L’euforia di Ron per aver contribuito alla vittoria di Grifondoro era tale che il giorno seguente gli fu impossibile applicarsi a qualunque cosa. Non faceva altro che parlare della partita, e per Harry e Hermione non fu facile trovare il momento adatto per dirgli di Grop. Non che si sforzassero; nessuno dei due era ansioso di riportare così brutalmente Ron alla realtà. Alla fine, approfittando della bella giornata tiepida, lo convinsero a unirsi a loro per un ripasso sotto il faggio in riva al lago, dove c’erano meno possibilità che qualcuno origliasse. All’inizio Ron non fu particolarmente entusiasta dell’idea — se la godeva troppo a farsi dare pacche sulle spalle da ogni Grifondoro di passaggio, per non parlare dei cori di Perché Weasley è il nostro re che ancora esplodevano di tanto in tanto — ma poi ammise che l’aria fresca gli avrebbe fatto bene.
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Si sedettero all’ombra del faggio e aprirono i libri, mentre Ron descriveva per la decima volta la sua prima parata e come aveva salvato la partita.
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«Sì, insomma, avevo già incassato il tiro di Davies, quindi non ero tanto tranquillo, ma quando ho visto Bradley venirmi addosso, praticamente è sbucato dal nulla, ho pensato: Puoi farcela! Avevo sì e no un secondo per decidere da che parte volare, sapete, e sembrava che lui puntasse a destra — la mia destra, ossia la sua sinistra — ma avevo come la sensazione che fosse una finta, e ho rischiato e mi sono tuffato a sinistra — alla sua destra, insomma — e, be’, avete visto com’è andata» concluse modestamente. Buttò indietro i capelli in modo che sembrassero scompigliati dal vento, e si guardò attorno per controllare se le persone più vicine — un gruppo di ragazze chiacchierine del terzo anno di Tassorosso — lo avevano sentito. «Così, quando cinque minuti dopo mi è venuto incontro Chambers… Che cosa c’è?» S’interruppe e fissò Harry. «Perché sorridi?»
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«Non sorrido» rispose in fretta Harry, e abbassò lo sguardo sui suoi appunti di Trasfigurazione, sforzandosi di restare serio. La verità era che Ron gli aveva appena ricordato un altro giocatore di Quidditch di Grifondoro che un tempo si era seduto sotto quello stesso albero, arruffandosi i capelli nello stesso modo. «Sono contento che abbiamo vinto, tutto qui».
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«Sì» disse Ron, assaporando ogni parola. «Abbiamo vinto. Hai visto la faccia della Chang quando Ginny le ha soffiato il Boccino sotto il naso?»
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«Si sarà messa a piangere, immagino?» commentò aspro Harry.
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«Be’, sì… ma più che altro per la rabbia…» Ron aggrottò la fronte. «Però ti sei accorto che ha gettato lontano la scopa quando è atterrata, vero?»
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«Ehm…» cominciò Harry.
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«No, Ron» disse Hermione con un sospiro. Posò il libro e lo guardò con aria di scusa. «In realtà io e Harry abbiamo visto soltanto la prima rete di Davies».
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I capelli accuratamente arruffati di Ron parvero afflosciarsi per la delusione. «Non avete visto la partita?» balbettò, spostando lo sguardo dall’uno all’altra. «Non mi avete visto fare nessuna di quelle parate?»
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«Be’… no». Hermione sollevò una mano per calmarlo. «Non volevamo andare via, però… siamo stati costretti!»
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«Davvero?» replicò Ron, che stava diventando paonazzo. «E come mai?»
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«È stato Hagrid» disse Harry. «Aveva deciso di spiegarci come mai da quando è tornato dal suo viaggio nel paese dei giganti è sempre coperto di lividi e ferite. Ha voluto che andassimo con lui nella foresta. Non abbiamo avuto scelta, lo sai com’è fatto. Insomma…»
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Gli raccontarono tutto in meno di cinque minuti, e alla fine all’indignazione di Ron si era sostituita l’incredulità.
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«Se n’è portato uno dietro e lo ha nascosto nella foresta?»
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«Sì» rispose cupo Harry.
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«No» esalò Ron, come se negarlo bastasse a cancellare la realtà. «No, non è possibile».
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«E invece è proprio così» disse Hermione con fermezza. «Grop è alto quasi cinque metri, si diverte a sradicare pini di sei, e mi conosce…» sbuffò, «come Hermy».
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Ron sbottò in una risatina nervosa.
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«E Hagrid vuole che noi…?»
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«Gli insegniamo l’inglese, sì» concluse Harry.
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«È impazzito» disse Ron, sgomento.
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«Sì» annuì Hermione, voltando una pagina di Trasfigurazione Intermedia e fissando accigliata una serie di disegni che mostravano una civetta trasformarsi in un binocolo da teatro. «Sì, comincio a pensarlo anch’io. Purtroppo ci ha costretto a promettere…»
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«Allora dovete solo non mantenere la promessa» disse Ron deciso. «Insomma, su… abbiamo gli esami, e ci manca tanto così…» levò una mano, pollice e indice che quasi si toccavano «…a farci espellere. E poi… ve lo ricordate Norberto? E Aragog? I mostri di Hagrid ci hanno procurato solo guai, sempre!»
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«Lo so, ma… abbiamo preso un impegno» protestò Hermione con una vocina sottile.
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Ron si buttò di nuovo indietro i capelli, preoccupato.
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«E va bene» sospirò. «Hagrid non è ancora stato licenziato, no? È riuscito a restare finora, e forse resisterà fino alla fine della scuola, e noi non dovremo avvicinarci a Grop».
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I prati intorno al castello luccicavano sotto il sole come se fossero stati verniciati di fresco; il cielo limpido sorrideva sulla levigata, scintillante superficie del lago; l’erba verde e setosa era increspata a tratti da una brezza gentile. Giugno era arrivato, ma per gli studenti del quinto anno voleva dire solo una cosa: incombevano i G.U.F.O.
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Gli insegnanti avevano smesso di assegnare compiti; le lezioni erano dedicate a ripassare gli argomenti che probabilmente sarebbero stati tema d’esame. Quell’atmosfera insieme febbrile e tenace cancellò dalla mente di Harry quasi tutto, anche se a volte durante Pozioni si chiedeva se Lupin avesse mai detto a Piton di riprendere le lezioni di Occlumanzia. Ma se anche lo aveva fatto, Piton doveva averlo ignorato, come del resto ignorava Harry. Cosa che a lui andava benissimo: era già abbastanza nervoso e indaffarato senza bisogno di seguire materie supplementari, e per fortuna in quel periodo Hermione era troppo preoccupata per tormentarlo con l’Occlumanzia: passava tutto il tempo borbottando fra sé e da giorni non lasciava più in circolazione un solo indumento per gli elfi.
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D’altra parte, non era l’unica a comportarsi in modo strano via via che i G.U.F.O. si avvicinavano. Ernie Macmillan, per esempio, aveva preso l’insopportabile abitudine di chiedere a tutti i loro metodi di ripasso.
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«Quante ore studiate al giorno?» chiese a Harry e Ron mentre erano in fila per entrare a Erbologia. Negli occhi gli brillava una luce maniacale.
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«Non saprei» rispose Ron. «Parecchie».
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«Più o meno di otto?»
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«Meno, credo» rispose Ron con aria vagamente allarmata.
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«Io otto» annunciò Ernie, gonfiando il petto. «Otto o nove. Una prima di colazione, tutti i giorni. Otto è la media. Nei finesettimana, se è una giornata sì, posso arrivare a dieci. Lunedì ne ho fatte nove e mezzo. Martedì mi è andata peggio… solo sette e un quarto. E mercoledì…»
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Harry trasse un sospiro di sollievo quando la professoressa Sprite li sospinse nella serra numero tre, costringendo Ernie a interrompere il suo elenco.
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Intanto, Draco Malfoy aveva trovato un altro modo per seminare il panico.
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«Naturalmente l’importante non è quello che sai» lo sentirono dire a Tiger e Goyle a voce alta davanti all’aula di Pozioni pochi giorni prima degli esami, «ma chi conosci. E mio padre è amico da anni del Capo della Commissione Magica d’Esame… la vecchia Griselda Marchbanks è venuta da noi a cena, sapete…»
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«Sarà vero?» sussurrò agitata Hermione a Harry e Ron.
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«Se lo è, non possiamo farci niente» rispose Ron, scuro in volto.
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«Non penso che sia vero» intervenne la voce pacata di Neville alle loro spalle. «Perché Griselda Marchbanks è amica di mia nonna, e non l’ho mai sentita nominare i Malfoy».
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«Che tipo è?» chiese subito Hermione. «Severa?»
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«Assomiglia un po’ a mia nonna» rispose Neville abbacchiato.
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«Be’, di sicuro conoscerla non è uno svantaggio, no?» lo incoraggiò Ron.
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«Oh, non credo che faccia differenza» replicò Neville ancora più abbacchiato. «La nonna non fa che ripeterle che non sono in gamba come mio papà… insomma… l’avete vista anche voi, al San Mungo…»
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Abbassò lo sguardo, mentre Harry, Ron e Hermione si scambiavano un’occhiata senza sapere che cosa dire. Era la prima volta che Neville accennava al loro incontro all’ospedale dei maghi.
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Nel frattempo, un fiorente mercato nero di sostanze capaci di accrescere concentrazione, agilità mentale e prontezza di riflessi fioriva tra gli studenti del quinto e del settimo anno. Harry e Ron furono molto tentati dall’Elisir Cerebro di Baruffio offerto loro da Eddie Carmichael, uno studente del sesto anno di Corvonero, che gli attribuiva tutto il merito dei nove “Eccezionale” ottenuti al G.U.F.O. l’estate precedente, e ne offriva un’intera pinta per soli dodici galeoni. Ron assicurò Harry che gli avrebbe restituito il denaro appena fosse uscito da Hogwarts e avesse trovato un lavoro, ma prima che potessero concludere l’affare, Hermione confiscò la bottiglia di Elisir a Carmichael e la vuotò dentro un water.
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«Ma Hermione, noi volevamo comprarla!» urlò Ron.
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«Sciocchezze!» sbuffò Hermione. «Tanto varrebbe comprare gli artigli di drago in polvere di Harold Dingle».
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«Dingle vende artigli di drago in polvere?» chiese interessato Ron.
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«Non più. Ho confiscato anche quelli. Lo sai che nessuna di queste cose funziona davvero».
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«L’artiglio di drago sì!» protestò Ron. «Dicono che è incredibile, che per qualche ora ti manda il cervello a mille, diventi sveglissimo… fammene provare un pizzico, Hermione, dài, non può far male…»
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«Quella roba sì» rispose decisa Hermione. «Le ho dato un’occhiata e in realtà si tratta di cacca secca di Doxy».
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L’informazione bastò per far passare a Harry e Ron il desiderio di ricorrere a stimolanti cerebrali.
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Durante l’ultima ora di Trasfigurazione ricevettero il programma dei G.U.F.O. e i dettagli sul loro svolgimento.
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«Come potete vedere» disse la professoressa McGranitt mentre copiavano diligenti dalla lavagna le date e gli orari degli esami, «i vostri G.U.F.O. dureranno due settimane di seguito. La mattina sosterrete il compito scritto relativo alla teoria della materia in questione, il pomeriggio quello pratico. E naturalmente l’esame pratico di Astronomia si svolgerà di notte.
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«Devo avvertirvi che ai fogli che userete sono stati applicati i più severi incantesimi antiimbroglio. È proibito l’uso di Piume a Risposta Automatica, come pure di Ricordelle, Polsini Copiativi e Inchiostro Autocorrettivo. Mi dispiace dire che ogni anno sembra che ci sia almeno uno studente convinto di poter aggirare le regole fissate dalla Commissione Magica d’Esame. Mi auguro solo che stavolta non sia nessuno di Grifondoro. La nostra nuova… Preside…» e pronunciò la parola con la stessa espressione di zia Petunia quando contemplava una macchia di sudiciume particolarmente resistente, «…ha chiesto ai Direttori delle Case di informare gli allievi che qualunque imbroglio sarà severamente punito… poiché, ovviamente, dai risultati degli esami verrà giudicato anche il nuovo regime imposto dalla Preside…»
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La professoressa McGranitt trattenne un sospiro, e Harry vide fremere il suo naso aguzzo.
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«…tuttavia questa non è una ragione valida per non impegnarsi al massimo. Dovete pensare al vostro futuro».
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«Scusi, professoressa» intervenne Hermione, alzando la mano, «quando avremo i risultati?»
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«Nel mese di luglio, via gufo» rispose la professoressa McGranitt.
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«Magnifico» disse Dean Thomas in un bisbiglio udibilissimo. «Così non dovremo preoccuparci fino alle vacanze».
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Harry si immaginò seduto nella sua stanza di Privet Drive sei settimane dopo, in attesa dei risultati del suo G.U.F.O. Be’, pensò avvilito, se non altro quell’estate sarebbe stato sicuro di ricevere almeno un messaggio.
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Il loro primo esame, Teoria degli Incantesimi, era in programma per lunedì mattina. La domenica Harry acconsentì a esercitarsi con Hermione, ma se ne pentì quasi subito; era così agitata che continuava a strappargli il libro di mano per controllare di aver dato la risposta perfettamente giusta, finché non lo colpì sul naso con l’angolo di Incantesimi Avanzati.
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Harry disse deciso: «Perché non ti arrangi?» e le restituì il libro lacrimando.
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Nel frattempo Ron rileggeva gli appunti di due anni di Incantesimi con le dita infilate nelle orecchie e le labbra che si muovevano in silenzio; Seamus Finnigan era disteso a pancia in su sul pavimento e recitava la definizione di Incantesimo Essenziale, mentre Dean la controllava sul Libro Standard degli Incantesimi, Classe Quinta; le matite di Calì e Lavanda, che stavano provando alcuni semplici Incantesimi di Locomozione, si inseguivano sul tavolo.
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Quella sera a cena nessuno aveva molta voglia di chiacchierare. Harry e Ron, che avevano studiato sodo tutto il giorno, mangiarono in silenzio ma affamati. Hermione invece continuava a lasciare le posate e a tuffarsi sotto il tavolo per ripescare qualche libro dalla borsa e controllare qualche dato. Ron le stava proprio dicendo che avrebbe fatto meglio a mangiare tranquilla o quella notte non sarebbe riuscita a chiudere occhio, quando la forchetta le sfuggì di mano e atterrò fragorosamente sul piatto.
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«Santo cielo» mormorò lei, fissando la Sala d’Ingresso. «Sono quelli? Gli esaminatori?»
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Harry e Ron si voltarono di scatto. Oltre le porte della Sala Grande videro la Umbridge con un gruppetto di streghe e maghi dall’aria decrepita. E la Preside, notò soddisfatto Harry, sembrava decisamente nervosa.
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«Andiamo a dare un’occhiata più da vicino?» propose Ron.
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Harry e Hermione annuirono, e tutti e tre si diressero svelti verso le doppie porte, rallentando dopo averle varcate in modo da passare con tutta calma accanto agli esaminatori. Probabilmente, pensò Harry, la professoressa Marchbanks era la piccola strega curva con il volto così rugoso che pareva rivestito di ragnatele: la Umbridge le si rivolgeva in tono deferente. Sembrava un po’ dura d’orecchi, perché rispondeva a voce troppo alta, considerato che erano a meno di mezzo metro di distanza.
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«Il viaggio è andato bene, benissimo, l’abbiamo già fatto molte altre volte» diceva sbrigativa. «Piuttosto, è un po’ che non ho notizie di Silente!» aggiunse, scrutando la Sala come se sperasse di vederlo sbucare da uno sgabuzzino. «Nessuna idea di dov’è, suppongo?»
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«Nessuna» rispose la Umbridge, lanciando un’occhiata malevola a Harry, Ron e Hermione, che ciondolavano ai piedi delle scale mentre Ron fingeva di allacciarsi una scarpa. «Ma presumo che il Ministero della Magia lo rintraccerà fra non molto».
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«Ne dubito» strepitò la piccola professoressa Marchbanks. «A meno che lui voglia farsi trovare! Lo so bene io… l’ho esaminato personalmente in Trasfigurazione e Incantesimi quando ha sostenuto il M.A.G.O… mai visto fare cose simili con una bacchetta».
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«Sì… be’…» disse la professoressa Umbridge intanto che Harry, Ron e Hermione salivano la scala di marmo il più lentamente possibile, «permettete che vi mostri la sala professori. Gradirete una tazza di tè dopo il viaggio…»
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Fu una serata inquieta. Tutti tentavano un ripasso all’ultimo minuto, ma nessuno sembrava capace di concentrarsi. Harry andò a letto presto, e poi rimase sveglio per quelle che gli parvero ore. Ricordò il colloquio di orientamento e la McGranitt che dichiarava furibonda che l’avrebbe aiutato a diventare Auror fosse stata l’ultima cosa che faceva. Ora che l’esame era alle porte, quasi rimpiangeva di non aver espresso un desiderio meno ambizioso. Sapeva di non essere l’unico insonne, ma nessuno dei suoi compagni aprì bocca e alla fine, uno dopo l’altro, si addormentarono tutti.
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Il giorno dopo a colazione nessuno del quinto anno era molto loquace: Calì recitava incantesimi sottovoce, facendo sussultare la saliera che aveva davanti; Hermione rileggeva Incantesimi Avanzati così in fretta che ì suoi occhi sembravano sfocati; e Neville continuava a far cadere le posate e a rovesciare la marmellata.
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Poi quelli del quinto e del settimo anno si radunarono nella Sala d’Ingresso mentre gli altri studenti andavano a lezione. Alle nove e mezzo furono richiamati, una classe alla volta, nella Sala Grande, allestita esattamente come Harry l’aveva vista nel Pensatoio, quando suo padre, Sirius e Piton avevano sostenuto il loro G.U.F.O.: i tavoli delle quattro Case erano spariti, sostituiti da banchi singoli, rivolti verso il tavolo degli insegnanti, occupato dalla professoressa McGranitt. «Potete cominciare» annunciò lei quando si furono tutti seduti in silenzio, e si voltò verso un’enorme clessidra posata accanto a lei sul tavolo insieme a piume, boccette d’inchiostro e pergamene di riserva.
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Col cuore in gola, Harry voltò il suo foglio — tre file a destra e quattro dietro, Hermione stava già scrivendo — e abbassò lo sguardo sulla prima domanda: a) Scrìvi la formula dell’incantesimo e b) Descrivi il movimento della bacchetta per far volare gli oggetti.
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La sua mente fu attraversata dal ricordo di una mazza che volava in aria e atterrava di schianto sul duro cranio di un troll… sorridendo, chinò il capo e cominciò a scrivere.
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«Non era tanto difficile, vero?» chiese ansiosa Hermione nella Sala d’Ingresso due ore più tardi, stringendo il foglio con le domande. «Non sono sicura di essere stata precisa negli Incantesimi Rallegranti, ma ormai non c’era più tempo. Hai scritto il controincantesimo per il singhiozzo? Non ero sicura se dovevo, mi sembrava troppo… e la domanda ventitré…»
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«Hermione» la interruppe severo Ron, «ne abbiamo già parlato… Non torniamo sopra ogni esame dopo che l’abbiamo finito, una volta basta e avanza».
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Gli studenti del quinto anno pranzarono insieme agli altri (erano ricomparsi i quattro grandi tavoli) e poi si riunirono nella piccola stanza accanto alla Sala Grande, dove rimasero in attesa di essere chiamati per l’esame di pratica. Mentre i primi gruppetti venivano convocati in ordine alfabetico, gli altri borbottavano incantesimi e si esercitavano con la bacchetta, a volte infilandosela per sbaglio fra le costole o in un occhio.
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Hermione uscì tremando dalla stanza con Anthony Goldstein, Gregory Goyle e Daphne Greengrass. Una volta terminato, gli studenti non tornavano lì, perciò Harry e Ron non sapevano come se la fosse cavata.
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«Non avrà avuto problemi. Non ti ricordi che in un compito di Incantesimi ha preso centoventi su cento?» disse Ron.
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Dieci minuti dopo, il professor Vitious chiamò: «Parkinson, Pansy… Patil, Calì… Patil, Padma… Potter, Harry».
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«In bocca al lupo» sussurrò Ron. Harry entrò nella Sala Grande stringendo la bacchetta così forte che gli tremava la mano.
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«Il professor Tofty è libero, Potter» gracchiò Vitious, fermo accanto alla porta, indicandogli quello che sembrava l’insegnante più vecchio e più calvo di tutti, seduto a un tavolino al capo opposto della Sala, poco lontano dalla professoressa Marchbanks che stava finendo di esaminare Draco Malfoy.
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«Potter, giusto?» chiese il professor Tofty, consultando i suoi appunti e scrutandolo al di sopra degli occhiali a pince-nez. «Il celebre Potter?»
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Con la coda dell’occhio, Harry vide Malfoy lanciargli un’occhiataccia; il bicchiere di vino che Draco stava facendo levitare cadde a terra e si ruppe. Harry non seppe trattenere un sorriso, e il professor Tofty gli sorrise incoraggiante di rimando.
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«Così si fa» disse con la sua vecchia voce tremula, «non c’è nessun bisogno d’innervosirsi. Ora, se tu fossi così gentile da convincere questo portauovo a fare qualche capriola…»
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Tutto sommato, Harry pensava di essersela cavata abbastanza bene. Di sicuro il suo Incantesimo Levitante era andato molto meglio di quello di Malfoy, anche se avrebbe preferito non aver confuso l’Incantesimo Cambiacolore con quello di Crescita: invece di diventare arancione, il suo ratto prese sorprendentemente a gonfiarsi e raggiunse le dimensioni di un tasso prima che lui riuscisse a correggere l’errore. Per fortuna Hermione non era rimasta nella Sala, e in seguito evitò di parlargliene. Però lo disse a Ron, che aveva trasformato un vassoio in un fungo enorme senza avere la più remota idea di come fosse successo.
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Quella sera non ebbero tempo di rilassarsi: dopo cena filarono nella sala comune e si immersero nel ripasso di Trasfigurazione, l’esame del giorno dopo. Quando Harry andò a letto, la testa gli ronzava di complessi modelli e teorie di incantesimo.
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Durante il compito scritto della mattina si scordò la definizione di Incantesimo di Scambio, ma l’esame pratico sarebbe potuto andare peggio. Almeno lui riuscì a far Evanescere la sua iguana, mentre al tavolo accanto la povera Hannah Abbott perse la testa e chissà come moltiplicò il suo furetto in uno stormo di fenicotteri, facendo sospendere gli esami per dieci minuti finché gli uccelli non vennero catturati e trasportati fuori dalla Sala.
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Mercoledì toccò a Erbologia (e a parte il morso inflittogli da un Geranio Zannuto, Harry aveva l’impressione di essersela cavata piuttosto bene); e giovedì a Difesa contro le Arti Oscure. Per la prima volta Harry ebbe la certezza che sarebbe passato col massimo dei voti. Non incontrò difficoltà in nessuna delle domande scritte, e durante l’esame di pratica provò un piacere particolare nell’eseguire tutti i controincantesimi e gli incantesimi difensivi davanti alla Umbridge, che lo osservava gelida accanto alla porta.
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Ancora una volta, fu il professor Tofty a esaminarlo. «Bravo!» esclamò, mentre Harry lanciava un perfetto Incantesimo Scaccia-Molliccio. «Davvero ottimo! Direi che è tutto, Potter… a meno che…»
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Si protese verso di lui.
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«Ho saputo dal mio caro amico Tiberius Ogden che sei in grado di evocare un Patronus… Non è in programma, ma…?»
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Harry levò la bacchetta, guardò la Umbridge dritto negli occhi e immaginò che venisse licenziata da Hogwarts.
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«Expecto Patronum!»
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Il suo cervo argenteo scaturì dalla punta della bacchetta e attraversò la Sala al galoppo. Tutti gli esaminatori si voltarono a seguirlo con lo sguardo, e quando si dissolse in una foschia luminosa, il professor Tofty batté entusiasta le mani nodose.
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«Eccellente!» disse. «Benissimo, Potter, puoi andare!»
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Mentre usciva, Harry passò accanto alla Umbridge e i loro sguardi s’incrociarono. Vide un sorriso maligno deformarle la larga bocca viscida, ma la cosa non lo turbò. A meno di non sbagliarsi di grosso (e per scaramanzia decise di non parlarne con nessuno), si era appena guadagnato un “Eccezionale”.
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Il venerdì Harry e Ron avevano un giorno libero, mentre Hermione sosteneva l’esame di Antiche Rune; dato che c’era davanti l’intero finesettimana, si concessero una pausa. Si stiracchiavano e giocavano a scacchi magici davanti alla finestra aperta da cui entrava la tiepida aria estiva. In lontananza, Harry scorse Hagrid che faceva lezione ai margini della foresta. Stava cercando d’indovinare quali creature stessero osservando — forse unicorni, perché gli studenti maschi si tenevano alla larga — quando il ritratto si aprì e Hermione si arrampicò dentro, di pessimo umore.
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«Com’è andata?» chiese Ron, sbadigliando.
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«Ho sbagliato a tradurre ehwaz» ringhiò Hermione. «Vuol dire “associazione”, non “difesa”. L’ho confuso con eihwaz».
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«Ah, be’» commentò pigramente Ron, «in fin dei conti è soltanto un errore, prenderai comunque…»
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«Oh, taci!» scattò lei, rabbiosa. «Potrebbe fare la differenza fra promozione e bocciatura. E peggio ancora, qualcuno ha infilato un altro Snaso nell’ufficio della Umbridge. Non so come abbiano fatto ad aprire la nuova porta, ma quando sono passata ho sentito la Umbridge che strillava da spaccare i timpani… a quanto pare, lo Snaso stava cercando di morderle una gamba…»
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«Bene» dissero all’unisono Harry e Ron.
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«No invece!» rispose Hermione accalorata. «E convinta che sia opera di Hagrid, ricordate? E noi non vogliamo che Hagrid venga buttato fuori!»
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«Oggi sta facendo lezione» obiettò Harry, indicando la finestra. «Non può dare la colpa a lui».
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«A volte sei così ingenuo! Credi davvero che a quella importino le prove?» ribatté Hermione, che sembrava decisa a restare del suo umore tempestoso, e uscì sbattendosi la porta alle spalle, diretta al dormitorio femminile.
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«Un carattere così amabile, così dolce» disse Ron a voce molto bassa, spingendo avanti la sua regina per eliminare un cavallo di Harry.
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Il malumore di Hermione durò per la maggior parte del finesettimana, ma per Harry e Ron non fu difficile ignorarla: passarono quasi tutto il tempo a ripassare Pozioni per l’esame di lunedì, quello che Harry temeva di più… e che, ne era sicuro, avrebbe distrutto ogni sua ambizione di diventare Auror. In effetti trovò difficile l’esame scritto, anche se era convinto di aver azzeccato la risposta alla domanda sulla Pozione Polisucco: visto che durante il suo secondo anno a Hogwarts l’aveva bevuta di nascosto, fu in grado di descriverne gli effetti con estrema precisione.
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L’esame pratico del pomeriggio fu meno terribile del previsto. In assenza di Piton, scoprì di essere molto più rilassato. Anche Neville, seduto accanto a lui, sembrava più tranquillo di quanto non fosse mai stato a Pozioni. Quando la professoressa Marchbanks disse: «Allontanatevi dai calderoni, prego, l’esame è finito» Harry tappò la sua fiaschetta: forse non avrebbe ottenuto un gran voto, ma con un po’ di fortuna avrebbe evitato la bocciatura.
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«Solo altri quattro esami» sospirò Calì Patil mentre tornavano verso la sala comune di Grifondoro.
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«Solo!» scattò Hermione. «Io devo fare ancora Aritmanzia, probabilmente la materia più difficile che esista!»
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Nessuno fu tanto stupido da replicare, così lei non poté sfogarsi su di loro e dovette accontentarsi di rimproverare alcuni ragazzi del primo anno perché ridevano troppo forte.
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Il martedì, Harry era deciso a dare il massimo in Cura delle Creature Magiche, in modo che Hagrid facesse bella figura. La prova pratica si svolse nel pomeriggio, sul prato ai margini della foresta proibita, dove agli studenti fu richiesto di identificare correttamente uno Knarl nascosto fra una dozzina di porcospini (il trucco stava nell’offrire loro del latte: i Knarl, creature estremamente sospettose, con aculei dotati di molti poteri magici, di solito s’infuriano, considerandolo un tentativo di avvelenarli); poi dovettero prendersi cura di un Asticello; nutrire e pulire un Fiammagranchio senza scottarsi; e scegliere, tra un vasto assortimento di cibi, la dieta adatta a un unicorno malato.
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Harry si accorse che Hagrid li osservava ansioso dalla finestra della sua capanna. Quando l’esaminatore — una piccola strega grassoccia — lo congedò sorridendo, Harry rivolse a Hagrid un furtivo segno di vittoria.
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Lo scritto di Astronomia, il mercoledì mattina, andò abbastanza bene. Harry non era sicurissimo dei nomi di tutte le lune di Giove, però era certo che nessuna fosse coperta di ghiaia. Per la pratica dovettero aspettare fino a sera, mentre il pomeriggio fu dedicato a Divinazione.
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Anche per lo scarso livello di Harry, l’esame andò malissimo. Tanto valeva cercare di vedere qualcosa sul tavolo, invece che nella sfera di cristallo, che rimase ostinatamente vuota; Harry perse del tutto la testa durante la lettura delle foglie di tè, annunciando alla professoressa Marchbanks che presto avrebbe incontrato uno straniero bruno e noioso, e coronò il fiasco confondendo la linea della vita con quella del destino, e informandola che sarebbe dovuta morire il martedì precedente.
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«Tanto in quello eravamo destinati alla bocciatura» commentò cupo Ron mentre scendevano la scalinata di marmo. Aveva appena tirato su di morale Harry dicendogli che lui si era dilungato a parlare dell’orrido tipo con una verruca sul naso che vedeva nella sfera di cristallo, e quando aveva alzato lo sguardo si era reso conto di aver descritto fino all’ultimo dettaglio il riflesso del suo esaminatore.
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«Non avremmo mai dovuto scegliere quella materia idiota» disse Harry.
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«Almeno adesso possiamo mollarla».
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«Giusto. Non dovremo più far finta che ci importi cosa succede quando Giove e Urano diventano troppo amici».
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«E nemmeno se nelle foglie di tè c’è scritto Muori, Ron, muori… Le butterò dove devono stare: nella spazzatura».
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Harry scoppiò a ridere proprio mentre Hermione li raggiungeva correndo. Smise subito, temendo che la cosa la irritasse.
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«Be’, credo di essere andata bene in Aritmanzia» annunciò, e Harry e Ron trassero un sospiro di sollievo. «Ho appena il tempo di dare un’ultima occhiata alle mappe celesti prima di cena…»
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Arrivarono in cima alla Torre di Astronomia alle undici in punto di una notte perfetta per osservare le stelle: senza un filo di vento e senza una nuvola. I prati erano inondati dalla luce argentea della luna e l’aria era frizzante. Ognuno di loro prese posto dietro un telescopio, e all’ordine della professoressa Marchbanks cominciarono a completare la mappa muta che avevano davanti.
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La professoressa Marchbanks e il professor Tofty passeggiavano tra gli studenti, osservandoli mentre tracciavano la posizione di stelle e pianeti. Gli unici rumori erano il fruscio delle pergamene, il cigolio di qualche telescopio e il grattare delle piume. Passò mezz’ora, poi un’ora; a uno a uno, i piccoli quadrati di luce dorata tremolanti sul prato scomparvero via via che si spegnevano le luci alle finestre.
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Harry stava completando la costellazione di Orione, quando il portone del castello si aprì, proprio sotto il parapetto dove si trovava lui, e un fiotto di luce si riversò sui gradini di pietra. Mentre regolava il telescopio, guardò rapido dabbasso e vide cinque o sei lunghe ombre spostarsi sull’erba illuminata; poi il portone si richiuse e il prato ridiventò un mare di tenebre.
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Riavvicinò l’occhio al telescopio e lo mise a fuoco per individuare Venere, ma quando guardò di nuovo la mappa per segnarne la posizione, qualcosa lo distrasse; si bloccò, la piuma sospesa sulla pergamena, e scrutò nell’oscurità. Cinque sagome stavano attraversando il prato. Se fossero state immobili, e se il chiaro di luna non avesse scintillato sulle loro teste, sarebbe stato impossibile distinguerle. Anche da lontano fu sicuro di riconoscere il modo di camminare della più tozza, che sembrava guidare il gruppetto.
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Non riusciva a capire come mai la Umbridge avesse deciso di fare una passeggiata dopo mezzanotte, per giunta accompagnata da altre quattro persone. Un colpetto di tosse alle sue spalle gli ricordò che era a metà di un esame. E si era completamente scordato la posizione di Venere. Tornò a incollare l’occhio al telescopio, la ritrovò e di nuovo stava per riportarla sulla mappa quando le sue orecchie, ormai pronte a cogliere ogni suono insolito, sentirono echeggiare per i prati deserti un colpo battuto a una porta lontana, subito seguito dai latrati soffocati di un grosso cane.
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Alzò lo sguardo, col cuore in gola. Le ombre che aveva visto camminare si stagliavano contro le finestre illuminate della capanna di Hagrid. La porta si aprì e cinque figure — i contorni nitidi contro la luce — varcarono la soglia. La porta si richiuse, e tornò il silenzio.
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Harry si sentiva a disagio. Si voltò verso Ron e Hermione per controllare se si fossero accorti di qualcosa, ma poi vide la professoressa Marchbanks venire verso di lui e, non volendo farle credere che stesse cercando di copiare, tornò a chinarsi sulla propria mappa e finse di scrivere qualcosa, mentre in realtà spiava al di sopra del parapetto, verso la capanna di Hagrid. C’erano sagome che passavano davanti alle finestre, bloccando a tratti la luce.
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Sentì gli occhi della professoressa perforargli la nuca. Si accostò di nuovo al telescopio e lo puntò sulla Luna, anche se ne aveva segnato la posizione un’ora prima, ma proprio mentre la professoressa Marchbanks si spostava, un ruggito esplose nella capanna lontana e rimbombò nell’oscurità fino alla cima della Torre. Parecchi studenti attorno a Harry tesero il collo al di sopra dei telescopi per guardare da quella parte.
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Il professor Tofty tossicchiò.
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«Cercate di concentrarvi, su, ragazzi» disse piano.
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La maggior parte degli studenti si rimise al lavoro, ma Harry guardò alla sua sinistra e vide che Hermione fissava ipnotizzata la capanna di Hagrid.
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«Ehm… ancora venti minuti» annunciò il professor Tofty.
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Hermione sussultò e tornò alla sua mappa celeste; Harry abbassò lo sguardo sulla sua e scoprì di aver scritto Marte invece di Venere. Si chinò per correggere l’errore.
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Dal prato arrivò l’eco di un botto assordante. Parecchi studenti strillarono «Ahia!», perché si erano ficcati il telescopio nell’occhio per la fretta di vedere che cosa succedeva laggiù.
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La porta della capanna si era spalancata e nella luce improvvisa lo distinsero perfettamente: una figura massiccia che ruggiva e agitava i pugni, circondata da cinque persone, tutte — a giudicare dai sottili fili scarlatti puntati su di lui — intente a Schiantarlo.
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«No!» gridò Hermione.
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«Mia cara!» esclamò il professor Tofty scandalizzato. «Questo è un esame!»
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Nessuno però badava più alle mappe celesti. Raggi di luce rossa continuavano a saettare contro Hagrid, ma chissà come parevano rimbalzargli addosso; era ancora in piedi e, per quel che vedeva Harry, continuava a opporre una strenua resistenza. Urla e grida echeggiarono sul prato; una voce maschile gridò: «Sii ragionevole, Hagrid!»
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Hagrid ruggì: «Ragionevole un accidenti! Non mi prenderete, Dawlish!»
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Harry vide stagliarsi contro la luce anche la sagoma più piccola di Thor, che tentava di difendere il padrone slanciandosi con coraggio contro i maghi, finché uno Schiantesimo lo centrò e lo abbatté. Con un ululato furibondo, Hagrid sollevò di peso il colpevole e lo scaraventò lontano, facendogli fare un volo di almeno tre metri. Il mago non si rialzò. Hermione trattenne il fiato e si portò inorridita le mani alla bocca; Harry si voltò verso Ron, e vide che anche lui sembrava atterrito. Non avevano mai visto Hagrid perdere davvero il controllo.
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«Guardate!» strillò Calì, sporgendosi dal parapetto e indicando il portone del castello: si era riaperto, e alla luce che adesso si riversava sul prato buio videro un’alta, solitaria figura nera marciare verso la capanna.
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«Insomma!» esclamò preoccupato il professor Tofty. «Mancano solo sedici minuti!»
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Ma nessuno lo ascoltava: gli occhi di tutti erano incollati sulla persona che puntava a passo rapido verso la battaglia in corso davanti alla capanna.
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«Come osate!» la sentirono urlare. «Come osate!»
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«È la McGranitt!» sussurrò Hermione.
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«Lasciatelo stare! Lasciatelo, ho detto!» esplose la voce della professoressa McGranitt nell’oscurità. «Su che basi lo state attaccando? Non ha fatto niente, niente che giustifichi un simile…»
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Hermione, Calì e Lavanda lanciarono un urlo. Le figure attorno alla capanna avevano scagliato non meno di quattro Schiantesimi contro la professoressa McGranitt. I raggi rossi la colpirono quando era ancora a metà strada fra la capanna e il castello; per un momento fu avvolta da un alone luminoso di un rosso spettrale, poi si levò a mezz’aria, atterrò con un tonfo sulla schiena e non si mosse più.
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«Gargoyle galoppanti!» urlò il professor Tofty, che a sua volta pareva del tutto dimentico dell’esame. «Senza preavviso! Un comportamento vergognoso!»
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«VIGLIACCHI!» L’urlo di Hagrid raggiunse chiaro la cima della Torre, e parecchie luci si riaccesero dentro il castello. «SCHIFOSI VIGLIACCHI! PRENDETE QUESTO… E QUESTO…»
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«Oh, cielo…» mormorò Hermione trattenendo il fiato.
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Hagrid appioppò due possenti ceffoni agli aggressori più vicini, e, a giudicare da come si afflosciarono all’istante, dovevano essere perlomeno svenuti. Poi Harry lo vide chinarsi, e per un istante temette che fosse stato sopraffatto da un incantesimo. Ma subito si raddrizzò con una sorta di sacco in spalla, e Harry capì che si trattava del corpo inerte di Thor.
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«Prendetelo! Prendetelo!» strillò la Umbridge, ma il suo unico aiutante ancora in piedi non sembrava ansioso di avvicinarsi ai pugni di Hagrid; anzi, arretrò così in fretta che inciampò su uno dei colleghi svenuti e cadde. Hagrid si voltò e si diede alla fuga, sempre con Thor attorno al collo. La Umbridge gli lanciò contro un ultimo Schiantesimo, ma lo mancò, e Hagrid, correndo a più non posso verso i cancelli lontani, sparì nelle tenebre.
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Tutti fissarono la scena a bocca aperta per un lungo minuto di silenzio angosciato, finché si udì la voce fioca del professor Tofty: «Ehm… ancora cinque minuti, ragazzi».
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Anche se aveva riempito solo due terzi della sua mappa, Harry non vedeva l’ora che l’esame finisse. Finalmente lui, Ron e Hermione riposero rapidamente i rispettivi telescopi e scesero a precipizio la scala a chiocciola. Nessuno degli studenti aveva intenzione di andare a letto: erano tutti ai piedi della scala e discutevano della scena a cui avevano assistito.
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«Quella vigliacca!» ansimò Hermione, soffocata dalla rabbia. «Tentare di prendere Hagrid alla sprovvista, nel cuore della notte!»
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«Chiaramente voleva evitare un’altra scena come quella della Cooman» osservò saggio Ernie Macmillan, sgusciando tra la folla per unirsi a loro.
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«Però Hagrid è stato bravo» disse Ron, ma sembrava più allarmato che ammirato. «Come mai gli incantesimi gli rimbalzavano addosso?»
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«Dev’essere il suo sangue di gigante» rispose Hermione con voce tremula. «È molto difficile Schiantare un gigante, sono un po’ come i troll, incredibilmente resistenti… ma la povera professoressa McGranitt… quattro Schiantesimi in pieno petto, e non è più una ragazzina, no?»
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«Spaventoso» concordò Ernie, scuotendo teatralmente la testa. «Be’, io me ne vado a letto. Buonanotte a tutti».
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Anche gli altri si dispersero, senza smettere di discutere dell’accaduto.
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«Almeno non chiuderanno di nuovo Hagrid ad Azkaban» disse Ron. «Immagino che si unirà a Silente, no?»
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«Credo di sì» rispose Hermione, che sembrava vicina alle lacrime. «È terribile, ero convinta che Silente sarebbe tornato presto, e adesso abbiamo perso anche Hagrid».
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Quando entrarono nella sala comune di Grifondoro, la trovarono affollatissima. Il fracasso aveva svegliato molti studenti, che a loro volta si erano affrettati a svegliare gli amici ancora addormentati. Seamus e Dean, arrivati poco prima di loro, stavano raccontando quello che avevano visto e udito dall’alto della Torre.
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«Ma perché prendersela con Hagrid?» chiese Angelina Johnson scuotendo il capo. «Non è come per la Cooman, quest’anno insegnava molto meglio del solito!»
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«La Umbridge detesta i semiumani» spiegò amara Hermione, abbandonandosi su una poltrona. «Ha sempre pensato di buttarlo fuori».
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«Ed era anche convinta che fosse Hagrid a metterle gli Snasi nell’ufficio» aggiunse Katie Bell.
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«Oh, accidenti!» Lee Jordan si coprì la bocca con una mano. «Sono stato io. Fred e George me ne hanno lasciati un paio, e con un po’ di levitazione li ho fatti entrare dalla finestra».
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«Lo avrebbe licenziato comunque» disse Dean. «Era troppo vicino a Silente».
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«È vero» concordò Harry, sprofondando nella poltrona accanto a quella di Hermione.
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«Spero solo che la professoressa McGranitt stia bene» mugolò Lavanda.
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«L’hanno riportata al castello, l’abbiamo visto dalla finestra del dormitorio» disse Colin Canon. «Di sicuro non era in gran forma».
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«Madama Chips la rimetterà in sesto» disse con fermezza Alicia Spinnet. «Finora i suoi rimedi non hanno mai fallito».
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Solo verso le quattro del mattino la sala comune si svuotò. Harry era perfettamente sveglio, tormentato dall’immagine di Hagrid che fuggiva nell’oscurità, e così furioso con la Umbridge da non riuscire a pensare a una punizione adeguata, anche se l’idea di Ron di farle nutrire una cassa di Schiopodi Sparacoda aveva i suoi pregi. Si addormentò meditando tremende vendette, e si svegliò tre ore dopo, sfinito.
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L’esame finale, Storia della Magia, si sarebbe svolto nel pomeriggio. Dopo colazione Harry avrebbe di gran lunga preferito tornare a letto, ma aveva deciso di utilizzare quella mattina per un ripasso dell’ultima ora, e così si sedette con la testa fra le mani vicino alla finestra della sala comune, sforzandosi di non dormire mentre scorreva gli appunti, una pila alta un metro, avuti in prestito da Hermione.
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Alle due in punto, gli studenti del quinto anno entrarono nella Sala Grande e si sedettero davanti ai fogli d’esame, posati a faccia in giù sui banchi. Harry era esausto. Voleva solo farla finita e andare a letto, e l’indomani sarebbe andato con Ron sul campo di Quidditch e avrebbe fatto un giro sulla scopa dell’amico per assaporare la libertà dagli esami.
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«Voltate i fogli» ordinò la professoressa Marchbanks da dietro la cattedra, capovolgendo la grande clessidra. «Potete cominciare».
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Harry fissò la prima domanda. Ci mise alcuni secondi prima di rendersi conto di non aver capito una parola, distratto com’era dal ronzio di una vespa che sbatteva contro i vetri. A fatica, cominciò infine a scrivere la risposta.
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Incontrò molte difficoltà a ricordare i nomi e a ordinare la confusione di date. Saltò a piè pari la domanda numero quattro (Secondo voi, la Legge sulle Bacchette facilitò o aiutò a controllare la rivolta dei goblin nel diciottesimo secolo?), dicendosi che se ne avesse avuto il tempo vi sarebbe tornato alla fine. Fece un tentativo con la numero cinque (Come fu violato nel 1749 lo Statuto di Segretezza e quali misure furono introdotte per evitare che ciò si ripetesse?), ma lo tormentava il sospetto di aver trascurato diversi punti essenziali: da qualche parte in quella storia dovevano entrarci i vampiri…
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Scorse la pergamena alla ricerca di una domanda alla quale rispondere con sicurezza, e i suoi occhi s’illuminarono leggendo la numero dieci: Descrivete le circostanze che condussero alla formazione della Confederazione Internazionale dei Maghi e spiegate perché gli Stregoni del Liechtenstein rifiutarono di aderirvi.
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Questo la so, pensò Harry, anche se il suo cervello era intorpidito e distratto. Rivide davanti agli occhi la calligrafia di Hermione: La formazione della Confederazione Internazionale dei Maghi… L’aveva letto proprio quella mattina.
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Cominciò a scrivere, sbirciando di tanto in tanto la grande clessidra sulla cattedra accanto alla professoressa Marchbanks. Era seduto dietro Calì Patil, e un paio di volte si ritrovò a fissare ipnotizzato i riflessi dorati che le baluginavano fra i lunghi capelli scuri, e dovette scuotere con forza la testa per snebbiarla.
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…il primo Supremo Pezzo Grosso della Confederazione Internazionale dei Maghi fu Pierre Bonaccord, ma la sua nomina fu contestata dai maghi del Liechtenstein perché…
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Tutt’attorno, il raschiare delle piume sulle pergamene faceva venire in mente lo zampettare affannoso di ratti. Il sole gli scottava la nuca. Che cos’aveva fatto Bonaccord per offendere i maghi del Liechtenstein? Harry aveva la sensazione che c’entrassero i troll… di nuovo s’incantò a fissare i capelli di Calì. Se solo avesse potuto eseguire un Incantesimo di Legilimanzia e guardarle dentro la testa per vedere che cos’avevano a che fare i troll con Pierre Bonaccord e il Liechtenstein…
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Chiuse gli occhi e affondò il viso fra le mani, finché il rosso acceso delle sue palpebre diventò oscuro e fresco. Bonaccord aveva voluto fermare la caccia ai troll e concedere loro uguali diritti… ma il Liechtenstein aveva problemi con una tribù particolarmente crudele di troll di montagna… ecco di che cosa si trattava.
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Aprì gli occhi, e il bianco accecante della pergamena glieli fece lacrimare. Scrisse lentamente due righe sui troll, e poi rilesse il tutto. Non era molto esauriente né dettagliato. Eppure era sicuro che gli appunti di Hermione sulla Confederazione fossero pagine e pagine…
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Chiuse di nuovo gli occhi, sforzandosi di ricordare… la Confederazione si era riunita per la prima volta in Francia, sì, lo aveva già scritto…
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I goblin avevano tentato di parteciparvi, ma erano stati scacciati… aveva già scritto anche questo…
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E nessuno del Liechtenstein era voluto venire…
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Pensa, si disse, il viso di nuovo fra le mani, mentre intorno a lui le piume frusciavano scrivendo senza sosta una risposta dopo l’altra e la sabbia scorreva nella clessidra…
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Era di nuovo nel freddo, buio corridoio dell’Ufficio Misteri; camminava a passo svelto e deciso, a tratti correva, per raggiungere infine la sua meta… come al solito, la porta nera gli si spalancò davanti… era nella stanza circolare con tante porte…
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Attraversò il pavimento di pietra e varcò anche la seconda porta… chiazze di luce danzanti, lo strano ticchettio, ma non c’era tempo di esplorare, doveva sbrigarsi…
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Corse verso la terza porta, e anche quella si aprì…
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Ancora una volta era nella stanza grande come una cattedrale, colma di scaffali e sfere di vetro… il cuore gli batteva foltissimo… stavolta ce l’avrebbe fatta… raggiunse la fila novantasette, svoltò a sinistra e corse nel corridoio tra due file di scaffali…
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Ma là in fondo c’era una sagoma accasciata per terra, una sagoma nera che sussultava come una bestia ferita… Harry sentì lo stomaco contrarsi di paura… di eccitazione…
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E poi sentì uscire dalla propria bocca una voce acuta, gelida, disumana…
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«Prendila per me… tirala giù subito… io non posso toccarla… ma tu sì…»
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La sagoma nera ebbe un fremito. In fondo al proprio braccio Harry vide levarsi una mano bianca, le lunghe dita strette attorno a una bacchetta… sentì la fredda voce acuta dire: «Crucio!»
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L’uomo sul pavimento lanciò un urlo e tentò di alzarsi, ma poi ricadde, contorcendosi. Harry rideva. Levò la bacchetta, scagliò di nuovo la maledizione, e la figura gemette e restò immobile.
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«Lord Voldemort sta aspettando…»
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Lentamente, facendo forza sulle braccia tremanti, l’uomo a terra alzò le spalle e la testa. Il suo volto scarno, coperto di sangue e deformato dalla sofferenza, si irrigidì in una maschera di sfida…
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«Prima dovrai uccidermi» mormorò Sirius.
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«Lo farò senza dubbio, alla fine» disse la voce fredda. «Ma prima devi prenderla per me, Black… Credi di aver provato dolore, finora? Pensaci bene… abbiamo ore davanti a noi, e nessuno sentirà le tue urla…»
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Ma qualcuno gridò mentre Voldemort calava di nuovo la bacchetta; qualcuno gridò, scivolò su un banco arroventato e cadde sul freddo pavimento di pietra. Harry si svegliò toccando terra, urlante, la cicatrice in fiamme, mentre la Sala Grande sembrava esplodere attorno a lui.
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