La porta dell’ufficio si aprì.
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«Salute, Potter» disse Moody. «Entra, allora».
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Harry entrò. Era già stato una volta nell’ufficio di Silente; era una camera circolare, molto bella, tappezzata di ritratti di Presidi di Hogwarts del passato, tutti immersi in un sonno profondo, il petto che si alzava e si abbassava dolcemente.
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Cornelius Caramell era in piedi accanto alla scrivania di Silente, col suo solito mantello gessato e la bombetta verde acido in mano.
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«Harry!» esclamò cordiale, facendo un passo avanti. «Come stai?»
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«Bene» mentì Harry.
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«Stavamo parlando della notte in cui il signor Crouch è apparso nel parco» disse Caramell. «Sei stato tu a trovarlo, vero’?»
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«Sì» rispose Harry. Poi, visto che era inutile fingere di non aver origliato la loro conversazione, aggiunse: «Però non ho visto Madame Maxime da nessuna parte, e farebbe fatica a nascondersi, no?»
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Alle spalle di Caramell, Silente sorrise a Harry, gli occhi scintillanti.
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«Sì, be’» rispose Caramell, imbarazzato, «stiamo per andare a fare una passeggiata nel parco, Harry, se non ti dispiace… forse se torni in classe…»
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«Volevo parlare con lei, professore» disse Harry rapido a Silente, che gli scoccò uno sguardo indagatore.
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«Aspettami, Harry» disse. «Il nostro sopralluogo nel parco non durerà a lungo».
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Uscirono in drappello, silenziosi, e chiusero la porta. Dopo un minuto circa, Harry udì i tonfi della gamba di legno di Moody diventare più deboli nel corridoio di sotto. Si guardò intorno.
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«Ciao, Fanny» disse.
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Fanny, la fenice del professor Silente, era appollaiata sul trespolo d’oro accanto alla porta. Grande come un cigno, coperta di splendide piume scarlatte e dorate, agitò la lunga coda e strizzò gli occhi in uno sguardo benevolo.
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Harry si sedette davanti alla scrivania di Silente. Per parecchi minuti rimase a guardare i vecchi Presidi russare nelle cornici, riflettendo su quanto aveva appena udito, e strofinandosi la cicatrice. Aveva smesso di fargli male.
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Si sentiva molto più tranquillo ora che si trovava nell’ufficio di Silente, sapendo che di lì a poco gli avrebbe raccontato il suo sogno. Guardò la parete dietro la scrivania. Il Cappello Parlante, rattoppato e strappato, si trovava su una mensola. Una bacheca di vetro lì accanto racchiudeva una splendida spada d’argento, con grossi rubini incastonati nell’elsa, e Harry la riconobbe: era quella che aveva estratto dal Cappello Parlante al secondo anno. La spada era appartenuta a Godric Grifondoro, fondatore della Casa di Harry. La fissò, ricordando come era venuta in suo aiuto quando ormai credeva che ogni speranza fosse perduta, e fu allora che notò una macchia di luce argentata danzare e vibrare sulla teca di vetro. Si volse a cercarne la fonte, e vide una lama di luce di un biancore argenteo scintillare da un armadio nero alle sue spalle: lo sportello non era stato chiuso bene. Harry esitò, lanciò un’occhiata a Fanny, poi si alzò, attraversò l’ufficio e aprì lo sportello dell’armadio.
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Dentro c’era un basso bacile di pietra, con strane figure incise sul bordo; rune e simboli che Harry non riconobbe. La luce d’argento emanava dal contenuto del bacile, che non somigliava a nulla che Harry avesse mai visto prima. Non riuscì a capire se la sostanza fosse liquida o gassosa. Era di un colore argento luminoso e biancastro, e si muoveva incessantemente; la superficie s’increspò come acqua accarezzata dal vento, e poi, simile alle nuvole in cielo, si separò e vorticò dolcemente. Sembrava luce liquida — o vento solido; Harry non riuscì a capirlo.
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Voleva toccarla, scoprire com’era al tatto, ma quasi quattro anni di esperienza del mondo magico gli suggerivano che infilare la mano in una ciotola piena di una sostanza sconosciuta era una cosa molto stupida da fare. Quindi estrasse la bacchetta, gettò un’occhiata nervosa intorno, guardò di nuovo il contenuto del bacile e lo tentò con la punta. La superficie della cosa argentea prese a vorticare molto in fretta.
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Harry si avvicinò; ormai aveva la testa dentro l’armadio. La sostanza argentea era diventata trasparente; sembrava vetro. Vi guardò dentro, aspettandosi di vedere il fondo di pietra del bacile, e invece vide un’enorme sala, una sala che gli parve di guardare da una finestra rotonda nel soffitto.
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Una luce fioca illuminava l’ambiente; poteva trovarsi sottoterra, perché non c’erano finestre, solo torce sorrette da bracci come quelle che illuminavano le sale di Hogwarts. Abbassando il viso fin quasi a sfiorare col naso la sostanza vetrosa, Harry vide file e file di maghi e streghe seduti lungo tutte le pareti, sopra quelle che sembravano panche disposte a diverse altezze. Nel centro della stanza troneggiava una sedia vuota. Aveva un aspetto vagamente sinistro. Dai braccioli pendevano delle catene.
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Dov’era quel luogo? Certo non a Hogwarts; non aveva mai visto una sala del genere nel castello. Per di più, la folla nella sala misteriosa in fondo al bacile era formata da adulti, e Harry sapeva che non ce n’erano così tanti a Hogwarts. Pareva che stessero aspettando qualcosa; anche se vedeva solo le punte dei loro cappelli, sembrava che fossero tutti rivolti nella stessa direzione, e non parlavano tra loro.
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Dal momento che il bacile era circolare e la sala che stava osservando quadrata, Harry non riusci a vedere che cosa succedeva negli angoli. Si chinò ancora di più, cercando di vedere…
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Poi la punta del suo naso toccò la superficie vetrosa.
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L’ufficio di Silente sussultò con violenza: Harry fu scagliato in avanti e precipitò a testa in giù dentro il bacile…
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Ma non urtò contro il fondo di pietra. Stava cadendo dentro qualcosa di gelido e nero; era come essere risucchiati in un gorgo oscuro…
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E all’improvviso si ritrovò seduto su una panca in fondo alla sala dentro il bacile, una panca più in alto delle altre. Guardò verso l’alto soffitto di pietra, aspettandosi di vedere la finestra circolare dalla quale aveva appena osservato la scena, ma lassù non c’era altro che scura, solida pietra.
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Respirando affannosamente, Harry si guardò attorno. Non uno dei maghi, non una delle streghe presenti (e ce n’erano almeno duecento) lo stava guardando. Nessuno pareva essersi accorto che un ragazzo di quattordici anni era appena piovuto tra loro dal soffitto. Harry si voltò verso il mago che sedeva accanto a lui e gettò un alto grido di sorpresa che echeggiò nella sala silenziosa.
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Era seduto al fianco di Albus Silente.
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«Professore!» sussurrò affannosamente. «Mi dispiace… non volevo… stavo solo guardando il bacile nell’armadio… io… dove siamo?»
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Ma Silente non si mosse né parlò. Ignorò del tutto Harry. Come ogni altro mago sulle panche, fissava l’angolo più remoto della sala, dove si apriva una porta.
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Interdetto, Harry guardò Silente, poi la folla in silenziosa attesa, poi di nuovo Silente. E poi cominciò a capire…
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Gli era già successo di trovarsi in un posto dove nessuno poteva vederlo o sentirlo. Quella volta era caduto dentro una pagina di un diario stregato, diritto nella memoria di un altro… e a meno che non si sbagliasse di grosso, era successa di nuovo una cosa del genere…
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Harry alzò la mano destra, esitò, poi la sventolò con foga davanti al volto di Silente. Quest’ultimo non batté ciglio, non si volse verso Harry, non si mosse affatto. E ciò, per Harry, sistemava la faccenda: Silente non lo avrebbe ignorato così. Si trovava dentro un ricordo, e quello non era il Silente di oggi. Eppure non poteva essere passato molto tempo… il Silente seduto accanto a lui in quel momento aveva i capelli d’argento, proprio come il Silente di oggi. Ma che cos’era quel posto? Che cosa aspettavano tutti quei maghi?
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Harry si guardò attorno più attentamente. La sala, come aveva sospettato osservandola dall’alto, era quasi certamente sottoterra: una segreta, pensò. Vi aleggiava un’atmosfera cupa e inquietante: non c’erano quadri alle pareti, solo quelle file serrate di panche che si alzavano in ranghi, tutte disposte in modo da godere di una vista indisturbata su quella sedia con le catene sui braccioli.
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Prima che Harry potesse giungere a qualche conclusione, udì dei passi. La porta nell’angolo della segreta si aprì, ed entrarono tre persone: o meglio, un uomo, scortato da due Dissennatori.
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Harry si sentì gelare. I Dissennatori, alte creature incappucciate dai volti nascosti, scivolarono lentamente verso la sedia al centro della sala, le mani putrefatte attorno alle braccia del prigioniero, che sembrava sul punto di svenire. Harry lo capiva: ricordava perfettamente il potere dei Dissennatori, benché ora non potessero toccarlo, dentro la memoria di un altro. La folla in attesa si ritrasse mentre i Dissennatori spingevano l’uomo sulla sedia e uscivano silenziosamente dalla sala. La porta si chiuse alle loro spalle.
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Harry guardò l’uomo seduto: era Karkaroff.
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A differenza di Silente, sembrava molto più giovane; i capelli e il pizzetto erano neri. Non indossava soffici pellicce, ma un abito leggero e strappato. Era scosso dai brividi. Sotto gli occhi di Harry, le catene sui braccioli della sedia scintillarono d’oro all’improvviso e strisciarono lungo le sue braccia, avviluppandolo.
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«Igor Karkaroff» disse una voce asciutta alla sinistra di Harry. Lui si voltò, e vide il signor Crouch in piedi al centro della panca al suo fianco. Aveva i capelli scuri, il volto molto meno segnato e sembrava sano e vigile. «Sei stato portato da Azkaban per deporre davanti al Ministero della Magia. Ci hai lasciato capire di avere delle informazioni importanti per noi».
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Karkaroff si raddrizzò meglio che poteva, legato com’era.
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«È così, signore» disse, e anche se il suo tono di voce era molto spaventato, Harry vi riconobbe la familiare nota melliflua. «Desidero rendermi utile al Ministero. Desidero collaborare. Io… io so che il Ministero sta cercando di… di isolare gli ultimi sostenitori del Signore Oscuro. Sono disposto a collaborare come posso…»
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Tra le panche si diffuse un mormorio. Alcuni maghi e streghe osservavano Karkaroff con interesse, altri con esplicita diffidenza. Poi Harry udì distintamente una voce ben nota ringhiare una parola dall’altro lato di Silente: «Feccia».
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Harry si protese in avanti. Accanto a Silente c’era Malocchio Moody — un Malocchio molto diverso dal solito. Non aveva l’occhio magico, ma due occhi normali. Entrambi scrutavano Karkaroff, ed entrambi erano stretti in un’espressione di profondo disgusto.
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«Crouch lo lascerà andare» sussurrò piano a Silente. «Ha fatto un patto con lui. Ci ho messo sei mesi a scovarlo, e Crouch lo lascerà andare se otterrà nuovi nomi a sufficienza. Sentiamo quello che ha da dire, dico io, e poi ributtiamolo subito in pasto ai Dissennatori».
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Silente emise un piccolo sbuffo di dissenso dal lungo naso adunco.
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«Ah, dimenticavo… a te non piacciono i Dissennatori, vero, Albus?» disse Moody con un sorriso sardonico.
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«No» rispose tranquillamente Silente. «Temo di no. Da tempo ritengo che il Ministero sbagli ad allearsi con creature del genere».
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«Ma per feccia come questa…» disse piano Moody.
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«Sostieni di essere in grado di fare dei nomi, Karkaroff» riprese Crouch. «Sentiamoli, allora».
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«Dovete capire» disse in fretta Karkaroff «che Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato ha sempre agito con la massima segretezza… preferiva che noi — voglio dire, i suoi sostenitori — e io ora mi rammarico profondamente di essere stato uno di loro…»
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«Vai avanti» sogghignò Moody.
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«… che non conoscessimo mai i nomi di tutti i nostri compagni… solo lui sapeva esattamente chi eravamo…»
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«Saggia mossa davvero, visto che ha impedito a uno come te, Karkaroff, di denunciarli tutti» borbottò Moody.
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«Eppure tu dici di conoscerli?» disse il signor Crouch.
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«Io… io sì» disse Karkaroff senza fiato. «Ed erano sostenitori importanti, badate. Li ho visti eseguire i suoi ordini con i miei occhi. Vi fornisco queste informazioni come prova della mia totale e piena rinuncia a lui, e sono pervaso da un rimorso così profondo che riesco a stento…»
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«Allora, questi nomi?» esclamò secco il signor Crouch.
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Karkaroff trasse un profondo respiro.
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«C’era Antonin Dolohov» disse. «Io… io l’ho visto torturare innumerevoli Babbani e… e non-sostenitori del Signore Oscuro».
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«E gli hai dato man forte» mormorò Moody.
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«Abbiamo già arrestato Dolohov» disse Crouch. «È stato catturato poco dopo di te».
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«Davvero?» disse Karkaroff, con gli occhi che gli si dilatavano. «Io… io sono lieto di saperlo!»
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Ma non lo sembrava affatto. Harry capì che la notizia era stata un grave colpo per lui. Uno dei suoi nomi non valeva nulla.
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«Altri nomi?» chiese Crouch con freddezza.
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«Be’, sì… c’era Rosier» disse Karkaroff in fretta. «Evan Rosier».
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«Rosier è morto» rispose Crouch. «Anche lui è stato acciuffato poco dopo di te. Ha preferito combattere invece di seguirci, ed è stato ucciso durante lo scontro».
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«Ma si è portato via un mio pezzo» sussurrò Moody. Harry si voltò di nuovo verso di lui e lo vide indicare a Silente il grosso pezzo mancante di naso.
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«Nessuno… nessuno se l’è meritato più di Rosier!» esclamò Karkaroff, una nota di autentico panico nella voce: cominciava a temere che nessuna delle sue informazioni sarebbe stata di alcuna utilità al Ministero. Gli occhi di Karkaroff saettarono verso la porta nell’angolo, dietro la quale certo incombevano ancora i Dissennatori, in attesa.
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«Altro?» disse Crouch.
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«Si!» esclamò Karkaroff. «C’era Travers… è stato complice dell’assassinio dei McKinnon! Mulciber… si era specializzato nella Maledizione Imperius, ha costretto tantissime persone a fare cose orribili! Rookwood, che era una spia, e passava a Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato informazioni utili dall’interno del Ministero!»
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Stavolta Karkaroff aveva fatto centro. Un mormorio corse tra la folla.
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«Rookwood?» chiese Crouch, facendo un cenno a una strega seduta davanti a lui che prese a scrivere in fretta su un rotolo di pergamena. «Augustus Rookwood del Dipartimento dei Misteri?»
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«Proprio lui» disse Karkaroff con impazienza. «Credo che usasse una rete di maghi in posizioni strategiche, sia dentro il Ministero che fuori, per raccogliere informazioni…»
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«Ma Travers e Mulciber li abbiamo già presi» disse Crouch. «Molto bene, Karkaroff, se questo è tutto, verrai ricondotto ad Azkaban mentre decidiamo…»
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«Non ancora!» urlò Karkaroff, disperato. «Aspettate, ne ho altri!»
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Harry lo vide sudare alla luce delle torce, la pelle candida che faceva un netto contrasto con la barba e i capelli neri.
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«Piton!» gridò. «Severus Piton!»
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«Piton è stato assolto da questo tribunale» disse Crouch in tono gelido. «Albus Silente si è fatto garante per lui».
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«No!» urlò Karkaroff, tendendo le catene che lo legavano alla sedia. «Ve lo assicuro! Severus Piton è un Mangiamorte!»
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Silente si alzò. «Ho già deposto a questo proposito» disse chiaramente. «Severus Piton è stato un Mangiamorte, è vero. Però è tornato dalla nostra parte prima della caduta di Voldemort e ha fatto la spia per noi, a suo rischio e pericolo. Ora non è un Mangiamorte più di quanto lo sia io».
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Harry guardò Malocchio Moody. La sua espressione alle spalle di Silente era di profondo scetticismo.
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«Molto bene. Karkaroff» concluse Crouch freddamente, «sei stato d’aiuto. Riesaminerò il tuo caso. Nel frattempo farai ritorno ad Azkaban…»
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La voce di Crouch si fece remota. Harry si guardò intorno; la segreta si stava dissolvendo come se fosse fatta di fumo; tutto sbiadiva, riusciva a distinguere solo il proprio corpo, tutto il resto era oscurità vorticante…
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E poi la segreta riapparve. Harry era seduto in un altro posto; sempre sulla panca più in alto, ma questa volta alla sinistra di Crouch. L’atmosfera sembrava diversa; rilassata, perfino allegra. I maghi e le streghe tutto attorno parlavano tra loro, quasi fossero a un incontro sportivo. Una strega a metà della fila di panche di fronte attrasse l’attenzione di Harry. Aveva corti capelli biondi, era vestita di cremisi e succhiava la punta di una penna verde acido. Era un’inconfondibile Rita Skeeter più giovane. Harry si guardò intorno; Silente era seduto di nuovo accanto a lui. con una veste diversa. Il signor Crouch sembrava più stanco e in certo modo più feroce, più emaciato… Harry capì. Era un altro ricordo, un altro giorno… un altro processo.
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La porta nell’angolo si aprì, ed entrò Ludo Bagman.
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Non era un Ludo Bagman sciupato, ma un Ludo Bagman giocatore di Quidditch, chiaramente al massimo della forma. Non aveva il naso rotto; era alto, atletico e muscoloso. Sembrava nervoso quando prese posto nella sedia incatenata, ma questa non lo legò come aveva legato Karkaroff, e Bagman, forse rincuorato, volse lo sguardo sulla folla che lo osservava, salutò con la mano un paio di conoscenti e tentò un sorrisetto.
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«Ludovic Bagman, sei stato condotto qui al cospetto del Tribunale della Legge Magica per rispondere di accuse connesse alle attività dei Mangiamorte» disse Crouch. «Abbiamo ascoltato le testimonianze contro di te, e stiamo per raggiungere un verdetto. Hai qualcosa da aggiungere alla tua deposizione prima che la sentenza venga emessa?»
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Harry non credeva alle sue orecchie. Ludo Bagman un Mangiamorte?
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«Solo…» disse Bagman con un sorriso imbarazzato, «be’… lo so che sono stato un bell’idiota…»
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Alcuni maghi e streghe nei posti circostanti sorrisero con indulgenza. Crouch non parve condividere i loro sentimenti. Fissava Ludo Bagman con un’espressione di massima severità e profondo disgusto.
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«Non hai mai detto niente di più vero, ragazzo» borbottò seccamente qualcuno a Silente dietro le spalle di Harry. Lui si voltò e vide di nuovo Moody. «Se non sapessi che è sempre stato un po’ tardo, avrei detto che quei Bolidi gli hanno provocato danni permanenti al cervello…»
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«Ludovic Bagman, sei stato sorpreso a trasmettere informazioni ai sostenitori di Voldemort» disse Crouch. «Per questo io chiedo la condanna ad Azkaban per un periodo non inferiore a…»
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Ma dalle panche circostanti si levò un clamore rabbioso. Parecchi maghi e streghe si alzarono scuotendo la testa e levando i pugni contro Crouch.
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«Ma ve l’ho detto, non ne sapevo nulla!» gridò Bagman in tono convinto sovrastando il brusio della folla, gli occhi azzurri sgranati. «Nulla di nulla! Il vecchio Rookwood era un amico di mio padre… non mi è mai passato per la mente che fosse un alleato di Voi-Sapete-Chi! Credevo di raccogliere informazioni per il nostro partito! E Rookwood continuava a ripetere che più in là mi avrebbe procurato un incarico al Ministero… quando la mia stagione del Quidditch sarà finita, sapete… voglio dire, non posso continuare a farmi bersagliare da Bolidi per il resto dei miei giorni, no?»
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Risatine dalla folla.
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«Verrà messo ai voti» disse gelido Crouch. Si voltò verso i ranghi sulla destra. «La giuria è pregata di alzare la mano… chi è a favore della detenzione…»
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Nessuno alzò la mano. Molti maghi e streghe cominciarono ad applaudire. Una delle streghe della giuria si alzò.
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«Sì?» abbaiò Crouch.
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«Vogliamo solo complimentarci con il signor Bagman per la sua magnifica prova a favore dell’Inghilterra nell’incontro di Quidditch contro la Turchia di sabato scorso» disse la strega, tutto d’un fiato.
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Crouch era furente. La segreta ora risuonava di applausi. Bagman si alzò e s’inchinò, con un gran sorriso.
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«Ignominioso» sbottò Crouch a Silente, e si mise a sedere mentre Bagman usciva dalla segreta. «Rookwood trovargli un lavoro, figuriamoci… il giorno in cui Ludo Bagman si unirà a noi sarà un giorno molto triste per il Ministero…»
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E la segreta scomparve di nuovo. Quando riapparve, Harry si guardò intorno. Lui e Silente erano ancora seduti accanto a Crouch, ma l’atmosfera non avrebbe potuto essere più diversa. C’era un silenzio assoluto, rotto solo dai singhiozzi senza lacrime di una fragile strega mingherlina al fianco di Crouch. Stringeva con mani tremanti un fazzoletto vicino alla bocca. Harry guardò Crouch e vide che era più magro e grigio che mai. Sulla tempia gli si contraeva un nervo.
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«Fateli entrare» disse, e la sua voce echeggiò nella segreta silenziosa. La porta nell’angolo si aprì ancora una volta. Questa volta entrarono sei Dissennatori, scortando un gruppo di quattro persone. Harry vide che molti tra il pubblico si voltavano a guardare Crouch. Alcuni si scambiarono sussurri.
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Le sedie incatenanti stavolta erano quattro. I Dissennatori vi spinsero i prigionieri: c’era un uomo grosso che fissò Crouch con occhi vacui, un uomo più magro e nervoso i cui occhi si spostavano rapidi tra il pubblico, una donna con una folta, scura chioma lucente e le palpebre semichiuse, seduta sulla sedia con le catene come una regina su un trono, e un ragazzo sui vent’anni, che sembrava nientemeno che pietrificato. Tremava, i capelli color paglia gli ricadevano sul viso, la pelle lentigginosa era di un bianco latteo. La piccola strega accanto a Crouch cominciò a dondolarsi avanti e indietro, singhiozzando dentro il fazzoletto.
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Crouch si alzò e guardò i quattro con un’espressione di odio allo stato puro.
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«Siete stati condotti di fronte al Tribunale della Legge Magica» disse con voce chiara, «perché siate giudicati per un crimine atroce…»
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«Padre» disse il ragazzo dai capelli color paglia. «Padre… ti prego…»
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«… del quale raramente abbiamo udito il pari in questa corte» Crouch alzò la voce, sovrastando quella del figlio. «Abbiamo ascoltato le testimonianze contro di voi. Siete accusati di aver catturato un Auror — Frank Paciock — e di averlo sottoposto a Maledizione Cruciatus, convinti che conoscesse l’attuale dimora del vostro signore in esilio, Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato…»
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«Padre, non è vero!» strillò il ragazzo in catene. «Non è vero, lo giuro, padre, non rimandarmi dai Dissennatori…»
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«Siete inoltre accusati» tuonò Crouch, «di aver usato la Maledizione Cruciatus contro la moglie di Frank Paciock, quando egli non vi ha dato le informazioni richieste. Avete progettato di restaurare il dominio di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, e di tornare alla vita di violenza che probabilmente avete condotto quando era potente. Io ora chiedo alla giuria…»
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«Madre!» urlò il ragazzo, e la piccola strega accanto a Crouch singhiozzò più forte, dondolandosi avanti e indietro. «Madre, fermalo, madre, non ho fatto niente, non sono stato io!»
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«Io ora chiedo alla giuria» gridò Crouch, «di alzare la mano se è convinta, come me, che questi crimini meritino una condanna a vita ad Azkaban!»
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Tutti insieme, maghi e streghe dell’ala destra della segreta alzarono la mano. La folla disposta lungo le pareti scoppiò in un applauso come aveva fatto per Bagman, i volti pervasi di selvaggio trionfo. Il ragazzo prese a urlare.
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«No! Madre, no! Non ho fatto niente, non ho fatto niente, non sapevo! Non lasciare che mi mandi laggiù, non lasciarglielo fare!»
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I Dissennatori rientrarono scivolando. I tre compagni del ragazzo si alzarono in silenzio; la donna dalle palpebre pesanti guardò Crouch e gridò: «Il Signore Oscuro risorgerà, Crouch! Gettaci pure ad Azkaban, noi aspetteremo! Risorgerà e verrà a cercarci, e ricompenserà noi più di ogni altro suo seguace! Solo noi siamo fedeli! Solo noi abbiamo cercato di trovarlo!»
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Ma il ragazzo cercò di respingere i Dissennatori, anche se Harry vide che già cedeva al loro freddo potere divorante. La folla lanciava grida di scherno, alcuni in piedi, mentre la donna veniva portata fuori dalla sala, e il ragazzo continuava a divincolarsi.
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«Sono tuo figlio!» urlò a Crouch. «Sono tuo figlio!»
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«Tu non sei affatto mio figlio!» tuonò Crouch, gli occhi all’improvviso fuori dalle orbite. «Io non ho figli!»
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La strega ossuta accanto a lui trattenne il fiato e si accasciò. Era svenuta. Crouch non parve accorgersene.
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«Portateli via!» ruggì ai Dissennatori, sputando saliva. «Portateli via, e che possano marcire laggiù!»
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«Padre! Padre, io non c’entro! No! No! Padre, ti prego!»
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«Harry, credo che sia ora di tornare nel mio ufficio» disse una voce tranquilla all’orecchio di Harry.
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Harry sobbalzò. Diede un’occhiata attorno. Poi di lato.
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Alla sua destra c’era un Albus Silente che guardava portar via dai Dissennatori il figlio di Crouch — e c’era un Albus Silente alla sua sinistra, che guardava lui.
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«Vieni» disse il Silente alla sua sinistra, e lo prese per il gomito. Harry si sentì sollevare a mezz’aria; la segreta si dissolse attorno a lui; per un attimo tutto fu scuro, e poi gli parve di aver fatto una capriola al rallentatore; d’improvviso atterrò in piedi, in quella che sembrava la luce accecante dell’ufficio di Silente inondato di sole. Il bacile di pietra scintillava nell’armadio accanto a lui, e Albus Silente era in piedi al suo fianco.
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«Professore» boccheggiò Harry. «Lo so che non avrei dovuto… non volevo… la porta dell’armadio era aperta e…»
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«Capisco» disse Silente. Prese il bacile, lo portò alla sua scrivania e si sedette. Fece cenno a Harry di sedersi di fronte a lui.
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Harry obbedì, fissando il bacile di pietra. Il suo contenuto era tornato allo stato originario, di un bianco argenteo, e vorticava e s’increspava sotto il suo sguardo.
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«Che cos’è?» chiese Harry con voce incrinata.
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«Questo? Si chiama Pensatoio» rispose Silente. «A volte, e sono certo che conosci questa sensazione, ho l’impressione di avere semplicemente troppi pensieri e troppi ricordi stipati nella mente».
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«Ehm…» rispose Harry, che in tutta sincerità non poteva dire di aver mai provato niente del genere.
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«Quando mi capita» proseguì Silente «uso il Pensatoio. Basta travasare i pensieri in eccesso dalla propria mente, versarli nel bacile e esaminarli a piacere. Diventa più facile riconoscere trame e collegamenti, sai, quando assumono questa forma».
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«Vorrebbe dire… che quelle cose sono i suoi pensieri?» chiese Harry, scrutando la sostanza bianca che vorticava nel bacile.
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«Certo» disse Silente. «Ora ti faccio vedere».
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Estrasse la bacchetta e infilò la punta tra i propri capelli d’argento, vicino alla tempia. Quando la tolse, parve che dei capelli vi restassero attaccati; ma Harry si accorse che si trattava di una striscia scintillante della stessa strana sostanza bianco-argentea che riempiva il Pensatoio. Silente aggiunse quel pensiero fresco agli altri, e Harry, esterrefatto, vide il proprio volto galleggiare nel bacile.
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Silente pose le lunghe mani sui lati del Pensatoio e lo fece ruotare, come un cercatore d’oro che setaccia la sabbia per scoprire frammenti del prezioso metallo… e Harry vide il proprio volto trasformarsi gradualmente in quello di Piton, che aprì la bocca e parlò al soffitto, mentre la sua voce echeggiava appena. «Sta tornando… anche quello di Karkaroff… più forte e nitido che mai…»
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«Un collegamento che avrei potuto fare anche da solo» sospirò Silente, «ma non importa». Sbirciò Harry al di sopra degli occhiali a mezzaluna; il ragazzo guardava a bocca aperta il viso di Piton, che continuava a roteare. «Stavo usando il Pensatoio quando Caramell è venuto all’appuntamento, e l’ho riposto in gran fretta. È indubbio che non ho chiuso bene lo sportello dell’armadio. Era naturale che attirasse la tua attenzione».
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«Mi dispiace» borbottò Harry.
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Silente scosse il capo.
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«La curiosità non è un peccato» disse. «Ma dovremmo andarci cauti, con la curiosità… sì, davvero…»
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Lievemente accigliato, con la punta della bacchetta diede un colpetto alla superficie vetrosa. Immediatamente ne emerse una sagoma, una ragazzina robusta e torva sui sedici anni, che prese a girare lentamente, i piedi ancora dentro la sostanza. Non fece alcun caso a Harry o al professor Silente. Quando parlò, la sua voce echeggiò come quella di Piton poco prima, come se provenisse dal profondo del bacile di pietra: «Mi ha scagliato un incantesimo, professor Silente, e io lo stavo solo prendendo in giro, avevo solo detto che l’avevo visto baciare Florence dietro le serre giovedì scorso…»
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«Ma perché, Bertha» disse Silente in tono triste, guardando la ragazza che ora girava senza parlare, «perché ti è venuto in mente di seguirlo?»
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«Bertha?» sussurrò Harry, senza distogliere gli occhi. «È… era Bertha Jorkins?»
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«Sì» rispose Silente, sfiorando i pensieri con la punta della bacchetta; Bertha vi si immerse di nuovo, e quelli tornarono argentei e opachi. «Quella era Bertha come la ricordo a scuola».
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La luce che emanava dal Pensatoio riverberò sul viso di Silente, e all’improvviso Harry fu colpito da quanto fosse vecchio. Sapeva, ovvio, che Silente era avanti con gli anni, ma per qualche ragione non pensava mai a lui come a un vecchio.
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«Allora, Harry» disse piano il Preside. «Prima di perderti tra i miei pensieri, volevi dirmi qualcosa».
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«Sì» rispose Harry. «Professore… poco fa ero a Divinazione, e… ehm… mi sono addormentato».
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A quel punto esitò, incerto se aspettarsi un rimprovero, ma Silente si limitò a dire: «Comprensibile, direi. Continua».
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«Be’, ho fatto un sogno» riprese Harry. «Ho sognato Voldemort. Stava torturando Codaliscia… lei sa chi è Codaliscia…»
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«Lo so» disse prontamente il Preside. «Ti prego, continua».
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«Voldemort ha ricevuto una lettera via gufo. Ha detto una cosa tipo “il guaio di Codaliscia è stato rimediato”. Ha detto che qualcuno era morto. Poi ha detto che Codaliscia non sarebbe finito in pasto al serpente — c’era un serpente vicino alla sua poltrona. Ha detto… ha detto che al suo posto gli avrebbe dato in pasto me. Poi ha scagliato la Maledizione Cruciatus su Codaliscia… e la cicatrice ha cominciato a bruciarmi» concluse Harry. «Faceva così male che mi ha svegliato».
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Silente si limitò a guardarlo.
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«Ehm… è tutto» disse Harry.
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«Capisco» disse Silente piano. «Capisco. Ora, la cicatrice ti ha fatto male ancora quest’anno, a parte quella volta che ti ha svegliato la scorsa estate?»
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«No, io… come fa a sapere che mi ha svegliato la scorsa estate?» chiese Harry, sbalordito.
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«Non sei l’unico corrispondente di Sirius» disse Silente. «Anch’io sono in contatto con lui da quando se n’è andato da Hogwarts l’anno scorso. Sono stato io a suggerirgli che la caverna sul fianco della montagna era il posto più sicuro dove nascondersi».
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Silente si alzò e prese a camminare su e giù dietro la scrivania. Ogni tanto si puntava la bacchetta alla tempia, prelevava un altro scintillante pensiero d’argento e lo aggiungeva al Pensatoio. I pensieri là dentro cominciarono a vorticare così in fretta che Harry non riuscì a distinguere nulla; era solo un turbine confuso di colore.
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«Professore» mormorò dopo un paio di minuti.
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Silente smise di andare avanti e indietro e lo guardò.
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«Le mie scuse» disse a voce bassa. Riprese posto alla scrivania.
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«Lei… lei sa perché la cicatrice mi fa male?»
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Silente guardò intensamente Harry per un istante, poi disse: «Ho una teoria, niente di più… È mia convinzione che la cicatrice ti faccia male sia quando Voldemort si trova vicino a te, sia quando prova un moto d’odio particolarmente violento».
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«Ma… perché?»
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«Perché tu e lui siete legati dalla maledizione fallita» spiegò Silente. «Quella non è una ferita normale».
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«Quindi lei crede… che quel sogno… sia successo davvero?»
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«È possibile» disse Silente. «Direi… probabile. Harry… hai visto Voldemort?»
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«No» rispose Harry. «Solo lo schienale della sua poltrona. Ma… non ci sarebbe stato niente da vedere, no? Voglio dire, non ha un corpo, vero? Ma… ma allora come faceva a tenere la bacchetta?» aggiunse lentamente.
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«Già. come?» mormorò Silente. «Come…»
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Per un po’ né Silente né Harry parlarono. Silente guardava fisso attraverso!a stanza; ogni tanto avvicinava la bacchetta alla tempia e aggiungeva un altro lucente pensiero argenteo alla massa fremente contenuta nel Pensatoio.
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«Professore» disse Harry alla fine, «crede che stia diventando più forte?»
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«Voldemort?» chiese Silente, guardando Harry al di sopra del Pensatoio. Era il tipico sguardo penetrante che Silente gli aveva rivolto in altre occasioni, e che faceva sempre provare a Harry la sensazione che il Preside vedesse attraverso di lui, in un modo impossibile perfino per l’occhio magico di Moody. «Ancora una volta, Harry, posso solo rivelarti i miei sospetti».
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Silente sospirò di nuovo, e parve più vecchio e stanco che mai.
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«Gli anni dell’ascesa al potere di Voldemort» disse. «furono segnati dalle sparizioni. Bertha Jorkins è scomparsa senza lasciar traccia nell’ultimo luogo in cui si è avuta notizia di Voldemort. Anche Crouch è scomparso… e proprio qui al castello. E c’è stata una terza sparizione, che il Ministero, mi rammarica dirlo, non considera di alcuna importanza, perché riguarda un Babbano. Si chiamava Frank Bryce, viveva nel villaggio in cui è cresciuto il padre di Voldemort, e non è più stato visto dallo scorso agosto. Vedi, io leggo i giornali Babbani, a differenza di gran parte dei miei amici al Ministero».
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Silente rivolse a Harry uno sguardo molto serio. «A me queste sparizioni sembrano collegate. Il Ministero non è d’accordo… come forse hai sentito mentre aspettavi fuori dal mio ufficio».
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Harry annuì. Tra i due cadde di nuovo il silenzio; ogni tanto Silente si sfilava dei pensieri. Harry sentiva che era ora di andarsene, ma la curiosità lo trattenne sulla sedia.
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«Professore» disse di nuovo.
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«Sì, Harry?»
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«Ehm… posso chiederle… di quel tribunale in cui sono stato… nel Pensatoio?»
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«Puoi» rispose Silente con gravità. «Vi ho preso parte molte volte, ma alcuni processi mi tornano in mente più nitidi di altri… soprattutto ora…»
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«Sa… sa il processo in cui mi ha trovato? Quello contro il figlio di Crouch? Be’… parlavano dei genitori di Neville?»
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Silente lanciò a Harry un’occhiata penetrante.
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«Neville non ti ha mai detto perché è cresciuto con sua nonna?» chiese.
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Harry scosse la testa, chiedendosi come mai non gli era mai venuto in mente di domandarlo a Neville, in quasi quattro anni che lo conosceva.
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«Sì, parlavano dei genitori di Neville» disse Silente. «Suo padre, Frank, era un Auror proprio come il professor Moody. Lui e sua moglie furono torturati per estorcere loro informazioni su dove si trovava Voldemort dopo aver perso i suoi poteri, come hai sentito».
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«Quindi sono morti?» chiese Harry molto piano.
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«No» rispose Silente, con un’amarezza che Harry non gli aveva mai sentito prima, «sono pazzi. Si trovano tutti e due all’Ospedale di San Mungo per Malattie e Ferite Magiche. Credo che Neville vada a trovarli, con la nonna, durante le vacanze. Loro non lo riconoscono».
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Harry rimase lì seduto, impietrito dall’orrore. Non aveva mai saputo… mai, in quattro anni, si era dato la pena di scoprire…
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«I Paciock erano molto famosi» riprese Silente. «Furono aggrediti dopo la caduta di Voldemort, quando ormai tutti credevano di essere al sicuro. Ciò che subirono provocò un’ondata di rabbia senza precedenti. Il Ministero fu sottoposto a forti pressioni per la cattura dei responsabili. Sfortunatamente, viste le loro condizioni, la testimonianza dei Paciock non era molto affidabile».
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«Ma allora può darsi che il figlio del signor Crouch non vi fosse coinvolto?» chiese Harry lentamente.
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Silente scosse la testa. «Quanto a questo, non ne ho idea».
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Harry rimase ancora una volta seduto in silenzio, gli occhi fissi al turbolento contenuto del Pensatoio. C’erano altre due domande che moriva dalla voglia di fare… ma riguardavano le colpe di persone viventi…
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«Ehm» disse, «il signor Bagman…»
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«… non è mai stato accusato di attività Oscure da allora» concluse tranquillo Silente.
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«Bene» disse Harry in fretta, tornando a scrutare il contenuto del Pensatoio, che vorticava più lentamente ora che Silente aveva smesso di riversarvi altri pensieri. «E… ehm…»
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Ma il Pensatoio parve formulare la domanda al suo posto. Il volto di Piton affiorò di nuovo. Silente gli gettò un’occhiata, poi alzò lo sguardo verso Harry.
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«E nemmeno il professor Piton» disse.
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Harry scrutò gli occhi azzurro chiaro di Silente, e la domanda cruciale gli sfuggì di bocca prima che riuscisse a fermarsi. «Che cosa le ha fatto credere che avesse davvero smesso di sostenere Voldemort, professore?»
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Silente sostenne lo sguardo di Harry per qualche secondo, e poi rispose: «Questa, Harry, è una faccenda tra il professor Piton e me».
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Harry seppe che la conversazione era finita. Silente non sembrava arrabbiato, ma una nota definitiva nel suo tono di voce suggerì a Harry che era ora di andare. Si alzò, e cosi fece Silente.
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«Harry» disse, mentre il ragazzo si avvicinava alla porta. «Ti prego di non raccontare a nessuno dei genitori di Neville. Ha il diritto di essere lui a parlarne, quando si sentirà pronto».
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«Si, professore» disse Harry, e si voltò per andarsene.
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«E…»
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Harry si voltò.
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Silente era in piedi davanti al Pensatoio, il viso illuminato dal basso dalle macchie di luce argentea, e sembrava più vecchio che mai. Fissò Harry per un attimo, e poi disse: «Buona fortuna per la terza prova».
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