Era di nuovo per terra a faccia in giù. L'odore della Foresta gli riempiva le narici. Sentiva il suolo freddo e duro sotto la guancia e la cerniera degli occhiali, spostati di lato dalla caduta, che gli penetrava nella tempia. Gli faceva male ogni centimetro del corpo, e il punto in cui l'Anatema che Uccide l'aveva colpito era come il livido lasciato da un pugno di ferro. Non si mosse, ma rimase dov'era, con il braccio sinistro piegato a una strana angolatura e la bocca aperta.
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Si era aspettato di sentire urla di trionfo e giubilo per la sua morte, invece passi frettolosi, sussurri e mormorii preoccupati riempivano l'aria.
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«Mio Signore... mio Signore...»
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Era la voce di Bellatrix, e parlava come chi si rivolge a un amante. Harry non osò aprire gli occhi, ma lasciò che gli altri sensi esplorassero la situazione. Sapeva che la sua bacchetta era ancora riposta sotto gli abiti perché la sentiva tra il petto e il suolo. Una lieve imbottitura dalle parti dello stomaco gli disse che anche il Mantello dell'Invisibilità era lì.
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«Mio Signore...»
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«Basta» replicò la voce di Voldemort.
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Altri passi: varie persone indietreggiavano dallo stesso punto. Consumato dalla voglia di vedere che cosa stava succedendo e perché, Harry aprì gli
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occhi di un millimetro.
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Voldemort si stava alzando. Molti Mangiamorte si allontanavano da lui, tornando tra la folla che circondava la radura. Solo Bellatrix era rimasta inginocchiata accanto a lui.
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Harry chiuse di nuovo gli occhi e considerò ciò che aveva visto. I Mangiamorte si erano affollati attorno a Voldemort, che doveva essere caduto a terra. Era successo qualcosa quando aveva colpito Harry con l'Anatema che Uccide. Anche lui era crollato? Evidentemente sì. Ed entrambi erano rimasti privi di sensi per un po', ed entrambi adesso erano tornati in sé...
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«Mio Signore, permettetemi...»
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«Non ho bisogno di aiuto» rispose Voldemort gelido, e pur non potendo vedere la scena, Harry immaginò Bellatrix che ritraeva la mano tesa per aiutarlo. «Il ragazzo... è morto?»
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Nella radura il silenzio era totale. Nessuno si avvicinò a Harry, ma lui avvertì i loro sguardi concentrati, che parevano schiacciarlo ancora più forte a terra, e temette che il movimento di un dito o di una palpebra potesse tradirlo.
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«Tu» fece Voldemort, e si udirono un'esplosione e un piccolo strillo di dolore. «Controlla. Dimmi se è morto».
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Harry non sapeva a chi si era rivolto. Non poteva far altro che restare lì disteso, col cuore che martellava, traditore, e aspettare di essere esaminato, ma nello stesso tempo capiva, per quanto gli fosse di magra consolazione, che Voldemort non si azzardava ad avvicinarsi, sospettando che non tutto fosse andato secondo i piani...
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Mani più delicate di quanto si aspettasse gli toccarono la faccia, gli aprirono una palpebra, s'insinuarono sotto la camicia fino al petto, a sentirgli il cuore. Udì il respiro affannoso della donna, i suoi lunghi capelli gli solleticarono il viso. Sapeva che aveva sentito il battito regolare della vita contro le sue costole.
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«Draco è vivo? è nel castello?»
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Il sussurro era appena percettibile; le labbra di lei erano a un centimetro dal suo orecchio, il capo abbassato così che i lunghi capelli nascondevano il volto di Harry ai presenti.
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«Sì» bisbigliò lui in risposta.
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Sentì la mano di lei contrarsi sul suo petto e le unghie conficcarsi nella pelle. Poi la mano fu ritratta. Narcissa Malfoy si rimise a sedere.
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«È morto!» annunciò.
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E adesso urlarono, trionfanti, e pestarono i piedi, e attraverso le palpebre
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Harry vide volare schizzi di luce rossa e d'argento per celebrare l'evento. Continuò a fingersi morto e capì. Narcissa sapeva che il solo modo per entrare a Hogwarts e trovare suo figlio era insieme all'esercito vittorioso.
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Non le importava più che Voldemort trionfasse.
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«Visto?» strillò Voldemort sopra il tumulto. «Harry Potter è morto per mano mia e ora nessun uomo vivente può minacciarmi! Guardate! Crucio!»
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Harry se l'era aspettato: sapeva che il suo corpo non sarebbe stato lasciato in pace sul terreno della Foresta, che doveva essere umiliato per dimostrare la vittoria di Voldemort. Fu sollevato da terra e gli ci volle tutta la sua forza di volontà per restare inerte, ma il dolore che si aspettava non venne. Fu scagliato una, due, tre volte in aria: i suoi occhiali volarono via e sentì la bacchetta scivolare un po' sotto gli abiti, ma restò molle e inanimato, e quando cadde giù per l'ultima volta per la radura risuonarono risate di scherno.
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«Ora» proclamò Voldemort «andremo al castello e mostreremo a tutti che fine ha fatto il loro eroe. Chi di voi trascina il corpo? No... un momento...»
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Una nuova esplosione di risate e dopo qualche istante Harry sentì il suolo vibrare accanto a sé.
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«Lo porterai tu» disse Voldemort. «Lo si vedrà bene tra le tue braccia, no? Raccogli il tuo piccolo amico, Hagrid. E gli occhiali... mettetegli gli occhiali... devono riconoscerlo».
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Qualcuno gli sbatté con deliberata malagrazia gli occhiali in faccia, ma le mani enormi che lo sollevarono erano estremamente delicate. Harry sentì le braccia di Hagrid tremare, scosse dai singhiozzi; grandi lacrime lo bagnarono mentre Hagrid lo cullava, ma lui non osava far capire all'amico, con un movimento o con le parole, che non tutto era perduto.
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«Muoviti» ordinò Voldemort, e Hagrid barcollò in avanti, aprendosi la strada fra gli alberi fitti, riattraversando la Foresta. I rami si impigliavano ai capelli e agli abiti di Harry, che però rimase immobile, la bocca spalancata, gli occhi chiusi, e al buio, tra i Mangiamorte accalcati attorno a loro e Hagrid che singhiozzava disperato, nessuno guardò se una vena pulsava nel collo scoperto di Harry Potter...
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I due giganti seguivano i Mangiamorte; Harry sentì gli alberi scricchiolare e cadere al loro passaggio; facevano tanto rumore che gli uccelli si alzarono in volo strillando e perfino le risate dei Mangiamorte furono coperte. Il corteo vittorioso continuò a marciare verso il terreno aperto e dopo un
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po' Harry capì dalla penombra, percepibile anche attraverso le palpebre chiuse, che gli alberi cominciavano a diradarsi.
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«CASSANDRO!»
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Il ruggito inaspettato di Hagrid per poco non gli fece aprire gli occhi. «Sei contento, eh, che non avete combattuto, branco di ronzini codardi che non siete altro? Siete contenti che Harry Potter è m-morto?»
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Hagrid non riuscì a continuare, ma scoppiò di nuovo in lacrime. Harry si chiese quanti centauri assistessero al loro corteo; non osò aprire gli occhi per vedere. Alcuni Mangiamorte li insultarono. Poco dopo Harry capì dall'aria più fresca che avevano raggiunto il limitare della Foresta.
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«Fermi».
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Hagrid doveva essere stato costretto a obbedire all'ordine di Voldemort, perché barcollò. Il gelo calò su di loro e Harry udì il respiro rauco dei Dissennatori che pattugliavano la cerchia esterna degli alberi. Ormai non potevano disturbarlo. Il fatto stesso di essere sopravvissuto ardeva in lui, come un talismano contro di loro, come se il cervo di suo padre fosse a guardia del suo cuore.
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Qualcuno gli passò accanto, e seppe che era Voldemort perché un attimo dopo parlò, la voce magicamente amplificata per diffondersi in tutto il parco, spaccandogli i timpani.
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«Harry Potter è morto. è stato ucciso. Stava fuggendo, per mettersi in salvo mentre voi davate la vita per lui. Vi portiamo il suo corpo a dimostrazione che il vostro eroe è caduto.
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«Abbiamo vinto la battaglia. Avete perso metà dei vostri combattenti. I miei Mangiamorte vi superano in numero e il Ragazzo Che è Sopravvissuto è morto. La guerra deve finire. Chiunque continui a resistere, uomo, donna o bambino, verrà ucciso insieme a tutti i membri della sua famiglia. Uscite dal castello, ora, inginocchiatevi davanti a me e verrete risparmiati. I vostri genitori e i vostri figli, i vostri fratelli e sorelle vivranno e saranno perdonati, e vi unirete a me nel nuovo mondo che costruiremo insieme».
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Silenzio nel parco e dal castello. Voldemort era così vicino che Harry non osava aprire gli occhi.
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«Andiamo» ordinò Voldemort. Harry sentì che si muoveva e Hagrid fu costretto a seguirlo. Aprì appena gli occhi e lo vide marciare davanti a loro, con l'enorme serpente Nagini sulle spalle, libero dalla gabbia incantata. Ma Harry non poteva estrarre la bacchetta nascosta sotto gli abiti senza farsi vedere dalla scorta di Mangiamorte nel buio che lentamente sbiadiva...
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«Harry» singhiozzava Hagrid. «Oh, Harry... Harry...»
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Harry richiuse gli occhi. Sapeva che si stavano avvicinando al castello e tese le orecchie per captare, sopra le voci allegre dei Mangiamorte e i loro passi pesanti, segni di vita dall'interno.
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«Fermi».
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I Mangiamorte si arrestarono: Harry li udì disporsi in fila di fronte al portone aperto della scuola. Anche attraverso le palpebre chiuse riuscì a percepire la luce rossastra che gli pioveva addosso dall'ingresso. Attese. Da un momento all'altro le persone per le quali aveva cercato di morire l'avrebbero visto tra le braccia di Hagrid, apparentemente morto.
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«No!»
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L'urlo fu ancora più terribile perché non aveva mai immaginato che la professoressa McGranitt potesse emettere un simile suono. Udì un'altra donna ridere vicino a lui e capì che Bellatrix si crogiolava nella disperazione della McGranitt. Sbirciò di nuovo per un solo istante e vide la soglia affollarsi: i sopravvissuti alla battaglia uscivano sui gradini a fronteggiare i vincitori e a vedere con i loro occhi che era vero, che Harry era morto. Vide Voldemort, davanti a lui, accarezzare la testa di Nagini con un solo dito bianco. Richiuse gli occhi.
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«No!»
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«No!»
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«Harry! HARRY!»
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Le voci di Ron, Hermione e Ginny erano peggio di quella della McGranitt; Harry non desiderava altro che gridare, rispondere, ma si costrinse a restare in silenzio, e le loro urla furono come un segnale: la folla di sopravvissuti si scatenò, urlando ingiurie contro i Mangiamorte, finché...
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«SILENZIO!» gridò Voldemort. Un colpo, un lampo di luce chiara, e il silenzio calò a forza su tutti loro. «È finita! Posalo ai miei piedi, Hagrid, dov'È giusto che stia!»
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Harry fu adagiato nell'erba.
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«Visto?» disse Voldemort. Harry lo sentì camminare avanti e indietro davanti al punto in cui era stato deposto. «Harry Potter è morto! Lo capite adesso, illusi? Non è mai stato altro che un ragazzo che contava sul sacrificio degli altri!»
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«Ti ha sconfitto!» urlò Ron, e l'incantesimo si ruppe: i difensori di Hogwarts urlarono e urlarono di nuovo fino a quando una seconda esplosione più potente li zittì un'altra volta.
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«È stato ucciso mentre cercava di scappare di nascosto dal parco del ca
stello» proseguì Voldemort, compiacendosi della menzogna, «ucciso mentre tentava di mettersi in salvo...»
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Ma s'interruppe: Harry udì un rumore di passi e un urlo, poi un altro colpo, un lampo di luce e un grugnito di dolore; aprì gli occhi di una frazione infinitesima. Qualcuno si era allontanato dalla folla e si era scagliato su Voldemort; Harry vide la sagoma afflosciarsi a terra, Disarmata. Voldemort gettò via la bacchetta di chi l'aveva sfidato e rise.
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«E chi è costui?» domandò, con il suo morbido sibilo di serpente. «Chi si è offerto volontario per dimostrare che cosa accade a coloro che continuano a combattere quando la battaglia è perduta?»
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Bellatrix diede in una risata gioiosa.
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«È Neville Paciock, mio Signore! Il ragazzo che ha dato tanti grattacapi ai Carrow! Il figlio degli Auror, ricordate?»
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«Ah, sì, ricordo» mormorò Voldemort, guardando Neville che cercava di rialzarsi, disarmato e allo scoperto, nella terra di nessuno tra i sopravvissuti e i Mangiamorte. «Ma tu sei un Purosangue, vero, mio coraggioso ragazzo?» gli chiese, e Neville si alzò in piedi davanti a lui, le mani vuote chiuse a pugno.
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«E allora?» rispose ad alta voce.
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«Mostri spirito e ardimento, e discendi da una nobile stirpe. Sarai un Mangiamorte molto prezioso. Abbiamo bisogno di gente come te, Neville Paciock».
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«Mi unirò a te quando l'inferno gelerà» ribatté Neville. «Esercito di Silente!» Dalla folla si levò in risposta un boato che gli incantesimi tacitanti di Voldemort non riuscirono a domare.
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«Molto bene» proseguì Voldemort, e Harry avvertì più pericolo in quella voce serica che nella più potente delle maledizioni. «Se questa è la tua scelta, Paciock, torneremo al piano originale. L'hai voluto tu» concluse con calma.
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Attraverso gli occhi socchiusi, Harry vide Voldemort agitare la Bacchetta. Qualche istante dopo, da una delle finestre infrante del castello qualcosa di simile a un uccello deforme volò nella mezza luce e atterrò in mano a Voldemort. Lui scrollò l'oggetto muffito tenendolo per la punta e quello penzolò vuoto e lacero: era il Cappello Parlante.
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«Non vi saranno altri Smistamenti alla scuola di Hogwarts» annunciò Voldemort. «Non vi saranno più Case. Lo stemma e i colori del mio nobile antenato, Salazar Serpeverde, basteranno per tutti, non è vero, Neville Paciock?»
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Puntò la Bacchetta contro Neville, che s'irrigidì, poi gli ficcò in testa il Cappello, che gli cadde sugli occhi. La folla davanti al castello fu percorsa da un fremito e come un sol uomo i Mangiamorte levarono le bacchette, per tenere a bada i combattenti di Hogwarts.
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«Il nostro Neville ora dimostrerà che cosa accade a chiunque sia così sciocco da continuare a opporsi a me» annunciò Voldemort, e con un guizzo della Bacchetta incendiò il Cappello Parlante.
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L'alba fu lacerata dalle urla e Neville prese fuoco, immobilizzato. Harry non poté sopportarlo: doveva intervenire...
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Poi accaddero molte cose contemporaneamente.
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Dai confini del parco si alzò un frastuono: centinaia di persone varcavano le mura sciamando e correvano verso il castello, levando alte grida di guerra. Nello stesso momento, Grop arrivò a passi pesanti da dietro la scuola e chiamò: «HAGGER!» Al suo grido risposero i ruggiti dei giganti di Voldemort, che caricarono Grop come elefanti, facendo tremare la terra. Poi un rumore di zoccoli, il vibrare degli archi, e una pioggia di frecce cadde sui Mangiamorte, che ruppero i ranghi, urlando sorpresi. Harry prese il Mantello dell'Invisibilità, se lo gettò addosso e balzò in piedi.
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E anche Neville si mosse: con un solo, rapido, fluido gesto si liberò dell'Incantesimo Petrificus; il Cappello in fiamme gli cadde dalla testa e lui ne estrasse qualcosa di argenteo, con l'impugnatura sfavillante di rubini...
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Il sibilo della lama d'argento non si sentì sopra il ruggito della folla, il rimbombo dei giganti che cozzavano, la carica dei centauri, eppure attirò a sé gli sguardi di tutti. Con un solo colpo, Neville mozzò la testa dell'enorme serpente, che roteò alta nell'aria, scintillante nella luce che veniva dalla Sala d'Ingresso. La bocca di Voldemort si spalancò in un urlo di rabbia che nessuno riuscì a sentire, e il corpo del serpente cadde con un tonfo ai suoi piedi...
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Nascosto sotto il Mantello dell'Invisibilità, Harry scagliò un Sortilegio Scudo tra Neville e Voldemort prima che quest'ultimo potesse alzare la Bacchetta. Poi, sopra le grida, i ruggiti, i colpi dei giganti, l'urlo di Hagrid risuonò più forte di tutto.
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«HARRY! HARRY... DOV'È HARRY?»
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Regnava il caos. I centauri scatenati stavano disperdendo i Mangiamorte, tutti cercavano di scappare dai piedi dei giganti, e sempre più vicini risuonavano i rinforzi arrivati da chissà dove; Harry vide enormi creature alate planare attorno alle teste dei giganti di Voldemort; i Thestral e Fierobecco l'Ippogrifo cercavano di cavar loro gli occhi mentre Grop li riempiva di
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pugni; tanto i difensori di Hogwarts quanto i Mangiamorte di Voldemort furono costretti a rientrare nel castello. Harry scagliava maledizioni contro tutti i Mangiamorte che gli passavano vicino, tramortendoli senza che sapessero chi o che cosa li aveva colpiti; i loro corpi venivano calpestati dalla folla in ritirata.
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Sempre nascosto sotto il Mantello dell'Invisibilità, Harry fu costretto a entrare nella Sala d'Ingresso: stava cercando Voldemort e lo vide dall'altra parte dell'atrio che scagliava incantesimi a destra e a manca e intanto arretrava nella Sala Grande, senza smettere di urlare ordini ai suoi seguaci; Harry lanciò altri Sortilegi Scudo e salvò Seamus Finnigan e Hannah Abbott dalla sua furia; i due gli sfrecciarono davanti ed entrarono nella Sala Grande per prendere parte alla lotta che già vi divampava.
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E ce n'erano altri, tanti altri che si lanciavano su per i gradini del castello: Charlie Weasley superò Horace Lumacomo, ancora con il suo pigiama color smeraldo. Erano tornati alla testa di parenti e amici di tutti gli studenti di Hogwarts rimasti a combattere, insieme ai negozianti e agli abitanti di Hogsmeade. I centauri Cassandro, Conan e Magorian galopparono nella Sala in un rombo di zoccoli, e dietro Harry la porta che conduceva alle cucine venne scardinata da un'esplosione.
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Gli elfi domestici di Hogwarts sciamarono nella Sala d'Ingresso, urlando e brandendo trincianti e mannaie; al loro comando, col medaglione di Regulus Black che gli ballonzolava sul petto, c'era Kreacher, la voce da rana chiara e sonora anche sopra quel baccano. «Lottate! Lottate! Combattete per il mio padrone, difensore degli elfi domestici! Combattete il Signore Oscuro, nel nome del prode Regulus! Lottate!»
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Menavano fendenti e pugnalate alle caviglie e agli stinchi dei Mangiamorte, i faccini animosi e cattivi, e i Mangiamorte ripiegavano, schiacciati dalla pura forza dei numeri, sopraffatti dagli incantesimi, strappandosi le frecce dalla carne, colpiti alle gambe dagli elfi, o semplicemente cercando di fuggire ma inghiottiti dall'orda che avanzava.
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Ma non era ancora finita: Harry sfrecciò tra i duellanti, oltrepassò i prigionieri che si divincolavano ed entrò nella Sala Grande.
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Voldemort era nel cuore della battaglia e colpiva tutto ciò che gli capitava a tiro. Harry non poteva mirare con precisione e cercò di avvicinarsi, ancora invisibile, ma la Sala Grande era sempre più affollata, poiché chiunque fosse in grado di camminare tentava di entrare.
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Vide Yaxley gettato a terra da George e Lee Jordan, vide Dolohov cadere urlando per mano di Vitious; vide Walden Macnair, scagliato attraverso
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la stanza da Hagrid, colpire la parete di pietra e cadere a terra svenuto. Vide Ron e Neville abbattere Fenrir Greyback, Aberforth Schiantare Rookwood, Arthur e Percy atterrare O'Tusoe, e Lucius e Narcissa Malfoy correre nella folla, senza nemmeno provare a combattere, chiamando a gran voce il figlio.
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Voldemort stava duellando con la McGranitt, Lumacorno e Kingsley insieme, e il suo volto era una maschera di freddo odio mentre i tre balzavano e si abbassavano attorno a lui, senza riuscire a finirlo...
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Anche Bellatrix continuava a combattere, a cinquanta metri da Voldemort, e come il suo padrone lottava contro tre avversari a un tempo: Hermione, Ginny e Luna ce la stavano mettendo tutta, ma Bellatrix le uguagliava, e l'attenzione di Harry fu distratta da un Anatema che Uccide scagliato così vicino a Ginny che la mancò di un soffio...
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Cambiò obiettivo e si avventò contro Bellatrix invece che contro Voldemort, ma aveva fatto solo pochi passi quando fu spinto da parte.
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«MIA FIGLIA NO, CAGNA!»
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Di corsa, la signora Weasley gettò via il mantello per avere libertà di movimento. Bellatrix si girò di scatto e scoppiò a ridere alla vista della sua nuova avversaria.
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«FUORI DAI PIEDI!» urlò la signora Weasley alle tre ragazze, e con uno svolazzo della bacchetta cominciò a combattere. Harry rimase a guardare terrorizzato ed euforico la bacchetta di Molly Weasley fendere l'aria e vorticare, e il sorriso di Bellatrix Lestrange tremò prima di trasformarsi in un ringhio. Schizzi di luce volarono da entrambe le bacchette, il pavimento attorno alle due streghe era rovente e crivellato di buchi; entrambe combattevano per uccidere.
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«No!» gridò la signora Weasley quando alcuni studenti accorsero in suo aiuto. «Indietro! INDIETRO! è mia!»
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Centinaia di persone adesso erano allineate lungo le pareti e assistevano alle due battaglie: Voldemort contro i suoi tre avversari, Bellatrix contro Molly. E Harry, invisibile, era combattuto: voleva attaccare ma anche proteggere, e temeva di colpire gli innocenti.
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«Cosa sarà dei tuoi figli quando ti avrò ucciso?» la canzonava sprezzante Bellatrix, folle come il suo Signore, schivando le maledizioni di Molly che le danzavano attorno. «Quando mammina sarà morta come Freddie?»
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«Tu... non... toccherai... mai... più... i... nostri... figli!» urlò la signora Weasley.
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Bellatrix rise, la stessa risata esaltata di suo cugino Sirius prima di cade
re oltre il velo, e Harry seppe in anticipo che cosa stava per succedere.
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La maledizione di Molly passò sotto il braccio teso di Bellatrix e la colpì in pieno petto, al cuore.
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Il sorriso maligno di Bellatrix si congelò, i suoi occhi si dilatarono: per una frazione di secondo capì che cos'era successo, poi cadde. Dalla folla si levò un boato e Voldemort urlò.
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A Harry sembrava di muoversi al rallentatore; vide la McGranitt, Kingsley e Lumacorno contorcersi a mezz'aria, scagliati all'indietro, mentre la furia del Signore Oscuro per la fine della sua ultima, migliore luogotenente esplodeva con la forza di una bomba. Voldemort alzò la Bacchetta e la puntò contro Molly Weasley.
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«Protego!» ruggì Harry, e il Sortilegio Scudo si allargò al centro della Sala. Voldemort si guardò intorno cercandone l'origine e finalmente Harry si tolse il Mantello dell'Invisibilità.
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L'urlo di sorpresa, le acclamazioni, le grida di «Harry!», «È vivo!» furono subito soffocati. La folla ebbe paura e il silenzio cadde improvviso e totale, quando Voldemort e Harry si guardarono e cominciarono a muoversi in cerchio uno di fronte all'altro.
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«Non voglio aiuto» disse Harry, e nel silenzio assoluto la sua voce risuonò come uno squillo di tromba. «Deve andare così. Devo essere io».
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Voldemort sibilò, gli occhi rossi spalancati.
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«Potter non voleva dire questo. Non è così che si comporta, vero? Chi userai come scudo oggi, Potter?»
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«Nessuno» rispose Harry semplicemente. «Non ci sono altri Horcrux. Siamo solo tu e io. Nessuno dei due può vivere se l'altro sopravvive, e uno di noi sta per andarsene per sempre...»
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«Uno di noi?» lo schernì Voldemort. Ogni suo muscolo era teso e i suoi occhi rossi erano immobili: un serpente pronto a colpire. «Pensi che sarai tu, vero, il Ragazzo Che è Sopravvissuto per caso, solo perché Silente tirava i fili?»
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«È stato un caso quando mia madre morì per salvarmi?» chiese Harry. Continuavano a spostarsi di lato, tutti e due, disegnando un cerchio perfetto, mantenendo la stessa distanza l'uno dall'altro. Per Harry esisteva solo il volto di Voldemort. «Un caso che io abbia deciso di combattere in quel cimitero? Un caso che io non mi sia difeso questa notte, eppure sia sopravvissuto, e tornato per combattere di nuovo?»
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«Casi!» urlò Voldemort, ma ancora non colpì, e la folla era come pietrificata, delle centinaia di persone che riempivano la Sala sembrava che solo
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loro due respirassero. «Casi e fortuna e il fatto che ti sei rannicchiato a frignare dietro le gonne di uomini e donne più grandi di te, e hai lasciato che io li uccidessi al posto tuo!»
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«Non ucciderai nessun altro questa notte» ribatté Harry. Ancora si muovevano in cerchio e si fissavano, occhi verdi dentro occhi rossi. «Non potrai uccidere nessuno di loro, mai più. Non capisci? Ero pronto a morire per impedirti di fare del male a queste persone...»
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«Ma non l'hai fatto!»
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«... era mia intenzione, ed è questo che importa. Ho fatto quello che ha fatto mia madre. Sono protetti da te. Non hai notato che nessuno dei tuoi incantesimi funziona su di loro? Non puoi torturarli. Non puoi toccarli. Non impari dai tuoi errori, Riddle, vero?»
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«Tu osi...»
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«Sì, io oso» continuò Harry. «Io so cose che tu non sai, Tom Riddle. Io so molte cose importanti che tu non sai. Vuoi sentirne qualcuna, prima di commettere un altro grosso errore?»
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Voldemort non parlò ma continuò a muoversi in cerchio, e Harry seppe di averlo ipnotizzato, per il momento pendeva dalle sue labbra, trattenuto dalla vaghissima possibilità che Harry conoscesse davvero un ultimo segreto.
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«È di nuovo l'amore?» ringhiò Voldemort, il volto da serpente contorto in una smorfia di scherno. «La soluzione preferita di Silente, l'amore, che a sentir lui vince la morte. Ma l'amore non gli ha impedito di cadere dalla Torre e andare in pezzi come una vecchia statuina di cera. L'amore non ha impedito a me di schiacciare quella Mezzosangue di tua madre come uno scarafaggio, Potter... e pare che nessuno ti ami abbastanza da farsi avanti, questa volta, a prendersi la mia maledizione. Quindi che cosa ti impedirà di morire adesso, quando colpirò?»
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«Una cosa sola» rispose Harry, e ancora si fronteggiavano, assorti l'uno nell'altro, separati soltanto dall'ultimo segreto.
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«Se non è l'amore che ti salverà, questa volta» insisté Voldemort, «devi credere di avere una magia che io non ho, o un'arma più potente della mia».
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«Credo entrambe le cose» ribatté Harry, e vide la sorpresa balenare sul volto di serpe e dissiparsi all'istante; Voldemort scoppiò a ridere e il suono fu più spaventoso delle sue urla; folle e privo di gioia, echeggiò nella Sala silenziosa.
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«Tu credi di conoscere più magie di me?» chiese. «Di me, di Lord Vol
demort, che ha compiuto magie che Silente stesso non si era nemmeno sognato?»
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«Oh, se l'era sognato eccome» rispose Harry, «ma lui ne sapeva più di te, abbastanza da non fare quello che hai fatto tu».
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«Vuoi dire che era un debole!» urlò Voldemort. «Troppo debole per osare, troppo debole per prendere ciò che avrebbe potuto essere suo e invece sarà mio!»
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«No, era più intelligente di te. Era un mago migliore, un uomo migliore».
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«Io ho provocato la morte di Albus Silente!»
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«È quello che credi. Ma ti sbagli».
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Per la prima volta, la folla che li attorniava si mosse e le centinaia di persone lungo le pareti respirarono come una sola.
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«Silente è morto!» Voldemort sputò queste parole contro Harry come se gli potessero provocare un dolore insopportabile. «Il suo corpo marcisce nella tomba di marmo vicino a questo castello, io l'ho visto, Potter, e non tornerà!»
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«Certo, Silente è morto» rispose Harry tranquillo, «ma non l'hai fatto uccidere tu. Ha scelto lui come morire, con mesi di anticipo, ha programmato tutto con l'uomo che credevi fosse il tuo servo».
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«Che sogno infantile è questo?» chiese Voldemort, ma ancora non colpì, e i suoi occhi rossi non si staccavano da Harry.
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«Severus Piton non era tuo» spiegò Harry. «Piton era di Silente, di Silente dal momento in cui hai cominciato a dare la caccia a mia madre. E non te ne sei mai accorto, per via della cosa che non puoi capire. Non hai mai visto Piton evocare un Patronus, vero, Riddle?»
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Voldemort non rispose. Continuavano a girare come lupi pronti a sbranarsi.
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«Il Patronus di Piton era una cerva» continuò Harry, «come quello di mia madre, perché lui l'ha amata per tutta la vita, da quando erano bambini. Avresti dovuto capirlo» aggiunse, vedendo le narici di Voldemort vibrare. «Ti aveva chiesto di risparmiarla, no?»
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«La desiderava, tutto qui» lo schernì Voldemort, «ma quando lei morì, convenne che esistevano altre donne, di sangue più puro, più degne di lui...»
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«Naturale che ti abbia detto questo, ma è stato la spia di Silente dal momento in cui la minacciasti e da allora ha lavorato contro di te! Silente stava già morendo quando Piton l'ha finito!»
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«Non ha importanza!» strillò Voldemort. Aveva seguito ogni parola con attenzione rapita, ma ora scoppiò in una risata stridula e folle. «Non ha importanza se Piton fosse mio o di Silente, o quali insignificanti ostacoli abbiano cercato di mettere sul mio cammino! Io li ho schiacciati come ho schiacciato tua madre, il presunto grande amore di Piton! Oh, ma tutto torna, Potter, e in modi che tu non comprendi!
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«Silente stava cercando di tenere lontana da me la Bacchetta di Sambuco! Voleva che fosse Piton il vero padrone della Bacchetta! Ma io sono arrivato prima di te, ragazzino... l'ho trovata prima di te, ho capito la verità prima di te. Ho ucciso Severus Piton tre ore fa e la Bacchetta di Sambuco, la Stecca della Morte, la Bacchetta del Destino è davvero mia! L'ultimo piano di Silente è andato storto, Harry Potter!»
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«Sì, è vero» concesse Harry. «Hai ragione. Ma prima che tu provi a uccidermi, ti consiglio di pensare a quello che hai fatto... pensaci, e cerca in te un po' di rimorso, Riddle...»
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«Che cosa?»
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Di tutte le cose che Harry gli aveva detto, più di ogni rivelazione o insulto, niente sorprese Voldemort come questa. Harry vide le sue pupille ridursi a fessure sottili, la pelle attorno agli occhi sbiancare.
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«È la tua ultima possibilità» continuò Harry, «tutto ciò che ti resta... ho visto quello che sarai altrimenti... sii un uomo... cerca... cerca un po' di rimorso...»
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«Tu osi...?» ripeté Voldemort.
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«Sì, oso» rispose Harry, «perché l'ultimo piano di Silente non si è ritorto contro di me. Si è ritorto contro di te, Riddle».
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La mano di Voldemort tremò sulla Bacchetta di Sambuco e Harry strinse forte quella di Draco. Capì che era questione di secondi.
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«Quella bacchetta non funziona ancora bene perché hai assassinato la persona sbagliata. Severus Piton non è mai stato il vero padrone della Bacchetta di Sambuco. Non ha mai sconfitto Silente».
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«L'ha ucciso...»
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«Non mi ascolti? Piton non ha mai sconfitto Silente! Hanno deciso insieme la sua morte! Silente voleva morire imbattuto, essere l'ultimo vero padrone della Bacchetta! Se tutto fosse andato come previsto, il potere della Bacchetta sarebbe morto con luì, perché non gli sarebbe mai stata vinta!»
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«Ma allora, Potter, è come se Silente l'avesse consegnata a me!» La voce di Voldemort era intrisa di piacere malvagio. «Io ho rubato la Bacchetta
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dalla tomba del suo ultimo padrone! Io l'ho portata via contro il desiderio del suo ultimo padrone! Il suo potere è mio!»
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«Ancora non capisci, Riddle? Possedere la Bacchetta non basta! Tenerla, usarla non la rende davvero tua. Non hai sentito Olivander? è la bacchetta che sceglie il mago... la Bacchetta di Sambuco ha riconosciuto un nuovo padrone prima della morte di Silente, qualcuno che non l'ha mai nemmeno sfiorata. Il nuovo padrone ha tolto la Bacchetta a Silente contro la sua volontà, senza mai capire cosa aveva fatto, o che la bacchetta più pericolosa del mondo gli aveva offerto la sua obbedienza...»
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Il petto di Voldemort si alzò e si abbassò in fretta, e Harry avvertì la maledizione in arrivo, la sentì crescere dentro la bacchetta puntata contro il suo viso.
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«Il vero padrone della Bacchetta di Sambuco era Draco Malfoy».
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Una vacua sorpresa comparve per un attimo sul viso di Voldemort, poi sparì.
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«Ma che importanza ha?» mormorò il Signore Oscuro. «Anche se tu avessi ragione, Potter, non farebbe alcuna differenza per te e per me. Non hai più la bacchetta di fenice: il nostro sarà un duello di pura abilità... e dopo che avrò ucciso te, potrò occuparmi di Draco Malfoy...»
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«È troppo tardi» osservò Harry. «Hai perso l'occasione. Sono arrivato prima io. Ho battuto Draco settimane fa. Gli ho portato via questa».
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Harry agitò la bacchetta di biancospino e sentì gli sguardi di tutti i presenti su di essa.
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«Quindi è tutto qui, capisci?» sussurrò. «La bacchetta che hai in mano sa che il suo ultimo proprietario è stato Disarmato? Perché se lo sa... sono io il vero padrone della Bacchetta di Sambuco».
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Un bagliore d'oro rosso divampò all'improvviso nel soffitto incantato sopra di loro e uno spicchio di sole accecante apparve sul davanzale della finestra più vicina. La luce colpì i due volti nello stesso momento e quello di Voldemort divenne una macchia infuocata. Harry udì la voce acuta strillare e urlò anche lui la sua speranza estrema verso il cielo, puntando la bacchetta di Draco.
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«Avada Kedavra!»
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«Expelliarmus!»
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Lo scoppio fu come un colpo di cannone e le fiamme dorate che eruppero tra loro, al centro esatto del cerchio che avevano disegnato, segnarono il punto in cui gli incantesimi si scontrarono. Harry vide il lampo verde di Voldemort urtare il proprio incantesimo, vide la Bacchetta di Sambuco vo
lare in alto, scura contro l'alba, roteare come la testa di Nagini contro il soffitto incantato, verso il padrone che non avrebbe ucciso, che finalmente ne entrava in pieno possesso. E Harry, con l'infallibile abilità del Cercatore, la prese al volo con la mano libera mentre Voldemort cadeva all'indietro, le braccia spalancate, le pupille a fessura degli occhi scarlatti che si giravano verso l'alto. Tom Riddle crollò sul pavimento con banale solennità, il corpo fiacco e rattrappito, le mani bianche vuote, il volto da serpente inespressivo e ignaro. Voldemort era morto, ucciso dal rimbalzo della sua stessa maledizione, e Harry fissava, con due bacchette in mano, il guscio vuoto del suo nemico.
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Un vibrante secondo di silenzio, lo stupore sospeso, poi il tumulto esplose attorno a Harry, le urla, l'esultanza e i ruggiti dei presenti lacerarono l'aria. L'ardente sole nuovo incendiò le finestre mentre tutti avanzavano verso di lui, e i primi a raggiungerlo furono Ron e Hermione, le loro braccia ad avvolgerlo, le loro urla incomprensibili ad assordarlo. Poi Ginny, Neville e Luna, e poi gli altri Weasley e Hagrid, e Kingsley e la McGranitt e Vitious e la Sprite; Harry non riusciva a capire una parola di quello che stavano urlando, né quali mani lo afferravano, lo tiravano, cercavano di abbracciarlo: erano in centinaia a premere contro di lui, tutti decisi a toccare il Ragazzo Che è Sopravvissuto, la ragione per cui era davvero finita...
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Il sole sorgeva su Hogwarts e la Sala Grande ardeva di vita e di luce. Harry era una parte indispensabile in quelle manifestazioni di giubilo e lutto, dolore ed esultanza mescolati. Volevano che fosse lì con loro, il loro capo e simbolo, il loro salvatore e la loro guida, e che non avesse dormito, che bramasse la compagnia di pochi intimi non passò per la mente a nessuno. Doveva parlare con i famigliari delle vittime, stringere loro le mani, guardare le loro lacrime, ricevere i loro ringraziamenti, ascoltare le notizie che rimbalzavano da ogni dove col procedere del mattino: in tutto il paese quelli che erano stati colpiti da una Maledizione Imperius erano tornati in sé, i Mangiamorte fuggivano o venivano catturati, gli innocenti di Azkaban liberati, e Kinsgley Shacklebolt era stato nominato Ministro della Magia ad interim...
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Spostarono il corpo di Voldemort in un'aula accanto alla Sala Grande, lontano dai corpi di Fred, Tonks, Lupin, Colin Canon e degli altri cinquanta che erano morti lottando contro di lui. La McGranitt risistemò i tavoli delle Case al loro posto, ma nessuno era più seduto nell'ordine giusto: erano tutti mescolati, insegnanti e allievi, fantasmi e genitori, centauri ed elfi domestici; Fiorenzo era disteso in un angolo a riprendersi, Grop guardava
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dentro la Sala da una finestra rotta e la gente lanciava cibo nella sua grande bocca ridente. Dopo un po' Harry, sfinito, si ritrovò seduto su una panca accanto a Luna.
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«Se fossi in te, vorrei un po' di tranquillità» commentò lei.
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«Mi piacerebbe» rispose lui.
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«Li distrarrò io» suggerì Luna. «Tu usa il Mantello».
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E prima che lui riuscisse a dire una parola gridò: «Oooh, guardate, un
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Cannolo Balbuziente!» indicando fuori dalla finestra. Tutti quelli attorno si voltarono e Harry si gettò addosso il Mantello e si alzò.
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Finalmente poté camminare nella Sala senza essere intercettato. Vide Ginny due tavoli più in là, con la testa posata sulla spalla della madre: ci sarebbe stato tempo per parlare più tardi, ore e giorni e forse anni. Vide Neville, che mangiava con la spada di Grifondoro accanto al piatto, circondato da un manipolo di ammiratori. Passò fra i tavoli e vide i tre Malfoy, stretti come se non sapessero se star lì o no, ma nessuno vi faceva caso. Ovunque guardasse scorgeva famiglie riunite, poi finalmente vide i due che cercava.
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«Sono io» mormorò, accovacciandosi tra Ron e Hermione. «Venite con me?»
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Si alzarono subito e insieme uscirono dalla Sala Grande. La scalinata di marmo era scheggiata, parte della balconata era sparita, e salendo incontrarono detriti e macchie di sangue.
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Da qualche parte in lontananza sentirono Pix che sfrecciava nei corridoi intonando un canto di vittoria di propria composizione:
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«Abbiam vinto, viva viva Potter, Vold è mort, con le ossa tutte rotte!»
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«Rende l'idea delle dimensioni tragiche dell'avvenimento, no?» commentò Ron, e spinse una porta per lasciar passare Harry e Hermione.
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La felicità sarebbe arrivata, pensò Harry, ma al momento era attutita dallo sfinimento, e il dolore per la perdita di Fred, Lupin e Tonks lo trapassava a intervalli regolari come una ferita fisica. Provava soprattutto uno straordinario sollievo e una gran voglia di dormire. Ma prima doveva spiegare a Ron e a Hermione, che gli erano rimasti al fianco così a lungo e meritavano la verità. Faticosamente, narrò ciò che aveva visto nel Pensatoio e ciò che era successo nella Foresta, e non avevano nemmeno cominciato a manifestare tutto il loro sconcerto quando finalmente arrivarono nel posto do
ve erano diretti, anche se nessuno di loro l'aveva nominato.
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Il gargoyle che sorvegliava l'ingresso dello studio del Preside era stato abbattuto; era lì tutto storto, con l'aria un po' stordita, e Harry si chiese se sarebbe riuscito a riconoscere la parola d'ordine.
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«Possiamo salire?» gli chiese.
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«Fate pure» gemette la statua.
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Lo scavalcarono e montarono sulla scala a chiocciola di pietra che saliva lentamente come una scala mobile. In cima, Harry aprì la porta.
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Riuscì appena a scorgere il Pensatoio, ancora sulla scrivania dove l'aveva lasciato, e poi un fragore assordante lo fece gridare, pensare a maledizioni e Mangiamorte di ritorno, e alla rinascita di Voldemort...
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Ma erano applausi. Dalle pareti, i Presidi di Hogwarts in piedi nei loro ritratti gli battevano le mani; agitavano i cappelli e in qualche caso le parrucche, si sporgevano dalle cornici per felicitarsi a vicenda, saltavano sulle poltrone; Dilys Derwent singhiozzava senza pudore, Dexter Fortebraccio sventolava il cornetto acustico; e Phineas Nigellus gridò con la sua voce acuta ed esile: «Vorrei rimarcare che la Casa di Serpeverde ha fatto la sua parte! Che il nostro contributo non sia dimenticato!»
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Ma Harry aveva occhi solo per l'uomo in piedi nel ritratto più grande, proprio dietro la poltrona del Preside. Le lacrime cadevano dietro gli occhiali a mezzaluna per finire nella lunga barba d'argento, e l'orgoglio e la gratitudine che emanava colmarono Harry di un balsamo simile al canto della fenice.
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Infine Harry alzò le mani e i ritratti caddero in un rispettoso silenzio, sorridendo e asciugandosi gli occhi, aspettando con trepidazione che parlasse. Lui tuttavia si rivolse a Silente e scelse le parole con grande attenzione. Sfinito com'era, con gli occhi gonfi e arrossati, doveva fare un ultimo sforzo, chiedere un ultimo consiglio.
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«La cosa che era nascosta nel Boccino» esordì «mi è caduta nella Foresta. Non so dove di preciso, ma non ho intenzione di andare a cercarla. è d'accordo?»
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«Mio caro ragazzo, lo sono» rispose Silente, mentre gli altri ritratti mostravano confusione e curiosità. «Una saggia, coraggiosa decisione, ma è esattamente quello che mi aspettavo da te. Qualcun altro sa dove è caduta?»
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«Nessuno» assicurò Harry, e Silente annuì soddisfatto.
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«Però vorrei tenere il regalo di Ignotus» proseguì Harry, e Silente sorrise.
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«Ma certo, Harry, è tuo per sempre, finché non lo lascerai a qualcuno!» «E poi c'È questa».
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Harry mostrò la Bacchetta di Sambuco, e Ron e Hermione la contemplarono con una venerazione che a Harry, pur confuso e sfinito, non piacque affatto.
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«Non la voglio» disse.
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«Cosa?» esclamò Ron. «Sei pazzo?»
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«Lo so che è potente» continuò Harry stancamente. «Ma mi trovavo meglio con la mia. Quindi...»
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Frugò nella saccoccia che portava al collo e ne estrasse le due metà di agrifoglio ancora attaccate soltanto per un sottilissimo filo di piuma di fenice. Hermione aveva detto che non poteva essere riparata, che il danno era troppo grave. Lui sapeva solo che se non funzionava questo, non avrebbe funzionato nient'altro.
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Posò la bacchetta spezzata sulla scrivania del Preside, la toccò appena con la punta della Bacchetta di Sambuco e mormorò: «Reparo».
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La sua bacchetta si saldò e dalla punta scaturirono scintille rosse. Harry capì che ce l'aveva fatta. Prese la bacchetta di agrifoglio e di fenice e sentì un improvviso calore alle dita, come se mano e bacchetta esultassero per essersi ritrovate.
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«Rimetterò la Bacchetta di Sambuco» annunciò a Silente, che lo guardava con enorme affetto e ammirazione, «dov'era. Può restarci. Se morirò di morte naturale come Ignotus, il suo potere sarà infranto, vero? L'ultimo padrone non sarà mai stato sconfitto. E sarà la fine della storia».
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Silente annuì. Si scambiarono un sorriso.
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«Ne sei sicuro?» chiese Ron. C'era una debolissima eco di desiderio nella sua voce mentre guardava la Bacchetta di Sambuco.
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«Io sono d'accordo con Harry» sussurrò Hermione.
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«Quella bacchetta procura più guai di quel che vale» concluse Harry. Poi voltò le spalle ai dipinti. Pensava solo al letto a baldacchino che lo aspettava nella Torre di Grifondoro: chissà se Kreacher gli avrebbe portato un panino lassù. «E sinceramente» aggiunse, «ho passato abbastanza guai per una vita intera».
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DICIANNOVE ANNI DOPO
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Quell'anno l'autunno arrivò presto. La mattina del primo settembre era croccante e dorata come una mela, e quando la famigliola attraversò la
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strada rumorosa verso l'enorme stazione fuligginosa, i fumi delle auto e il fiato dei pedoni scintillavano come ragnatele nell'aria fredda. Due grandi gabbie sbattevano in cima ai carrelli stracolmi spinti dai genitori; i gufi all'interno gridavano indignati e la bambina con i capelli rossi si trascinava in lacrime dietro i fratelli, aggrappandosi al braccio del padre.
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«Non manca molto, fra poco ci andrai anche tu» tentò di consolarla Harry.
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«Fra due anni» protestò Lily tirando su col naso. «Io voglio andarci adesso!»
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I pendolari fissarono incuriositi i gufi quando la famiglia si aprì la strada verso la barriera tra i binari nove e dieci. Harry udì di nuovo la voce di Albus nel frastuono; i suoi figli avevano ripreso la discussione cominciata in macchina.
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«Non voglio! Non voglio essere un Serpeverde!»
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«James, piantala!» intervenne Ginny.
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«Io ho detto solo che potrebbe» ribatté James, sorridendo al fratello minore. «Non c'È niente di male. Potrebbe essere un Serpe...»
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Ma James colse lo sguardo della madre e tacque. I cinque Potter si avvicinarono alla barriera. Con un'occhiata impertinente al fratellino, James prese il carrello dalla madre e cominciò a correre. Un attimo dopo era sparito.
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«Mi scriverete, vero?» chiese subito Albus ai genitori, approfittando della temporanea assenza del fratello.
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«Tutti i giorni, se vuoi» rispose Ginny.
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«Non proprio tutti» si affrettò a ribattere Albus. «James dice che gli altri ricevono lettere da casa una volta al mese».
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«L'anno scorso gli scrivevamo tre volte la settimana» precisò Ginny.
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«E non devi credere a tutto quello che ti dice su Hogwarts» aggiunse
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Harry. «A tuo fratello piace scherzare».
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Fianco a fianco, spinsero il secondo carrello, prendendo velocità. Quando arrivarono alla barriera, Albus trattenne il fiato, ma non ci fu nessuno scontro. La famiglia emerse sul binario nove e tre quarti, oscurato dal denso vapore bianco che usciva dal rosso Espresso per Hogwarts. Sagome indistinte sciamavano nella nebbiolina che aveva già inghiottito James.
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«Dove sono?» chiese Albus preoccupato, scrutando le forme confuse lungo il binario.
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«Li troveremo» lo rassicurò Ginny.
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Ma il vapore era fitto ed era difficile distinguere i volti. Separate dai
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proprietari, le voci rimbombavano in modo innaturale. Harry riconobbe Percy impegnato in un'animata discussione sulle norme relative ai manici di scopa, e fu lieto di avere una buona scusa per non fermarsi a salutare...
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«Credo che siano loro, Al» disse Ginny a un tratto.
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Un gruppo di quattro persone affiorò dalla nebbia accanto all'ultima carrozza. Solo quando Harry, Ginny, Lily e Albus si furono avvicinati, riuscirono a distinguere le loro facce.
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«Ciao» li salutò Albus, immensamente sollevato.
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Rose, che già indossava la divisa di Hogwarts nuova di zecca, gli sorrise radiosa.
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«Tutto bene con il parcheggio?» chiese Ron a Harry. «Io sì. Hermione non credeva che sarei riuscito a superare l'esame di guida Babbano, vero? Pensava che avrei dovuto Confondere l'esaminatore».
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«Non è vero» protestò Hermione. «Avevo assoluta fiducia in te».
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«In realtà l'ho Confuso» sussurrò Ron a Harry mentre caricavano insieme il baule e il gufo di Albus sul treno. «Avevo solo dimenticato di guardare nello specchietto retrovisore, e diciamocelo, per quello posso sempre usare un Incanto Supersensor».
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Sul marciapiede Lily e Hugo, il fratello minore di Rose, erano immersi in un'animata discussione sulla Casa in cui sarebbero stati Smistati una volta a Hogwarts.
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«Se non finisci in Grifondoro ti diserediamo» intervenne Ron, «ma non voglio metterti pressione».
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«Ron!»
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Lily e Hugo risero, ma Albus e Rose erano serissimi.
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«Non dice davvero» li rassicurarono Hermione e Ginny, ma Ron si era distratto. Intercettò lo sguardo di Harry e accennò di nascosto a un punto a una cinquantina di metri da lì. Il vapore per un attimo si diradò e tre persone si stagliarono nitide contro la nebbiolina fluttuante.
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«Guarda chi c'È».
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Era Draco Malfoy con moglie e figlio, un cappotto scuro abbottonato fino alla gola. Stava cominciando a stempiarsi, il che enfatizzava il mento appuntito. Il ragazzino gli assomigliava quanto Albus assomigliava a Harry. Draco si accorse che Harry, Ron, Hermione e Ginny lo guardavano, fece un brusco cenno di saluto e si voltò.
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«E così quello è il piccolo Scorpius» commentò Ron sottovoce. «Cerca di batterlo in tutti gli esami, Rosie. Per fortuna hai il cervello di tua madre».
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«Ron, per l'amor del cielo» ribatté Hermione, un po' seria un po' divertita. «Non cercare di metterli contro ancora prima che la scuola sia cominciata!»
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«Hai ragione, scusa» concesse Ron, ma non riuscì a trattenersi e aggiunse: «Non dargli troppa confidenza, Rosie. Nonno Arthur non ti perdonerebbe mai se sposassi un Purosangue».
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«Ehi!»
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James era ricomparso; si era liberato di baule, gufo e carrello, e moriva dalla voglia di raccontare qualcosa.
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«C'È Teddy laggiù» ansimò, puntando alle sue spalle, verso le nuvole di vapore. «L'ho appena visto! E indovinate cosa sta facendo? Si bacia con Victoire!»
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Guardò verso gli adulti, chiaramente deluso dalla mancanza di reazioni.
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«Il nostro Teddy! Teddy Lupin! Che si bacia con la nostra Victoire! Nostra cugina! Gli ho chiesto cosa stava facendo...»
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«Li hai interrotti?» domandò Ginny. «Sei proprio come Ron...»
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«... e lui ha detto che era venuto a salutarla! E poi mi ha detto di andar via. Si stavano baciando!» aggiunse James, come se fosse preoccupato di non essere stato abbastanza chiaro.
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«Oh, sarebbe bellissimo se si sposassero!» sussurrò Lily estatica. «Così Teddy farebbe veramente parte della famiglia!»
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«Viene già a cena quattro volte la settimana» osservò Harry. «Perché non gli diciamo di venire a vivere da noi e la facciamo finita?»
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«Sì!» esclamò James entusiasta. «A me non importa di dormire con Al... Teddy può prendere la mia stanza!»
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«No» rispose Harry deciso, «tu e Al starete in stanza assieme solo quando vorrò far demolire la casa».
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Guardò il vecchio orologio ammaccato che era appartenuto a Fabian Prewett.
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«Sono quasi le undici, è meglio se salite».
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«Non dimenticare di dare un bacio a Neville!» si raccomandò Ginny a James abbracciandolo.
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«Mamma! Non posso dare un bacio a un professore!»
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«Ma tu sei amico di Neville...»
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James alzò gli occhi al cielo.
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«Fuori sì, ma a scuola è il professor Paciock, no? Non posso entrare in classe di Erbologia e baciarlo...»
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James scosse il capo per le assurdità della madre e si sfogò tirando un
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calcio ad Albus.
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«Ci vediamo dopo, Al. Occhio ai Thestral».
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«Pensavo che fossero invisibili. Hai detto che erano invisibili!»
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Ma James rise, si lasciò baciare da sua madre, abbracciò in fretta il padre e balzò sul treno che si andava riempiendo. Lo videro agitare il braccio in segno di saluto e correre via lungo il corridoio, a cercare i suoi amici.
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«Non devi preoccuparti per i Thestral» spiegò Harry ad Albus. «Sono creature gentili, non c'È niente di spaventoso in loro. E comunque non arriverai a scuola in carrozza, ci andrai in barca».
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Ginny baciò Albus.
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«Ci vediamo a Natale».
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«Ciao, Al» disse Harry, mentre il figlio lo abbracciava. «Non dimenticare che Hagrid ti ha invitato a prendere il tÈ venerdì prossimo. Non perdere tempo con Pix. Non sfidare a duello nessuno finché non avrai imparato. E non farti prendere in giro da James».
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«E se divento un Serpeverde?»
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Il sussurro era destinato solo a suo padre, e Harry capì che il momento della partenza aveva spinto Albus a rivelare quanto grande e sincera fosse la sua paura.
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Harry si accovacciò in modo che il viso di Albus fosse appena sopra il suo. Era l'unico dei suoi tre figli ad aver ereditato gli occhi di Lily.
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«Albus Severus» mormorò, in modo che nessuno sentisse a parte Ginny, e lei, con molto tatto, finse di salutare Rose, già sul treno. «Tu porti il nome di due Presidi di Hogwarts. Uno di loro era un Serpeverde e probabilmente l'uomo più coraggioso che io abbia mai conosciuto».
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«Ma se...»
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«... vorrà dire che la Casa di Serpeverde avrà guadagnato un ottimo studente, no? A noi non importa, Al. Ma se per te è importante, potrai scegliere Grifondoro invece di Serpeverde. Il Cappello Parlante tiene conto della tua scelta».
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«Davvero?»
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«Con me l'ha fatto» confermò Harry.
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Non l'aveva mai detto a nessuno dei suoi figli e vide la meraviglia sul volto di Albus. Ma ormai gli sportelli sbattevano lungo il treno rosso e le figure sfocate dei genitori si avvicinavano alle carrozze per i baci d'addio e le ultime raccomandazioni. Albus balzò a bordo e Ginny chiuse lo sportello alle sue spalle. Dai finestrini più vicini si sporgevano studenti. Un gran numero di facce, sia sul treno sia sul binario, erano rivolte verso Harry.
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«Cos'hanno tutti da guardare?» chiese Albus, mentre lui e Rose allungavano il collo per osservare gli altri studenti.
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«Non farci caso» rispose Ron. «È per me. Sono estremamente famoso».
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Albus, Rose, Hugo e Lily risero. Il treno cominciò a muoversi e Harry lo seguì camminando, guardando il viso magro del figlio, già infiammato per l'emozione. Continuò a sorridere e a salutare, anche se era come un piccolo lutto vedere suo figlio allontanarsi...
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L'ultima traccia di vapore svanì nell'aria autunnale. Il treno svoltò. La mano di Harry era ancora alzata in segno di saluto.
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«Non avrà problemi» mormorò Ginny.
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Harry la guardò e distrattamente abbassò la mano a sfiorare la cicatrice a forma di saetta sulla fronte.
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«Lo so».
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La cicatrice non gli faceva male da diciannove anni. Andava tutto bene.
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