I piedi di Harry toccarono il suolo; fletté le ginocchia e la testa dorata del mago cadde rumorosamente sul pavimento. Harry si guardò attorno e scoprì di essere nell’ufficio di Silente.
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Sembrava che durante l’assenza del Preside ogni cosa si fosse riparata da sola. I delicati strumenti d’argento erano di nuovo al loro posto sui tavolini snelli: borbottavano e ronzavano tranquilli. I ritratti dei Presidi, maschi e femmine, dormicchiavano nelle cornici, la testa appoggiata allo schienale della poltrona o contro il bordo del quadro. Harry guardò fuori dalla finestra. All’orizzonte era comparsa una fresca linea verde pallido: l’alba si avvicinava.
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Non riusciva a sopportare quella quiete, turbata solo dai rari borbottii o dagli sbuffi di un ritratto addormentato. Se la stanza avesse potuto riflettere le sue emozioni, i quadri avrebbero urlato di dolore. Andò avanti e indietro nell’ufficio silenzioso, respirando affannosamente, sforzandosi di non pensare. Ma doveva pensare… non c’era scampo…
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Sirius era morto per colpa sua, soltanto per colpa sua. Se non fosse stato così sciocco da abboccare all’esca lanciatagli da Voldemort, così convinto che i suoi sogni mostrassero la realtà, se solo avesse preso in considerazione la possibilità che, come aveva suggerito Hermione, Voldemort stesse sfruttando la sua mania di fare l’eroe…
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Era insopportabile, non riusciva a pensarci, non poteva… avvertiva dentro di sé un vuoto tremendo che si rifiutava di riconoscere o di esaminare, un buco nero là dov’era stato Sirius, dove Sirius era svanito; non voleva restare solo con quella vastità silenziosa, la trovava intollerabile…
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Un quadro dietro di lui sbuffò in modo particolarmente rumoroso e una voce fredda disse: «Ah… Harry Potter…»
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Phineas Nigellus sbadigliò e si stiracchiò, fissandolo con gli occhi socchiusi.
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«Che cosa ti porta qui a quest’ora mattutina?» chiese infine. «Questo ufficio dovrebbe essere chiuso per tutti tranne che per il legittimo Preside. O è stato Silente a mandarti qui? Oh, non mi dire…» Sbadigliò di nuovo. «Un altro messaggio del mio indegno propronipote?»
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Harry non riuscì a parlare. Phineas Nigellus non sapeva che Sirius era morto, ma lui non aveva la forza di dirglielo. Avrebbe significato rendere la cosa definitiva, assoluta, irreversibile.
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Anche altri ritratti si erano svegliati, e il timore che lo bersagliassero di domande spinse Harry a dirigersi verso la porta e afferrare la maniglia.
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Non si aprì. Era chiuso dentro.
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«Spero» disse il mago corpulento col naso rosso, appeso dietro la scrivania del Preside, «che la tua presenza qui annunci un pronto ritorno di Silente».
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Harry si voltò. Il mago lo osservava con profondo interesse. Annuì. Armeggiando dietro la schiena, tentò di nuovo la maniglia, che rimase immobile.
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«Bene» disse il mago. «Senza di lui è stata una noia, qui, una vera noia».
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Si sistemò sul seggio simile a un trono sul quale era stato ritratto e sorrise benevolo a Harry.
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«Silente ha una grande stima di te, come certamente saprai» disse in tono amichevole. «Una grande stima».
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Il senso di colpa che riempiva il petto di Harry come un mostruoso parassita si contorse e si agitò. Non lo sopportava, non sopportava più di essere se stesso… non si era mai sentito più in trappola dentro il proprio corpo, mai aveva desiderato tanto di essere qualcun altro, chiunque altro…
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Fiamme smeraldine esplosero nel camino vuoto. Harry si allontanò con un balzo dalla porta e fissò l’uomo che roteava là dentro. Mentre l’alta figura di Silente usciva dal fuoco, i maghi e le streghe sulle pareti si svegliarono di colpo, e parecchi lanciarono grida di benvenuto.
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«Vi ringrazio» disse Silente a bassa voce.
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Senza guardare Harry, si tolse di tasca la piccola, brutta, spennacchiata Fanny e la posò con dolcezza sullo strato di soffici ceneri sotto il trespolo dorato sul quale di solito si appollaiava da adulta.
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«Bene, Harry» disse infine, voltando le spalle alla neonata fenice, «sarai lieto di sapere che nessuno dei tuoi compagni soffrirà danni permanenti in seguito agli eventi di questa notte».
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«Bene» tentò di dire Harry, ma dalle labbra non gli uscì un suono. Gli sembrava che Silente volesse ricordargli tutti i guai che aveva provocato e, anche se finalmente il Preside lo guardava dritto negli occhi con espressione gentile e non d’accusa, non riuscì a sostenere il suo sguardo.
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«Madama Chips si occuperà di loro» proseguì Silente. «Ninfadora Tonks dovrà forse passare un po’ di tempo al San Mungo, ma pare che si riprenderà completamente».
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Harry si limitò a rivolgere un cenno di assenso al tappeto, che stava diventando più chiaro via via che il cielo impallidiva. Era sicuro che tutti i ritratti nella stanza ascoltassero con grande attenzione ogni parola di Silente, chiedendosi dove fossero stati lui e Harry, e perché qualcuno fosse rimasto ferito.
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«So quello che provi, Harry» disse pacato Silente.
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«No che non lo sa». La voce di Harry esplose nella stanza, mentre una collera rovente lo invadeva; Silente non sapeva nulla di quello che provava.
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«Vedi, Silente?» disse Phineas Nigellus malizioso. «Mai cercare di capire gli studenti. Lo detestano. Preferiscono di gran lunga essere tragicamente incompresi, crogiolarsi nell’autocommiserazione, cuocere nel proprio…»
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«Basta così, Phineas» lo interruppe Silente.
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Harry gli voltò la schiena e guardò fuori dalla finestra. In lontananza vide lo stadio di Quidditch. Una volta Sirius vi era apparso sotto la forma di un arruffato cane nero, per vederlo giocare… probabilmente per vedere se era bravo quanto James… Harry non gliel’aveva mai chiesto…
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«Non devi vergognarti di quello che provi» riprese Silente. «Anzi… poter provare un dolore così grande è la tua vera forza».
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Harry sentì la collera lambirgli le viscere, fiammeggiando nel vuoto terribile, riempiendolo del desiderio di ferire Silente, di punirlo per la sua calma e per le sue parole vuote.
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«La mia vera forza, eh?» disse con voce tremante, fissando senza vederlo lo stadio di Quidditch. «Lei non ha idea… lei non sa…»
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«Che cos’è che non so?» chiese calmo Silente.
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Era troppo. Harry si voltò, tremando di collera.
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«Non voglio parlare di quello che provo, capito?»
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«Harry, soffrire così dimostra che sei un uomo! Questo dolore fa parte dell’essere umano…»
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«ALLORA… NON… VOGLIO… ESSERE… UMANO!» ruggì Harry. Afferrò un delicato strumento argenteo dall’esile tavolino accanto a lui e lo scaraventò dall’altra parte della stanza; si fracassò in mille pezzi contro la parete. Parecchi ritratti lanciarono grida di collera e di spavento e quello di Armando Dippet esclamò: «Insomma!»
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«NON M’IMPORTA!» gridò loro Harry, afferrando un Lunascopio e lanciandolo nel camino. «NE HO ABBASTANZA, HO VISTO ABBASTANZA, VOGLIO USCIRNE, VOGLIO CHE FINISCA, NON M’IMPORTA PIÙ…»
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Sollevò di peso il tavolino e lo scaraventò sul pavimento; le gambe sottili si spaccarono e rotolarono ciascuna in una direzione diversa.
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«Sì che t’importa» disse Silente. Non era trasalito, né aveva fatto un solo gesto per impedirgli di demolire l’ufficio. La sua espressione era serena, quasi distaccata. «T’importa al punto che ti sembra di dissanguarti dal dolore».
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«Io… NO!» urlò Harry, così forte da avere l’impressione che gli si lacerasse la gola, e per un istante provò l’impulso di gettarsi su Silente e spezzare anche lui, di rompere quella vecchia faccia impassibile, di scrollarlo, ferirlo, fargli provare una minima parte dell’orrore che aveva dentro.
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«Sì, invece» continuò Silente con calma ancora maggiore. «Hai perso tua madre, tuo padre, e anche la persona più vicina a un genitore che tu abbia mai conosciuto. Certo che t’importa».
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«LEI NON SA QUELLO CHE PROVO!» urlò Harry. «LEI… SE NE STA LÌ… LEI…»
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Ma urlare non era abbastanza, fare tutto a pezzi non era abbastanza; voleva fuggire, voleva correre senza più fermarsi e non guardarsi mai indietro, andare dove non potesse più vedere quei chiari occhi azzurri, quella vecchia faccia odiosamente serena. Corse d’impeto alla porta e scrollò con forza la maniglia.
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Ma la porta non si aprì.
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Si voltò verso Silente.
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«Mi faccia uscire» disse. Tremava da capo a piedi.
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«No».
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Per qualche secondo si fissarono in silenzio.
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«Mi faccia uscire».
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«No».
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«Se non… se continua a tenermi qui… se non mi lascia…»
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«Continua pure a distruggere le mie cose» replicò tranquillo Silente. «Ne ho fin troppe, direi».
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Senza staccargli gli occhi di dosso, andò a sedersi dietro la scrivania.
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«Mi faccia uscire» ripeté Harry per la terza volta, con voce fredda e pacata quasi quanto quella di Silente.
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«Non prima di averti detto quello che devo».
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«E lei crede… che voglia… che m’interessi… NON M’IMPORTA QUELLO CHE DEVE DIRE!» sbottò Harry. «Non voglio sentire una parola di quello che deve dire!»
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«Sì, invece» ribatté Silente, tranquillo. «Perché ce l’hai molto di più con te stesso che con me. Se sei deciso ad aggredirmi, come suppongo sia tua intenzione, vorrei essermelo meritato pienamente».
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«Di cosa sta parlando…?»
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«È tutta colpa mia se Sirius è morto. O meglio: quasi tutta… non sarò così arrogante da assumerne l’intera responsabilità. Sirius era un uomo coraggioso, intelligente ed energico, e di solito a uomini simili non piace starsene chiusi in casa se credono che le persone a loro care siano in pericolo. In ogni caso, non avresti mai dovuto pensare — mai, nemmeno per un secondo — di dover scendere nell’Ufficio Misteri stanotte. Se io fossi stato sincero con te come avrei dovuto, avresti saputo da un pezzo che Voldemort avrebbe cercato di attirarti laggiù e non saresti mai caduto nella trappola. E Sirius non sarebbe stato costretto ad accorrere in tuo aiuto. Questa colpa è mia, e mia soltanto».
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Harry era immobile, stordito, la mano ancora sulla maniglia. Col fiato mozzo si voltò a fissare Silente, ascoltando le sue parole, ma incapace di capirle a fondo.
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«Siediti, per favore» disse Silente. Non era un ordine, ma una richiesta.
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Harry esitò, poi lentamente attraversò la stanza cosparsa di ingranaggi d’argento e schegge di legno, e si sedette davanti alla scrivania.
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«Mi par di capire» intervenne esitante Phineas Nigellus dal ritratto a sinistra di Harry, «che il mio propronipote, l’ultimo dei Black, è morto».
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«Sì, Phineas» rispose Silente.
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«Non ci credo» sbottò Phineas.
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Harry voltò la testa in tempo per vederlo uscire a grandi passi dal quadro, e intuì che era andato a visitare gli altri dipinti in Grimmauld Place. Forse sarebbe passato di ritratto in ritratto, chiamando Sirius per tutta la casa…
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«Ti devo una spiegazione, Harry» riprese Silente. «La spiegazione degli errori di un vecchio. Perché ora capisco che il mio comportamento nei tuoi confronti ha tutti i segni delle debolezze dell’età. I giovani non possono sapere quello che i vecchi pensano e provano. Ma i vecchi sono colpevoli, se dimenticano che cosa significa essere giovani… e ultimamente sembra che io l’abbia dimenticato…»
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Il sole ormai si levava: il bordo delle montagne si colorò di un arancione abbagliante e il cielo diventava sempre più chiaro. La luce cadde su Silente, illuminandogli le sopracciglia, la barba argentea, le rughe profonde.
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«Quindici anni fa» proseguì, «non appena vidi la cicatrice sulla tua fronte, intuii che cosa poteva significare. Intuii che poteva essere il segno di un legame fra te e Voldemort».
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«Questo me l’ha già detto, professore» ribatté brusco Harry. Non gli importava di essere scortese. Non gli importava più di niente.
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«È vero» ammise Silente in tono di scusa. «Ma vedi… è necessario cominciare dalla tua cicatrice. Perché quando ti riunisti al mondo magico fu subito chiaro che la mia intuizione era giusta, e che la cicatrice ti avvertiva dell’avvicinarsi di Voldemort e dello scatenarsi delle sue emozioni».
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«Lo so» mormorò Harry stancamente.
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«E la tua capacità di individuare la presenza di Voldemort anche quando si nasconde, e di conoscerne le emozioni più violente, è aumentata da quando Voldemort è tornato nel suo corpo e ha riacquistato in pieno i suoi poteri».
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Harry non si prese nemmeno la briga di annuire. Sapeva già tutto.
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«Negli ultimi tempi» proseguì Silente, «ho cominciato a temere che Voldemort potesse rendersi conto di questo legame. Infatti, com’era inevitabile, a un certo punto sei entrato così a fondo nei suoi pensieri che lui ha avvertito la tua presenza. Mi riferisco, è ovvio, alla notte dell’attacco contro il signor Weasley».
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«Sì, Piton me l’ha detto» borbottò Harry.
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«Il professor Piton» lo corresse pacato Silente. «Non ti sei chiesto perché non sono stato io a spiegartelo? Perché non sono stato io a insegnarti Occlumanzia? Perché per mesi non ti ho quasi degnato di uno sguardo?»
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Harry alzò gli occhi. Si accorse che Silente era triste e stanco.
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«Sì» mormorò. «Sì, me lo sono chiesto».
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«Vedi» riprese Silente, «ero convinto che ben presto Voldemort avrebbe tentato di penetrare nella tua mente per manipolare i tuoi pensieri, e non intendevo offrirgli altri incentivi. Di sicuro, se si fosse reso conto che il nostro rapporto era — o era stato — più stretto di quello fra preside e studente, avrebbe cercato di servirsi di te per spiarmi. Temevo che ti usasse, Harry, che si impadronisse di te. E credo di aver avuto ragione, perché le rare volte che io e te ci siamo trovati in stretto contatto mi è parso di scorgere la sua ombra fremere dietro i tuoi occhi…»
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Harry ricordò la sensazione che un serpente assopito si risvegliasse in lui ogni volta che incrociava lo sguardo di Silente.
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«E come ha dimostrato stanotte, lo scopo di Voldemort non era la mia distruzione, ma la tua. Quando ti ha posseduto per un attimo, poco fa, sperava che ti avrei sacrificato nella speranza di ucciderlo. Per questo, vedi, ho tentato di tenerti a distanza: per proteggerti. L’errore di un vecchio…»
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Trasse un profondo sospiro. Harry sentiva le sue parole scorrergli addosso. Fino a pochi mesi prima avrebbe dato qualunque cosa per sapere tutto, ma ormai non aveva senso, davanti alla voragine che la perdita di Sirius aveva spalancato dentro di lui: più niente aveva importanza…
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«Sirius mi ha detto che la notte dell’attacco ad Arthur Weasley avevi sentito Voldemort risvegliarsi dentro di te, e ho capito subito che i miei peggiori timori erano giustificati: Voldemort si era reso conto di poterti usare. Così, nel tentativo di armarti contro i suoi assalti mentali, ho chiesto al professor Piton di darti lezioni di Occlumanzia».
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Tacque. Harry vide i raggi del sole, che scorrevano lenti sulla superficie lucida della scrivania, illuminare un calamaio d’argento, una piuma scarlatta. Senza bisogno di guardarli, sapeva che i ritratti attorno a loro erano svegli e ascoltavano attenti; a tratti sentiva il fruscio di una veste, un sommesso schiarirsi di gola. Phineas Nigellus non era ancora tornato…
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«Il professor Piton scoprì» riprese Silente, «che da mesi stavi sognando la porta dell’Ufficio Misteri. Naturalmente Voldemort era ossessionato dal desiderio di ascoltare la profezia fin da quando aveva riacquistato il proprio corpo; e così indugiava sulla soglia, e tu pure, anche se tu non capivi che cosa significava.
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«E poi hai visto Rookwood, che prima del suo arresto lavorava nell’Ufficio Misteri, e lo hai sentito dire a Voldemort quello che noi già sapevamo: le profezie custodite nel Ministero della Magia sono protette da incantesimi potentissimi. Soltanto la persona a cui si riferiscono può prenderle dagli scaffali senza impazzire: nel caso specifico, Voldemort in persona sarebbe dovuto uscire finalmente allo scoperto e introdursi nell’Ufficio Misteri, o avresti dovuto farlo tu per lui. Per questo era essenziale che tu studiassi a fondo Occlumanzia».
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«Invece non l’ho fatto» mormorò Harry. Lo ripeté a voce alta, nel tentativo di alleggerire il senso di colpa che lo opprimeva: forse una confessione avrebbe in parte sollevato il peso spaventoso che gli gravava sul cuore. «Non l’ho fatto, non m’importava, avrei potuto bloccare quei sogni, Hermione continuava a dirmelo, se lo avessi fatto, Voldemort non avrebbe potuto mostrarmi dove andare e… Sirius non sarebbe… Sirius non sarebbe…»
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Aveva l’impressione che gli esplodesse la testa: doveva giustificarsi, spiegare…
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«Ho provato a controllare se aveva davvero catturato Sirius, sono andato nell’ufficio della Umbridge, ho usato il suo camino per parlare con Kreacher, e lui mi ha detto che Sirius non c’era, che se n’era andato!»
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«Kreacher ha mentito» replicò calmo Silente. «Tu non sei il suo padrone, perciò poteva mentirti senza nemmeno doversi punire. Kreacher voleva che tu andassi al Ministero della Magia».
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«Mi ha… mi ha mandato laggiù apposta?»
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«Oh, sì. Temo che da mesi Kreacher servisse più di un padrone».
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«Come?» chiese Harry con aria vacua. «Sono anni che non esce da Grimmauld Place».
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«Ha colto al volo l’occasione prima di Natale, quando Sirius gli ha urlato — credo — di andare “fuori”. Lo ha preso alla lettera, interpretandolo come un ordine di lasciare la casa. Ed è andato dall’unico membro della famiglia Black per cui nutrisse un minimo di rispetto… Narcissa, cugina di Sirius, nonché sorella di Bellatrix e moglie di Lucius Malfoy».
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«E lei come lo sa?» Harry sentiva il cuore battergli rapidissimo. Aveva la nausea. Si ricordava che la strana assenza di Kreacher durante le feste di Natale lo aveva preoccupato, si ricordava quando era ricomparso in soffitta…
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«Kreacher mi ha confessato tutto la notte scorsa» disse Silente. «Vedi, quando gli hai gridato quell’avvertimento criptico, il professor Piton ha intuito che dovevi aver visto Sirius prigioniero nei meandri dell’Ufficio Misteri. E, come te, ha subito tentato di mettersi in contatto con lui. Naturalmente i membri dell’Ordine della Fenice possono contare su mezzi di comunicazione più affidabili del camino di Dolores Umbridge. E così il professor Piton ha scoperto che Sirius era vivo e al sicuro in Grimmauld Place.
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«Poi, non vedendoti tornare dalla foresta, ha temuto che tu credessi ancora che Sirius fosse prigioniero di Lord Voldemort. Così si è affrettato ad avvertire l’Ordine».
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Silente sospirò e riprese. «Quando si è messo in contatto col Quartier Generale, vi ha trovato Alastor Moody, Ninfadora Tonks, Kingsley Shacklebolt e Remus Lupin. E tutti sono stati pronti ad accorrere in tuo aiuto. Il professor Piton ha chiesto a Sirius di restare al Quartier Generale per riferirmi che cos’era successo, visto che aspettavano il mio arrivo da un momento all’altro. Nel frattempo lui, il professor Piton, ti avrebbe cercato nella foresta.
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«Ma Sirius non aveva alcuna intenzione di restare con le mani in mano: perciò è andato con gli altri, affidando a Kreacher il compito di raccontarmi tutto. Così, quando sono arrivato a Grimmauld Place poco dopo la loro partenza, è stato l’elfo a dirmi — fra una risata e l’altra — dov’era andato Sirius».
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«Rideva?» chiese Harry con voce soffocata.
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«Oh, sì. Vedi, Kreacher non poteva tradirci fino in fondo. Non è Custode Segreto dell’Ordine, non poteva dire a Malfoy dov’era la nostra base, né riferire i nostri piani che aveva il divieto di rivelare. Era vincolato dagli incantesimi della sua specie, cioè non poteva disobbedire a un ordine diretto del suo padrone, Sirius. Però fornì a Narcissa informazioni di grande valore per Voldemort, che a Sirius devono essere sembrate troppo banali per proibirgli di riferirle».
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«Per esempio?» chiese Harry.
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«Per esempio il fatto che per Sirius tu eri la persona più importante del mondo» rispose Silente piano. «E che, per te, lui era un incrocio fra un padre e un fratello. Naturalmente Voldemort sapeva già che Sirius faceva parte dell’Ordine, e che tu conoscevi il suo nascondiglio… ma le informazioni di Kreacher gli fecero capire che per salvare Sirius Black tu saresti stato disposto a correre qualunque rischio».
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«Allora…» chiese Harry, muovendo a fatica le labbra intorpidite, «quando ho chiesto a Kreacher dov’era Sirius…»
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«I Malfoy — senza dubbio seguendo le istruzioni di Voldemort — gli avevano ordinato di trovare un modo per tenere Sirius lontano dal camino, dopo che tu lo avevi visto in sogno mentre veniva torturato. Perciò, nel caso che tu avessi cercato di parlare con Sirius, Kreacher avrebbe dovuto fingere che non ci fosse. Così ieri Kreacher ha ferito Fierobecco l’Ippogrifo, e quando tu sei comparso nel camino Sirius era di sopra a medicarlo».
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A Harry sembrava di non avere più aria nei polmoni; respirava in fretta, a fatica.
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«E Kreacher le ha detto tutto questo… ridendo?» chiese con voce roca.
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«Non voleva dirmelo» precisò Silente. «Ma sono un Legilimens abbastanza esperto da riconoscere una bugia e l’ho… persuaso a raccontarmi tutta la storia prima di andare all’Ufficio Misteri».
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«E pensare che Hermione» sussurrò Harry, stringendo i pugni gelati sulle ginocchia, «continuava a ripeterci di essere gentili con lui…»
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«Aveva ragione, Harry. Quando decidemmo di stabilire a Grimmauld Place il nostro Quartier Generale, avvertii Sirius di trattare Kreacher con gentilezza e rispetto. E gli dissi anche che quell’elfo domestico poteva diventare pericoloso. Ma temo che non mi abbia preso molto sul serio, né che abbia mai visto Kreacher come una creatura dotata di sentimenti profondi quanto quelli di un essere umano…»
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«Non dia la colpa… non… parli… di Sirius come se…» Harry aveva il fiato mozzo, non riusciva quasi a parlare; ma la collera che per un po’ si era placata avvampò di nuovo: non avrebbe permesso a Silente di criticare Sirius. «Kreacher è un ripugnante… bugiardo… si meritava…»
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«Kreacher è come i maghi lo hanno fatto diventare, Harry» replicò Silente. «Sì, va compatito. La sua esistenza è stata miserabile come quella del tuo amico Dobby. È stato costretto a eseguire gli ordini di Sirius perché era l’ultimo discendente della famiglia dei suoi padroni, ma non provava la minima lealtà nei suoi confronti. E quali che siano le colpe di Kreacher, va detto che Sirius non ha fatto nulla per rendergli le cose più facili…»
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«NON PARLI IN QUESTO MODO DI SIRIUS!» urlò Harry.
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Scattò in piedi furioso, pronto a lanciarsi contro Silente, che non aveva capito affatto Sirius, il suo coraggio, le sue sofferenze…
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«E Piton?» ringhiò. «Di lui non parla, eh? Quando gli ho detto di Sirius non ha fatto altro che sogghignare come al solito…»
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«Sai benissimo che davanti a Dolores Umbridge non aveva scelta: doveva fingere di non prenderti sul serio» ribatté Silente. «Ma come ti ho già detto, si è affrettato a informare l’Ordine appena possibile. È stato lui a intuire dov’eri andato quando non sei tornato dalla foresta. Ed è stato lui a fornire alla professoressa Umbridge un falso Veritaserum quando lei ha tentato di costringerti a dirle dov’era Sirius».
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Ma Harry non lo ascoltava: provava una gioia selvaggia nell’accusare Piton, come se questo alleviasse il suo senso di colpa, e voleva che Silente fosse d’accordo con lui.
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«Piton… lui… non faceva che farsi b-beffe di Sirius perché restava chiuso in casa… diceva che era un codardo…»
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«Sirius era un uomo adulto, troppo intelligente per lasciarsi ferire da sciocche punzecchiature» rispose Silente.
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«Piton ha smesso di darmi lezioni di Occlumanzia!» ruggì Harry. «Mi ha buttato fuori dal suo ufficio!»
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«Lo so» disse Silente in tono grave. «Ho già ammesso di aver sbagliato a non darti lezioni io stesso, anche se ero convinto che nulla fosse più pericoloso che aprire ancora di più la tua mente a Voldemort in mia presenza…»
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«Stavo sempre peggio, dopo quelle lezioni; la cicatrice mi faceva più male…» Ricordò i sospetti di Ron e proseguì d’impeto: «Come fa a sapere che non stesse cercando d’indebolirmi per aiutare Voldemort, per rendergli più facile penetrare nella mia…»
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«Mi fido di Severus Piton» rispose Silente con semplicità. «Ma avevo scordato — altro errore di un vecchio — che alcune ferite sono troppo profonde per guarire. Pensavo che il professor Piton sarebbe riuscito a superare i suoi sentimenti per tuo padre… mi sbagliavo».
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«Ma per lui va bene, eh?» urlò Harry, ignorando le facce scandalizzate e i mormorii di disapprovazione dei ritratti. «Per Piton va bene odiare mio padre, ma per Sirius non andava bene odiare Kreacher!»
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«Sirius non odiava Kreacher» disse Silente. «Lo riteneva un servo indegno di qualunque interesse o attenzione. E spesso l’indifferenza e il disprezzo fanno più danni dell’odio… la fontana che è andata distrutta questa notte mentiva. Per troppo tempo noi maghi abbiamo maltrattato e sfruttato i nostri compagni, e ora ne paghiamo le conseguenze».
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«INSOMMA SIRIUS SI MERITAVA QUELLO CHE GLI È SUCCESSO, VERO?» urlò Harry.
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«Non ho detto questo, né mi sentirai mai dire una cosa del genere» replicò pacato Silente. «Sirius non era crudele, e in genere trattava con gentilezza gli elfi domestici. Ma non Kreacher, perché gli ricordava troppo la casa che odiava».
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«La odiava, sì!» esclamò Harry con voce spezzata. Di scatto gli diede le spalle e si allontanò dalla scrivania. Il sole ormai illuminava la stanza; sotto gli occhi dei ritratti, Harry andava avanti e indietro nell’ufficio senza vederlo, senza sapere che cosa faceva. «E lei lo ha costretto a starsene rinchiuso là dentro, e lui non lo sopportava, ecco perché ieri notte è voluto uscire…»
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«Tentavo di salvargli la vita» mormorò Silente.
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«A nessuno piace stare rinchiuso!» sbottò Harry infuriato, voltandosi di scatto. «Come è successo a me per tutta l’estate…»
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Silente chiuse gli occhi e si coprì il viso con le mani dalle lunghe dita, ma quell’insolito segno di stanchezza, tristezza o qualunque cosa fosse non addolcì Harry. Anzi, lo fece infuriare ancora di più. Silente non aveva il diritto di mostrarsi debole quando lui voleva soltanto urlargli contro, maltrattarlo.
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Silente abbassò le mani e fissò Harry da sopra gli occhiali a mezzaluna.
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«È giunto il momento di dirti quello che avrei dovuto dirti cinque anni fa, Harry. Siediti, ti prego. Saprai tutto. Ti chiedo solo un po’ di pazienza. Avrai modo di urlare… di fare quello che vuoi… quando avrò finito. Non te lo impedirò».
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Per un momento Harry lo scrutò, furioso, poi tornò a sedersi davanti alla scrivania e aspettò.
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Per un momento Silente guardò al di là della finestra i prati illuminati dal sole, prima di fissare di nuovo Harry. «Cinque anni fa» disse infine, «sei arrivato a Hogwarts sano e salvo, come avevo progettato e desiderato. Be’… non proprio. Avevi sofferto. Quando ti lasciai sui gradini della casa dei tuoi zii sapevo quale sarebbe stata la tua vita. Sapevo di condannarti a dieci anni difficili e bui».
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Fece una pausa. Harry tacque.
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«Potresti chiedere, e a ragione, perché doveva essere così. Perché non ti avevo affidato a una famiglia di maghi? Molti ti avrebbero accolto più che volentieri, sarebbero stati onorati e felici di allevarti come un figlio.
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«La risposta è che la mia prima preoccupazione era tenerti in vita. Correvi un pericolo maggiore di quanto chiunque, a parte me, potesse capire. Voldemort era stato appena sconfitto, ma i suoi seguaci — molti temibili quanto lui — erano ancora in circolazione, furibondi, disperati, violenti. E io dovevo prendere una decisione anche per gli anni futuri. Ero convinto che Voldemort fosse scomparso per sempre? No. Non sapevo se avrebbe impiegato dieci, venti o cinquant’anni, ma ero sicuro che sarebbe tornato e, conoscendolo come lo conosco, ero anche sicuro che non avrebbe avuto pace finché non ti avesse ucciso.
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«Sapevo che ha della magia una conoscenza forse più vasta di qualunque mago vivente. Sapevo che anche i miei incantesimi protettivi più complessi e potenti non sarebbero bastati a salvarti se avesse riacquistato in pieno i suoi poteri.
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«Però conoscevo anche il suo punto debole. E così decisi. Saresti stato protetto da un’antica magia che Voldemort conosce ma disprezza, e ha perciò sempre sottovalutato… a proprie spese. Mi riferisco, naturalmente, al fatto che tua madre è morta per salvarti. Così facendo ti ha fornito una protezione duratura che Voldemort non aveva previsto, una protezione che ancora ti scorre nelle vene. Perciò riposi la mia fiducia nel sangue di tua madre. Ti affidai a sua sorella, la sua unica parente ancora in vita».
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«Ma lei non mi vuole bene» disse subito Harry. «Non le importa un acci…»
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«Però ti ha accolto» lo interruppe Silente. «Malvolentieri, furibonda, controvoglia, disprezzando quello che sei, ma ti ha accolto, e così facendo ha suggellato l’incantesimo che avevo posto su di te. Grazie al sacrificio di tua madre, il legame del sangue è lo scudo più forte che potessi fornirti».
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«Ancora non…»
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«Finché potrai chiamare casa il posto dove vive un consanguineo di tua madre, là non puoi essere toccato né colpito da Voldemort. È stato lui a versare il sangue che ancora vive in te e nella sorella di tua madre. Quel sangue è diventato la tua protezione. Devi tornarci una volta all’anno, ma finché puoi chiamare casa quel posto, finché sei lì, Voldemort non può farti del male. Tua zia lo sa. Gliel’ho spiegato nella lettera che lasciai insieme a te davanti alla sua porta. Sa che accogliendoti ti ha con ogni probabilità donato quindici anni di vita».
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«Aspetti» disse Harry. «Aspetti un momento».
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Harry si raddrizzò sulla sedia e fissò Silente.
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«Gliel’ha spedita lei, la Strillettera. Le ha detto di ricordare… era la sua voce…»
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«Ho ritenuto necessario» disse Silente, inclinando appena il capo, «ricordarle il patto che aveva sigillato accogliendoti. Sospettavo che dopo l’attacco dei Dissennatori si fosse resa pienamente conto dei pericoli di averti come figlio adottivo».
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«È così» mormorò Harry. «Be’… mio zio più di lei. Voleva buttarmi fuori, ma dopo l’arrivo della Strillettera lei… mia zia ha detto che dovevo restare».
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Abbassò un momento lo sguardo, per poi rialzarlo: «Ma cosa c’entra questo con…»
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Non riuscì a pronunciare il nome di Sirius.
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«Cinque anni fa» continuò Silente, come se non avesse mai interrotto la sua storia, «sei arrivato a Hogwarts, forse non felice né nutrito come avrei desiderato, ma vivo e in buona salute. Non un principino viziato, ma un ragazzo normale, per quanto lo permettessero le circostanze. Fino ad allora il mio piano aveva funzionato.
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«E poi… be’, ricorderai che cos’è successo durante il tuo primo anno a Hogwarts. Hai affrontato splendidamente la sfida che ti aspettava e presto — molto prima di quanto avessi previsto — ti sei trovato faccia a faccia con Voldemort. E di nuovo sei sopravvissuto. Meglio ancora: gli hai impedito di riacquistare i suoi pieni poteri. Hai lottato come un uomo. Ero fiero di te… più di quanto tu possa immaginare.
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«Ma nel mio meraviglioso piano c’era una pecca» disse Silente. «Una pecca ovvia, e già allora ero consapevole che avrebbe potuto mandarlo a rotoli. Eppure, sapendo quanto fosse importante che il mio piano avesse successo, decisi di non permettere a quell’unica pecca di rovinarlo. Io solo potevo impedirlo, perciò io solo dovevo essere forte. E affrontai la mia prima prova quando tu eri in infermeria, ancora debole dopo la battaglia contro Voldemort».
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«Ma di cosa…?»
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«Non ricordi di avermi chiesto, là in infermeria, perché Voldemort aveva tentato di ucciderti quando eri piccolissimo?»
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Harry annuì.
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«Avrei dovuto dirtelo allora?»
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Harry fissò gli occhi azzurri di Silente e non rispose, ma di nuovo il suo cuore accelerò i battiti.
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«Non hai ancora trovato la pecca? No… forse no. Come sai, decisi di non risponderti. Undici anni… eri troppo giovane. Non avevo l’intenzione di dirtelo quando avevi appena undici anni. Sarebbe stato troppo per un ragazzo di quell’età.
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«Avrei dovuto riconoscere immediatamente i segnali di pericolo, allora. Mi sarei dovuto chiedere perché ero così poco turbato dal fatto che mi avevi già posto la domanda alla quale — lo sapevo bene — un giorno avrei dovuto dare una risposta terribile. Mi sarei dovuto accorgere che ero troppo felice di non doverlo fare quel giorno… eri troppo, troppo giovane.
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«E così arriviamo al tuo secondo anno a Hogwarts. Di nuovo hai incontrato sfide che nemmeno maghi adulti hanno mai affrontato; e di nuovo ti sei comportato meglio che nei miei sogni più entusiastici. Tuttavia non hai chiesto di nuovo perché Voldemort ti aveva lasciato quel marchio. Abbiamo parlato della cicatrice, sì… siamo arrivati molto, molto vicini all’argomento. Perché non ti ho rivelato tutto?
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«Mi dicevo che dodici anni non erano molto più di undici: troppo pochi per ricevere un simile fardello. Così ti ho lasciato andare, insanguinato, esausto ma euforico, e se ho provato una fitta di inquietudine, se mi ha colto il dubbio che avrei fatto meglio a parlare, l’ho messo in fretta a tacere. Eri ancora così giovane, non avevo il coraggio di sciuparti quella notte di trionfo…
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«Adesso la vedi, Harry? Vedi la pecca nel mio piano geniale? Ero caduto nella trappola che avevo previsto, che mi ero sforzato di evitare, che dovevo evitare».
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«Io non…»
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«Mi ero troppo affezionato a te» spiegò Silente con semplicità. «Tenevo più alla tua felicità che a farti conoscere la verità, più alla tua serenità che al mio piano, più alla tua vita che alle vite che sarebbero state in pericolo se io avessi fallito. In altre parole, ho agito esattamente come Voldemort si aspetta che agiscano gli sciocchi in grado di amare.
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«Che cosa posso dire in mia difesa? Sfido chiunque ti abbia osservato come ho fatto io — con più impegno di quanto tu possa immaginare — a non desiderare di risparmiarti altre sofferenze. Che cosa importava che in un lontano futuro fossero massacrati sconosciuti senza nome né volto, se nel presente tu eri vivo e felice? Mai mi sarei sognato di avere vicino qualcuno come te.
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«Poi, al terzo anno, ti ho osservato mentre lottavi per respingere i Dissennatori, mentre trovavi Sirius, scoprivi chi era, lo salvavi. Avrei dovuto dirtelo allora, quando hai strappato vittoriosamente il tuo padrino dalle grinfie del Ministero? Ormai avevi tredici anni, e io stavo esaurendo le scuse. Eri giovane, d’accordo, ma avevi dimostrato di essere eccezionale. Ero inquieto, Harry. Sapevo che presto sarebbe arrivato il momento…
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«E poi, l’anno scorso, sei sbucato dal labirinto dopo aver visto morire Cedric Diggory ed essere sfuggito alla morte per un soffio… e ancora non ho parlato, pur sapendo quanto il ritorno di Voldemort lo rendesse urgente. E ora so che eri pronto da un pezzo a sapere quello che ti ho così a lungo nascosto… stanotte ho avuto la prova che già da tempo avrei dovuto deporti sulle spalle questo peso. La mia unica scusa è che ho visto calare sulle tue spalle più fardelli di quanti ne abbia mai sopportati qualunque altro studente nella storia di questa scuola, e non sono riuscito a convincermi ad aggiungerne un altro… il più gravoso di tutti».
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Harry attese, ma Silente tacque.
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«Ancora non capisco».
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«Quando eri piccolo, Voldemort aveva tentato di ucciderti a causa di una profezia fatta poco prima della tua nascita. Era al corrente della sua esistenza, ma ne ignorava l’esatto contenuto. Perciò aveva deciso di ucciderti quando eri ancora un neonato: perché era convinto di adempiere quella profezia. Ha scoperto a proprie spese che si era sbagliato quando la maledizione che avrebbe dovuto ucciderti è rimbalzata su di lui. Così, da quando ha ripreso possesso del proprio corpo, e in particolare dopo la tua incredibile fuga dell’anno scorso, ha deciso di ascoltare per intero la profezia. Era questa l’arma che cercava con tanta ostinazione: voleva che gli rivelasse come distruggerti».
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Il sole era ormai alto: l’ufficio di Silente era immerso nella luce. La teca di vetro che conteneva la spada di Godric Grifondoro scintillava di un bianco smorto, i frammenti e i cocci degli strumenti fracassati rilucevano come gocce di pioggia sul pavimento, e alle spalle di Harry la piccola Fanny cinguettava sommessa nel suo nido di cenere.
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«La profezia si è rotta» disse Harry in tono spento. «Stavo portando Neville su per i gradini… là… nella stanza con l’arco… gli ho strappato la veste e la sfera è caduta…»
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«Quella che si è infranta era solo la registrazione conservata nell’Ufficio Misteri. Ma c’è una persona che ha sentito la profezia e la ricorda perfettamente».
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«Chi?» domandò Harry, ma in cuor suo già conosceva la risposta.
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«Io. L’ho ascoltata una fredda, umida sera di sedici anni fa, in una stanza sopra la Testa di Porco. Ero lì per incontrare un aspirante alla cattedra di Divinazione, anche se tutto sommato avrei preferito cancellare quella materia dai nostri programmi. Comunque, la candidata era la propronipote di una Veggente molto famosa e molto dotata, perciò mi parve educato incontrarla. È stata una delusione. Non ho trovato in lei la minima traccia del dono. Così le dissi — cortesemente, mi auguro — che non mi sembrava adatta a occupare quel posto e mi voltai per andarmene».
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Silente si alzò e passò oltre Harry, diretto all’armadietto nero vicino al trespolo di Fanny. Si chinò, fece scorrere un chiavistello ed estrasse il basso bacile di pietra dal bordo ricoperto di rune nel quale Harry aveva visto suo padre tormentare Piton. Tornò alla scrivania, vi posò il Pensatoio e si avvicinò la bacchetta alla tempia per estrarne fili di pensiero argentei e sottili come ragnatele e deporli nel bacile. Si sedette di nuovo e per un momento guardò i propri pensieri turbinare e fluttuare dentro il Pensatoio. Infine, con un sospiro, alzò la bacchetta e la infilò nella sostanza argentea.
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Una figura drappeggiata in scialli colorati, gli occhi enormi dietro le lenti, si erse dal bacile ruotando lentamente, i piedi immersi nel vortice argenteo. Ma quando Sibilla Cooman parlò, non lo fece con l’abituale tono etereo e mistico; aveva una voce aspra, rauca, che Harry aveva già sentito una volta: «Ecco giungere il solo col potere di sconfiggere l’Oscuro Signore… nato da chi lo ha tre volte sfidato, nato sull’estinguersi del settimo mese… l’Oscuro Signore lo designerà come suo eguale, ma egli avrà un potere a lui sconosciuto… e l’uno dovrà morire per mano dell’altro, perché nessuno dei due può vivere se l’altro sopravvive… il solo col potere di sconfiggere l’Oscuro Signore nascerà all’estinguersi del settimo mese…»
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Sempre roteando lentamente, la professoressa Cooman sprofondò nella massa argentea e svanì.
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A lungo nell’ufficio regnò il silenzio. Né Silente né Harry né alcuno dei ritratti emise un suono. Anche Fanny si era zittita.
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«Professore» disse Harry a voce molto bassa, perché Silente, lo sguardo ancora fisso sul Pensatoio, sembrava immerso nei propri pensieri. «Questo significa… che cosa significa?»
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«Significa» rispose Silente, «che la sola persona in grado di sconfiggere una volta per tutte Lord Voldemort è nata quasi sedici anni fa, alla fine di luglio, da genitori che avevano già sfidato tre volte Voldemort».
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Harry aveva l’impressione che qualcosa si stesse chiudendo su di lui. Aveva di nuovo il fiato corto.
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«Cioè… io?»
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Silente sospirò.
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«Il fatto strano, Harry» sussurrò Silente, «è che potevi non essere tu. La profezia di Sibilla poteva applicarsi a due giovani maghi: entrambi erano nati quell’anno alla fine di luglio, e i genitori di entrambi facevano parte dell’Ordine della Fenice ed erano sfuggiti a Voldemort per tre volte. Uno, naturalmente, eri tu. L’altro era Neville Paciock».
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«Ma allora… ma allora perché sulla profezia c’era il mio nome e non quello di Neville?»
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«La registrazione ufficiale è stata rietichettata dopo l’attacco di Voldemort contro di te. Il custode della Sala delle Profezie era convinto che Voldemort avesse tentato di ucciderti perché sapeva che Sibilla si riferiva a te».
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«Allora… potrei non essere io?»
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«Temo» disse piano Silente, e sembrava che ogni parola gli costasse un enorme sforzo, «che su questo non ci siano dubbi: sei tu».
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«Ma ha detto… anche Neville è nato alla fine di luglio… e i suoi genitori…»
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«Dimentichi la parte che segue, l’elemento finale che identifica chi è in grado di sconfiggere Voldemort… Voldemort stesso lo designerà come suo eguale. E così ha fatto, Harry. Ha scelto te, non Neville. Ti ha inciso sulla fronte quella cicatrice, che si è dimostrata insieme una benedizione e una maledizione».
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«Ma potrebbe aver scelto il ragazzo sbagliato!» esclamò Harry. «Aver designato la persona sbagliata!»
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«Ha scelto il ragazzo che a suo parere aveva più probabilità di costituire un pericolo» disse Silente. «E nota bene, Harry: non il purosangue (che secondo il suo credo è l’unico mago degno d’esistere), ma il Mezzosangue come lui. Prima ancora di averti visto, si è riconosciuto in te; e nell’imprimerti quella cicatrice non ti ha ucciso, com’era sua intenzione, ma ti ha dato un potere, e un futuro, che ti ha permesso di sfuggirgli non una volta, ma quattro: un’impresa mai riuscita né ai tuoi genitori, né a quelli di Neville».
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«Ma perché l’ha fatto, allora?» Harry si sentiva infreddolito e intorpidito. «Perché ha tentato di uccidermi quando ero un neonato? Perché non ha aspettato che Neville o io crescessimo, per poi uccidere quello che gli sembrava più pericoloso…?»
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«Sì, in effetti sarebbe stato logico» disse Silente, «ma il fatto è che le sue informazioni sulla profezia erano incomplete. La Testa di Porco, che Sibilla aveva scelto perché costava poco, ha sempre attratto una clientela più… come dire?… interessante dei Tre Manici di Scopa. Come anche tu e i tuoi amici avete scoperto a vostre spese, è un posto dove non si è mai al sicuro da orecchie indiscrete. Naturalmente, quando avevo fissato l’incontro con Sibilla Cooman, non potevo immaginare che avrei sentito qualcosa d’importante. Ma ho — abbiamo — avuto un colpo di fortuna: l’ascoltatore indesiderato è stato individuato e buttato fuori quando Sibilla aveva appena cominciato a declamare la profezia».
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«Perciò ha sentito solo…?»
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«Solo l’inizio, la parte relativa alla nascita in luglio e ai genitori che avevano sconfitto tre volte Voldemort. Di conseguenza non ha potuto avvertire il suo Padrone che attaccandoti avrebbe rischiato di trasferirti i suoi poteri e designarti quale suo eguale. Perciò Voldemort non ha mai saputo che attaccarti poteva essere pericoloso, che sarebbe stato meglio aspettare. Non sapeva che avresti avuto un potere a lui sconosciuto…»
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«Ma non è vero!» protestò Harry con voce strozzata. «Non ho alcun potere che lui non abbia, non potrei mai lottare come ha fatto lui stanotte, non sono in grado di possedere altre persone, né… né di ucciderle…»
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«Nell’Ufficio Misteri» lo interruppe Silente, «c’è una stanza che viene tenuta sempre chiusa. Contiene una forza al tempo stesso più meravigliosa e più terribile della morte, dell’intelligenza umana e della natura. È forse il più misterioso fra i molti soggetti che vengono studiati laggiù. È la forza contenuta in quella stanza che tu possiedi in grande quantità, e che Voldemort non possiede affatto. È stata quella a spingerti laggiù stanotte per salvare Sirius. E ti ha salvato dalla possessione di Voldemort, perché egli non può risiedere in un corpo tanto pieno della forza che lui detesta. Alla resa dei conti, non ha avuto importanza che tu non riuscissi a chiudere la tua mente. È stato il tuo cuore a salvarti».
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Harry chiuse gli occhi. Se non fosse corso a salvare Sirius, Sirius non sarebbe morto… «La fine della profezia…» chiese, senza dare molta importanza alla risposta, più che altro per allontanare il momento in cui avrebbe dovuto pensare di nuovo a Sirius. «Come diceva…? Era qualcosa come… nessuno dei due può vivere…»
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«…se l’altro sopravvive» concluse Silente.
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«Ma questo…» disse Harry, estraendo a fatica ogni parola dal profondo pozzo di disperazione che gli si era spalancato dentro, «…questo significa che… uno di noi dovrà uccidere l’altro… alla fine?»
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«Sì» rispose Silente.
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Rimasero a lungo in silenzio. Da qualche parte, fuori di lì, Harry sentì un suono di voci, forse studenti diretti alla Sala Grande per una colazione di buon mattino. Sembrava impossibile che al mondo ci fossero ancora persone che avevano voglia di mangiare e ridere, persone che non sapevano della scomparsa di Sirius Black, che non soffrivano per la sua morte. Sirius sembrava già lontano milioni di chilometri; eppure, una parte di Harry ancora credeva che, se solo avesse scostato quel velo, avrebbe scoperto Sirius che gli restituiva lo sguardo, pronto a salutarlo con la sua risata simile a un latrato…
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«Sento di doverti un’altra spiegazione, Harry» disse Silente esitando. «Ti sarai forse chiesto perché non ti ho nominato prefetto… Confesso… di aver pensato… che avevi fin troppe responsabilità sulle spalle».
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Quando Harry alzò lo sguardo, vide una lacrima scivolare sul viso di Silente e scomparire dentro la lunga barba d’argento.
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