...?»
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«Non vogliamo perderti di nuovo, ecco...» disse Caramell ridendo di cuore. «No, no... meglio sapere dove ti trovi... voglio dire...»
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Caramell si schiarì la voce, si alzò e prese il mantello gessato.
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«Be', ora devo andare, ho tante cose da fare...»
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«Notizie di Black?» chiese Harry.
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Per poco il mantello non sfuggì dalle mani di Caramell.
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«Cosa? Oh, hai sentito... be', no, non ancora, ma è solo questione di tempo. Le guardie di Azkaban non hanno mai fallito... e non le ho mai viste così arrabbiate...»
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Caramell rabbrividì impercettibilmente.
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«Allora, arrivederci».
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Tese la mano e Harry, stringendola, ebbe un'idea improvvisa.
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«Ehm... Ministro? Posso chiederle una cosa?»
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«Ma certo» rispose Caramell sorridendo.
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«Be', i ragazzi del terzo anno a Hogwarts hanno il permesso di andare a Hogsmeade, ma i miei zii non hanno firmato il modulo. Crede che potrebbe...?»
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Caramell prese un'aria imbarazzata.
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«Ah» disse. «No. No, mi dispiace tanto, Harry, ma dal momento che non sono un tuo parente né il tuo tutore...»
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«Ma lei è il Ministro della Magia» disse Harry impaziente. «Se mi desse il permesso...»
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«No. Mi dispiace, Harry, ma le regole sono regole» disse Caramell in tono piatto. «Forse potrai andare a Hogsmeade il prossimo anno. In effetti, credo che sia meglio se non... sì... bene, adesso vado. Divertiti, Harry».
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E con un ultimo sorriso e un'ultima stretta di mano, Caramell uscì dalla stanza. Tom si avvicinò con un ampio sorriso.
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«Se vuole seguirmi, signor Potter» disse, «ho già portato di sopra i suoi bagagli...»
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Harry seguì Tom su per una bella scala di legno fino a una porta con il numero 11 in cifre d'ottone. Tom l'aprì con la chiave.
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Dentro c'erano un letto dall'aria molto comoda, mobili di quercia lucidissimi, un fuoco che scoppiettava allegramente e, appollaiata in cima all'armadio...
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«Edvige!» esclamò Harry.
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La civetta candida fece schioccare il becco e volò sulla spalla di Harry.
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«Gran bella civetta» disse Tom ridendo. «È arrivata cinque minuti prima di lei. Se ha bisogno di qualcosa, signor Potter, non esiti a chiederla».
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Fece un altro inchino e se ne andò.
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Harry rimase seduto a lungo sul letto, accarezzando Edvige con aria assente. Il cielo oltre il vetro mutò rapidamente da un blu intenso e vellutato a un freddo grigio acciaio e poi, piano piano, si fece rosa e oro. Harry non riusciva a credere di aver lasciato Privet Drive solo poche ore prima, di non essere stato espulso e di avere davanti a sé due intere settimane lonta-no dai Dursley.
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«È stata una strana notte, Edvige» disse sbadigliando.
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E senza nemmeno togliersi gli occhiali, sprofondò nel cuscino e si addormentò.
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