La storia della fuga di Fred e George fu ripetuta così spesso nei giorni successivi che — Harry ne era sicuro — presto sarebbe diventata leggenda a Hogwarts: nel giro di una settimana, perfino coloro che avevano assistito alla scena erano quasi convinti di aver visto i gemelli scendere in picchiata sulla Umbridge con le loro scope e tempestarla di Caccabombe prima di sfrecciare fuori dal portone. Già molti parlavano di imitarli: Harry sentì diversi studenti fare battute del tipo «Certi giorni avrei proprio voglia di saltare sulla scopa e piantare questo posto», o «Un’altra lezione del genere e me la svigno come i Weasley».
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Fred e George avevano fatto in modo che nessuno potesse dimenticarli troppo presto. Per cominciare, non avevano lasciato istruzioni su come disfarsi della palude che al momento riempiva il corridoio al quinto piano dell’ala est. La Umbridge e Gazza furono visti tentare in tutti i modi, ma senza successo. Alla fine la zona fu recintata e Gazza, digrignando furiosamente i denti, doveva traghettare gli studenti verso le aule. Harry era sicuro che insegnanti come la McGranitt o Vitious sarebbero stati capaci di eliminarla in un baleno ma, come nel caso dei Fuochi Forsennati, sembrava che preferissero stare a guardare le inutili fatiche della Umbridge.
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Poi c’erano i due grossi squarci a forma di scopa nella porta dell’ufficio della Preside, aperti dalle Tornado di Fred e George nella fretta di raggiungere i loro padroni. Gazza sostituì la porta e trasportò la Firebolt di Harry nei sotterranei, dove girava voce che la Umbridge avesse messo di guardia una squadra di troll armati fino ai denti. Ma i suoi guai erano appena cominciati.
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Ispirati dall’esempio di Fred e George, parecchi studenti avevano deciso di entrare in lizza per la posizione da poco vacante di Combinadisastri-in-Capo. Nonostante la porta nuova, qualcuno riuscì a infilare nell’ufficio della Umbridge uno Snaso dal grugno peloso, che prima demolì la stanza alla ricerca di oggetti luccicanti e poi, quando lei entrò, le saltò addosso e tentò di strapparle a morsi gli anelli dalle dita tozze. Il lancio di Caccabombe e Pallottole Puzzole nei corridoi era così frequente che per assicurarsi una provvista d’aria fresca gli studenti presero l’abitudine di eseguire su se stessi un Incantesimo Testabolla prima di uscire dalle aule, anche se così sembrava che avessero infilato la testa dentro una boccia di pesci rossi.
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Gazza si aggirava per i corridoi brandendo una frusta, ansioso di usarla sui colpevoli, ma ce n’erano così tanti che non sapeva da chi cominciare. La Squadra d’Inquisizione tentava di aiutarlo, ma ai suoi componenti continuavano a capitare gli incidenti più strani. Warrington della squadra di Quidditch di Serpeverde fu ricoverato in infermeria con un’orribile malattia della pelle, che pareva ricoperta di fiocchi d’avena; e il giorno dopo, con grande gioia di Hermione, Pansy Parkinson saltò tutte le lezioni perché le era spuntato un imponente palco di corna.
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Nel frattempo divenne chiaro che, prima di lasciare Hogwarts, Fred e George erano riusciti a vendere una consistente provvista di Merendine Marinare. Appena la Umbridge entrava in classe gli studenti cominciavano a svenire, vomitare, avvampare di febbre, perdere sangue dal naso. Strillando di rabbia e di frustrazione, lei cercò di risalire alla causa dei sintomi misteriosi, ma gli allievi continuavano a ripetere ostinati di essere afflitti da “Umbridgite”. Alla fine, dopo aver messo in castigo quattro classi una dopo l’altra senza riuscire a scoprire il loro segreto, fu costretta a permettere agli studenti sanguinanti, vacillanti, febbricitanti o vomitanti di lasciare l’aula in blocco.
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Ma nemmeno i consumatori di Merendine Marinare potevano competere col signore del caos, Pix, che evidentemente aveva preso a cuore le parole di congedo di Fred. Ridacchiando come un folle, sfrecciava per la scuola rovesciando tavoli, sbucando a sorpresa dalle lavagne, capovolgendo statue e vasi; e per ben due volte chiuse Mrs Purr dentro un’armatura, dalla quale fu estratta ululante dal custode furioso. Pix frantumava lanterne e spegneva candele, faceva volteggiare torce fiammeggianti sulle teste degli studenti atterriti, scagliava ordinate pile di pergamene tra le fiamme o fuori dalla finestra; aprì tutti i rubinetti dei bagni, inondando il secondo piano; rovesciò un sacco pieno di tarantole in mezzo alla Sala Grande durante la colazione; e quando aveva voglia di rilassarsi, svolazzava per ore dietro alla Umbridge, facendole una pernacchia ogni volta che lei apriva bocca.
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Di tutto il personale, soltanto Gazza sembrava intenzionato ad aiutarla. Addirittura, una settimana dopo la fuga di Fred e George, Harry vide la professoressa McGranitt passare accanto a Pix che trafficava intorno a un lampadario di cristallo, e poteva giurare di averla sentita sussurrare al poltergeist: «Si svita dall’altra parte».
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Inoltre, Montague non si era ripreso dal suo soggiorno nel gabinetto: era ancora confuso e disorientato, e un martedì mattina si videro i suoi genitori salire per il viale, furibondi.
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«Credete che dovremmo dire qualcosa?» chiese Hermione preoccupata, premendo la guancia contro la finestra dell’aula di Incantesimi e guardando i signori Montague varcare il portone a passo di marcia. «Di quello che gli è successo, voglio dire? Magari può aiutare Madama Chips a curarlo».
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«Certo che no! Prima o poi guarirà» disse Ron indifferente.
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«E poi è un problema in più per la Umbridge, no?» aggiunse soddisfatto Harry.
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Lui e Ron toccarono con la punta della bacchetta le tazze da tè che avrebbero dovuto Trasfigurare. A quella di Harry spuntarono quattro corte zampette che non riuscirono a raggiungere il ripiano del tavolo e si agitarono impotenti a mezz’aria. Quella di Ron, invece, si sollevò per pochi secondi su quattro lunghe, vacillanti zampe sottili che di colpo cedettero e si afflosciarono, spaccandola in due.
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«Reparo» disse svelta Hermione, rimettendola insieme con un gesto della bacchetta. «D’accordo, ma se non guarisse?»
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«E chi se ne frega?» replicò irritato Ron mentre la sua tazza si rialzava barcollando, come ubriaca, con le ginocchia che tremavano forte. «Non avrebbe dovuto cercare di togliere punti a Grifondoro. Se vuoi preoccuparti per qualcuno, Hermione, preoccupati per me!»
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«Per te?» Hermione riacchiappò la propria tazza, che zampettava vispa sul tavolo su piccole zampe robuste a forma di foglia di salice. «E perché dovrei?»
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«Quando la lettera della mamma riuscirà a superare il controllo della Umbridge» disse amaro Ron, tenendo la sua tazza mentre le fragili zampe cercavano invano di reggerla, «sarò nei guai fino al collo. Non mi stupirebbe ricevere un’altra Strillettera».
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«Ma…»
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«Dirà che è colpa mia se Fred e George se ne sono andati. Dirà che avrei dovuto impedirglielo, aggrapparmi alle loro scope o qualcosa del genere… sì, sarà tutta colpa mia».
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«Ma sarebbe un’ingiustizia. Tu non potevi farci niente! Sono sicura che non lo dirà: se è vero che hanno aperto un negozio a Diagon Alley, devono aver progettato tutto da secoli».
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«Già, e c’è un’altra cosa: come si sono procurati i locali?» disse Ron, battendo la bacchetta sulla tazza con tanta energia che le si piegarono di nuovo le gambe e crollò agitandosi davanti a lui. «È un po’ strano, non trovi? Servono galeoni a palate per affittare un posto a Diagon Alley. E lei vorrà sapere come sono riusciti a mettere le mani su tanto oro».
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«Sì, me lo sono chiesta anch’io» disse Hermione, facendo correre la sua tazza in piccoli cerchi precisi intorno a quella di Harry, le cui zampette tozze ancora non riuscivano a toccare la scrivania. «Magari Mundungus li ha convinti a vendere merci rubate o fare altre cose orribili».
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«Mundungus non c’entra» intervenne brusco Harry.
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«Come fai a saperlo?» chiesero in coro Ron e Hermione.
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«Ecco…» Harry esitò, ma il momento della confessione era finalmente arrivato. Non aveva senso mantenere il segreto e lasciare che tutti sospettassero Fred e George di essere due criminali. «Gliel’ho dato io, l’oro. Quello che ho vinto al Torneo Tremaghi lo scorso giugno».
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Calò un silenzio sbigottito, poi la tazza di Hermione trotterellò oltre il bordo del tavolo e s’infranse sul pavimento.
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«Oh, Harry, non ci credo!» esclamò Hermione.
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«Invece sì» replicò Harry in tono ribelle. «E non sono affatto pentito. A me non serviva, e loro apriranno un negozio fantastico».
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«Ma è magnifico!» esultò Ron. «Quindi è tutta colpa tua, Harry… la mamma non potrà prendersela con me! Posso dirglielo?»
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«Sì, forse è meglio» borbottò Harry. «Almeno non penserà che fanno i ricettatori di calderoni rubati».
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Hermione non fiatò per il resto della lezione, ma Harry nutriva forti sospetti che il suo silenzio non sarebbe durato a lungo. Infatti nell’intervallo, quando uscirono dal castello nel debole sole di maggio, lei lo fissò con sguardo penetrante e aprì la bocca con aria determinata.
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Harry la anticipò senza lasciarle il tempo di dire una sola parola.
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«È inutile che mi rimproveri, ormai è cosa fatta. Fred e George hanno preso l’oro — e ne hanno anche già speso un bel po’ — e io non posso né voglio chiedere di restituirmelo. Quindi risparmia il fiato, Hermione».
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«Non volevo parlare di Fred e George!» protestò lei offesa.
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Ron sbuffò incredulo e si guadagnò un’occhiataccia.
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«Davvero!» insisté Hermione arrabbiata. «Volevo domandare a Harry quando pensa di tornare da Piton per chiedergli di riprendere le lezioni di Occlumanzia!»
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Harry si sentì sprofondare. Una volta esaurito il tema della teatrale partenza di Fred e George — e c’erano volute diverse ore — Ron e Hermione gli avevano chiesto notizie di Sirius. Harry non voleva parlare del vero motivo per cui lo aveva cercato e, non venendogli in mente altro, aveva finito per confessare, con onestà, che Sirius gli aveva raccomandato di riprendere le lezioni di Occlumanzia. Se n’era pentito all’istante: da allora Hermione aveva continuato a insistere, tornando sull’argomento quando lui meno se lo aspettava.
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«E non dirmi che hai smesso di fare sogni strani» disse, «perché Ron mi ha detto che ieri notte borbottavi di nuovo nel sonno».
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Harry scoccò un’occhiataccia a Ron, che ebbe il buon gusto di sentirsi un po’ in colpa.
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«Borbottavi solo un pochino» bofonchiò in tono di scusa. «Qualcosa tipo “più avanti”».
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«Sognavo di vederti giocare a Quidditch» mentì spudoratamente Harry. «E ti dicevo di sporgerti di più per prendere la Pluffa».
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Le orecchie di Ron diventarono scarlatte, e Harry provò una sorta di gioia vendicativa.
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La notte prima aveva percorso ancora una volta il corridoio dell’Ufficio Misteri. Aveva attraversato la stanza circolare, poi quella piena di ticchettii e luci danzanti, fino a trovarsi di nuovo dentro lo stanzone zeppo di scaffali ricolmi di polverose sfere di vetro.
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Aveva puntato deciso verso la fila numero novantasette e voltato a sinistra, accelerando il passo… probabilmente era stato allora che aveva parlato a voce alta… più avanti… perché aveva sentito che il suo io conscio si stava per svegliare… e prima di arrivare in fondo al corridoio si era ritrovato a letto, a fissare il baldacchino.
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«Ci provi, a bloccare la mente, vero?» insisté Hermione, con sguardo penetrante. «Continui a fare gli esercizi di Occlumanzia?»
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«Ma certo» rispose Harry, sforzandosi di sembrare offeso dalla domanda, ma evitando di guardarla negli occhi. Il fatto era che la curiosità di sapere che cosa si nascondeva nello stanzone pieno di sfere polverose gli faceva desiderare di proseguire i sogni.
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Ma a un mese dagli esami, con ogni momento libero dedicato al ripasso, aveva la mente così satura di informazioni che quando andava a letto faceva molta fatica a prendere sonno; e quando ci riusciva, quasi tutte le notti il suo cervello sovraccarico gli rifilava stupidi sogni sugli esami. In più, sospettava che quando percorreva il corridoio verso la porta nera, una parte della sua mente — quella che ogni tanto parlava con la voce di Hermione — si sentisse in colpa e cercasse perciò di svegliarlo prima della conclusione.
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«Sai» disse Ron, le orecchie ancora paonazze, «se Montague non si riprende prima della partita fra Serpeverde e Tassorosso, forse abbiamo una possibilità di vincere la Coppa».
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«Sì, è possibile» annuì Harry, lieto di cambiare argomento.
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«Insomma, ne abbiamo vinta una e persa un’altra… se sabato prossimo Serpeverde perde contro Tassorosso…»
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«Sì, hai ragione» disse Harry, senza nemmeno rendersi conto di quello che diceva. Cho Chang aveva appena attraversato il cortile, evitando con cura di guardarlo.
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* * *
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La partita conclusiva della stagione di Quidditch — Grifondoro contro Corvonero — si sarebbe svolta l’ultimo finesettimana di maggio. Serpeverde era stata sconfitta di misura da Tassorosso, ma Grifondoro non osava sperare in una vittoria, soprattutto per colpa (anche se naturalmente nessuno glielo diceva) delle disastrose prestazioni del suo Portiere. Ron sembrava tuttavia pervaso da un insolito ottimismo.
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«Insomma, non posso andare peggio di così, no?» disse torvo a Harry e a Hermione la mattina della partita, a colazione. «Non ho più niente da perdere, ecco».
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«Sai» disse un po’ più tardi Hermione a Harry mentre scendevano verso il campo insieme a una folla elettrizzata, «secondo me, Ron se la caverà meglio senza Fred e George fra i piedi. Non gli hanno mai dato molta fiducia».
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Luna Lovegood passò accanto a loro: sulla testa aveva qualcosa di simile a un’aquila viva.
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«Oh, cielo, ci mancava anche questa!» disse Hermione, guardando l’aquila agitare le ali; Luna superò imperturbabile un gruppo di Serpeverde che la additarono sghignazzando. «Gioca anche Cho, vero?»
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Harry, che non lo aveva dimenticato, rispose con un grugnito.
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Trovarono due posti nella penultima fila in alto delle tribune. Era una bella giornata limpida; Ron non avrebbe potuto desiderare di meglio, e Harry sperò contro ogni ragione che non desse motivo ai Serpeverde d’intonare altri Perché Weasley è il nostro re.
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Il commentatore era come al solito Lee Jordan, che però dalla partenza di Fred e George era decisamente giù di tono. Quando le squadre scesero in campo, annunciò il nome dei giocatori senza la consueta passione.
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«…Bradley… Davies… Chang…» Quando Cho passò, con i lucenti capelli neri mossi dalla brezza, lo stomaco di Harry fece un abbozzo di capriola, più una sorta di fiacco sussulto. Non sapeva più che cosa voleva, ma di sicuro non altri litigi. Perfino vederla chiacchierare con Roger Davies mentre si preparavano a inforcare le scope gli provocò solo una punta di gelosia.
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«Partiti!» disse Lee. «Davies s’impadronisce della Pluffa, il Capitano di Corvonero, Davies, ha la Pluffa, schiva Johnson, schiva Bell, schiva anche Spinnet… vola dritto in rete! Sta per tirare… e… e…» Lee imprecò sonoramente. «E segna».
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Harry e Hermione gemettero insieme agli altri Grifondoro. Prevedibilmente, orrendamente, sulla tribuna di fronte gli odiosi Serpeverde attaccarono in coro:
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Perché Weasley è il nostro re ogni due ne manca tre…
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«Harry» sussurrò una voce roca all’orecchio di Harry. «Hermione…»
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Harry si voltò e vide il faccione barbuto di Hagrid spuntare fra i sedili. A quanto pareva si era fatto spazio nella fila dietro di loro, perché i suoi occupanti — studenti del primo e del secondo anno — avevano un’aria vagamente scompigliata e appiattita. Per chissà quale motivo, Hagrid stava curvo come se volesse passare inosservato, ma anche così sovrastava chiunque altro di almeno un metro.
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«Sentite» bisbigliò, «ci venite con me? Ora subito? Intanto che tutti guardano la partita?»
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«Ehm… non si può aspettare?» chiese Harry. «Fino alla fine?»
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«No. No, dev’essere adesso… intanto che nessuno ci vede… per favore?»
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Hagrid perdeva sangue dal naso, e aveva tutti e due gli occhi pesti. Harry non lo vedeva così da vicino dal suo ritorno a scuola: era conciato proprio malissimo.
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«D’accordo» si affrettò a dire, «certo che veniamo».
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Lui e Hermione uscirono dalla fila, provocando parecchi mugugni. Quelli nella fila di Hagrid invece non si lamentarono: si fecero solo più piccoli possibile.
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«Grazie, davvero, vi ringrazio tantissimo, voi due» disse Hagrid quando raggiunsero le scale. Mentre scendevano, continuava a guardarsi attorno nervoso. «Spero solo che quella non si accorge che ce ne andiamo».
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«La Umbridge?» Harry scosse il capo. «Non se ne accorgerà. Si è portata dietro la Squadra d’Inquisizione al completo, non hai visto? Probabilmente si aspetta qualche guaio durante la partita».
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«Sì, be’, un po’ di confusione mica ci starebbe male». Hagrid si soffermò a sbirciare dietro le tribune per accertarsi che il prato fosse deserto. «Così ci abbiamo più tempo».
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«Che cosa succede, Hagrid?» chiese Hermione, fissandolo ansiosa mentre puntavano a passo rapido verso la foresta.
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«Lo vedete fra poco» rispose Hagrid. Voltò la testa sentendo un boato esplodere dalla tribuna dietro di loro. «Ehi… qualcuno ha segnato?»
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«Corvonero, probabilmente» disse cupo Harry.
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«Bene… bene…» borbottò distrattamente Hagrid. «Bene…»
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Furono costretti a correre per tenergli dietro attraverso il prato, voltandosi a ogni passo per guardarsi alle spalle. Arrivati all’altezza della capanna, Hermione puntò automaticamente verso la porta. Ma Hagrid proseguì, tuffandosi nell’ombra dei primi alberi, dove si fermò a recuperare un arco appoggiato a un tronco. Quando si rese conto che non lo avevano seguito, si voltò.
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«È qui dentro che andiamo» disse, con un cenno della testa arruffata.
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«Nella foresta?» chiese Hermione perplessa.
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«Sì. Presto, prima che qualcuno ci vede!»
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Harry e Hermione si scambiarono un’occhiata, e poi corsero per raggiungere Hagrid che si stava già inoltrando nella penombra, con l’arco a tracolla.
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«Hagrid, perché sei armato?» chiese Harry.
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«È solo per prudenza» rispose Hagrid, scrollando le spalle massicce.
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«Il giorno che ci hai mostrato i Thestral non hai portato l’arco» obiettò Hermione.
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«Allora mica ci siamo andati molto dentro. Ed era prima che Fiorenzo veniva via, no?»
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«E questo che cosa c’entra?» chiese Hermione.
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«C’entra che adesso i centauri ce l’hanno con me» rispose Hagrid, guardandosi attorno. «Non è che prima eravamo amici… però andavamo abbastanza d’accordo. Se ne stavano per conto loro, questo sì, ma erano sempre pronti a farsi quattro chiacchiere. Adesso no».
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Sospirò a fondo.
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«Fiorenzo ha detto che sono furiosi perché ha accettato di lavorare per Silente» disse Harry, così intento a fissare il profilo di Hagrid che inciampò in una radice.
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«Sicuro» rispose Hagrid. «Be’. Furiosi è poco. Lividi di rabbia. Se non ci capitavo io, scommetto che lo picchiavano a morte…»
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«L’hanno picchiato?» Hermione era sconvolta.
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«Altroché» borbottò Hagrid, facendosi strada fra i rami più bassi. «Aveva addosso mezzo branco».
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«E tu li hai fermati?» chiese Harry, impressionato. «Tutto da solo?»
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«Sicuro che li ho fermati, mica potevo star lì a guardare che lo ammazzavano! E meno male che passavo da quelle parti… Fiorenzo poteva anche ricordarselo, prima di mandarmi messaggi scemi!» aggiunse con inaspettata veemenza.
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Harry e Hermione si scambiarono un’occhiata stupita, ma Hagrid si accigliò e non aggiunse altro.
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«Comunque» riprese dopo un po’, col respiro più affannoso del solito, «adesso gli altri centauri sono arrabbiatissimi con me, e il guaio è che contano parecchio nella foresta… sono i tipi più svegli da queste parti».
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«È per questo che siamo venuti?» chiese Hermione. «Per i centauri?»
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«No, no». Hagrid scosse la testa. «Non per loro. Insomma, sicuro, magari loro complicano le cose, si… ma fra poco lo vedete da soli cos’è che è».
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Con questo commento incomprensibile si rimise in marcia: faceva un passo ogni tre dei loro e li costrinse a correre per tenergli dietro.
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Via via che si addentravano, il sentiero era sempre più coperto di erbacce e gli alberi erano così fitti da avvolgerli in un’oscurità simile al crepuscolo. In breve furono molto lontani dalla radura dove avevano incontrato i Thestral, ma Harry rimase tranquillo, finché Hagrid non abbandonò a sorpresa il sentiero e prese a zigzagare fra gli alberi, verso il cuore tenebroso della foresta.
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«Hagrid!» chiamò, facendosi strada in un groviglio di rovi che Hagrid aveva scavalcato senza problemi, e ricordando fin troppo bene che cos’era successo l’ultima volta che aveva abbandonato il sentiero. «Dove andiamo?»
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«Ci manca poco» rispose Hagrid, voltando la testa. «Sbrigati, Harry… dobbiamo stare vicini, adesso».
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Era molto faticoso perché i rami e i cespugli spinosi, che Hagrid attraversava come se fossero ragnatele, si avvinghiavano ai vestiti di Harry e Hermione, al punto che ogni volta ci volevano minuti per districarsi. In breve Harry ebbe braccia e gambe coperte di graffi e tagli. Ormai la foresta era così buia che di Hagrid vedeva solo una massiccia sagoma scura davanti a sé. In quel silenzio soffocato ogni suono sembrava minaccioso. Lo schiocco di un ramo spezzato diventava un’esplosione e il più piccolo fruscio, anche se a provocarlo era un passerotto innocente, spingeva Harry a scrutare ansioso le ombre. Gli venne in mente che non si era mai spinto così all’interno della foresta senza incontrare qualche creatura, e di colpo la loro assenza gli parve estremamente sospetta.
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«Hagrid, va bene se accendiamo le bacchette?» sussurrò Hermione.
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«Sì, certo» sussurrò di rimando Hagrid. «Anzi…»
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Si fermò all’improvviso e si voltò; Hermione andò a sbattergli contro, e sarebbe finita a terra se Harry non l’avesse sorretta.
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«Forse è meglio che adesso vi spiego che roba è» disse Hagrid. «Prima che arriviamo, ecco».
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«Bene!» disse Hermione. Poi lei e Harry mormorarono «Lumos!» e la punta delle bacchette s’illuminò. Alla luce dei due raggi fiochi, il faccione di Hagrid parve galleggiare nella penombra, e ancora una volta Harry notò quanto fosse nervoso e triste.
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«Bene» disse. «Be’… vedete… il fatto è…»
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Trasse un gran respiro.
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«Allora… lo sapete che è probabile che mi licenziano da un giorno all’altro» esordì.
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Harry e Hermione si scambiarono un’occhiata e tornarono a guardarlo.
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«Ma hai resistito finora…» disse incerta Hermione. «Che cosa ti fa credere…»
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«La Umbridge pensa che ce l’ho messo io, quello Snaso nel suo ufficio».
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«Sei stato tu?» chiese Harry senza riuscire a trattenersi.
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«Proprio no, maledizione!» s’indignò Hagrid. «Ma siccome che era una Creatura Magica, lei pensa che c’entro io. E poi è da quando sono tornato che cerca una scusa per farmi fuori. Non che me ne voglio andare, no, ma se non era per… be’… un motivo speciale, quello che adesso vi spiego, piantavo tutto adesso, senza darci il modo di cacciarmi davanti a tutta la scuola come con la Cooman».
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Zittì le loro proteste con un cenno della grossa mano.
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«Non è la fine del mondo, sapete. Una volta che sono fuori di qui, posso aiutare Silente, essere utile all’Ordine. E poi voialtri avete la Caporal, avete… nessun problema per gli esami…»
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Gli si spezzò la voce.
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«Non vi preoccupate per me» disse in fretta quando Hermione fece per accarezzargli un braccio. Sfilò il suo enorme fazzoletto a pallini dalla tasca del panciotto e si asciugò gli occhi. «Sentite, non ve ne parlavo se proprio non c’ero costretto. Vedete, se me ne vado… insomma, non posso andarmene senza… senza dirlo a qualcuno… perché… ho bisogno che mi aiutate, voi due. E anche Ron, se vuole».
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«Certo che ti aiuteremo» rispose subito Harry. «Cosa vuoi che facciamo?»
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Hagrid tirò rumorosamente su col naso e senza parlare gli assestò una pacca così energica da scaraventarlo contro un albero.
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«Lo sapevo che dicevate di sì» borbottò nel fazzoletto, «ma… non… lo dimenticherò… mai… ecco… venite… ancora un po’ da questa parte… attenti alle ortiche…»
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Proseguirono in silenzio per un altro quarto d’ora, e Harry stava per chiedere quanto mancava ancora, quando Hagrid alzò il braccio destro e si fermò.
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«Calma» bisbigliò. «Fate piano, ora…»
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Si fecero avanti cauti. Harry scorse di fronte a loro un gran cumulo di terra liscia alto quasi quanto Hagrid, e trattenne il fiato al pensiero che fosse la tana di qualche bestia enorme. Gli alberi tutt’attorno erano stati sradicati e il cumulo spiccava al centro di uno spiazzo spoglio, circondato da mucchi di tronchi e di rami che formavano una specie di barricata dietro la quale si trovavano loro tre.
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«Dorme» sussurrò Hagrid.
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In effetti Harry sentì un rombo ritmico, lontano, che faceva pensare al lavorio di due polmoni giganteschi. Harry lanciò un’occhiata di sbieco a Hermione e la vide guardare a bocca aperta il cumulo. Era atterrita.
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«Hagrid…» chiese in un sussurro appena udibile al di sopra del ronfare della creatura. «Chi è?»
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A Harry parve una domanda strana… Cos’è? aveva pensato di chiedere lui.
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«Hagrid, ci avevi detto…» riprese Hermione, con la bacchetta che le tremava in mano, «ci avevi detto che nessuno di loro era voluto venire!»
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Harry spostò lo sguardo da lei a Hagrid e poi, afferrando di colpo la situazione, tornò a fissare inorridito il cumulo.
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Perché quel cumulo di terra, su cui si sarebbero potuti sedere comodamente lui, Hermione e Hagrid, si sollevava e si abbassava piano al ritmo di quel profondo e roco respiro. Non era affatto un cumulo. Ma la schiena di quello che era senza alcun dubbio…
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«Be’… ecco… veramente non è che lui voleva venire» disse Hagrid disperato. «Ma dovevo portarlo qui, Hermione. Dovevo!»
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«Ma perché?» chiese lei. Sembrava sul punto di scoppiare in lacrime. «Perché… oh, Hagrid!»
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«Perché sapevo che se lo portavo qui» rispose Hagrid, e anche lui era lì lì per mettersi a piangere, «e gli insegnavo le buone maniere… poi potevo far vedere a tutti che non fa niente!»
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«Non fa niente!» strillò Hermione. Hagrid le fece freneticamente cenno di abbassare la voce, mentre la gigantesca creatura davanti a loro grugniva e si rigirava nel sonno. «È lui che continua a picchiarti, vero? Ecco perché sei sempre coperto di lividi e di ferite!»
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«È che non conosce la sua forza, ecco!» protestò Hagrid. «E poi adesso va meglio, si agita molto meno…»
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«Allora è per questo che ci hai messo due mesi a tornare» disse Hermione, sempre più agitata. «Ma Hagrid, perché te lo sei portato dietro, se lui non voleva? Non sarebbe stato più felice con quelli come lui?»
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«Lo trattavano male, Hermione, perché è piccolo!»
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«Piccolo?» ripeté Hermione. «Piccolo?»
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«Hermione, non potevo abbandonarlo». Ormai le lacrime scorrevano sulla faccia sfregiata e sulla barba di Hagrid. «Lui… è mio fratello, capisci!»
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Hermione lo fissò a bocca aperta.
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«Quando dici “fratello”» chiese Harry lentamente, «intendi dire…?»
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«Insomma… fratellastro» si corresse Hagrid. «Il fatto è che dopo aver lasciato il mio papà la mamma si è messa con un altro gigante e ha avuto Grop…»
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«Grop?» ripeté Harry.
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«Sì… insomma, quando dice il suo nome suona proprio così» continuò Hagrid ansioso. «Non sa parlare tanto bene, capite… ci sto provando a insegnarci… però, ecco, non è che ci piaceva più di quanto ci piacevo io. Per le gigantesse è importante avere dei bei cuccioli robusti, e lui è sempre stato gracilino… neanche cinque metri…»
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«Oh, sì, microscopico!» squittì Hermione con una sorta di sarcasmo isterico. «Proprio minuscolo!»
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«Lo prendevano tutti a calci… non potevo lasciarlo…»
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«E Madame Maxime era d’accordo?» indagò Harry.
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«Lei… ha capito che per me era importante». Hagrid si torse le grosse mani. «Ma… be’, dopo un po’ si è stancata di avercelo intorno… e nel viaggio di ritorno ci siamo separati… però mi ha promesso di non dirlo a nessuno…»
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«Come hai fatto a portarlo qui senza farti vedere?» chiese Harry.
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«È per questo che ci ho messo tanto, capisci. Potevo viaggiare solo di notte, e dove non c’era gente. Quando vuole cammina svelto, ma lui cercava di tornare indietro».
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«Ma Hagrid, perché non lo hai lasciato?» disse Hermione, afflosciandosi su un albero sradicato e nascondendo il volto tra le mani. «Che cosa credi di fare con un gigante violento che non vuole nemmeno stare qui?»
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«Su, su… violento… non esageriamo» disse Hagrid, sempre torcendosi le mani. «Sì, ogni tanto mi dà uno schiaffone, quando ci gira storta, ma adesso va meglio, molto meglio, comincia ad ambientarsi…»
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«E quelle funi a che cosa servono, allora?» chiese Harry.
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Aveva appena notato le funi spesse come alberelli che andavano dai tronchi più grossi ancora in piedi fino al punto dove Grop stava raggomitolato per terra.
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«Devi tenerlo legato?» disse Hermione con una vocina.
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«Sì… ecco…» Hagrid era teso. «Come dicevo… non è che conosce la sua forza».
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Harry ora si spiegava l’assenza sospetta di creature viventi in quella parte della foresta.
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«E noi che cosa dovremmo fare?» chiese ansiosa Hermione.
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«Prendervi cura di lui» rispose roco Hagrid. «Dopo che io sono andato via».
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Harry e Hermione si scambiarono un’occhiata infelice. Harry ricordò angosciato di aver già promesso a Hagrid che l’avrebbero aiutato.
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«Questo prendersi cura…» s’informò Hermione «…in che cosa consiste, esattamente?»
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«Mica dovete portargli da mangiare!» si affrettò a rassicurarla Hagrid. «Per quello fa da solo, nessun problema. Uccelli e cervi e altro… no, no… È di compagnia che ha bisogno. Di qualcuno che continua ad aiutarlo un po’… che ci insegna l’inglese, no?»
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Harry non disse nulla, ma si voltò a guardare la sagoma gigantesca distesa a terra davanti a loro. A differenza di Hagrid, che sembrava solo un essere umano un po’ troppo grosso, il suo fratellastro era stranamente deforme. Quella che Harry aveva preso per un masso coperto di muschio sulla sinistra era in realtà la testa di Grop: molto grande rispetto al corpo, quasi perfettamente rotonda e piena di fitti capelli ricci color felce. Sulla cima era visibile il contorno di un grosso orecchio carnoso che sembrava spuntare, un po’ come le orecchie di zio Vernon, direttamente dalla spalla, con poco o niente collo nel mezzo. La schiena, coperta da una sorta di sudicia camicia marrone fatta di pelli d’animali cucite alla meglio, era molto vasta; i rozzi punti che tenevano insieme le pelli si tendevano a ogni respiro. Grop dormiva su un fianco, le gambe raggomitolate sotto il corpo, mostrando le piante di enormi, sporchi piedi nudi, grossi come slittini, poggiati l’uno sull’altro.
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«Vuoi che gli insegniamo l’inglese» disse Harry con voce spenta. Ora capiva il messaggio di Fiorenzo. Il suo tentativo non porta a nulla. Farebbe meglio a lasciar perdere. Naturalmente gli abitanti della foresta sapevano dei vani sforzi di Hagrid di insegnare a Grop l’inglese.
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«Sì, ecco… magari basta parlarci un po’» proseguì speranzoso Hagrid. «Secondo me, se riesce a parlare con la gente, capisce che siamo tutti come lui, e magari decide di restare».
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Harry scoccò un’occhiata a Hermione, che ricambiò lo sguardo fra le dita che le nascondevano il viso.
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«Fa quasi rimpiangere Norberto, vero?» le disse, facendola scoppiare in una risata tremula.
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«Allora lo fate, sì?» chiese Hagrid, che non sembrava aver colto quello che aveva appena detto Harry.
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«Ci… ci proveremo, Hagrid» rispose Harry, già legato dalla promessa.
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«Lo sapevo che potevo contare su te, Harry». Hagrid gli sorrise fra le lacrime e si asciugò di nuovo le guance col fazzoletto. «Non voglio metterti troppo in mezzo… lo so che hai gli esami… ma se magari puoi venire qui col Mantello dell’Invisibilità una volta alla settimana e fare una chiacchierata con Grop… Be’, adesso lo sveglio… così vi presento…»
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«Che… no!» strillò Hermione, alzandosi di scatto. «No, Hagrid, non farlo, davvero, non c’è bisogno…»
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Ma Hagrid aveva già scavalcato il tronco che sbarrava loro la strada e avanzava verso Grop. A tre metri di distanza, prese da terra un lungo ramo spezzato, voltò la testa per lanciare un sorriso rassicurante a Harry e Hermione, e colpì con forza Grop in mezzo alla schiena.
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Il ruggito del gigante echeggiò nella foresta silenziosa. Gli uccelli appollaiati sugli alberi volarono via strepitando, mentre una mano enorme si abbatteva sul terreno, facendolo tremare, e l’immenso Grop si tirava su voltando il testone per vedere chi o che cosa lo aveva disturbato.
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«Tutto bene, Gropy?» chiese Hagrid in tono forzatamente allegro, indietreggiando col ramo levato, pronto a usarlo di nuovo. «Ti sei fatto una bella nanna, eh?»
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Hermione e Harry arretrarono il più possibile, senza perdere d’occhio il gigante. Quando Grop si inginocchiò fra due alberi non ancora sradicati, la sua faccia galleggiò sulla radura e su di loro come un’enorme, grigiastra luna piena. Sembrava che i suoi lineamenti fossero stati rozzamente sbozzati in una grossa palla di pietra. Il naso era schiacciato e informe; la bocca obliqua, piena di denti storti e gialli, grandi come mattoni; gli occhi, piccoli per quel testone, erano di un fangoso verdebruno e ancora cisposi di sonno. Grop sollevò le nocche sudicie, ognuna grossa quanto una palla da tennis, si strofinò vigorosamente le palpebre e di scatto, con velocità e agilità sorprendenti, si alzò.
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«Oh, cielo!» squittì Hermione atterrita accanto a Harry.
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Gli alberi ai quali erano legate le funi strette attorno alle braccia e alle gambe del gigante scricchiolarono pericolosamente. Come aveva detto Hagrid, era alto un po’ meno di cinque metri. Dopo essersi guardato attorno con occhi offuscati, tese una mano grossa quanto un ombrellone per strappare un nido dai rami più alti di un pino e lo capovolse, con quello che parve un ruggito di disappunto per l’assenza degli uccelli; Hagrid si protesse con le braccia dal bombardamento di uova.
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«Insomma, Grop!» protestò, alzando preoccupato lo sguardo e pronto a scansare altre uova in caduta libera. «Ho qui un paio di amici che ti vogliono conoscere. Ti ricordi che ti ho parlato di loro? Te lo ricordi quando ti ho detto che forse andavo via per un po’ e venivano loro a prendersi cura di te? Ti ricordi, Grop?»
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Per tutta risposta, Grop lanciò un altro ruggito; era difficile dire se aveva ascoltato Hagrid, o se almeno capiva che quei suoni erano parole. Agguantò la cima del pino, la tirò a sé e la lasciò andare di scatto, probabilmente per il semplice gusto di vedere quanto sarebbe andata lontano.
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«No, Grop, da bravo, lascia stare!» urlò Hagrid. «È così che hai tirato fuori gli altri…»
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In effetti, Harry vide che la terra attorno alle radici dell’albero cominciava a spaccarsi.
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«Ti ho portato compagnia!» gridò Hagrid. «Amici! Guarda giù, buffone che non sei altro, ti ho portato degli amici!»
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«Oh no, Hagrid» gemette Hermione, ma Hagrid aveva già colpito un ginocchio di Grop col ramo.
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Il gigante lasciò andare il pino, che ondeggiò in modo allarmante, provocando una pioggia di aghi, e abbassò lo sguardo.
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«Questo» disse Hagrid, affrettandosi a raggiungere Harry e Hermione, «è Harry, Grop! Harry Potter! Se io vado via, può darsi che ti viene a trovare lui, capito?»
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Solo in quel momento il gigante parve rendersi conto della presenza di Harry e Hermione. Trepidanti, lo videro abbassare il testone per scrutarli con gli occhi cisposi.
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«E questa è Hermione, capito? Her…» Hagrid esitò. «Ti dispiace se ti chiama Hermy?» chiese, voltandosi verso Hermione. «Per lui, il tuo è un nome difficile da ricordare».
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«Ma no, figurati» squittì Hermione.
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«Questa è Hermy, Grop! Vedrai che viene a trovarti anche lei! Sei contento? Eh? Due amici per te… GROP, NO!»
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La mano di Grop era scattata verso Hermione. Più rapido di lui, Harry la afferrò e la trascinò dietro l’albero, così che il pugno del gigante graffiò il tronco ma si chiuse sul vuoto.
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«CATTIVO GROP!» sentirono gridare Hagrid, mentre al sicuro dietro il tronco Hermione si aggrappava a Harry tremando e gemendo. «CATTIVO! NON SI ACCHIAP… AHIA!»
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Allungando il collo, Harry vide Hagrid disteso a terra con una mano sul naso. Grop, che sembrava aver perso ogni interesse per loro, si era raddrizzato e aveva ricominciato a giocherellare col pino.
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«Va bene…» biascicò Hagrid, alzandosi con una mano ancora sul naso sanguinante e l’altra stretta intorno all’arco. «Bene… ecco fatto… l’avete conosciuto e… e così lui vi conosce quando tornate. Sì… bene…»
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Alzò lo sguardo su Grop, che continuava a tirare indietro il pino con un’espressione di distaccato piacere sulla faccia rocciosa; le radici scricchiolarono mentre le strappava dal suolo.
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«Bene» disse Hagrid. «Per il primo giorno basta così… Adesso noi andiamo via, sì?»
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Harry e Hermione annuirono in silenzio. Hagrid si rimise l’arco in spalla e, con la mano sempre sul naso, li precedette fra gli alberi.
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Per un po’ nessuno parlò, nemmeno quando un boato lontano segnalò che Grop aveva finalmente sradicato il pino. Hermione era pallida e tesa. Harry non riusciva a trovare una sola cosa da dire. Che cosa sarebbe successo se qualcuno avesse scoperto il segreto di Hagrid? Per giunta, lui si era impegnato — anche per Ron e Hermione — a proseguire i vani sforzi per civilizzare il gigante. Come poteva Hagrid, sia pure con la sua smisurata capacità di scambiare i più orridi mostri zannuti per adorabili animaletti innocui, illudersi al punto da credere che un giorno Grop sarebbe riuscito a mescolarsi con gli esseri umani?
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«Fermi» ordinò brusco Hagrid, proprio mentre Harry e Hermione erano alle prese con un fitto cespuglio di centinodia. Estrasse una freccia dalla faretra e la incoccò. Alle sue spalle, Harry e Hermione levarono le bacchette; adesso che si erano fermati, anche loro sentivano movimenti nelle vicinanze.
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«Oh, accidenti» mormorò Hagrid.
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«Ti avevamo avvertito, Hagrid» disse una profonda voce maschile. «Non sei più il benvenuto, qui».
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Il torso nudo di un uomo parve per un attimo fluttuare verso di loro attraverso la screziata penombra verde, ma dopo un momento videro che all’altezza della vita si univa fluido al corpo di un cavallo baio. Il centauro aveva un volto fiero, zigomi alti e lunghi capelli neri. Come Hagrid, era armato: una faretra piena di frecce e un lungo arco in spalla.
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«Come va, Magorian?» chiese cauto Hagrid.
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Gli alberi dietro Magorian frusciarono, e ne emersero altri quattro o cinque centauri. Harry riconobbe il bruno, barbuto Cassandro: lo aveva incontrato quasi quattro anni prima, la stessa notte che aveva conosciuto Fiorenzo, però il centauro non diede cenno d’averlo mai visto.
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«Ma guarda» disse Cassandro con un’inflessione maligna nella voce, voltandosi verso Magorian. «Mi pare che fossimo d’accordo sul da farsi se questo umano avesse mai rimesso piede nella foresta».
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«Adesso sono “questo umano”?» ribatté stizzito Hagrid. «Solo perché non vi ho lasciato ammazzare uno dei vostri?»
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«Non dovevi immischiarti, Hagrid» replicò Magorian. «Le nostre usanze e le nostre leggi non sono le vostre. Fiorenzo ci ha tradito e disonorato».
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«Non so proprio che cosa avete nella zucca» sbottò Hagrid. «Solo perché aiuta Albus Silente…»
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«Fiorenzo ha accettato di essere il servo degli umani» intervenne un centauro grigio dalla dura faccia rugosa.
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«Servo!» esclamò aspro Hagrid. «Solo perché fa un piacere a Silente…»
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«Svelando agli umani i nostri segreti e le nostre conoscenze» ribatté pacato Magorian. «Niente può compensare una tale sciagura».
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«Se lo dite voi». Hagrid scrollò le spalle. «Ma secondo me fate un grosso errore…»
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«Come te, umano» disse Cassandro, «che torni nella nostra foresta dopo che ti avevamo avvertito…»
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«Adesso stammi un po’ a sentire» rispose Hagrid arrabbiato. «Piantiamola con questa storia della “nostra” foresta. Non sta a voi decidere chi entra e chi esce…»
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«Neanche a te, Hagrid» replicò Magorian. «Oggi ti ho lasciato passare perché sei accompagnato dai tuoi puledri…»
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«Non sono suoi!» lo interruppe sprezzante Cassandro. «Sono studenti di quella scuola, Magorian! Probabilmente hanno già approfittato degli insegnamenti del traditore Fiorenzo».
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«In ogni caso» riprese pacato Magorian, «uccidere puledri è un crimine orribile, e noi non tocchiamo gli innocenti. Oggi, Hagrid, potrai passare. Ma d’ora in poi tieniti lontano da qui. Aiutando il traditore Fiorenzo, hai perso l’amicizia dei centauri».
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«Non permetto a un branco di vecchi muli di tenermi fuori dalla foresta!» gridò Hagrid.
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«Hagrid…» intervenne Hermione atterrita, guardando Cassandro e il centauro grigio che raspavano il terreno con gli zoccoli, «andiamo via, per favore, andiamo!»
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Hagrid mosse qualche passo, ma con l’arco ancora levato e gli occhi minacciosi fissi su Magorian.
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«Sappiamo che cosa nascondi nella foresta, Hagrid!» gli gridò Magorian, mentre i centauri sparivano tra gli alberi. «E la nostra sopportazione è agli sgoccioli!»
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Hagrid si voltò e fece per marciare dritto su di lui.
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«Voi lo sopportate finché resta qui! La foresta è sua quanto vostra!» urlò, con Harry e Hermione che lo tiravano con tutte le forze per il panciotto. Ancora accigliato, Hagrid abbassò lo sguardo e li fissò con espressione di blanda sorpresa, come se soltanto allora si fosse accorto di loro.
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«Calmatevi, voi due» disse. Si mise in marcia e loro gli corsero dietro ansanti. «Vecchi muli maleducati!»
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«Hagrid…» balbettò Hermione senza fiato, aggirando un cespuglio di ortiche che avevano già incontrato all’andata, «se i centauri non vogliono umani nella foresta, come facciamo a…»
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«Hai sentito cos’hanno detto» replicò Hagrid tranquillo. «Mica attaccano i puledri… insomma, i ragazzi. E poi, mica possiamo darcela vinta così».
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«Be’, ci hai provato» sussurrò Harry a Hermione, che sembrava proprio depressa.
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Finalmente tornarono sul sentiero; dopo una decina di minuti gli alberi cominciarono a diradarsi, ricomparvero sprazzi di limpido cielo azzurro, e in lontananza sentirono echeggiare applausi e urla.
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«Hanno segnato un’altra volta?» chiese Hagrid, soffermandosi all’ombra degli alberi quando furono in vista del campo di Quidditch. «O è finita la partita?»
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«Non saprei» rispose avvilita Hermione. Harry notò che aveva un aspetto tremendo: i capelli pieni di foglie e ramoscelli, la veste stracciata, faccia e braccia graffiate. Sapeva di non essere in condizioni migliori.
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«Scommetto che è finita!» esclamò Hagrid, lo sguardo ancora fisso sul campo. «Sì… stanno venendo via… se vi sbrigate, potete mischiarvi alla folla, così nessuno sospetta che non c’eravate!»
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«Buona idea» disse Harry. «Be’… ci vediamo, Hagrid».
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«Non posso crederci» mormorò Hermione con voce molto incerta quando furono a distanza di sicurezza. «Non posso crederci. Non posso proprio crederci».
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«Calmati» disse Harry.
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«Calmarmi! Un gigante! Un gigante nella foresta! E noi dobbiamo dargli lezioni d’inglese! Sempre che riusciamo a evitare quel branco di centauri assassini, naturalmente. Non… posso… crederci!»
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«Per adesso non dobbiamo fare niente» le ricordò Harry mentre si univano alla rumorosa fiumana dei Tassorosso diretti verso il castello. «Almeno finché non buttano fuori Hagrid. E potrebbe non succedere mai».
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«Figuriamoci!» sbottò Hermione, fermandosi così di colpo che gli studenti dietro di lei dovettero scartare per non finirle contro. «Certo che sarà cacciato e, per essere onesta, dopo quello che abbiamo appena visto, chi potrebbe biasimare la Umbridge?»
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Ci fu una pausa di silenzio. Harry la guardò furibondo e gli occhi di Hermione si riempirono lentamente di lacrime.
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«Non lo pensi davvero» disse piano Harry.
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«No… be’… d’accordo… non lo penso» ammise Hermione, asciugandosi gli occhi con rabbia. «Ma perché deve rendere la vita così difficile a se stesso… e a noi?»
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«Non lo so…»
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Perché Weasley è il nostro re ogni due ne para tre! Così noi cantiam perché perché Weasley è il nostro re…
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«Perché non la piantano con quella stupida canzoncina?» si lamentò Hermione. «Non ne hanno ancora abbastanza?»
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Una marea di studenti risaliva il pendio erboso, allontanandosi dal campo di Quidditch.
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«Dài, rientriamo prima di incrociare i Serpeverde» disse Hermione.
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Weasley è il nostro salvatore, col suo gioco pien d’ardore, Grifondor canta con me: perché Weasley è il nostro re.
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«Hermione…» balbettò Harry.
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Il canto crebbe di volume… però non veniva dalla folla verde e argento dei Serpeverde, ma da quella rossa e oro che avanzava verso il castello portando in trionfo una figura solitaria.
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Perché Weasley è il nostro re ogni due ne para tre! Così noi cantiam perché perché Weasley è il nostro re…
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«Nooo!» sussurrò Hermione.
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«Sì!» esclamò Harry.
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«HARRY! HERMIONE!» strillò Ron, agitando in aria entusiasta la coppa d’argento del torneo di Quidditch. «CE L’ABBIAMO FATTA! ABBIAMO VINTO!»
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Mentre passava, Harry e Hermione gli rivolsero un sorriso raggiante. La mischia si accalcò al portone del castello e Ron finì per sbattere la testa contro l’architrave, ma nessuno voleva metterlo giù. Sempre cantando, la folla s’infilò nella Sala d’Ingresso e scomparve. Harry e Hermione rimasero dov’erano, sorridenti, finché anche l’ultima eco di Perché Weasley è il nostro re si spense. Soltanto allora si voltarono l’uno verso l’altra e il loro sorriso svanì.
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«Glielo diciamo domani, d’accordo?» disse Harry.
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«D’accordo» annuì stancamente Hermione. «Non ho proprio fretta».
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Fianco a fianco, salirono le scale. Una volta davanti al portone, d’istinto si voltarono a guardare la foresta proibita. Forse era frutto della sua immaginazione, ma Harry fu quasi certo di aver visto una nuvoletta di uccelli gonfiarsi sopra le cime lontane, come se l’albero che li aveva fino allora ospitati fosse stato appena sradicato.
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