Sono appena stato attaccato dai Dissennatori e potrei essere espulso da Hogwarts. Voglio sapere che cosa sta succedendo e quando uscirò di qui.
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Harry ricopiò queste parole su tre diversi fogli di pergamena non appena fu alla sua scrivania nella camera da letto buia. Indirizzò il primo a Sirius, il secondo a Ron e il terzo a Hermione. La sua civetta, Edvige, era fuori a caccia; la gabbia era sulla scrivania, vuota. Harry fece su e giù per la stanza in attesa del suo ritorno, la testa che gli rimbombava, la mente troppo agitata per dormire, anche se gli occhi gli bruciavano e gli dolevano per la stanchezza. Gli faceva male la schiena per aver trascinato Dudley fino a casa, e i due bernoccoli sulla testa dove la finestra e Dudley lo avevano colpito pulsavano dolorosamente.
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Andò su e giù, divorato dalla rabbia e dalla frustrazione, digrignando i denti e serrando i pugni, scoccando sguardi furiosi al cielo vuoto e trapunto di stelle tutte le volte che passava davanti alla finestra. Dissennatori mandati a prenderlo, la signora Figg e Mundungus Fletcher che lo pedinavano, poi la sospensione da Hogwarts e un’udienza al Ministero della Magia, e ancora nessuno che gli dicesse che cosa stava succedendo.
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E quella Strillettera, di che cosa, di che cosa parlava? Di chi era la voce che era risuonata così orribile e minacciosa in cucina?
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Perché era ancora intrappolato lì, senza spiegazioni? Perché tutti lo trattavano come un bambino cattivo? Non fare altre magie, rimani in casa…
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Sferrò un calcio al baule della scuola quando gli passò accanto, ma lungi dallo sfogare la rabbia si sentì peggio, perché ora aveva un dolore acuto all’alluce che si sommava a quello del resto del corpo.
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Proprio mentre zoppicava davanti alla finestra, Edvige entrò planando con un morbido fruscio di piume, come un piccolo fantasma.
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«Era ora!» esclamò aspro Harry, vedendola atterrare leggera in cima alla gabbia. «Mettila giù, ho del lavoro per te!»
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I grandi occhi d’ambra di Edvige lo scrutarono con aria di rimprovero al di sopra della rana morta che reggeva nel becco.
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«Vieni qui» disse Harry. Prese i tre rotolini di pergamena e un laccio di cuoio e legò i cartigli alla zampa squamosa. «Portali subito a Sirius, Ron e Hermione e non tornare senza risposte lunghe. Continua a beccarli finché non hanno scritto risposte di una lunghezza dignitosa, se sei costretta. Capito?»
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Edvige emise un fischio soffocato, il becco ancora pieno di rana.
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«Allora muoviti» disse Harry.
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La civetta decollò all’istante. Non appena fu partita, Harry si gettò completamente vestito sul letto e fissò il soffitto buio. In aggiunta a tutte le altre sensazioni deprimenti, si sentiva in colpa per aver trattato male Edvige; era l’unica amica che avesse al numero quattro di Privet Drive. Ma con lei avrebbe fatto la pace quando fosse tornata con le risposte di Sirius, Ron e Hermione.
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Avrebbero certo risposto in fretta; non potevano ignorare un attacco di Dissennatori. Probabilmente l’indomani al risveglio avrebbe trovato ad aspettarlo tre grosse lettere piene di comprensione e progetti per il suo immediato trasferimento alla Tana. E con quell’idea confortante, il sonno calò su di lui, scacciando tutti gli altri pensieri.
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* * *
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Ma Edvige non tornò la mattina dopo. Harry passò la giornata in camera sua e ne uscì solo per andare in bagno. Tre volte quel giorno zia Petunia gli spinse del cibo nella stanza, attraverso la gattaiola che zio Vernon aveva installato tre estati prima. Tutte le volte che Harry la sentiva avvicinarsi cercava di interrogarla sulla Strillettera, ma avrebbe potuto interrogare la maniglia, per le risposte che ottenne. Per il resto, i Dursley si tennero alla larga. Harry non vedeva l’utilità di obbligarli a subire la sua compagnia; un’altra lite non avrebbe sortito nulla, se non forse il risultato di farlo arrabbiare tanto da costringerlo a compiere altre magie illegali.
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Andò avanti così per tre giorni interi. Harry traboccava di un’energia irrequieta che lo rendeva incapace di concentrarsi su alcunché, e in quei momenti marciava su e giù per la stanza, furioso con tutti coloro che lo lasciavano lì a dibattersi in quel pasticcio; oppure era invaso da una sonnolenza così profonda che poteva stare disteso sul letto per un’ora di fila, a fissare inebetito il vuoto, dolorante di terrore al pensiero dell’udienza al Ministero.
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Se avessero votato contro di lui? Se l’avessero davvero espulso e avessero spezzato la sua bacchetta? Che cos’avrebbe fatto, dove sarebbe andato? Non poteva tornare a vivere a tempo pieno con i Dursley, non ora che conosceva l’altro mondo, quello a cui apparteneva davvero. Avrebbe potuto trasferirsi a casa di Sirius, come il suo padrino aveva suggerito un anno addietro, prima di essere costretto a nascondersi dal Ministero? A Harry sarebbe stato concesso di vivere là da solo, visto che era ancora minorenne? O qualcun altro avrebbe deciso per lui la sua destinazione? La violazione dello Statuto Internazionale di Segretezza era così grave da farlo finire in una cella di Azkaban? Tutte le volte che gli si presentava questo pensiero, Harry invariabilmente scivolava fuori dal letto e ricominciava a camminare su e giù come un’anima in pena.
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La quarta sera dopo la partenza di Edvige, Harry era in una delle sue fasi apatiche, disteso a fissare il soffitto, la mente esausta quasi vuota, quando suo zio entrò nella stanza. Harry levò lentamente lo sguardo su di lui. Zio Vernon sfoggiava il suo completo migliore e un’espressione di enorme compiacimento.
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«Usciamo» disse.
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«Scusa?»
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«Noi… voglio dire, tua zia, Dudley e io usciamo».
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«Bene» rispose Harry tetro, e tornò a fissare il soffitto.
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«Non devi uscire dalla tua stanza mentre siamo fuori».
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«D’accordo».
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«Non devi toccare il televisore, lo stereo e nessuna delle cose di nostra proprietà».
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«Va bene».
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«Non devi rubare cibo dal frigo».
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«D’accordo».
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«Chiudo la porta a chiave».
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«Fallo».
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Zio Vernon gli scoccò un’occhiata obliqua, chiaramente insospettito da quella mansuetudine, poi uscì rumorosamente dalla stanza e si chiuse la porta alle spalle. Harry sentì la chiave girare nella toppa e i passi pesanti di zio Vernon che scendevano le scale. Qualche minuto dopo udì uno sbattere di portiere, un rombo di motore e l’inconfondibile stridore dell’auto che percorreva il vialetto.
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Non ebbe particolari reazioni all’idea che i Dursley uscissero. Che fossero o non fossero in casa, per lui non faceva alcuna differenza. Non riusciva nemmeno a raccogliere l’energia necessaria per alzarsi e accendere la luce. La stanza divenne via via più buia attorno a lui. Giaceva ascoltando i rumori della notte entrare dalla finestra sempre aperta, in attesa del momento benedetto del ritorno di Edvige.
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La casa vuota scricchiolava attorno a lui. I tubi gorgogliavano. Harry rimase lì disteso in una sorta di torpore, senza pensare a niente, sospeso nell’infelicità.
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Poi udì con grande chiarezza un frastuono in cucina, di sotto.
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Scattò su a sedere, e ascoltò attentamente. I Dursley non potevano essere di ritorno, era troppo presto, e comunque non aveva sentito la loro auto.
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Ci fu silenzio per qualche secondo, poi voci.
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Ladri, pensò, lasciandosi scivolare dal letto, ma un istante dopo gli venne in mente che i ladri avrebbero parlato a voce bassa, e chiunque si aggirasse in cucina certo non si dava la pena di farlo.
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Afferrò la bacchetta dal comodino e rimase lì in piedi davanti alla porta della camera, ascoltando con tutto se stesso. Un attimo dopo sussultò, mentre dalla serratura veniva il rumore di un forte scatto e la porta si spalancava.
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Harry rimase immobile a guardare il buio pianerottolo oltre la porta aperta, tendendo le orecchie in cerca di altri rumori, ma non ne vennero. Esitò un momento, poi uscì rapido e silenzioso dalla camera e andò in cima alle scale.
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Il cuore gli balzò in gola. C’erano delle persone nell’ingresso denso d’ombre là sotto, stagliate contro la luce del lampione che filtrava dalla porta di vetro; erano otto o nove, e tutte, per quello che poteva vedere, guardavano lui.
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«Giù la bacchetta, ragazzo, prima di cavare un occhio a qualcuno» disse una voce bassa e ringhiosa.
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Il cuore di Harry batteva incontrollabile. Conosceva quella voce, ma non abbassò la bacchetta.
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«Professor Moody» disse, incerto.
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«Professore non saprei» brontolò la voce, «non è che abbia insegnato molto, vero? Vieni giù, vogliamo vederti bene».
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Harry abbassò appena la bacchetta ma non allentò la presa e non si mosse. Aveva ottime ragioni per essere sospettoso. Aveva appena trascorso nove mesi in compagnia di colui che credeva essere Malocchio Moody solo per scoprire che non era affatto Moody, ma un impostore; di più, un impostore che aveva cercato di ucciderlo prima di essere smascherato. Non fece in tempo a decidere sul da farsi, che una seconda voce un po’ roca salì fluttuando per le scale.
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«È tutto a posto, Harry. Siamo venuti per portarti via».
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Il cuore di Harry fece un balzo. Conosceva anche quella voce, benché non la sentisse da più di un anno.
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«Professor Lupin» disse, incredulo. «È lei?»
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«Perché stiamo tutti al buio?» domandò una terza voce del tutto ignota, una voce di donna. «Lumos».
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La punta di una bacchetta si accese, illuminando l’ingresso di luce magica. Harry batté le palpebre. Le persone di sotto si accalcavano ai piedi delle scale e guardavano in su, verso di lui; alcune tendevano il collo per vedere meglio.
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Remus Lupin era il più vicino. Anche se era ancora piuttosto giovane, Lupin aveva l’aria stanca e un po’ malata; aveva più capelli grigi di quando Harry si era congedato da lui e la sua veste era più rappezzata e frusta che mai. Tuttavia rivolse un gran sorriso a Harry, che cercò di ricambiarlo, nonostante il suo sconcerto.
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«Oooh, è proprio come lo immaginavo» disse la strega che teneva alta la bacchetta accesa. Sembrava la più giovane del gruppo; aveva il viso pallido, a forma di cuore, occhi scuri scintillanti e corti capelli spinosi di un’intensa sfumatura di viola. «Ciao, Harry!»
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«Sì, ora capisco che cosa intendi, Remus» disse un mago nero calvo appena un passo indietro. Aveva una voce profonda e calma e portava un anello d’oro a un orecchio. «È identico a James».
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«A parte gli occhi» precisò un mago con la voce affannosa e i capelli d’argento in fondo al gruppo. «Gli occhi di Lily»,
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Malocchio Moody, che aveva lunghi capelli brizzolati e un grosso pezzo di naso mancante, strizzò sospettoso gli occhi scompagnati. Un occhio era piccolo, scuro e lucente, l’altro grande, rotondo e blu elettrico: l’occhio magico che poteva vedere attraverso le pareti, le porte e la parte posteriore della sua stessa testa.
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«Sei proprio sicuro che sia lui, Lupin?» borbottò. «Sarebbe un bell’affare se portassimo via un Mangiamorte con le sue sembianze. Dovremmo chiedergli qualcosa che solo il vero Potter può sapere. A meno che qualcuno non abbia con sé un po’ di Veritaserum…»
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«Harry, che forma assume il tuo Patronus?» gli chiese Lupin.
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«Un cervo» rispose Harry, nervoso.
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«È lui, Malocchio» disse Lupin.
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Sentendosi addosso gli sguardi di tutti, Harry scese le scale, infilando la bacchetta nella tasca di dietro.
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«Non mettere lì la bacchetta, ragazzo!» ruggì Moody. «E se si accende? Maghi migliori di te hanno perso le chiappe, sai?»
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«Chi conosci che abbia perso una chiappa?» chiese la donna coi capelli viola, incuriosita.
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«Non badarci, pensa solo a tenere la bacchetta lontana dalla tasca di dietro!» ringhiò Malocchio. «Elementari norme di sicurezza per bacchette, ah, nessuno ci pensa più». Zoppicò affaticato verso la cucina. «E comunque l’ho visto succedere» aggiunse irritato, mentre la donna alzava gli occhi al soffitto.
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Lupin tese la mano e strinse quella di Harry.
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«Come stai?» gli chiese, guardandolo da vicino.
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«B-bene…»
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Harry non riusciva quasi a crederci. Quattro settimane di niente, nemmeno il più vago sentore di un piano per portarlo via da Privet Drive, e all’improvviso una squadra intera di maghi era lì in casa, in carne e ossa, come per un accordo preso da tempo. Guardò le persone che circondavano Lupin; continuavano a fissarlo avidamente. Non si pettinava da quattro giorni, e lo sapeva bene.
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«Io… siete davvero fortunati che i Dursley siano fuori…» borbottò.
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«Fortunati, ha!» sbuffò la donna coi capelli viola. «Sono stata io ad attirarli lontano da qui. Ho spedito una lettera via posta Babbana che diceva che erano in finale per la Gara del Prato Suburbano Meglio Tenuto di Tutta l’Inghilterra. Stanno andando alla premiazione… o almeno è quello che credono».
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Harry ebbe una fugace visione della faccia che avrebbe fatto zio Vernon scoprendo che la Gara del Prato Suburbano Meglio Tenuto di Tutta l’Inghilterra non esisteva.
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«Andiamo via, vero?» chiese. «Subito?»
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«Quasi subito» rispose Lupin, «stiamo solo aspettando il via libera».
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«Dove andiamo? Alla Tana?» chiese Harry, speranzoso.
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«Non alla Tana, no» disse Lupin, guidando Harry verso la cucina; il gruppetto di maghi li seguì, senza smettere di scrutare Harry con curiosità. «Troppo rischioso. Abbiamo stabilito il nostro Quartier Generale in un luogo non reperibile. Ci è voluto un po’…»
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Malocchio Moody era seduto al tavolo di cucina e beveva a sorsi da una fiaschetta tascabile, con l’occhio magico che roteava in tutte le direzioni, esaminando i molti congegni risparmiafatiche dei Dursley.
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«Questo è Alastor Moody, Harry» continuò Lupin, indicandolo.
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«Sì, lo so» disse Harry a disagio. Era strano essere presentato a qualcuno che per un anno aveva creduto di conoscere.
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«E questa è Ninfadora…»
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«Non chiamarmi Ninfadora, Remus» disse la giovane strega con un brivido. «Io sono Tonks».
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«Ninfadora Tonks, che preferisce essere nota solo col cognome» concluse Lupin.
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«Lo preferiresti anche tu, se quella sciocca di tua madre ti avesse chiamato Ninfadora» borbottò Tonks.
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«E questo è Kingsley Shacklebolt». L’alto mago nero s’inchinò. «Elphias Doge». Il mago con la voce ansante fece un cenno. «Dedalus Lux…»
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«Ci siamo già incontrati» squittì l’eccitabile Lux, levandosi il cappello a cilindro viola.
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«Emmeline Vance». Una strega dall’aria nobile con uno scialle verde smeraldo abbassò il capo. «Sturgis Podmore». Un mago con la mascella quadrata e folti capelli color paglia fece l’occhiolino. «E Hestia Jones». Vicino al tostapane una strega con le guance rosee e i capelli neri salutò con la mano.
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Harry chinò il capo goffamente verso ciascuno di loro via via che venivano presentati. Avrebbe tanto voluto che guardassero qualcos’altro che non fosse lui; era come se all’improvviso fosse stato spinto su un palcoscenico. Si chiese anche come mai erano così tanti.
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«Un numero sorprendente di persone si è offerto volontario per venire a prenderti» disse Lupin, come se gli avesse letto nel pensiero; gli angoli della bocca gli si incurvarono appena.
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«Sì, sicuro, più siamo meglio è» grugnì Moody, cupo. «Siamo la tua scorta, Harry».
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«Stiamo solo aspettando il segnale che ci dirà che si può partire tranquilli» disse Lupin, scoccando un’occhiata fuori dalla finestra. «Abbiamo più o meno quindici minuti».
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«Sono molto puliti, vero, questi Babbani?» domandò la strega chiamata Tonks, guardandosi attorno con grande interesse. «Il mio papà è Babbano di nascita ed è un gran sciattone. Immagino che ce ne siano di tutti i tipi, come i maghi…»
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«Ehm… sì» rispose Harry. «Senta» e si rivolse a Lupin, «che cosa sta succedendo? Non ho avuto notizie da nessuno… E Voi…»
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Parecchi maghi e streghe emisero strani sibili; Dedalus Lux si sfilò di nuovo il cappello e Moody ringhiò: «Zitto!»
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«Che cosa?» chiese Harry.
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«Niente chiacchiere qui, è troppo pericoloso» disse Moody, puntando l’occhio normale su Harry. Quello magico rimase concentrato sul soffitto. «Dannazione» aggiunse rabbioso, portando una mano all’occhio, «continua a incastrarsi… da quando se l’è messo quell’essere spregevole».
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E con uno sgradevole risucchio, tipo un tappo che viene tolto da un lavandino, se lo tolse.
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«Malocchio, lo sai che è disgustoso, vero?» buttò lì Tonks.
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«Prendimi un bicchiere d’acqua, ti prego, Harry» disse Moody.
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Harry andò alla lavastoviglie, prese un bicchiere pulito e lo riempì d’acqua al lavandino, sempre guardato con curiosità dalla banda di maghi. I loro sguardi fissi cominciavano a irritarlo.
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«Cin cin» disse Moody, quando Harry gli porse il bicchiere. Fece cadere il bulbo magico nell’acqua e lo spinse su e giù; l’occhio vorticò, fissandoli tutti uno dopo l’altro. «Voglio una visione a trecentosessanta gradi per il viaggio di ritorno».
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«Come facciamo ad andare dove andiamo?» chiese Harry.
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«Con le scope» rispose Lupin. «È l’unico modo. Tu sei troppo giovane per Materializzarti, la Metropolvere sarà sorvegliata e non vale la pena di allestire una Passaporta non autorizzata».
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«Remus dice che voli bene» disse Kingsley Shacklebolt con la sua voce profonda.
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«È bravissimo» confermò Lupin, con un’occhiata all’orologio. «Comunque è meglio che tu vada a fare le valigie, Harry, dobbiamo essere pronti a partire quando arriva il segnale».
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«Vengo ad aiutarti» propose Tonks allegramente.
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Seguì Harry nell’ingresso e su per le scale, guardandosi attorno con gran curiosità e interesse.
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«Che posto bizzarro» disse. «È un po’ troppo pulito, capito che cosa intendo? Un po’ innaturale. Oh, qui va meglio» aggiunse quando entrarono nella camera di Harry e lui accese la luce.
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La sua stanza era decisamente molto più caotica del resto della casa. Confinato lì per quattro giorni, e in più di pessimo umore, Harry non si era curato di mettere in ordine. Gran parte dei libri che possedeva erano sparsi a terra: aveva cercato di distrarsi con ciascuno di essi e poi l’aveva gettato via; la gabbia di Edvige aveva bisogno di essere pulita e cominciava a puzzare; e il suo baule era aperto, rivelando un guazzabuglio confuso di abiti Babbani e vesti da mago che si era riversato per terra tutto attorno.
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Harry prese a raccogliere i libri e a gettarli in fretta nel baule. Tonks si fermò davanti all’armadio aperto per studiare con aria critica il proprio riflesso nello specchio.
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«Sai, non credo che il viola sia proprio il mio colore» disse pensierosa, tirandosi una ciocca di capelli irti. «Non trovi che mi sbatta un po’?»
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«Ehm…» disse Harry, guardandola al di sopra di Squadre di Quidditch della Gran Bretagna e dell’Irlanda.
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«Sì, è così» concluse Tonks. Strizzò gli occhi in un’espressione tesa, come se cercasse di ricordare qualcosa. Un attimo dopo, i suoi capelli erano diventati di un rosa cicca.
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«Come ha fatto?» chiese Harry, guardandola sbalordito mentre lei riapriva gli occhi.
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«Sono un Metamorfomagus» disse lei, tornando a osservare il proprio riflesso e voltando la testa in modo da vedere i capelli da tutte le angolature. «Vuol dire che posso cambiare il mio aspetto quando voglio» aggiunse, quando scorse nello specchio l’espressione perplessa di Harry alle sue spalle. «Sono nata così. Ho preso il massimo dei voti in Occultamento e Travestimento al corso di addestramento per Auror senza dover studiare affatto: è stato magnifico».
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«Lei è un Auror?» domandò Harry, colpito. Essere un cacciatore di Maghi Oscuri era l’unica carriera a cui avesse mai pensato dopo Hogwarts.
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«Sì» rispose Tonks, con aria fiera. «Anche Kingsley. È un po’ più avanti di me, però. Io mi sono diplomata solo un anno fa. Ho rischiato di farmi bocciare in Segretezza e Inseguimento. Sono goffissima, mi hai sentito rompere quel piatto quando siamo arrivati di sotto?»
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«Si può imparare a essere un Metamorfomagus?» le chiese Harry rialzandosi, del tutto dimentico dei bagagli.
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Tonks ridacchiò.
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«Scommetto che non ti dispiacerebbe poter nascondere quella cicatrice ogni tanto, eh?»
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Il suo sguardo individuò la cicatrice a forma di saetta sulla fronte di Harry.
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«No, non mi dispiacerebbe» borbottò Harry, voltandosi. Non gli andava che la gente fissasse la sua cicatrice.
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«Be’, ti toccherà imparare nel modo più difficile, temo» disse Tonks. «I Metamorfomagi sono davvero rari, sono così dalla nascita, non lo diventano. Quasi tutti i maghi hanno bisogno di usare una bacchetta o delle pozioni per cambiare il proprio aspetto. Ma dobbiamo muoverci, Harry, dovremmo essere qui a fare le valigie» aggiunse in tono colpevole, guardando il caos sul pavimento.
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«Oh… sì» disse Harry, afferrando qualche altro libro.
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«Non fare lo stupido, sarà molto più rapido se io… Bagaglius!» gridò Tonks, agitando la bacchetta con un lungo, ampio gesto rivolto al pavimento.
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Libri, abiti, telescopio e bilance si levarono tutti a mezz’aria e volarono alla rinfusa nel baule.
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«Non è molto ordinato» ammise Tonks, avvicinandosi al baule e guardando il caos all’interno. «Mia mamma riesce a far entrare la roba in ordine… persino a far ripiegare le calze da sole… ma io non ho mai capito come fa… è una specie di colpetto…» E mosse appena la bacchetta, speranzosa.
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Uno dei calzini di Harry si agitò un poco e ricadde in cima al caos nel baule.
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«Ah, be’» concluse Tonks, chiudendo il coperchio con un tonfo, «almeno è tutto dentro. Anche quella ci guadagnerebbe con una bella pulita». Puntò la bacchetta verso la gabbia di Edvige. «Gratta e netta». Un po’ di piume e di cacche svanirono. «Be’, è un po’ meglio… non sono mai riuscita a padroneggiare questo genere di incantesimi casalinghi. Bene… hai tutto? Il calderone? La scopa? Wow! Una Firebolt!»
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I suoi occhi si dilatarono posandosi sul manico di scopa che Harry reggeva nella mano destra. Era la sua gioia e il suo orgoglio, un dono di Sirius, un manico di scopa di statura internazionale.
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«E io che cavalco ancora una Comet Duecentosessanta» disse Tonks invidiosa. «Ah, be’… hai ancora la bacchetta nei jeans? Tutte e due le chiappe sono ancora al loro posto? Ok, andiamo. Baule locomotor».
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Il baule di Harry si alzò in aria di qualche centimetro. Tenendo la bacchetta come quella di un direttore d’orchestra, Tonks lo sollevò a mezz’aria e lo fece uscire dalla porta davanti a loro, reggendo la gabbia di Edvige nella mano sinistra. Harry la seguì giù per le scale portando il manico di scopa.
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In cucina, Moody si era rimesso a posto l’occhio: dopo la pulizia roteava così in fretta che a Harry venne la nausea a guardarlo. Kingsley Shacklebolt e Sturgis Podmore studiavano il microonde e Hestia Jones rideva di un pelapatate che aveva trovato frugando nei cassetti. Lupin stava sigillando una lettera indirizzata ai Dursley.
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«Ottimo» disse, alzando lo sguardo all’ingresso di Tonks e Harry. «Abbiamo circa un minuto, credo. Probabilmente dovremmo uscire in giardino in modo da stare pronti. Harry, ho lasciato una lettera ai tuoi zii per dir loro di non preoccuparsi…»
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«Non succederà» disse Harry.
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«…che sei al sicuro…»
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«Li deprimerà saperlo».
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«…e che li rivedrai la prossima estate».
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«Devo proprio?»
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Lupin sorrise, ma non rispose.
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«Vieni qui, ragazzo». Moody, burbero, gli fece segno con la bacchetta di avvicinarsi. «Devo Disilluderti».
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«Deve che cosa?» chiese Harry nervosamente.
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«Incantesimo di Disillusione» spiegò Moody, levando la bacchetta. «Lupin dice che possiedi un Mantello dell’Invisibilità, ma non puoi portarlo mentre voliamo; questo ti nasconderà meglio. Ecco…»
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Lo colpì forte sulla testa e Harry provò una singolare sensazione, come se Moody avesse appena rotto un uovo in quel punto; rivoletti freddi parvero scorrergli lungo il corpo a partire dal punto toccato dalla bacchetta.
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«Ben fatto, Malocchio» approvò Tonks, fissando la vita di Harry.
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Harry guardò il proprio corpo, o meglio ciò che era stato il suo corpo, perché non ne aveva più l’aspetto. Non era invisibile; aveva soltanto preso l’esatto colore e la precisa consistenza del mobile da cucina alle sue spalle. Sembrava che fosse diventato un camaleonte umano.
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«Andiamo» disse Moody, aprendo la porta sul retro con la bacchetta.
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Uscirono tutti sul prato curatissimo di zio Vernon.
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«Notte serena» borbottò Moody, mentre il suo occhio magico scrutava i cieli. «Un po’ di nuvole ci sarebbero state più utili per coprirci. Ehi, tu» abbaiò a Harry, «voleremo in formazione compatta. Tonks starà davanti a te, stalle attaccato alla coda. Lupin ti coprirà da sotto. Io starò dietro di te. Tutti gli altri si disporranno attorno a noi. Non romperemo le righe per nessun motivo, capito? Se uno di noi viene ucciso…»
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«Può succedere?» chiese Harry, ansioso, ma Moody lo ignorò.
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«…gli altri continuano il volo, non si fermano, non abbandonano i ranghi. Se ci abbattono tutti e tu sopravvivi, Harry, la retroguardia è pronta a prendere il nostro posto; continua a volare verso est e ti raggiungeranno».
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«Smettila di essere così allegro, Malocchio, o penserà che non prendiamo la faccenda sul serio» lo rimproverò Tonks, legando il baule di Harry e la gabbia di Edvige a una briglia che pendeva dalla sua scopa.
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«Sto solo spiegando il piano al ragazzo» ringhiò Moody. «Il nostro compito è accompagnarlo sano e salvo al Quartier Generale, e se cadiamo nel tentativo…»
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«Non morirà nessuno» sentenziò Kingsley Shacklebolt con la sua voce profonda e tranquillizzante.
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«Salite sulle scope, ecco il primo segnale!» disse Lupin secco, indicando il cielo.
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Lontano lontano, sopra di loro, una pioggia di scintille rosso vivo era esplosa tra le stelle. Harry le riconobbe all’istante come scintille di bacchetta. Gettò la gamba destra oltre la Firebolt, afferrò stretto il manico e la sentì vibrare appena, come se fosse desiderosa quanto lui di ritrovarsi di nuovo per aria.
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«Il secondo segnale, andiamo!» disse Lupin ad alta voce. Altre scintille, questa volta verdi, erano esplose alte sopra di loro.
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Harry decollò con un robusto slancio. La fresca aria notturna gli sfrecciò tra i capelli mentre gli ordinati giardini quadrati di Privet Drive si allontanavano, rimpicciolendo in fretta in un patchwork di verde scuro e di nero, e ogni pensiero dell’udienza del Ministero fu spazzato via quasi che il fiotto d’aria gliel’avesse soffiato fuori dalla testa. Era come se il cuore gli stesse per esplodere di piacere; volava di nuovo, volava via da Privet Drive come aveva fantasticato per tutta l’estate, stava tornando a casa… per qualche glorioso istante, tutti i suoi problemi parvero ritirarsi nel nulla, insignificanti nel vasto cielo stellato.
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«Tutta a manca, tutta a manca, c’è un Babbano che guarda in su!» urlò Moody alle sue spalle. Tonks scartò e Harry la seguì, guardando il suo baule dondolare follemente sotto la scopa di lei. «Dobbiamo prendere quota… altri trecento metri!»
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Gli occhi di Harry lacrimavano per il freddo mentre il gruppo saliva; non vedeva niente di sotto, ormai, tranne minuscoli puntolini di luce che erano fari di auto e lampioni. Due di quelle lucine potevano essere l’auto di zio Vernon… i Dursley ormai dovevano essere diretti verso la casa vuota, gonfi di rabbia per l’inesistente Gara del Prato… e Harry rise forte al pensiero, anche se la sua voce fu soffocata dal frastuono delle vesti svolazzanti degli altri, dal gemito della briglia che reggeva il suo baule e la gabbia, e dal sibilo del vento nelle orecchie. Da un mese non si sentiva così vivo e così felice.
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«Verso sud!» gridò Malocchio. «Città a prua!»
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Puntarono a destra per evitare di passare direttamente sopra la ragnatela scintillante di luci.
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«Verso sud-est, e continuate a salire, davanti ci sono nuvole basse in cui possiamo nasconderci!» urlò Moody.
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«Non attraversiamo le nuvole!» gridò Tonks rabbiosa. «Ci inzupperemo, Malocchio!»
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Harry fu sollevato nel sentirglielo dire; le sue mani stavano perdendo la sensibilità sul manico della Firebolt. Si pentì di non aver preso un cappotto; cominciava a tremare.
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Ogni tanto cambiavano rotta seguendo le istruzioni di Malocchio. Harry stringeva gli occhi contro le folate di vento gelido che cominciavano a fargli dolere le orecchie; ricordava di aver provato tanto freddo a cavallo di una scopa solo una volta prima d’allora, durante la partita di Quidditch contro Tassorosso al terzo anno, che si era tenuta in piena tempesta. La scorta attorno a lui continuava a volteggiare come uno stormo di uccelli da preda giganti. Harry perse la nozione del tempo. Si chiese da quanto volassero; almeno da un’ora, pareva.
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«Puntiamo a sud-ovest!» urlò Moody. «Dobbiamo evitare l’autostrada!»
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Harry ormai era così congelato che pensò con nostalgia agli accoglienti, asciutti abitacoli delle auto che scorrevano sotto di loro, poi, con nostalgia ancora più acuta, ai viaggi via Polvere Volante. Poteva anche essere scomodo, vorticare dentro i camini, ma almeno tra le fiamme c’era caldo… Kingsley Shacklebolt gli volò vicino, con la pelata e l’orecchino che scintillavano appena alla luce della luna… ora Emmeline Vance era alla sua destra, la bacchetta tesa, il capo che si voltava da destra a sinistra… poi anche lei volò sopra di lui, per cedere il posto a Sturgis Podmore…
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«Dobbiamo fare dietrofront per un pezzo, per controllare che non ci seguano!» gridò Malocchio.
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«TU SEI PAZZO, MALOCCHIO!» strillò Tonks da davanti. «Siamo tutti gelati dalla testa alla scopa! Se continuiamo a deviare arriveremo la settimana prossima! E poi ormai ci siamo quasi!»
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«È ora di cominciare la discesa!» disse la voce di Lupin. «Segui Tonks, Harry!»
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Harry seguì Tonks in picchiata. Erano diretti verso la più grande concentrazione di luci che avesse visto fino a quel momento, un’enorme, dilagante massa intrecciata, che scintillava in linee e reticoli, inframmezzati da macchie del nero più fondo. Volarono sempre più basso, finché Harry riuscì a distinguere i singoli fari e i lampioni, i camini e le antenne della televisione. Desiderava tantissimo toccare terra, anche se era sicuro che qualcuno avrebbe dovuto scongelarlo per staccarlo dalla scopa.
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«Eccoci!» gridò Tonks, e qualche istante dopo era atterrata.
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Harry arrivò proprio dietro di lei e smontò su una macchia di erba incolta al centro di una piazzetta. Tonks stava già sbrigliando il baule. Tremante, Harry si guardò attorno. Le facciate sudicie delle case circostanti non erano accoglienti; alcune avevano i vetri rotti, che scintillavano cupi alla luce dei lampioni; la vernice di molte porte era scrostata e mucchi di immondizia giacevano davanti a parecchi gradini d’ingresso.
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«Dove siamo?» chiese Harry, ma Lupin disse piano: «Tra un minuto».
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Moody stava frugando dentro il mantello, le mani contorte intorpidite dal freddo.
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«Trovato» borbottò; levò quello che sembrava un accendino d’argento e lo fece scattare.
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Il lampione più vicino si spense con uno schiocco. Moody fece scattare di nuovo lo Spegnino; il lampione successivo si oscurò; continuò a far scattare l’attrezzo finché tutti i lampioni della piazza furono spenti e la sola luce residua veniva dalle finestre schermate e dalla falce di luna in alto.
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«L’ho preso in prestito da Silente» ringhiò Moody, intascando lo Spegnino. «Questo sistema qualunque Babbano che guardi fuori dalla finestra, capito? Adesso andiamo, presto».
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Prese Harry per un braccio e lo guidò dalla macchia erbosa attraverso la strada e sul marciapiede; Lupin e Tonks li seguirono, trasportando in due il baule di Harry; il resto della scorta, tutti con le bacchette sfoderate, li affiancava.
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Il pulsare soffocato di uno stereo usciva da una finestra in alto nella casa più vicina. Un acre odore di immondizia marcia si levava dalla pila di sacchi neri rigonfi appena dentro il cancello rotto.
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«Qui» borbottò Moody, porgendo un pezzo di pergamena alla mano Disillusa di Harry e reggendo la bacchetta accesa vicino al foglio, in modo da illuminare ciò che c’era scritto. «Leggi in fretta e impara a memoria».
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Harry guardò il foglio. La grafia serrata era vagamente familiare. Diceva:
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Il Quartier Generale dell’Ordine della Fenice si può trovare al numero dodici di Grimmauld Place, Londra.
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