«No… non ho bisogno di andare in infermeria… non voglio…»
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Farfugliava, divincolandosi dal professor Tofty che lo fissava preoccupato mentre lo accompagnava nella Sala d’Ingresso fra gli sguardi sbigottiti degli altri studenti.
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«Sto… sto bene, signore» balbettò Harry, asciugandosi il viso sudato. «Davvero… mi sono addormentato… un incubo…»
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«La tensione degli esami!» annuì comprensivo il vecchio mago, battendogli una mano tremante sulla spalla. «Capita, ragazzo mio, capita! Corri a bere un bicchiere d’acqua fresca, e forse dopo te la sentirai di rientrare, eh? L’esame è quasi finito, ma forse potrai dare un ultimo tocco alle tue risposte, vero?»
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«Sì» rispose Harry, frenetico. «Voglio dire… no… ho fatto… quello che potevo, credo…»
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«Molto bene» disse gentilmente il vecchio mago. «Adesso vado a ritirare i tuoi fogli; ti suggerisco di andare a fare un bel riposino».
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«Sì, grazie». Harry annuì con vigore. «Grazie mille».
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Non appena il vecchio ebbe varcato la soglia della Sala Grande, Harry salì di corsa la scala di marmo, sfrecciò nel corridoio così in fretta che i ritratti gli borbottarono rimproveri, salì un’altra rampa di scale e fece irruzione in infermeria con la violenza di un uragano, strappando un grido di spavento a Madama Chips, che stava infilando un cucchiaio pieno di un liquido blu elettrico nella bocca aperta di Montague.
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«Potter, che cosa credi di fare?»
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«Devo vedere la professoressa McGranitt» ansimò Harry, i polmoni in fiamme. «Subito… è urgente!»
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«Non è qui, Potter» rispose mesta Madama Chips. «L’hanno trasferita al San Mungo stamattina. Quattro Schiantesimi in pieno petto alla sua età? C’è da stupirsi che non l’abbiano uccisa».
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«Non è… qui?» balbettò Harry, sotto shock.
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L’improvviso squillo della campanella fu seguito dal rombo lontano degli studenti che si riversavano nei corridoi sopra e sotto di lui. Rimase immobile, fissando Madama Chips a occhi sbarrati. Si sentì invadere dal terrore.
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Non gli era rimasto nessuno. Silente se n’era andato, Hagrid se n’era andato, ma Harry credeva che la professoressa McGranitt sarebbe sempre stata lì, irascibile e inflessibile, forse, ma affidabile.
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«Non mi stupisce che tu sia sconvolto, Potter» disse Madama Chips con una sorta di fiera approvazione. «Nessuno di loro sarebbe mai riuscito a Schiantare Minerva McGranitt faccia a faccia e alla luce del giorno! Una vigliaccheria, ecco cos’è stata… una vigliaccheria vergognosa… se non temessi quello che potrebbe succedervi senza di me, mi dimetterei per protesta».
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«Sì» mormorò Harry con voce atona.
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Uscì alla cieca nel corridoio affollato, dove rimase inerte, sballottato dalla folla, mentre il panico lo invadeva come un gas velenoso e la sua testa sembrava galleggiare, incapace di pensare al da farsi…
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Ron e Hermione, gli disse una voce nella mente.
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Riprese a correre, scostando bruscamente chiunque gli bloccasse la strada, senza badare alle proteste. Ridiscese a capofitto due piani, ed era in cima alla scalinata di marmo quando li vide salire di corsa verso di lui.
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«Harry!» esclamò subito Hermione, con aria spaventata. «Che cosa è successo? Stai bene? Stai male?»
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«Dove sei stato?» chiese Ron.
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«Venite» disse in fretta Harry. «Devo dirvi una cosa».
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Li precedette nel corridoio del primo piano, affacciandosi in tutte le aule finché ne trovò una vuota; vi si tuffò dentro, non appena furono entrati chiuse la porta alle loro spalle e vi appoggiò contro la schiena.
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«Voldemort ha preso Sirius».
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«Che cosa?»
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«Come fai a…?»
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«L’ho visto. Poco fa. Quando mi sono addormentato durante l’esame».
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«Ma… ma dove? Come?» domandò Hermione, pallidissima.
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«Non lo so. Però so esattamente dove si trova. Nell’Ufficio Misteri c’è una stanza piena di scaffali carichi di sfere di vetro, e loro sono alla fine della fila novantasette… sta cercando di costringere Sirius a prendere qualcosa là dentro… lo sta torturando… ha detto che alla fine lo ucciderà!»
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Scoprì che la voce gli tremava quanto le ginocchia. Si avvicinò a un banco e si sedette, tentando di controllarsi.
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«Come facciamo ad arrivare là?» chiese.
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Seguì un momento di silenzio. Poi Ron disse: «A… arrivare?»
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«All’Ufficio Misteri! Per salvare Sirius!» Harry alzò la voce.
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«Ma… Harry…» balbettò Ron, incerto.
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«Che cosa c’è? Che cosa c’è?»
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Non riusciva a capire perché lo fissavano tutti e due a bocca aperta, come se stesse dicendo qualcosa di assurdo.
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«Harry…» cominciò Hermione timorosa, «be’… come… come ha fatto Voldemort a entrare al Ministero della Magia senza che nessuno se ne accorgesse?»
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«Che ne so? La domanda giusta è come facciamo a entrarci noi!»
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«Ma… Harry, rifletti» insisté Hermione, muovendo un passo verso di lui, «sono le cinque del pomeriggio… il Ministero della Magia dev’essere pieno di impiegati… com’è possibile che Voldemort e Sirius siano entrati senza farsi vedere? Harry… probabilmente sono i due maghi più ricercati del mondo… credi che possano entrare in un palazzo pieno di Auror senza farsi notare?»
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«Non lo so, Voldemort avrà usato un Mantello dell’Invisibilità o roba del genere! E l’Ufficio Misteri è sempre stato vuoto ogni volta che ci sono entrato…»
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«Tu non ci sei mai entrato, Harry» disse Hermione piano. «Tu l’hai sognato, tutto qui».
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«Non sono sogni normali!» urlò Harry, alzandosi e facendo un passo verso di lei. Avrebbe voluto scrollarla. «Come spieghi la faccenda del padre di Ron, eh? Come facevo a sapere che cosa gli era successo?»
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«Ha ragione» bisbigliò Ron, fissando Hermione.
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«Ma è così… così improbabile!» esclamò lei disperata. «Harry, come ha fatto Voldemort a catturare Sirius, che è sempre stato rinchiuso in Grimmauld Place?»
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«Magari era stufo di restare là dentro ed è uscito a prendere una boccata d’aria» suggerì Ron, teso. «È un secolo che muore dalla voglia di mettere il naso fuori…»
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«Ma perché?» insisté Hermione. «Perché Voldemort vuole usare Sirius per prendere quell’arma, o quello che è?»
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«Non lo so, possono esserci un sacco di ragioni!» urlò Harry. «Forse Sirius è semplicemente qualcuno che Voldemort non ha problemi a torturare…»
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«Mi è appena venuta in mente una cosa» disse Ron con voce soffocata. «Il fratello di Sirius era un Mangiamorte, no? Avrà confidato a Sirius come fare per impadronirsi di quell’arma!»
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«Sì… ecco perché Silente continuava a raccomandare a Sirius di restare chiuso in casa!» disse Harry.
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«Sentite, mi dispiace» sbottò Hermione, «ma continuate a dire assurdità, e per giunta non abbiamo una sola prova che questa cosa sia vera, che Voldemort e Sirius siano laggiù…»
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«Hermione!» Ron si voltò di scatto a guardarla. «Harry li ha visti!»
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«E va bene» disse lei, con aria spaventata ma decisa. «Devo proprio dirlo…»
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«Dire che cosa?»
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«Tu… non è una critica, Harry! Ma tu… ecco… in un certo senso… non ti sembra di avere un po’ la mania di… be’… salvare la gente?»
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Harry la fulminò con lo sguardo.
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«Che cosa vorrebbe dire “la mania di salvare la gente”?»
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«Be’… ecco…» riprese Hermione, sempre più nervosa. «Sai… l’anno scorso, per esempio… nel lago… durante il Torneo… non avresti dovuto… insomma, non avevi bisogno di salvare la giovane Delacour… ti sei lasciato un po’… trascinare…»
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Harry si sentì attraversare da un’ondata di collera bruciante; come poteva ricordargli quell’errore clamoroso proprio in quel momento?
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«Voglio dire, è stato magnifico da parte tua, certo» proseguì Hermione in fretta, paralizzata dal suo sguardo feroce, «lo hanno pensato tutti…»
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«È buffo» disse Harry con voce tremante, «ricordo benissimo che Ron mi aveva accusato di aver perso tempo a fare l’eroe… È questo che pensi? Pensi che voglia fare di nuovo l’eroe?»
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«No, no, no!» protestò Hermione. «Non è questo che voglio dire!»
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«Allora parla chiaro, perché stiamo perdendo tempo!» urlò Harry.
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«Sto cercando di dire… Voldemort ti conosce, Harry! È come quando ha trascinato Ginny nella Camera dei Segreti per attirarti, lui fa questo genere di cose… sa che sei il… il tipo di persona che correrebbe in aiuto di Sirius! E se in realtà volesse te nell’Ufficio Miste…?»
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«Hermione, non m’importa se l’ha fatto per attirarmi oppure no… la McGranitt è al San Mungo, a Hogwarts non è rimasto nessuno dell’Ordine a cui possa rivolgermi, e se non andiamo Sirius morirà!»
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«Ma Harry… e se il tuo sogno fosse… be’, soltanto un sogno?»
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Harry esplose in un ruggito di frustrazione che la fece indietreggiare.
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«Allora proprio non capisci!» le urlò contro. «Non sono incubi! Non sono sogni normali! A cosa credi che servissero tutte quelle lezioni di Occlumanzia? Perché Silente ci teneva tanto che imparassi a bloccare la mente? Perché i miei sogni sono VERI! Sirius è in trappola, l’ho visto. Voldemort l’ha catturato e nessun altro lo sa, e questo vuol dire che siamo i soli a poterlo salvare, e se non volete aiutarmi, d’accordo, ma io andrò da lui, capito? E se ricordo bene, non avete avuto problemi con la mia mania di salvare la gente quando ho salvato te dai Dissennatori, o…» e si voltò a guardare Ron, «…tua sorella dal Basilisco…»
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«Non ho mai detto che avevo problemi, io!» protestò ardente Ron.
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«Ma Harry, lo hai appena detto tu» sbottò Hermione, «Silente voleva che tu bloccassi queste visioni. E se avessi imparato Occlumanzia come si deve, non avresti mai visto questo…»
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«SE CREDI CHE POSSA FAR FINTA DI NON AVER VISTO…»
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«Anche Sirius ha detto che dovevi assolutamente bloccare la mente!»
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«BE’, IMMAGINO CHE LA PENSEREBBE IN UN ALTRO MODO, SE SAPESSE QUELLO CHE HO APPENA…»
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La porta dell’aula si aprì, facendoli voltare di scatto tutti e tre. Ginny entrò con aria incuriosita, seguita da Luna, che come al solito sembrava essere capitata lì per caso.
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«Ciao» disse Ginny, esitante. «Abbiamo riconosciuto la voce di Harry. Che cos’hai da urlare?»
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«Non sono affari tuoi» rispose brusco Harry.
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Ginny alzò le sopracciglia.
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«Non c’è bisogno che usi quel tono con me» replicò gelida. «Mi chiedevo solo se potevo aiutarti».
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«Be’, non puoi».
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«Sei davvero scortese, sai» osservò imperturbabile Luna.
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Harry si voltò soffocando un’imprecazione. Ci mancava solo Luna Lovegood.
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«Un momento» disse all’improvviso Hermione. «Harry, loro possono aiutarci».
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Harry e Ron la fissarono.
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«Ascoltate» proseguì in fretta. «Harry, dobbiamo scoprire se Sirius ha davvero lasciato il Quartier Generale».
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«Ti ho detto che l’ho visto…»
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«Harry, ti supplico!» esclamò disperata Hermione. «Per favore, prima di scaraventarci a Londra controlliamo se Sirius è in casa. Ti prego! Se scopriamo che non c’è, giuro che non cercherò di fermarti. Verrò con te, farò… qualunque cosa sia necessaria per salvarlo».
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«Voldemort lo sta torturando ORA!» urlò Harry. «Non c’è tempo da perdere».
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«E se fosse tutto un trucco di Voldemort, Harry? Dobbiamo controllare. Dobbiamo!»
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«Ma come?» chiese Harry. «Come facciamo a controllare?»
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«Useremo il camino della Umbridge» rispose Hermione, chiaramente atterrita al solo pensiero. «Faremo in modo di allontanarla di nuovo dal suo ufficio, però ci serve qualcuno che faccia da palo… qualcuno come Ginny e Luna».
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Anche se era evidente che stava ancora cercando di capire che cosa succedeva, Ginny accettò subito e Luna chiese: «Quando dite “Sirius”, vi riferite a Stubby Boardman?»
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Nessuno le rispose.
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«D’accordo» disse Harry in tono aggressivo. «D’accordo, se riesci a trovare un modo per farlo alla svelta, sono con te; altrimenti andrò subito all’Ufficio Misteri».
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«L’Ufficio Misteri?» domandò Luna, con vaga sorpresa. «E come pensi di entrarci?»
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Ancora una volta, Harry la ignorò.
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«Bene». Hermione prese a camminare avanti e indietro fra i banchi, torcendosi le mani. «Bene… vediamo… qualcuno di noi deve andare dalla Umbridge e… e spedirla dalla parte sbagliata, il più lontano possibile dall’ufficio. Potrebbe dirle… non so… che Pix sta combinando qualche disastro come al solito…»
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«Ci vado io» si offrì subito Ron. «Le dirò che sta distruggendo il Dipartimento di Trasfigurazione, che è a chilometri dal suo. Adesso che ci penso, se strada facendo incontrassi Pix, potrei convincerlo a distruggerlo per davvero».
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Il fatto che Hermione non protestasse alla proposta di fare a pezzi il Dipartimento di Trasfigurazione era un chiaro indizio della gravità del momento.
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«Bene» annuì, aggrottando la fronte, senza interrompere il suo andirivieni fra i banchi. «E dobbiamo anche tenere gli altri studenti alla larga dal suo ufficio, perché non ci vedano entrare, altrimenti qualche Serpeverde si precipiterà a farle una soffiata».
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«Io e Luna possiamo metterci ai due capi del corridoio» propose Ginny, «e avvertire tutti di non passare perché qualcuno lo ha riempito di Gas Strozzante». Hermione sembrò sorpresa dalla prontezza di quella bugia; Ginny scrollò le spalle e disse: «Prima di andarsene, Fred e George lo stavano progettando davvero».
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«Bene» riprese Hermione. «Allora, Harry, noi due useremo il Mantello dell’Invisibilità per intrufolarci nell’ufficio, tu parlerai con Sirius…»
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«Non lo troverò, Hermione!»
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«Voglio dire che potrai… potrai controllare se è a casa oppure no, mentre io monto la guardia. Non credo che dovresti entrare da solo. Lee ha già dimostrato che la finestra è un punto debole, facendoci passare gli Snasi».
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Per quanto furioso e impaziente, Harry dovette riconoscere che l’offerta di Hermione di entrare insieme a lui nell’ufficio della Umbridge era una prova di solidarietà e lealtà.
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«Io… d’accordo, grazie» borbottò.
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«Allora, be’, in tutto non credo che avremo più di cinque minuti» disse Hermione, sollevata all’idea che Harry avesse accettato il piano. «Con Gazza e la Squadra d’Inquisizione in giro…»
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«Cinque minuti basteranno» disse Harry. «Muoviamoci…»
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«Adesso?» esclamò Hermione, spaventata.
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«Adesso, sì!» ribatté Harry con rabbia. «Che cosa pensavi, di aspettare dopo cena? Voldemort sta torturando Sirius in questo momento!»
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«Io… oh, va bene» disse lei, disperata. «Vai a prendere il Mantello dell’Invisibilità, ci troviamo all’inizio del corridoio della Umbridge, d’accordo?»
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Senza rispondere, Harry corse fuori dall’aula e cominciò a farsi largo nella folla che riempiva i corridoi. Due piani più sopra incrociò Seamus e Dean, che lo salutarono allegramente e gli dissero che stavano organizzando nella sala comune una festa dal tramonto all’alba per celebrare la fine degli esami. Harry quasi non li sentì. Varcò il buco del ritratto mentre loro ancora discutevano su quanta Burrobirra dovevano procurarsi al mercato nero; e prima che si accorgessero che era sparito, era già di ritorno col Mantello deU’Invisibilità e il coltello di Sirius al sicuro nella borsa.
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«Ci metti un paio di galeoni anche tu, Harry? Harold Dingle ci può vendere un po’ di Whisky Incendiario…»
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Ma ormai Harry era già lontano nel corridoio, e pochi minuti dopo faceva a balzi gli ultimi gradini per raggiungere Ron, Hermione, Ginny e Luna, in fondo al corridoio della Umbridge.
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«Ho tutto» annunciò. «Siamo pronti?»
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«D’accordo» sussurrò Hermione, mentre passava una banda di chiassosi studenti del sesto anno. «Allora, Ron: tu fai allontanare la Umbridge… Ginny e Luna: voi due cominciate a mandare via la gente dal corridoio… Io e Harry ci nascondiamo sotto il Mantello e aspettiamo di avere via libera…»
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Ron si allontanò in fretta, i capelli rossi come una macchia ardente, visibile sino alla fine del corridoio, mentre la testa altrettanto fiammante di Ginny, seguita da quella bionda di Luna, filava in direzione opposta facendosi largo fra gli studenti accalcati.
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«Forza» sussurrò Hermione. Afferrò Harry per un polso e lo trascinò in una nicchia, dove il brutto busto di pietra di un mago medioevale borbottava incantesimi fra sé dall’alto di una colonna. «Sei… sei sicuro di star bene, Harry? Sei ancora molto pallido».
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«Sto benissimo» rispose lui brusco, e trasse dalla borsa il Mantello dell’Invisibilità. A dire il vero la cicatrice gli bruciava, ma non tanto da fargli pensare che Voldemort avesse già inferto a Sirius il colpo mortale; era stato molto peggio quando Voldemort aveva punito Avery…
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«Ecco» disse, coprendo entrambi col Mantello dell’Invisibilità. Rimasero immobili, le orecchie tese, sforzandosi d’ignorare il borbottio in latino del busto davanti a loro.
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«Non potete passare di qui!» sentirono Ginny annunciare alla folla. «No, mi dispiace, ma dovrete usare la scala girevole, qualcuno ha riempito il corridoio di Gas Strozzante…»
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Molti studenti protestarono, e una voce scorbutica disse: «Io non vedo nessun gas».
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«È incolore» rispose Ginny, con un convincente tono esasperato, «ma se vuoi passare lo stesso, prego, così potremo mostrare il tuo cadavere al prossimo idiota che non ci crede».
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Lentamente, la folla si disperse. A quanto pareva, la notizia del Gas Strozzante doveva essersi diffusa, perché gli studenti giravano alla larga. «Credo che sia il meglio che possiamo ottenere, Harry» bisbigliò Hermione quando la via fu abbastanza libera. «Dài, andiamo».
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Avanzarono, coperti dal Mantello. Passarono alle spalle di Luna, immobile al capo opposto del corridoio. «Bel lavoro» sussurrò Hermione superando Ginny. «E non dimenticare il segnale».
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«Qual è il segnale?» borbottò Harry mentre si avvicinavano alla porta della Umbridge.
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«Se la vedono arrivare, attaccano Perché Weasley è il nostro re» rispose Hermione. Intanto Harry stava infilando la lama del coltello di Sirius nella fessura fra la porta e il muro. La serratura scattò, e un attimo dopo erano dentro.
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I soliti micetti leziosi si crogiolavano sui piatti illuminati dal sole del tardo pomeriggio, ma per il resto l’ufficio era deserto, come l’ultima volta. Hermione trasse un sospiro di sollievo.
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«Temevo che dopo il secondo Snaso avesse aumentato le misure di sicurezza».
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Si tolsero il Mantello. Hermione si mise accanto alla finestra, tenendosi nascosta, scrutando i prati, con la bacchetta pronta. Harry scattò verso il camino, afferrò la scatolina di Polvere Volante e ne gettò un pizzico nel focolare, facendovi esplodere fiamme smeraldine. Senza perdere tempo, s’inginocchiò, infilò la testa nel fuoco danzante e gridò: «Grimmauld Place, numero dodici!»
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Le ginocchia rimasero saldamente piantate sul freddo pavimento dell’ufficio e la testa prese a girargli come se fosse appena sceso da una giostra. Tenne gli occhi serrati per evitare che si riempissero di cenere, e quando il vortice si fermò li riaprì, davanti alla lunga, fredda cucina di Grimmauld Place.
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Non c’era nessuno. Se l’era aspettato, ma non era preparato all’ondata di terrore e panico che la vista della stanza deserta gli suscitò nello stomaco.
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«Sirius?» gridò. «Sirius, ci sei?»
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La sua voce echeggiò nella cucina, ma la sola risposta fu un fruscio alla destra del camino.
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«Chi c’è?» urlò, chiedendosi se era soltanto un topo.
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Kreacher l’elfo domestico si fece avanti. Era di ottimo umore, anche se a quanto pareva si era procurato da poco una brutta ferita a tutt’e due le mani, coperte da grosse bende.
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«C’è la testa del giovane Potter nel camino» annunciò alla cucina deserta, lanciando a Harry occhiate furtive e stranamente trionfanti. «Che cosa sarà venuto a fare, si chiede Kreacher?»
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«Dov’è Sirius, Kreacher?» chiese Harry.
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L’elfo sbottò in una risatina sibilante.
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«Il padrone è uscito, Harry Potter».
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«Dov’è? Dov’è andato, Kreacher?»
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Di nuovo, Kreacher si limitò a ridacchiare.
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«Ti avverto!» lo minacciò Harry, pur rendendosi conto che da dove si trovava la possibilità di infliggere una punizione a Kreacher era inesistente. «Dov’è Lupin? E Malocchio? C’è qualcuno di loro qui?»
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«Nessuno qui! Solo Kreacher!» rispose giulivo l’elfo. Voltò le spalle a Harry e si diresse lentamente verso la porta della cucina. «Adesso Kreacher andrà a chiacchierare con la padrona, sì sì, è un pezzo che non lo fa, il padrone lo teneva lontano da lei…»
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«Dov’è Sirius?» gli urlò dietro Harry. «Kreacher! È andato all’Ufficio Misteri?»
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Kreacher si fermò. Harry riusciva appena a distinguerne la testa calva attraverso la foresta di gambe di sedie davanti a lui.
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«Il padrone non dice al povero Kreacher dove va» rispose piano l’elfo.
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«Ma tu lo sai!» urlò Harry. «È vero? Tu sai dov’è!»
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Dopo un breve silenzio, l’elfo esplose in un chiassoso risolino.
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«Il padrone non torna più dall’Ufficio Misteri!» annunciò tutto allegro. «Kreacher e la sua padrona sono di nuovo soli!»
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E zampettò oltre la porta, nell’ingresso.
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«Razza di…!»
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Ma prima di poter pronunciare una qualunque maledizione o insulto, Harry provò un dolore acutissimo alla testa; la cenere gli riempì i polmoni e, tossendo, fu trascinato indietro fra le fiamme per trovarsi all’improvviso di fronte alla faccia larga e pallida della professoressa Umbridge, che lo aveva afferrato per i capelli e gli torceva il collo all’indietro come se volesse tagliargli la gola.
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«Credeva forse» sussurrò, piegandogli la testa al punto da costringerlo a fissare il soffitto, «che dopo due Snasi avrei permesso a un’altra orrenda bestiaccia di entrare nel mio ufficio? Ho piazzato Incantesimi Sensori Segreti tutt’attorno alla porta, sciocco ragazzo. Gli prenda la bacchetta» latrò a qualcuno che Harry non poteva vedere, e subito una mano gli frugò nella tasca interna della veste e se ne impadronì. «E anche la sua».
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Un certo trambusto vicino alla porta fece capire a Harry che avevano appena strappato la bacchetta anche a Hermione.
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«Voglio sapere perché è entrato nel mio ufficio» ringhiò la Umbridge, scuotendo il pugno che gli stringeva i capelli con tanta forza da farlo barcollare.
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«Volevo… volevo prendere la mia Firebolt!» gracchiò Harry.
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«Bugiardo». Gli scrollò di nuovo la testa. «Sa benissimo che la sua Firebolt è sotto chiave nei sotterranei. Aveva la testa nel camino. Con chi cercava di mettersi in contatto?»
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«Con nessuno…» Harry tentò di liberarsi, e sentì parecchi capelli congedarsi dal suo cranio.
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«Bugiardo!» urlò la Umbridge. Lo scaraventò lontano, mandandolo a cozzare contro la scrivania. Hermione — adesso Harry poteva vederla — era stata inchiodata al muro da Millicent Bulstrode. Malfoy, appoggiato al davanzale, sogghignava lanciando per aria la bacchetta di Harry e riacciuffandola con una mano sola.
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Preceduti da un notevole parapiglia in corridoio, diversi robusti Serpeverde entrarono trascinandosi dietro Ron, Ginny, Luna e — con sbalordimento di Harry — Neville, che aveva un braccio di Tiger stretto attorno al collo e sembrava sul punto di soffocare. Tutti e quattro erano stati imbavagliati.
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«Presi tutti!» annunciò Warrington, spingendo brutalmente Ron nella stanza. «Lui» puntò un dito tozzo contro Neville, «ha cercato d’impedirmi di fermare quella» e indicò Ginny, che tentava di prendere a calci le gambe di una grossa ragazza di Serpeverde, «così ho catturato anche lui».
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«Bene bene» disse la Umbridge, osservando gli sforzi di Ginny. «A quanto pare fra poco a Hogwarts non resterà nemmeno un Weasley».
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Malfoy scoppiò in una fragorosa risata servile. Con un gran sorriso soddisfatto, la Umbridge si sistemò in una poltrona ricoperta di chintz a fiori e guardò i suoi prigionieri sbattendo le palpebre come un rospo in un’aiuola.
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«Allora, Potter» disse. «Ha piazzato un paio di sentinelle attorno al mio ufficio e ha mandato quell’idiota» accennò a Ron, il che fece ridere Malfoy perfino più forte, «a raccontarmi che il poltergeist combinava disastri nel Dipartimento di Trasfigurazione, mentre sapevo benissimo che era impegnato a sparare inchiostro sulle lenti di tutti i telescopi della scuola… come mi aveva appena riferito il signor Gazza. A quanto pare, aveva fretta di parlare con qualcuno. Con Albus Silente, forse? O con quell’ibrido… Hagrid? Dubito che si trattasse di Minerva McGranitt… ho sentito che sta troppo male per parlare con chiunque».
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Anche questo suscitò le risate di Malfoy e di alcuni compagni della Squadra d’Inquisizione. Harry si accorse di tremare di collera e di odio.
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«Non è affar suo, con chi parlo» ringhiò.
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La faccia molliccia della Umbridge parve irrigidirsi.
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«Molto bene» disse con la sua voce più pericolosa e più falsamente dolce. «Molto bene, signor Potter… le ho offerto la possibilità di confessare spontaneamente. Ha rifiutato. Non ho altra scelta. Draco… chiami il professor Piton».
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Malfoy s’infilò la bacchetta di Harry nella veste e uscì sogghignando, ma Harry quasi non vi badò. Si era appena reso conto di una cosa, e non riusciva a credere di essere stato così sciocco da non pensarci. Aveva creduto che tutti i membri dell’Ordine della Fenice, tutti coloro che potevano aiutarlo a salvare Sirius, se ne fossero andati… ma si era sbagliato. A Hogwarts ce n’era ancora uno: Piton.
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L’ufficio era silenzioso, a parte i suoni soffocati dei Serpeverde che cercavano di tenere fermi Ron e gli altri. Ron gocciolava sangue dal labbro sul tappeto della Umbridge mentre lottava per liberarsi dalla presa di Warrington; Ginny si sforzava ancora di prendere a calci la ragazza del sesto anno che le aveva bloccato le braccia in una morsa ferrea; Neville stava diventando sempre più paonazzo nel debole tentativo di allentare la stretta di Tiger attorno al suo collo; Hermione cercava invano di togliersi di dosso Millicent Bulstrode. Luna, invece, era immobile al fianco della Serpeverde che l’aveva catturata, e guardava distrattamente fuori dalla finestra, come se la faccenda non la riguardasse.
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Harry tornò a fissare la Umbridge, che lo studiava con attenzione, e tentò di restare impassibile quando Draco Malfoy rientrò e tenne aperta la porta per far passare Piton.
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«Voleva vedermi, signora Preside?» chiese Piton. Il suo sguardo scivolò indifferente sulle coppie di studenti che continuavano ad azzuffarsi.
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«Ah, professor Piton». La Umbridge si alzò sorridendo. «Sì, gradirei avere al più presto un’altra bottiglia di Veritaserum».
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«Ha usato l’ultima che avevo per interrogare Potter» rispose lui, osservandola gelido attraverso la cortina unticcia di capelli neri. «Non l’avrà consumato tutto? Le avevo spiegato che tre gocce sarebbero bastate».
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La Umbridge arrossì.
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«Ma può prepararne dell’altro, no?» insisté; la sua voce, come sempre quand’era furibonda, diventò ancora più leziosa.
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«Certo» rispose Piton, arricciando le labbra. «Dato che serve un intero ciclo lunare perché sia pronto, dovrei poterglielo consegnare più o meno fra un mese».
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«Un mese?» gracidò la Umbridge, gonfiandosi come un rospo. «Un mese? A me serve adesso, Piton! Ho appena sorpreso Potter che usava il mio camino per comunicare con una o più persone sconosciute!»
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«Ma davvero?» commentò Piton, mostrando il primo vago segno d’interesse mentre si voltava a guardare Harry. «Be’, non mi stupisce. Potter non ha mai avuto un’eccessiva inclinazione a seguire le regole della scuola».
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I suoi freddi occhi scuri trafissero Harry, che sostenne il suo sguardo, concentrandosi sulla visione avuta in sogno, desiderando che Piton gli leggesse la mente, che capisse…
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«Voglio interrogarlo ora!» urlò la Umbridge, e Piton distolse lo sguardo da Harry per fissarlo sulla grassa faccia tremolante di collera. «Desidero che lei mi fornisca subito una pozione che lo costringa a dire la verità!»
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«Gliel’ho già spiegato» replicò imperturbabile Piton. «La mia provvista di Veritaserum è finita. A meno che non voglia avvelenare Potter — e le assicuro che in tal caso avrebbe tutta la mia simpatia — non posso aiutarla. Purtroppo la maggior parte dei veleni agisce troppo in fretta e non lascia alla vittima il tempo di dire la verità».
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Piton tornò a guardare Harry, che tentava disperatamente di comunicare senza parole.
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Voldemort ha portato Sirius nell’Ufficio Misteri. Voldemort ha portato Sirius…
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«Lei è in verifica, se lo ricordi!» strillò la professoressa Umbridge, e Piton si voltò nuovamente verso di lei, inarcando appena le sopracciglia. «Mi sta ostacolando deliberatamente! Mi aspettavo di meglio: Lucius Malfoy parla sempre così bene di lei! Ora esca dal mio ufficio!»
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Piton le rivolse un inchino ironico e fece per andarsene. E con lui, Harry lo sapeva, se ne sarebbe andata l’ultima possibilità di far sapere all’Ordine che cos’era successo.
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«Ha preso Felpato!» urlò. «Ha portato Felpato nel posto dov’è nascosta!»
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Piton si bloccò, le dita già sulla maniglia della porta.
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«Felpato?» esclamò la professoressa Umbridge, lo sguardo avido che scorreva da Harry a Piton. «Che cos’è Felpato? Dov’è nascosta che cosa? Che cosa significa, Piton?»
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Piton si voltò. La sua espressione era imperscrutabile. Harry non sapeva se avesse capito oppure no, ma non osò parlare più chiaro davanti alla Umbridge.
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«Non ne ho la minima idea» rispose gelido Piton. «Potter, se mai mi venisse voglia di sentirmi urlare delle assurdità, ti somministrerò una Pozione Tartagliante. Tiger, per favore, allenta quella presa. Se Paciock soffoca, ci toccherà riempire una montagna di noiose scartoffie e temo che dovrei farne cenno nelle tue referenze, se mai tu cercassi lavoro».
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Uscì, chiudendosi la porta alle spalle e lasciando Harry in preda a un’angoscia ancora più acuta: Piton era stato la sua ultima speranza. Guardò la Umbridge, che pareva pensarla allo stesso modo, ansante per la rabbia e la delusione.
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«Benissimo» disse lei, ed estrasse la bacchetta. «Benissimo… Non ho scelta… non è una mera questione di disciplina scolastica… qui è in gioco la sicurezza del Ministero… sì… sì…»
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Sembrava che si volesse convincere a fare qualcosa. Passò nervosamente il peso da un piede all’altro, fissando Harry e picchiando la bacchetta contro il palmo vuoto, il respiro affannoso. Harry si sentì orribilmente impotente senza la propria bacchetta.
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«È lei che mi costringe, Potter… io non vorrei» continuò a borbottare, dimenandosi inquieta, «ma a volte le circostanze giustificano i mezzi… Il Ministro capirà che non avevo scelta…»
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Malfoy la fissava esaltato.
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«La Maledizione Cruciatus dovrebbe scioglierle la lingua» sussurrò la Umbridge.
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«No!» gridò Hermione. «Professoressa Umbridge… è illegale!»
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Ma la Umbridge non le badò. Aveva un’espressione eccitata, avida e maligna che Harry non le aveva mai visto. Levò la bacchetta.
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«Professoressa!» gridò ancora Hermione. «Il Ministro non vuole che lei infranga la legge!»
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«Se Cornelius non saprà, non soffrirà» replicò la Umbridge, puntando ansante la bacchetta contro diversi punti del corpo di Harry, come per decidere dove gli avrebbe fatto più male. «Per esempio, non ha mai saputo che avevo ordinato ai Dissennatori di attaccare Potter l’estate scorsa, ma è stato ben felice di cogliere al volo l’opportunità di espellerlo».
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«È stata lei?» esclamò Harry. «Lei ha mandato i Dissennatori contro di me?»
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«Qualcuno doveva agire» esalò la Umbridge, puntandogli decisa la bacchetta contro la fronte. «Continuavano a belare che bisognava chiudere la bocca a Harry Potter… screditarlo… ma io sono stata l’unica a fare qualcosa… quella volta è riuscito a scamparla, vero, Potter? Ma non oggi, non ora…» Prese fiato e gridò: «Cru…»
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«No!» urlò Hermione con voce rotta, ancora bloccata da Millicent Bulstrode. «No… Harry… dobbiamo dirglielo!»
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«No!» urlò di rimando Harry, fissando quel poco di Hermione che riusciva a vedere.
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«Ma Harry! Te lo tirerà fuori comunque! A… a che cosa serve resistere?»
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Di colpo, Hermione scoppiò a piangere sulle spalle di Millicent Bulstrode, che smise di tenerla spiaccicata contro il muro e si allontanò di scatto con aria disgustata.
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«Bene, bene, bene!» gongolò la Umbridge. «La nostra Saputella ci darà qualche risposta! Su, ragazza, parli!»
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«E… mi… one… no!» biascicò Ron attraverso il bavaglio.
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Ginny fissava Hermione allibita; e così Neville, che ancora tossiva per riprendere fiato. Ma Harry aveva appena notato qualcosa: benché Hermione singhiozzasse disperata col viso nascosto nelle mani, fra le sue dita non si vedeva traccia di lacrime.
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«Mi… mi dispiace tanto» disse lei. «Ma proprio… non posso sopportarlo…»
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«Va bene, va bene, ragazza!» La Umbridge la prese per le spalle, la scaraventò sulla poltrona di chintz vuota e si chinò su di lei. «Allora… con chi parlava Potter poco fa?»
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«Ecco…» balbettò Hermione, sempre con il volto tra le mani. «Be’… tentava di parlare col professor Silente».
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Ron si immobilizzò e sgranò gli occhi; Ginny smise di attentare ai piedi della Serpeverde; e perfino Luna parve vagamente stupita. Per fortuna la Umbridge e i suoi compari erano troppo concentrati su Hermione per notare quei segni sospetti.
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«Silente?» sussurrò avida la Umbridge. «Sapete dove si trova, allora?»
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«Be’… no!» singhiozzò Hermione. «Abbiamo provato al Paiolo Magico e ai Tre Manici di Scopa e anche alla Testa di Porco…»
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«Piccola idiota… Silente non può stare in un locale pubblico con tutto il Ministero sulle sue tracce!» urlò la Umbridge, la delusione incisa in ogni piega del viso flaccido.
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«Ma dovevamo dirgli una cosa importante!» balbettò Hermione, le mani ancor più serrate sul viso… non — capì Harry — per nascondere le lacrime, ma la loro mancanza.
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«Che cosa?» chiese la Umbridge, con un repentino guizzo di interesse. «Cos’è che volevate dirgli?»
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«Vo… volevamo dirgli che è pronta!» singhiozzò Hermione.
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«Che cosa?» La Umbridge la afferrò di nuovo per le spalle e la scrollò. «Cos’è che è pronto, ragazza?»
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«La… l’arma segreta!»
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«Arma?» Gli occhi della Umbridge sembravano pronti a schizzarle fuori dalle orbite. «Avete costruito un’arma? Da usare contro il Ministero? Su ordine di Silente, giusto?»
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«S-s-sì» ansimò Hermione, «ma lui se n’è andato prima che fosse pronta e o-o-ora che l’abbiamo finita n-n-non riusciamo a trovarlo!»
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«Che arma è?» chiese brusca la Umbridge, le dita tozze affondate nelle spalle di Hermione.
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«No-non capiamo bene come funziona» rispose Hermione, tirando su col naso fragorosamente. «Abbiamo… abbiamo solo fatto quello che il professore ci ha d-d-detto».
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La Umbridge si raddrizzò, esultante.
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«Mi accompagni subito nel posto dov’è nascosta quest’arma» ordinò.
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«A loro non la faccio vedere» strillò Hermione, sbirciando i Serpeverde fra le dita socchiuse.
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«Non sta a lei fissare le condizioni» le ricordò secca la Umbridge.
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«E va bene» disse Hermione, e riprese a piangere. «Va bene… li lasci venire… Spero che la usino contro di lei! Anzi, porti pure tutti a vederla! Le… le starebbe bene… sì, vorrei proprio che tutta… tutta la scuola sapesse dov’è, e come u-usarla, così se lei dà fastidio a qualcuno, la sistemeranno a dovere!»
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Questo parve colpire la Umbridge, che passò un rapido sguardo sospettoso sulla Squadra d’Inquisizione; i suoi occhi sporgenti si soffermarono su Malfoy, troppo lento a mascherare l’espressione bramosa che gli era comparsa sul viso.
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Per un altro lungo istante la Umbridge contemplò Hermione. «Va bene, mia cara» disse infine in quello che secondo lei era un tono materno, «andremo soltanto lei e io… e anche Potter, eh? In piedi!»
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«Professoressa» intervenne pronto Malfoy. «Qualcuno della Squadra dovrebbe venire con lei, per sorvegliare…»
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«Sono un funzionario abilitato dal Ministero, Malfoy… crede che non sappia badare da sola a due ragazzini privi di bacchetta?» replicò secca la Umbridge. «E per giunta non mi pare consigliabile che quest’arma sia vista da semplici studenti. Restate qui fino al mio ritorno, e assicuratevi che nessuno di costoro…» accennò a Ron, Ginny, Neville e Luna, «riesca a svignarsela».
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«Va bene» annuì Malfoy, immusonito e deluso.
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«Voi due, andate avanti e fatemi strada» ordinò la Umbridge, puntando la bacchetta contro Harry e Hermione. «Muovetevi».
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