«Non se n’è andato!» urlò Harry.
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Non ci credeva; non ci voleva credere; si divincolò con tutte le sue forze. Lupin non capiva: c’era gente nascosta dietro quella tenda, Harry li aveva sentiti bisbigliare la prima volta che era entrato nella stanza. Sirius si stava nascondendo per tendere un agguato…
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«SIRIUS!» urlò. «SIRIUS!»
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«Non può tornare, Harry» disse Lupin con voce spezzata, mentre lottava per trattenerlo. «Non può tornare perché è m…»
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«NON… È… MORTO!» ruggì Harry. «SIRIUS!»
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Attorno a loro c’era il caos, un tumulto vano, i lampi di altri incantesimi. Per Harry quel fracasso era privo di senso, inutili le maledizioni che sfrecciavano tutt’attorno: l’importante era solo che Lupin smettesse di fingere che Sirius — Sirius, che si trovava a pochi centimetri da loro, dietro quella vecchia tenda — non sarebbe ricomparso da un momento all’altro, scostando dal viso i capelli scuri, ansioso di riprendere a combattere.
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Lupin lo trascinò lontano dalla piattaforma. Harry, ancora con gli occhi incollati all’arco, era furioso con Sirius perché si faceva aspettare…
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Ma anche mentre continuava a divincolarsi, una parte di lui si rese conto che fino ad allora Sirius non lo aveva mai fatto aspettare… Sirius aveva rischiato tutto, sempre, per vederlo, per aiutarlo… se non era riapparso quando Harry aveva urlato il suo nome come se la sua vita ne dipendesse, la sola spiegazione possibile era che non poteva… che era davvero…
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Silente aveva raggruppato la maggior parte dei restanti Mangiamorte al centro della stanza, immobilizzandoli, a quel che pareva, con corde invisibili; zoppicando, Malocchio Moody aveva raggiunto Tonks e tentava di farla rinvenire; dietro la piattaforma ancora esplodevano lampi di luce, grugniti e grida… Kingsley si era sostituito a Sirius nel duello con Bellatrix.
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«Harry?»
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Neville era arrivato, scivolando da un gradino di pietra all’altro. Harry aveva smesso di lottare con Lupin, che però continuava a stringergli il braccio.
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«Harry… bi disbiace…» Le gambe di Neville continuavano a sussultare convulse. «Quello… Black… era amigo duo?»
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Harry annuì.
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«Aspetta» mormorò Lupin, e puntando la bacchetta contro le gambe di Neville disse: «Finitus». L’incantesimo cessò: le gambe di Neville si fermarono. Lupin era pallido. «Andiamo… andiamo a cercare gli altri. Dove sono, Neville?»
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Parlando, voltò le spalle all’arco. Sembrava che ogni parola lo facesse soffrire.
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«Duddi là dendro» rispose Neville. «Un cebbello ha addaggado Ron ma adescio penscio che sdia bene… Hebbione è sbeduda, ma le abbiamo sendido il polscio…»
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Dietro la pedana risuonarono uno schianto e un grido. Harry vide Kingsley cadere urlando di dolore; Bellatrix Lestrange girò sui tacchi e fuggì; Silente si voltò subito per lanciarle un incantesimo che però lei riuscì a parare: ormai era a metà dei gradini…
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«Harry… no!» gridò Lupin, ma Harry si era già liberato della sua stretta.
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«HA UCCISO SIRIUS!» urlò. «LO HA UCCISO… E IO UCCIDERÒ LEI!»
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E scattò; risalì a balzi le panche di pietra, incurante delle urla alle sue spalle. L’orlo della veste di Bellatrix scomparve con un guizzo davanti a lui, e di nuovo furono nella stanza dove nuotavano i cervelli…
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Lei scagliò una maledizione al di sopra della spalla. La vasca si sollevò e s’inclinò. Harry fu inondato dal liquido puzzolente: i cervelli gli caddero addosso, srotolando i lunghi tentacoli colorati, ma gli bastò urlare «Wingardium Leviosa!» per farli volare via. Scivolando e sbandando, corse verso la porta; superò con un balzo Luna che gemeva sul pavimento, Ginny che gridò: «Harry… cosa…?», Ron che ridacchiava piano e Hermione, ancora svenuta. Spalancò la porta che dava nel nero atrio circolare e vide Bellatrix sparire in quella di fronte; davanti a lei c’era il corridoio che portava agli ascensori.
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Corse, ma lei si chiuse con violenza la porta alle spalle e le pareti ripresero a ruotare. Ancora una volta i candelabri roteanti tracciarono strisce di luce azzurra tutt’attorno.
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«Dov’è l’uscita?» urlò disperato, quando la parete si fermò rombando. «Da che parte si esce?»
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Come se avesse atteso solo quella domanda, la porta di fronte si spalancò, mostrando il corridoio degli ascensori, illuminato dalle torce, vuoto. Corse…
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Davanti a sé sentì lo sferragliare di un ascensore; sfrecciò nel corridoio, svoltò l’angolo e schiacciò col pugno il pulsante per chiamarne un altro, che arrivò traballando e cigolando; la grata si aprì e Harry si tuffò dentro, premendo il pulsante con la scritta Atrium. La grata si richiuse e l’ascensore prese a salire…
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Ne uscì prima ancora che si fosse completamente riaperto e si guardò attorno. Bellatrix aveva quasi raggiunto la cabina telefonica all’altro capo dell’ingresso, ma mentre lui si lanciava all’inseguimento, lei si voltò e gli scagliò un’altra maledizione. Harry si tuffò dietro la fontana dei Magici Fratelli, e l’incantesimo colpì sibilando i cancelli d’oro battuto, facendoli rintoccare come campane. Il suono di passi cessò. Bellatrix si era fermata. Harry si rannicchiò dietro le statue, in ascolto.
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«Vieni fuori, vieni fuori, piccolo Harry!» lo chiamò lei con la solita beffarda voce infantile. «Perché mi hai seguito, altrimenti? Credevo che volessi vendicare il mio caro cugino!»
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«E lo farò!» urlò Harry, e una serie di Harry spettrali parvero ripetere in coro Lo farò! Lo farò! Lo farò!
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«Aaaaaah… Gli volevi bene, vero, Potterino?»
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Un odio mai provato sommerse Harry, spingendolo a lasciare il riparo della fontana. «Crucio!» gridò.
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Bellatrix strillò e cadde, ma non si contorse né urlò di dolore come Neville… eccola di nuovo in piedi, ansante, senza più ridere. Harry tornò dietro la fontana dorata proprio mentre il controincantesimo di Bellatrix colpiva la testa del mago, che volò via e atterrò sei metri più in là, scavando lunghi solchi nel pavimento di legno.
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«Non avevi mai usato una Maledizione Senza Perdono, vero, ragazzo?» sbraitò. Aveva abbandonato la vocetta infantile. «Devi volerlo, Potter! Devi voler provocare dolore… goderne… una giusta collera non può farmi male per molto… ma ti insegnerò io come si fa, d’accordo? Ti darò una lezione…»
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Harry stava girando cauto intorno alla fontana quando Bellatrix urlò «Crucio!», costringendolo a tuffarsi di nuovo al riparo mentre il braccio del centauro, quello che reggeva l’arco, schizzava via e atterrava con uno schianto poco lontano dalla testa dorata del mago.
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«Potter, non puoi vincere contro di me!» gridò Bellatrix.
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Harry la sentì muoversi sulla destra, per cercare un punto da dove tenerlo sotto tiro. Girò attorno alla statua, lontano da lei, e si rannicchiò dietro le gambe del centauro, la testa all’altezza di quella dell’elfo domestico.
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«Io ero e sono la serva più fedele dell’Oscuro Signore. Da lui ho appreso le Arti Oscure e incantesimi tanto potenti che tu, patetico ragazzino, nemmeno puoi sognarti di affrontare…»
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«Stupeficium!» Harry si era spostato dietro il goblin che sorrideva estatico all’ormai decapitato mago, e le aveva puntato la bacchetta alla schiena mentre lei tendeva il collo per guardare dietro la fontana. Bellatrix reagì così rapidamente che Harry ebbe a stento il tempo di schivare il colpo.
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«Protego!»
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Il getto di luce rossa del suo stesso Schiantesimo gli rimbalzò contro, costringendolo a buttarsi ancora dietro la fontana. Un orecchio del goblin attraversò al volo la stanza.
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«Potter, ti darò una possibilità!» urlò Bellatrix. «Dammi la profezia… fai rotolare la sfera verso di me… e forse ti risparmierò la vita!»
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«Be’, allora dovrai uccidermi, perché la profezia non c’è più!» urlò di rimando Harry, e in quell’istante un dolore acutissimo gli lacerò la fronte; la cicatrice era di nuovo in fiamme, e per un attimo si sentì soffocare da una collera non sua. «E lui lo sa!» esclamò, con una risata folle, simile a quella di Bellatrix. «Il tuo caro vecchio amico Voldemort sa che non c’è più! E la cosa non gli farà piacere, non trovi?»
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«Cosa? Che vuoi dire?» gridò lei. Per la prima volta, nella sua voce c’era una nota di paura.
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«La sfera si è rotta quando tentavo di trascinare Neville su per i gradini! Come credi che la prenderà, Voldemort?»
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La cicatrice scottava, bruciava… un male atroce che gli fece salire le lacrime agli occhi…
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«BUGIARDO!» strillò Bellatrix, ma ormai dietro la collera si sentiva il terrore. «CE L’HAI TU, POTTER, E ME LA CONSEGNERAI! Accio profezia! Accio PROFEZIA!»
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Lottando contro il dolore terribile che quasi gli spaccava il cranio, Harry rise di nuovo, perché sapeva che questo l’avrebbe fatta infuriare ancora di più. Rimase al riparo del goblin con l’orecchio mozzato, agitò la mano vuota e la ritrasse in fretta quando lei gli scagliò contro un altro getto di luce verde.
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«Niente!» le gridò. «Niente di niente! Si è rotta, e nessuno ha sentito che cosa diceva… vallo a raccontare al tuo capo!»
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«No!» urlò lei. «Non è vero, tu menti! PADRONE, CI HO PROVATO, HO TENTATO… NON PUNITEMI…»
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«Non sprecare il fiato!» gridò Harry, stringendo gli occhi nello sforzo di resistere alla fitta lancinante. «Qui non ti può sentire!»
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«Non posso, Potter?» disse una voce acuta e gelida.
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Harry sbarrò gli occhi, impietrito.
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Alto, emaciato, avvolto in un manto nero col cappuccio, l’orrida faccia da rettile bianca e scarna, gli occhi scarlatti dalle pupille verticali fissi su di lui… Lord Voldemort era apparso nell’ingresso, la bacchetta puntata contro Harry, che rimase paralizzato.
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«E così hai rotto la mia profezia?» chiese a voce bassa, scrutandolo con gli spietati occhi rossi. «No, Bella, non dice il falso… vedo la verità nella sua mente indegna… mesi di preparativi, mesi di sforzi… e ancora una volta i miei Mangiamorte hanno permesso a Harry Potter di tagliarmi la strada…»
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«Padrone, mi dispiace, non sapevo, stavo combattendo l’Animagus Black!» singhiozzò Bellatrix, gettandosi ai piedi di Voldemort che avanzava lentamente. «Padrone, voi lo sapete…»
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«Taci» ordinò minaccioso Voldemort. «Con te farò i conti fra poco. Credi che sia venuto al Ministero della Magia per ascoltare le tue scuse e i tuoi piagnistei?»
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«Ma Padrone… lui è qui… è sotto…»
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Voldemort non le badò.
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«Non ho altro da dirti, Potter» disse piano. «Mi hai infastidito anche troppo, e per troppo tempo. AVADA KEDAVRA!»
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Harry non tentò nemmeno di difendersi: aveva la mente vuota, la bacchetta inerte rivolta contro il pavimento.
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Ma d’un tratto la statua d’oro decapitata del mago prese vita e balzò giù dal piedistallo per atterrare fra Harry e Voldemort. La maledizione rimbalzò sul suo petto, respinta, mentre la statua spalancava le braccia per proteggere Harry.
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«Che cosa…?» urlò Voldemort, guardandosi attorno. E poi sussurrò: «Silente!»
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Harry si voltò, il cuore in gola. Silente era comparso davanti ai cancelli dorati.
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Voldemort levò la bacchetta e un altro getto di luce verde sfrecciò contro Silente, che si voltò e svanì con un guizzo del mantello. Un attimo dopo riapparve dietro Voldemort e agitò la bacchetta verso i resti della fontana. Le altre statue presero vita. Quella della strega corse verso Bellatrix — che urlando le lanciò invano un incantesimo dopo l’altro — e le saltò addosso, bloccandola sul pavimento. Il goblin e l’elfo domestico zampettarono vicino ai camini lungo la parete, e il centauro con un braccio solo galoppò verso Voldemort, che svanì per ricomparire accanto alla vasca. La statua senza testa spinse indietro Harry, lontano dalla battaglia, mentre Silente si avvicinava a Voldemort e il centauro dorato galoppava loro intorno.
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«Sei stato uno sciocco a venire qui stanotte, Tom» disse calmo Silente. «Gli Auror stanno per arrivare…»
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«Per allora io me ne sarò andato, e tu sarai morto!» sibilò Voldemort. Sparò contro Silente un altro incantesimo mortale, ma lo mancò e colpì invece il tavolo del guardiamago, che prese fuoco.
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Silente mosse appena la bacchetta: ne scaturì un incantesimo così forte che al suo passaggio Harry, benché protetto dal suo guardiano dorato, si sentì rizzare i capelli; stavolta per respingerlo Voldemort fu costretto a evocare dal nulla uno scintillante scudo argenteo. L’incantesimo, quale che fosse, non provocò danni visibili allo scudo, ma ne trasse un rintocco profondo simile a un gong: un suono stranamente agghiacciante.
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«Non vuoi uccidermi, Silente?» gridò Voldemort, gli occhi scarlatti socchiusi appena visibili oltre il bordo dello scudo. «Sei superiore a tanta brutalità, vero?»
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«Sappiamo entrambi che ci sono altri modi per distruggere un uomo, Tom» replicò tranquillo Silente, e avanzò verso di lui come se non avesse paura alcuna, come se nulla fosse successo a interrompere la sua passeggiata nell’Atrium. «Ammetto che non mi darebbe soddisfazione toglierti soltanto la vita…»
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«Niente è peggio della morte, Silente!» ringhiò Voldemort.
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«Ti sbagli» replicò Silente, continuando ad avvicinarsi e parlando in tono leggero, come se stessero facendo due chiacchiere davanti a un bicchiere. Vedendolo camminare così indifeso, privo di scudo, Harry ebbe timore; avrebbe voluto gridare un avvertimento, ma il suo guardiano senza testa continuava a tenerlo contro la parete, bloccando ogni suo tentativo di liberarsi. «In verità, l’incapacità di capire che esistono cose assai peggiori della morte è sempre stata la tua più grande debolezza…»
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Un altro zampillo di luce verde scaturì da dietro lo scudo argentato. Stavolta fu il centauro con un braccio solo che, galoppando davanti a Silente, ricevette il colpo ed esplose, ma prima ancora che i pezzi avessero toccato il pavimento, Silente ritrasse bacchetta e la mosse in avanti come una frusta. Una lunga fiamma sottile partì dalla punta e volò ad avvolgersi attorno a Voldemort e al suo scudo. Per un istante parve che Silente avesse vinto, ma di colpo la fune fiammeggiante diventò un serpente che subito lasciò andare Voldemort e si voltò sibilando verso il suo creatore.
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Voldemort scomparve; il serpente si drizzò, pronto a colpire…
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A mezz’aria sopra Silente esplose una vampata, e Voldemort ricomparve sul piedistallo al centro della vasca, dove fino a poco prima si ergevano le cinque statue.
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«Attento!» gridò Harry, ma non aveva ancora finito di urlare che dalla bacchetta di Voldemort uscì un altro getto di luce verde contro Silente, e il serpente scattò…
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Fanny calò davanti a Silente, spalancò il becco e inghiottì lo zampillo verde: esplose in fiamme e cadde a terra, implume e raggrinzita. Nello stesso istante, la bacchetta di Silente si mosse in un unico, lungo gesto fluido; il serpente che stava per affondare le zanne nella sua carne volò per aria e svanì in una voluta di fumo nero, e l’acqua della vasca si levò a coprire Voldemort come un bozzolo di vetro fuso.
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Per qualche attimo, di Voldemort si videro solo i contorni scuri, increspati, una sagoma senza volto, luccicante e indistinta, che lottava per liberarsi dalla massa che lo soffocava…
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Di colpo svanì, e l’acqua ricadde di schianto nella vasca, traboccò oltre gli orli e invase il pavimento lucido.
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«PADRONE!» urlò Bellatrix.
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Ormai doveva essere tutto finito, Voldemort aveva deciso di fuggire: Harry cercò di liberarsi della protezione della statua, ma Silente gli ordinò: «Resta dove sei!»
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Per la prima volta sembrava spaventato, anche se Harry non riusciva a capire perché: l’Atrium era vuoto, a parte loro due, Bellatrix che singhiozzava intrappolata sotto la statua della strega, e Fanny, fenice neonata, che cinguettava piano sul pavimento…
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Poi la cicatrice si lacerò e Harry seppe di essere morto: era un dolore inimmaginabile, insopportabile…
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Non era più nell’Atrium, ma avvolto nelle spire di una creatura dagli occhi rossi, avvinto così stretto da non sapere più dove finiva il suo corpo e dove cominciava quello della creatura: erano fusi insieme, legati dalla sofferenza, e non c’era via di scampo…
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La creatura parlò, usando la bocca di Harry, che nel suo dolore sentì muoversi la mascella…
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«Uccidimi adesso, Silente…»
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Accecato e morente, ogni parte di lui che implorava urlando d’essere liberata, Harry sentì la creatura usarlo di nuovo…
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«Se la morte non è nulla, Silente, uccidi il ragazzo…»
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Che il dolore cessi, pensò Harry… che ci uccida… fai finire tutto, Silente… la morte è nulla, in confronto a questo…
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E così rivedrò Sirius…
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Mentre il cuore di Harry si gonfiava di commozione, le spire della creatura si allentarono, il dolore svanì, e il ragazzo crollò faccia a terra, gli occhiali chissà dove, tremando come se fosse disteso sul ghiaccio, non sul legno…
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Molte voci echeggiarono nell’Atrium, più voci del dovuto… Harry riaprì gli occhi e vide gli occhiali accanto al piede del suo protettore decapitato, che ormai giaceva sulla schiena, spezzato e immobile. Inforcati gli occhiali, alzò un po’ il capo e vide il naso adunco di Silente a pochi centimetri dal suo.
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«Stai bene, Harry?»
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«Sì» rispose lui, tremando così forte da non riuscire a tenere dritta la testa. «Sì, sto… dov’è Voldemort, dove… chi sono tutti questi… che cosa…»
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L’Atrium era pieno di gente; il pavimento rifletteva le alte fiamme smeraldine che si erano accese nei camini lungo tutta una parete, e sciami di streghe e di maghi ne uscivano senza posa. Mentre Silente lo aiutava a rialzarsi, Harry vide le piccole statue d’oro dell’elfo domestico e del goblin precedere un Cornelius Caramell dall’aria sbigottita.
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«Era laggiù!» urlò un mago con i capelli raccolti a coda di cavallo e una veste scarlatta, indicando una pila di schegge dorate all’altro capo dell’ingresso, dove fino a pochi istanti prima era intrappolata Bellatrix. «L’ho visto, signor Caramell, giuro che era Lei-Sa-Chi! Ha afferrato una donna e si è Smaterializzato!»
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«Lo so, Williamson, lo so, l’ho visto anch’io!» balbettò Caramell, che indossava un pigiama sotto il manto gessato e ansimava come se avesse corso per chilometri. «Per la barba di Merlino… qui… qui!… nel Ministero della Magia!… cieli supremi… non sembra possibile… parola mia… ma come può…?»
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«Se vorrai scendere nell’Ufficio Misteri, Cornelius» intervenne Silente — che pareva rincuorato sullo stato di salute di Harry — facendosi avanti perché i nuovi arrivati notassero la sua presenza (qualcuno alzò la bacchetta, altri si limitarono a fissarlo sbalorditi; le statue dell’elfo domestico e del goblin applaudirono, e Caramell fece un tale balzo che le sue pantofole si staccarono dal pavimento), «vi troverai parecchi Mangiamorte evasi rinchiusi nella Camera della Morte, bloccati da un Incantesimo Antismaterializzante, in attesa che tu decida che cosa farne».
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«Silente!» balbettò Caramell sbalordito. «Tu… qui… io… ma…»
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Si voltò agitato verso gli Auror che aveva portato con sé, e fu palese che aveva una mezza idea di gridare: «Prendetelo!»
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«Cornelius, sono pronto a lottare contro i tuoi uomini… e a vincere di nuovo!» tuonò Silente. «Ma poco fa hai avuto davanti agli occhi la prova che ti sto dicendo la verità da un anno. Lord Voldemort è tornato, tu hai dato per dodici mesi la caccia all’uomo sbagliato, ed è tempo che ti decida a usare il cervello!»
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«Io… non… ecco…» farfugliò Caramell, guardandosi attorno come nella speranza che qualcuno gli suggerisse cosa fare. Alla fine, visto che nessuno apriva bocca, si decise a dire: «Molto bene… Dawlish! Williamson! Scendete all’Ufficio Misteri e vedete… Silente, tu… dovrai raccontarmi per filo e per segno… La fontana dei Magici Fratelli… cos’è successo?» aggiunse in una specie di piagnucolio, fissando il pavimento cosparso dai resti delle statue di strega, mago e centauro.
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«Parleremo dopo che avrò rimandato Harry a Hogwarts» disse Silente.
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«Harry… Harry Potter?»
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Caramell piroettò su se stesso e fissò Harry, ancora appoggiato al muro accanto alla statua che lo aveva protetto durante il duello fra Silente e Voldemort.
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«Lui… qui?» balbettò Caramell. «Ma… che cosa è successo?»
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«Ti spiegherò tutto» ripeté Silente, «quando Harry sarà tornato a scuola».
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Si allontanò dalla vasca e si avvicinò alla testa dorata del mago che giaceva per terra. Le puntò contro la bacchetta e mormorò: «Portus». La testa si accese di azzurro, vibrò per qualche secondo sul pavimento e tornò immobile.
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«Insomma!» protestò Caramell, mentre Silente la raccoglieva e tornava da Harry. «Non hai l’autorizzazione a usare una Passaporta! Non puoi fare queste cose davanti al Ministro della Magia, tu… sai…»
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La voce gli si spezzò mentre Silente lo scrutava al di sopra degli occhiali a mezzaluna.
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«Tu darai ordine di allontanare Dolores Umbridge da Hogwarts» disse Silente. «E dirai ai tuoi Auror di smetterla di dare la caccia al mio insegnante di Cura delle Creature Magiche, così potrà tornare al lavoro. Stanotte ti concederò…» tirò fuori di tasca un orologio con dodici lancette e lo studiò un momento «…mezz’ora del mio tempo: sarà più che sufficiente per informarti su quanto è successo qui. Dopo di che dovrò tornare alla mia scuola. Naturalmente, se ti servisse ancora aiuto, potrai entrare in contatto con me a Hogwarts. Mi raggiungerà qualunque lettera indirizzata al Preside».
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Caramell aveva gli occhi più sgranati che mai, la bocca spalancata, e la tonda faccia paonazza sotto gli arruffati capelli grigi.
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«Io… tu…»
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Silente gli voltò le spalle.
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«Prendi questa Passaporta, Harry».
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Gli tese la testa dorata e Harry vi posò sopra una mano senza chiedersi che cosa lo aspettava, né dove sarebbe andato.
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«Ci vediamo fra mezz’ora» gli disse Silente, pacato. «Uno… due… tre…»
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Harry provò la familiare sensazione di un gancio che gli strattonava l’ombelico. Il lucido pavimento di legno sotto i suoi piedi sparì; l’Atrium, Caramell e Silente erano scomparsi, e lui volava in un vortice di colori e rumori…
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