Ripensandoci, anche a un mese di distanza, Harry scoprì di ricordare molto poco dei giorni seguenti. Era come se ne avesse passate troppe per riuscire ad accettare altro. I ricordi che aveva erano molto dolorosi. Il peggiore, forse, fu l’incontro con i Diggory che ebbe luogo la mattina dopo.
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Non lo accusarono di quanto era accaduto; al contrario, lo ringraziarono per aver restituito loro il corpo di Cedric. Il signor Diggory fu scosso dai singhiozzi per gran parte dell’incontro. Il dolore della signora Diggory pareva al di là delle lacrime.
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«Allora ha sofferto pochissimo» disse, quando Harry le ebbe raccontato com’era morto Cedric. «E dopotutto, Amos… è morto quando aveva appena vinto il Torneo. Doveva essere felice».
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Quando si furono alzati, guardò Harry e disse: «Adesso bada a te stesso».
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Harry afferrò il sacco dell’oro sul comodino.
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«Prendete questo» le sussurrò. «Doveva essere di Cedric, è arrivato per primo, prendetelo…»
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Ma lei indietreggiò. «Oh, no, è tuo, caro, non potremmo… tienilo tu».
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La sera seguente Harry tornò alla Torre di Grifondoro. Da quanto gli avevano raccontato Ron e Hermione, Silente aveva parlato a tutta la scuola quella mattina a colazione. Aveva semplicemente chiesto che lasciassero in pace Harry, che nessuno gli facesse domande o insistesse per farsi raccontare ciò che era successo nel labirinto. Moltissimi, osservò Harry, lo scansavano nei corridoi evitando il suo sguardo. Alcuni sussurravano al suo passaggio, nascondendo la bocca con la mano. Immaginò che molti di loro avessero creduto all’articolo di Rita Skeeter su quanto fosse disturbato e potenzialmente pericoloso. Forse stavano elaborando le loro teorie sulla morte di Cedric. Scoprì che non gliene importava granché. La cosa migliore era stare con Ron e Hermione mentre loro parlavano di altre cose, oppure lo lasciavano star lì in silenzio mentre giocavano a scacchi. Era come se tutti e tre avessero stretto un patto che non aveva bisogno di parole. Ciascuno di loro era in attesa di un segnale, una parola su quanto stava succedendo al di fuori di Hogwarts, ed era inutile fare congetture finché non avessero saputo qualcosa di certo. L’unica volta che affrontarono l’argomento fu quando Ron disse a Harry dell’incontro che la signora Weasley aveva avuto con Silente appena prima di tornare a casa.
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«È andata a chiedergli se quest’estate potevi venire subito da noi» disse. «Ma lui vuole che tu torni dai Dursley, almeno per ora».
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«Perché?» chiese Harry.
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«Ha detto che Silente ha le sue buone ragioni» disse Ron, scuotendo la testa cupamente. «Immagino che dobbiamo avere fiducia in lui, no?»
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A parte Ron e Hermione, l’unica persona con cui Harry riusciva a parlare era Hagrid. Dal momento che non c’era più un insegnante di Difesa contro le Arti Oscure, quelle ore di lezione erano rimaste vuote. Usarono quella del giovedì pomeriggio per andare a trovarlo alla sua capanna. Era una giornata limpida e soleggiata; Thor scattò fuori dalla porta aperta sentendoli avvicinarsi, abbaiando e scodinzolando come un matto.
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«Chi è?» gridò Hagrid, avvicinandosi alla soglia. «Harry!»
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Andò loro incontro, abbracciò forte Harry, gli spettinò i capelli e disse: «È bello vederti, amico. È bello vederti».
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Una volta entrati, videro due tazzine grandi come secchi con il loro piattino troneggiare sul tavolo di legno davanti al camino.
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«Stavo bevendo una tazza con Olympe» disse Hagrid, «è appena andata via».
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«Chi?» chiese Ron incuriosito.
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«Madame Maxime, naturale!» rispose Hagrid.
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«Voi due avete fatto la pace, vero?» disse Ron.
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«Non so di cosa stai parlando» disse Hagrid in tono leggero, prendendo altre tazze dalla credenza. Quando ebbe preparato il tè ed ebbe offerto un vassoio di biscotti pastosi, si abbandonò contro lo schienale della sedia e osservò Harry da vicino con i suoi occhi nerissimi.
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«Stai bene?» chiese con voce burbera.
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«Sì» rispose Harry.
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«No, non è vero» disse Hagrid. «Certo che no. Ma ti rimetterai».
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Harry tacque.
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«Lo sapevo che tornava» disse Hagrid. Harry, Ron e Hermione lo guardarono spaventati. «Lo sapevo da anni, Harry. Lo sapevo che era là fuori ad aspettare l’occasione buona. Doveva succedere. Be’, adesso è successo, e dobbiamo andare avanti. Combatteremo. Forse ce la facciamo a fermarlo in tempo. Questo è il piano di Silente, comunque. Grand’uomo, Silente. Finché abbiamo lui, non sono preoccupato».
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Hagrid sollevò le sopracciglia cespugliose notando l’espressione incredula stampata sui volti dei tre amici.
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«Non serve star qui a preoccuparsi» disse. «Quel che sarà sarà, e lo affronteremo quando è il momento. Silente mi ha detto quello che hai fatto, Harry».
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Il petto di Hagrid si gonfiò mentre guardava Harry. «Hai fatto quello che avrebbe fatto tuo padre, e non c’è lode più grande di questa».
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Harry gli rispose con un sorriso. Era la prima volta da giorni che sorrideva.
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«Che cosa ti ha chiesto di fare Silente, Hagrid?» gli chiese. «Ha mandato la professoressa McGranitt a chiedere a te e a Madame Maxime di incontrarlo… quella notte».
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«Mi ha trovato un lavoretto per l’estate» disse Hagrid. «Segreto, però. Non dovrei parlarne, neanche con voi tre. Olympe… Madame Maxime forse viene con me. Credo che viene. Credo che l’ho convinta».
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«Ha a che fare con Voldemort?»
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Hagrid si ritrasse a sentir pronunciare quel nome.
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«Può darsi» rispose evasivo. «Ora… volete venire con me a trovare l’ultimo Schiopodo? Stavo scherzando… stavo scherzando!» ripeté in fretta, guardando le loro facce.
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Fu con il cuore oppresso che Harry preparò il baule la sera prima del suo ritorno a Privet Drive. Temeva il Banchetto d’Addio, che di solito era l’occasione per grandi festeggiamenti e il momento della proclamazione del vincitore della Coppa delle Case. Fin da quando era uscito dall’infermeria aveva evitato di entrare in Sala Grande quando era gremita, e aveva preferito mangiare quando era quasi vuota, per evitare gli sguardi dei suoi compagni.
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Quando lui, Ron e Hermione entrarono nella Sala, videro subito che mancavano le consuete decorazioni. La Sala Grande di solito era addobbata con i colori della casa vincitrice in occasione della festa di fine anno. Quella sera, invece, c’erano stendardi neri sulla parete dietro il tavolo degli insegnanti. Harry capì subito che erano lì in segno di rispetto per Cedric.
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Il vero Malocchio Moody era al tavolo degli insegnanti; la gamba di legno e l’occhio magico erano tornati al loro posto. Era estremamente nervoso, e sobbalzava tutte le volte che qualcuno gli rivolgeva la parola. Harry non poté biasimarlo: la sua paura di essere aggredito doveva essere ben aumentata in dieci mesi di prigionia nel proprio baule. La sedia del professor Karkaroff era vuota. Harry si chiese, mentre prendeva posto con gli altri di Grifondoro, dove si trovava in quel momento, e se Voldemort era riuscito a raggiungerlo.
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Madame Maxime invece era lì. Era seduta vicino a Hagrid. Parlavano piano. Più in là, vicino alla professoressa McGranitt, c’era Piton. I suoi occhi indugiarono su Harry per un istante, mentre Harry ricambiava lo sguardo. La sua espressione era difficile da interpretare. Sembrava acido e sgradevole come sempre. Harry continuò a osservarlo anche dopo che lui ebbe distolto lo sguardo.
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Che cos’era che Piton aveva fatto su ordine di Silente, la notte del ritorno di Voldemort? E perché… perché… Silente era così convinto che Piton fosse davvero dalla loro parte? Era la loro spia, l’aveva detto Silente nel Pensatoio. Piton era diventato una spia contro Voldemort, “a suo rischio e pericolo”. Era quello il compito che si era assunto di nuovo? Aveva preso contatto con i Mangiamorte, forse? Aveva finto di non essere mai davvero passato dalla parte di Silente, di aver semplicemente, come Voldemort stesso, aspettato l’occasione propizia?
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Fu Silente, alzandosi a porre fine alle riflessioni di Harry. La Sala Grande, che era già meno rumorosa di quanto non fosse di solito al Banchetto d’Addio, cadde nel silenzio.
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«Siamo alla fine» esordì Silente, facendo scorrere lo sguardo su tutti loro «di un altro anno».
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Fece una pausa, e i suoi occhi si posarono sul tavolo di Tassorosso. Il loro era il tavolo più taciturno già da prima che Silente si alzasse, e i loro volti erano anche i più tristi e pallidi della Sala.
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«Ci sono molte cose che vorrei dire a tutti voi stasera» disse Silente, «ma prima di tutto devo ricordare la perdita di una persona molto bella, che dovrebbe essere seduta qui» — e fece un gesto verso il tavolo di Tassorosso — «a godersi il Banchetto con noi. Vorrei che tutti voi, per favore, vi alzaste e brindaste a Cedric Diggory».
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Obbedirono tutti; le panche grattarono per terra mentre tutti in Sala si alzavano e levavano i calici e ripetevano, in un solo, cupo rombo: «A Cedric Diggory».
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Harry intravide Cho tra la folla. Le lacrime le rigavano il viso. Fissò il tavolo mentre tutti tornavano a sedere.
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«Cedric era una persona che riuniva in sé molte delle qualità che distinguono la casa di Tassorosso» riprese Silente. «Era un amico buono e fedele, un gran lavoratore, credeva nel gioco leale. La sua morte ha toccato tutti voi, che lo conosceste o no. Credo che abbiate il diritto, dunque, di sapere esattamente com’è successo».
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Harry alzò il capo e fissò Silente.
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«Cedric Diggory è stato assassinato da Voldemort».
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Un sussurro terrorizzato spazzò la Sala Grande. Tutti fissarono Silente increduli e atterriti. Lui rimase perfettamente calmo a guardarli confabulare, e poi tacere di nuovo.
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«Il Ministero della Magia» riprese Silente, «non vorrebbe che ve lo dicessi. È possibile che alcuni dei vostri genitori si scandalizzeranno per ciò che ho fatto: perché non vogliono credere al ritorno di Voldemort, o perché sono convinti che non dovrei dirvelo, giovani come siete. È mia convinzione, tuttavia, che la verità sia generalmente preferibile alle menzogne, e che ogni tentativo di fingere che Cedric sia morto in seguito a un incidente, o a un errore da lui commesso, sia un insulto alla sua memoria».
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Tutti quanti in Sala erano rivolti a Silente, stupefatti e sconvolti… o meglio, quasi tutti. Al tavolo di Serpeverde, Harry vide Draco Malfoy bofonchiare qualcosa a Tiger e Goyle. Harry sentì lo stomaco contrarsi per la rabbia, una rabbia folle e bruciante. Si costrinse a guardare di nuovo verso Silente.
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«C’è qualcun altro che dev’essere ricordato in merito alla morte di Cedric» continuò Silente. «Naturalmente sto parlando di Harry Potter».
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Un mormorio percorse la Sala Grande, mentre poche teste si voltavano dalla parte di Harry prima di tornare rapide a Silente.
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«Harry Potter è riuscito a sfuggire a Voldemort» disse Silente. «Ha rischiato la vita per riportare il corpo di Cedric a Hogwarts. Ha dimostrato, in tutti i sensi, il coraggio che pochi maghi hanno mostrato nell’affrontare Voldemort, e per questo io gli rendo onore».
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Silente si voltò con gravità verso Harry, e levò di nuovo il calice. Quasi tutti in Sala Grande lo imitarono subito. Mormorarono il suo nome, come avevano mormorato quello di Cedric, e bevvero alla sua salute. Ma da uno spazio vuoto tra le persone in piedi, Harry notò che Malfoy, Tiger, Goyle e molti degli altri Serpeverde erano rimasti seduti al loro posto in segno di sfida, senza toccare i calici. Silente, che dopotutto non possedeva occhi magici, non li vide.
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Quando tutti si furono rimessi a sedere, Silente riprese: «Lo scopo del Torneo Tremaghi era di approfondire e promuovere l’intesa tra maghi. Alla luce di quanto è accaduto — il ritorno di Voldemort — questi legami sono più importanti che mai».
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Silente spostò lo sguardo da Madame Maxime e Hagrid a Fleur Delacour e ai suoi compagni di Beauxbatons, a Viktor Krum e ai ragazzi di Durmstrang al tavolo di Serpeverde. Krum, osservò Harry, era guardingo, quasi spaventato, come se si aspettasse che Silente dicesse qualcosa di terribile.
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«Tutti gli ospiti di questa Sala» disse Silente, e i suoi occhi indugiarono sugli studenti di Durmstrang, «saranno i benvenuti qui, in qualunque momento, quando vorranno venire. Ripeto ancora una volta a tutti voi: alla luce del ritorno di Voldemort, siamo forti solo se uniti, deboli se divisi.
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«L’abilità di Voldemort nel seminare discordia e inimicizia è molto grande. Possiamo combatterla solo mostrando un legame altrettanto forte di amicizia e fiducia. Le differenze di abitudini e linguaggio non sono nulla se i nostri scopi sono gli stessi e i nostri cuori sono aperti.
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«È mia convinzione — e non ho mai desiderato tanto di sbagliarmi — che stiamo tutti per affrontare tempi oscuri e difficili. Alcuni di voi in questa Sala hanno già subito terribili sofferenze a opera di Voldemort. Molte delle vostre famiglie sono state distrutte. Una settimana fa, uno studente ci è stato portato via.
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«Ricordatevi di Cedric. Quando e se per voi dovesse venire il momento di scegliere tra ciò che è giusto è ciò che è facile, ricordate cos’è accaduto a un ragazzo che era buono, e gentile, e coraggioso, per aver attraversato il cammino di Voldemort. Ricordatevi di Cedric Diggory».
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I bagagli di Harry erano pronti; Edvige era di nuovo rinchiusa nella sua gabbia, in cima al baule. Nella Sala d’Ingresso affollata, Harry, Ron e Hermione, insieme agli altri del quarto anno, aspettavano l’arrivo delle carrozze che li avrebbero portati alla stazione di Hosgmeade. Era un’altra bella giornata estiva. Harry suppose che quella sera al suo arrivo Privet Drive sarebbe stata calda e fronzuta, le aiuole un tripudio di colori. Ma il pensiero non gli suscitò alcuna gioia.
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«Harry!»
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Si voltò. Fleur Delacour saliva di corsa i gradini di pietra davanti al castello. Dietro di lei, lontano nel parco, Harry vide Hagrid aiutare Madame Maxime a mettere i finimenti a due cavalli giganti. La carrozza di Beauxbatons era pronta a partire.
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«Au revoir, a presto» disse Fleur avvicinandosi con la mano tesa. «Spera di trovare lavoro qui, per ameliorare il mio inglese».
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«È già ottimo» intervenne Ron con voce soffocata. Fleur gli sorrise, Hermione s’incupì.
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«Arrivedersci, Harry» disse Fleur. «È stato un piascere conoscerti!»
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L’umore di Harry non poté non migliorare un po’ mentre guardava Fleur correre nel prato verso Madame Maxime, i capelli argentei che scintillavano al sole.
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«Chissà come faranno gli studenti di Durmstrang a tornare a casa» disse Ron. «Credete che siano in grado di governare la nave senza Karkaroff?»
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«Karkaroff gofernafa un bel niente» disse una voce burbera. «Stava in sua cabina e faceva laforare noi». Krum era venuto a dire addio a Hermione. «Posso con te parlare uno momento?» le chiese.
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«Oh… sì… certo» disse Hermione arrossendo, e spari con Krum tra la folla.
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«È meglio se ti muovi!» le gridò dietro Ron. «Le carrozze saranno qui tra un attimo!»
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Ma lasciò che fosse Harry a sorvegliare l’arrivo delle carrozze, e passò i minuti seguenti allungando il collo al di sopra della folla per cercare di vedere che cosa facevano Krum e Hermione. I due tornarono molto presto. Ron scoccò a Hermione uno sguardo penetrante, ma lei rimase impassibile.
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«Mi piacefa Diggory» disse all’improvviso Krum a Harry. «È stato sempre gentile con me. Sempre. Anche se ero di Durmstrang — con Karkaroff» aggiunse, accigliato.
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«Avete già un nuovo direttore?»
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Krum alzò le spalle. Tese la mano come aveva fatto Fleur, strinse quella di Harry e poi quella di Ron.
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Ron sembrava preda di un doloroso conflitto interiore. Krum aveva già cominciato ad allontanarsi, quando Ron non si trattenne più: «Mi fai l’autografo?»
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Hermione distolse lo sguardo e sorrise alle carrozze senza cavalli che risalivano pesantemente il viale, mentre Krum, sorpreso ma lusingato, firmava un foglio di pergamena per Ron.
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Durante il viaggio di ritorno a King’s Cross, il tempo non avrebbe potuto essere più diverso da quello del viaggio di andata. Non c’era nemmeno una nuvola in cielo. Harry, Ron e Hermione erano riusciti a trovare uno scompartimento tutto per loro. Leo era stato di nuovo nascosto sotto l’abito da sera di Ron, per impedirgli di continuare a ululare. Edvige dormicchiava, la testa sotto l’ala, e Grattastinchi era acciambellato su un sedile vuoto come un grosso, peloso cuscino rossiccio. Harry. Ron e Hermione parlarono più a lungo e più liberamente del resto della settimana, mentre il treno li portava sfrecciando verso sud. Era come se il discorso di Silente alla festa di fine anno avesse sbloccato Harry. Era meno doloroso, ora, discutere dell’accaduto. Solo all’arrivo del carrello del pranzo interruppero le loro congetture sui provvedimenti che forse in quello stesso momento Silente stava prendendo per fermare Voldemort.
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Quando Hermione tornò dal carrello, rimise il denaro nella borsa dei libri e ne sfilò una copia della Gazzetta del Profeta.
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Harry la guardò, senza sapere se voleva veramente scoprire che cosa c’era scritto, ma Hermione, intercettato il suo sguardo, disse tranquillamente: «Non c’è niente qui sopra. Puoi guardare anche tu, ma non c’è niente di niente. Controllo tutti i giorni. Solo un articoletto il giorno dopo la terza prova, che diceva che avevi vinto il Torneo. Non hanno nemmeno fatto cenno a Cedric. Non ne parlano proprio. Secondo me, Caramell li sta costringendo a starsene tranquilli».
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«Non riuscirà mai a far stare tranquilla Rita» disse Harry. «Non con una storia del genere».
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«Oh, Rita non ha scritto nemmeno una riga dalla terza prova» rispose Hermione, in tono stranamente controllato. «In effetti» aggiunse, e ora la sua voce ebbe un lieve tremito, «Rita Skeeter non scriverà proprio niente per un po’. A meno che non voglia che io vuoti il sacco su di lei».
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«Ma che cosa stai dicendo?»
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«Ho scoperto come faceva ad ascoltare le nostre conversazioni private quando non avrebbe dovuto nemmeno mettere piede nel parco» disse Hermione tutto d’un fiato.
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Harry ebbe l’impressione che Hermione morisse dalla voglia di raccontarlo da giorni, ma che si fosse trattenuta per via dell’accaduto.
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«Come faceva?» chiese subito Harry.
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«Come hai fatto a scoprirlo?» chiese Ron, fissandola stupefatto.
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«Be’, sei stato tu, veramente, a darmi l’idea, Harry» rispose lei.
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«Io?» chiese Harry, perplesso. «E come?»
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«Cimici» disse Hermione allegramente.
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«Ma dicevi che non funzionavano…»
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«Oh, non cimici elettroniche» disse Hermione. «No, vedete… Rita Skeeter» — la voce di Hermione tremò di tranquillo trionfo — «è un Animagus non iscritto al registro. Sa trasformarsi…» estrasse dalla borsa un barattolino di vetro sigillato. «… in uno scarabeo».
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«Stai scherzando» disse Ron. «Non l’avrai… non sarà…»
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«Oh, sì, invece» rispose Hermione trionfante, tendendo il barattolo verso di loro.
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Dentro c’erano foglie, rametti e un grosso, grasso scarabeo.
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«Non è possibile… stai scherzando…» sussurrò Ron. Prese il barattolo e lo avvicinò agli occhi.
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«No che non scherzo» disse Hermione, raggiante. «L’ho catturata sul davanzale dell’infermeria. Guardate bene, e vedrete che i segni attorno alle antenne sono identici a quei suoi orrendi occhiali».
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Harry guardò bene, e vide che aveva ragione. Gli venne in mente qualcosa. «C’era uno scarabeo sulla statua la notte che abbiamo sentito Hagrid raccontare di sua madre a Madame Maxime!»
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«Proprio così» rispose Hermione. «E Viktor mi ha tolto uno scarabeo dai capelli dopo che avevamo parlato vicino al lago. E se non mi sbaglio di grosso, Rita era appollaiata sul davanzale dell’aula di Divinazione il giorno che ti faceva male la cicatrice. È tutto l’anno che ronza in giro in cerca di storie».
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«Quando abbiamo visto Malfoy sotto quell’albero…» disse Ron lentamente.
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«Stava parlando con lei, e la teneva in mano» spiegò Hermione. «Lui sapeva, naturalmente. È così che lei ha ottenuto tutte quelle belle intervistine con i Serpeverde. A loro non importava che lei facesse qualcosa di illegale, pur di raccontarle cose orribili su di noi e su Hagrid».
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Hermione sfilò il barattolo dalla mano di Ron e sorrise allo scarabeo, che ronzò rabbioso contro il vetro.
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«Le ho detto che la lascerò uscire quando saremo tornati a Londra» disse Hermione. «Ho imposto un Incantesimo Infrangibile sul barattolo, sapete, così non può trasformarsi. E le ho detto che deve tenere la piuma chiusa in borsetta per un anno intero. Vediamo se riesce a perdere l’abitudine di scrivere tremende bugie sulla gente».
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Con un sorriso sereno, Hermione rimise il barattolo nella borsa dei libri. Poi la porta dello scompartimento si aprì.
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«Davvero brillante, Granger» disse Draco Malfoy.
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Tiger e Goyle erano alle sue spalle. Tutti e tre sembravano più compiaciuti, arroganti e minacciosi che mai.
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«Allora» disse Malfoy lentamente, avanzando appena nello scompartimento e volgendo lo sguardo su di loro, un ghigno beffardo che gli increspava le labbra. «Tu hai catturato una giornalista patetica, e Potter è di nuovo il cocco di Silente. Magnifico».
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Il ghigno si allargò. Tiger e Goyle si scambiarono un’occhiata complice.
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«Stiamo cercando di non pensarci, vero?» continuò Malfoy con voce morbida, guardando tutti e tre, uno alla volta. «Stiamo cercando di far finta che non sia successo?»
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«Fuori» disse Harry.
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Non si era trovato vicino a Malfoy da quando l’aveva visto confabulare con Tiger e Goyle durante il discorso di Silente su Cedric. Udì qualcosa risuonargli nelle orecchie. La sua mano afferrò e strinse la bacchetta sotto la veste.
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«Hai scelto il partito sbagliato, Potter! Ti avevo avvertito! Ti avevo detto che dovevi scegliere più attentamente i tuoi amici, ricordi? Quando ci siamo incontrati sul treno, il primo giorno di scuola? Ti avevo detto di non frequentare della plebaglia del genere!» E indicò con un cenno del capo Ron e Hermione. «Ora è troppo tardi, Potter! Saranno i primi a sparire, ora che il Signore Oscuro è tornato! Mezzosangue e Babbanofili saranno i primi! Be’… i secondi… Diggory è stato il p…»
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Fu come se qualcuno avesse fatto esplodere una cassa di fuochi d’artificio nello scompartimento. Accecato dal bagliore degli incantesimi che erano schizzati da tutte le parti, assordato da una serie di scoppi, Harry strizzò le palpebre, e guardò sul pavimento.
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Malfoy, Tiger e Goyle erano distesi sulla soglia, privi di sensi. Lui, Ron e Hermione erano in piedi. Ciascuno di loro aveva scagliato un incantesimo diverso. E non erano i soli.
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«Avevamo pensato di venire a vedere che cos’avevano in mente quei tre» disse Fred in tono pratico, urtando Goyle per entrare nello scompartimento. Brandiva la bacchetta, e così George, che si premurò di inciampare in Malfoy mentre entrava alle spalle di Fred.
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«Un risultato interessante» disse, guardando Tiger. «Chi è stato a usare l’Incantesimo Furnunculus?»
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«Io» disse Harry.
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«Curioso» disse George con leggerezza. «Io ho usato la Fattura Gambemolli. A quanto pare non bisognerebbe mescolarli. È come se gli fossero spuntati dei piccoli tentacoli su tutta la faccia. Be’, non lasciamoli qui, non fanno molto per migliorare l’arredamento».
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Ron, Harry e George calciarono, rotolarono e spinsero i corpi svenuti di Malfoy, Tiger e Goyle — tutti e tre assai malridotti, visto il miscuglio di incantesimi che li avevano bersagliati — nel corridoio, poi tornarono nello scompartimento e chiusero la porta.
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«Qualcuno vuole giocare a Spara Schiocco?» propose Fred, estraendo un mazzo di carte.
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Erano nel bel mezzo della quinta partita quando Harry decise di fare la domanda.
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«Allora, ce lo dite?» domandò, rivolto a George. «Chi stavate ricattando?»
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«Oh» disse George cupo. «Quello».
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«Non ha importanza» disse Fred, scuotendo il capo, spazientito. «Non era niente di importante. Ora non lo è, comunque».
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«Abbiamo lasciato perdere» disse George, con una scrollata di spalle.
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Ma Harry, Ron e Hermione continuarono a interrogarli, e finalmente Fred sbuffò: «Va bene, va bene, se proprio lo volete sapere… era Ludo Bagman».
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«Bagman?» esclamò Harry in tono brusco. «State dicendo che era coinvolto nel…»
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«Nooo» disse George, tetro. «Niente del genere. Quello sciocco idiota. Non avrebbe avuto abbastanza cervello».
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«Be’, e allora?»
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Fred esitò, poi disse: «Vi ricordate che avevamo scommesso con lui alla Coppa del Mondo di Quidditch? Che avrebbe vinto l’Irlanda, ma Krum avrebbe preso il Boccino?»
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«Sì» dissero Harry e Ron lentamente.
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«Be’, quell’idiota ci ha pagato con l’oro dei Lepricani che aveva preso alle mascotte dell’Irlanda».
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«E allora?»
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«E allora» ripeté Fred spazientito, «è sparito, no? La mattina dopo non c’era più!»
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«Ma… dev’essere stato un incidente, no?» disse Hermione.
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George scoppiò in una risata molto amara. «Sì, è quello che abbiamo pensato anche noi, all’inizio. Abbiamo pensato che scrivendogli, dicendogli che aveva fatto un errore, avrebbe sganciato i nostri soldi. Ma niente da fare. Ha ignorato la nostra lettera. Abbiamo cercato di parlargli un sacco di volte a Hogwarts, ma trovava sempre qualche scusa per sfuggirci».
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«Alla fine, è diventato odioso» aggiunse Fred. «Ci ha detto che eravamo troppo giovani per il gioco d’azzardo, e che non ci avrebbe dato un bel niente».
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«Allora abbiamo chiesto che ci restituisse il nostro denaro» disse George, arrabbiato.
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«Non avrà rifiutato!» disse Hermione senza fiato.
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«Proprio così» disse Fred.
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«Ma erano tutti i vostri risparmi!» disse Ron.
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«Non dirmelo» disse George. «Naturalmente alla fine abbiamo scoperto che cosa stava succedendo. Anche il padre di Lee Jordan ha fatto fatica a ottenere da Bagman il denaro che gli spettava. È venuto fuori che era nei pasticci con i goblin. Ha preso in prestito da loro un sacco di denaro. Una loro banda lo ha assalito nel bosco dopo la Coppa del Mondo e gli ha portato via tutto l’oro che aveva, e non è nemmeno bastato a coprire tutti i suoi debiti. L’hanno seguito fino a Hogwarts per tenerlo d’occhio. Ha perso tutto al gioco. Non ha più un galeone. E lo sapete quell’imbecille come ha cercato di risarcire i goblin?»
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«Come?» chiese Harry.
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«Ha puntato su di te, amico» disse Fred. «Ha fatto una grossa giocata, scommettendo che avresti vinto il Torneo. Contro i goblin».
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«Allora è per quello che cercava di aiutarmi a vincere!» esclamò Harry. «Be’… ho vinto, no? Quindi può restituirvi il vostro denaro!»
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«No» disse George, scuotendo il capo. «I goblin giocano sporco quanto lui. Dicono che tu hai pareggiato con Diggory, e Bagman aveva scommesso che saresti stato il primo assoluto. Cosi è dovuto fuggire. È scappato subito dopo la terza prova».
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George sospirò ricominciando a distribuire le carte.
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Il resto del viaggio fu abbastanza piacevole. Harry si scoprì a desiderare che continuasse per tutta l’estate, in modo da non arrivare mai a King’s Cross… ma come aveva imparato quell’anno nel modo più duro, il tempo non rallenta quando ti aspetta qualcosa di sgradevole, e ben presto — troppo presto — l’Espresso di Hogwarts rallentò e si fermò sul binario nove e tre quarti. Il rumore e la confusione consueti riempirono i corridoi mentre gli studenti cominciavano a scendere. Ron e Hermione scavalcarono con difficoltà Malfoy, Tiger e Goyle, trascinando i bauli.
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Harry, invece, rimase indietro.
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«Fred… George… aspettate un attimo».
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I gemelli si voltarono. Harry aprì il baule ed estrasse la vincita del Tremaghi.
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«Prendetelo» disse, e ficcò il sacchetto nelle mani di George.
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«Cosa?» disse Fred, sbalordito.
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«Prendetelo» ripeté Harry con decisione. «Io non lo voglio».
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«Sei pazzo» disse George, cercando di restituirlo a Harry.
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«No» disse Harry. «Prendetelo voi, e andate avanti con le vostre invenzioni. È per il negozio di scherzi».
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«È pazzo» disse Fred, con sgomento.
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«Sentite» disse Harry con fermezza. «Se non lo prendete voi, lo butto in un tombino. Non lo voglio e non mi serve. Ma un po’ di risate mi farebbero bene. Un po’ di risate farebbero bene a tutti. Ho la sensazione che ben presto ne avremo bisogno più del solito».
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«Harry» disse George debolmente, soppesando il sacchetto con il denaro, «ci devono essere un migliaio di galeoni qui dentro».
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«Sì» disse Harry, con un gran sorriso. «Pensa quante Crostatine Canarine fanno».
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I gemelli lo fissarono stupefatti.
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«Solo una cosa, non dite a vostra madre dove li avete presi… anche se può darsi che non abbia più tanta voglia di farvi entrare al Ministero, adesso che ci penso…»
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«Harry» esordì Fred, ma Harry estrasse la bacchetta.
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«Senti» disse in tono deciso, «prendilo, o ti sparo un incantesimo. Adesso ne so di belli. Fatemi solo un favore, ok? Comprate a Ron un abito da sera, e ditegli che è un regalo da parte vostra».
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Uscì dallo scompartimento prima che potessero aggiungere qualcosa, scavalcando Malfoy, Tiger e Goyle, che erano ancora lunghi distesi, coperti di ammaccature di incantesimi.
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Zio Vernon lo stava aspettando oltre la barriera. La signora Weasley era lì vicina. Abbracciò stretto Harry quando lo vide, e gli sussurrò all’orecchio: «Credo che Silente ti lascerà venire da noi più avanti. Teniamoci in contatto, Harry».
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«Ci vediamo, Harry» disse Ron, dandogli una manata sulla schiena.
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«Arrivederci, Harry!» esclamò Hermione, e poi fece una cosa che non aveva mai fatto prima: gli diede un bacio sulla guancia.
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«Harry… grazie» borbottò George, mentre Fred annuiva al suo fianco.
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Harry gli strizzò l’occhio, si voltò verso zio Vernon e lo seguì in silenzio fuori dalla stazione. Non era ancora il caso di preoccuparsi, si disse salendo sul sedile posteriore dell’auto dei Dursley.
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Come aveva detto Hagrid, quel che sarà sarà… e quando fosse stato il momento, l’avrebbe affrontato.
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