IL RITORNO DI COLUI-CHE-NON-DEVE-ESSERE-NOMINATO
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Venerdì notte, una breve dichiarazione del Ministro della Magia Cornelius Caramell ha confermato che Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato è tornato ed è di nuovo in azione.
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«È con profondo rammarico che devo confermare la ricomparsa fra noi del mago che si fa chiamare Lord… be’, sapete a chi mi riferisco» ha detto Caramell ai cronisti, stanco e sconvolto. «Quasi con pari rammarico dobbiamo informarvi che i Dissennatori di Azkaban si sono rifiutati di proseguire il loro lavoro per conto del Ministero e riteniamo siano ora passati agli ordini di Lord… Coso.
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«Invitiamo alla vigilanza tutto il popolo magico. Il Ministero sta già preparando guide alla Difesa elementare — casalinga e personale — che nel corso del mese prossimo saranno distribuite gratis a tutte le famiglie di maghi».
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L’annuncio ha suscitato sgomento e allarme nella comunità magica, che appena mercoledì scorso aveva ricevuto dal Ministro l’assicurazione che non c’era «la minima verità nelle persistenti voci che Voi-Sapete-Chi sia di nuovo fra noi».
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Ancora vaghi sono i particolari degli eventi che hanno condotto a questo spettacolare voltafaccia, ma si nutrono fondati sospetti che giovedì sera Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato e un gruppo di suoi seguaci (noti come Mangiamorte) si siano introdotti nello stesso Ministero della Magia.
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Albus Silente, reintegrato nella posizione di Preside di Hogwarts (Scuola di Stregoneria e Magia), di membro della Confederazione Internazionale dei Maghi e di Stregone Capo del Wizengamot, si è finora rifiutato di rilasciare dichiarazioni. Durante lo scorso anno aveva più volte affermato che Voi-Sapete-Chi non era morto, come tutti avevano sperato e creduto, ma aveva ripreso a reclutare seguaci per tentare nuovamente di impadronirsi del potere. Intanto, il Ragazzo-Che-È-Sopravvissuto…
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«Questo sei tu, Harry, lo sapevo che ti avrebbero tirato in ballo» commentò Hermione, lanciandogli un’occhiata al di sopra del giornale.
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Erano in infermeria. Harry era seduto in fondo al letto di Ron, ed entrambi ascoltavano Hermione leggere la prima pagina del Profeta della Domenica. Ginny, la cui caviglia era stata guarita in un baleno da Madama Chips, era raggomitolata ai piedi del letto di Hermione; Neville, col naso tornato a forma e dimensioni normali, era seduto su una poltrona in mezzo ai due letti; e Luna, che era passata per una breve visita, leggeva l’ultimo numero del Cavillo tenendolo capovolto, in apparenza senza ascoltare una parola di quello che Hermione stava dicendo.
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«Così adesso è di nuovo il Ragazzo-Che-È-Sopravvissuto, eh?» disse Ron. «Non più un esibizionista visionario, eh?»
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Prese una manciata di Cioccorane dal mucchio sul comodino, ne passò qualcuna a Harry, Ginny e Neville e strappò coi denti l’incarto della sua. Aveva ancora grosse vesciche sulle braccia, là dove si erano avvolti i tentacoli del cervello. Secondo Madama Chips, i pensieri potevano lasciare cicatrici più profonde di qualunque altra cosa, anche se da quando aveva cominciato ad applicare grandi quantità di Unguento Smemorello del Dottor Obly c’erano stati notevoli miglioramenti.
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«È vero, Harry» disse Hermione, scorrendo l’articolo. «Ora non fanno che riempirti di complimenti. Una voce solitaria che gridava la verità… benché ritenuto instabile dai più, non una volta ha vacillato… costretto a sopportare ridicolo e calunnie… Mmmm» commentò accigliata, «però sorvolano sul fatto che era proprio Il Profeta a coprirti di ridicolo e di calunnie…»
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Sussultò e si portò una mano alle costole. La maledizione di Dolohov, benché meno efficace di quanto sarebbe stata se pronunciata a voce alta, le aveva comunque causato, per dirla con le parole di Madama Chips, «abbastanza danni da tenerla buona». Hermione doveva prendere ogni giorno dieci pozioni diverse, ma stava già molto meglio ed era pronta a lasciare l’infermeria.
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«L’ultimo attacco di Voi-Sapete-Chi, da pagina 2 a pagina 4; Quel che il Ministro avrebbe dovuto dirci, pagina 5; Perché nessuno ha ascoltato Albus Silente, da pagina 6 a pagina 8; Intervista esclusiva con Harry Potter, pagina 9… Be’» commentò, ripiegando il giornale e accantonandolo, «di sicuro ha fornito loro parecchio materiale. E l’intervista con Harry non è un’esclusiva, è quella comparsa sul Cavillo mesi fa…»
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«Gliel’ha venduta papà» disse distrattamente Luna, voltando una pagina del Cavillo. «Ne ha ricavato abbastanza da organizzare una spedizione in Svezia quest’estate, alla ricerca del Ricciocorno Schiattoso».
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Per un momento Hermione parve sostenere una lotta contro se stessa. «Sembra interessante» disse alla fine.
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Ginny intercettò lo sguardo di Harry e distolse rapidamente il suo, sorridendo.
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«Allora…» riprese Hermione. Si mise un po’ più dritta e sussultò di nuovo. «Che cosa succede a scuola?»
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«Be’, Vitious ha eliminato la palude di Fred e George» disse Ginny. «Ci ha messo più o meno tre secondi. Però ne ha lasciata un po’ sotto la finestra e ci ha messo intorno una fune…»
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«Perché?» chiese stupita Hermione.
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«Oh, ha detto che era una magia niente male» rispose Ginny scrollando le spalle.
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«Secondo me l’ha lasciata come monumento a Fred e George» osservò Ron, masticando cioccolata. «Queste me le hanno mandate loro» disse a Harry, indicando la montagnola di Cioccorane. «Il loro negozio di scherzi deve andare bene, eh?»
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Hermione gli lanciò un’occhiata di disapprovazione, e poi chiese: «Allora col ritorno di Silente sono finiti i problemi?»
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«Sì» rispose Neville, «tutto è tornato alla normalità».
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«Gazza sarà contento» commentò Ron, appoggiando una figurina con l’immagine di Silente alla brocca dell’acqua.
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«Per niente» disse Ginny. «È tristissimo…» Abbassò la voce. «Non fa che ripetere che la Umbridge era la cosa migliore mai capitata a Hogwarts…»
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Voltarono tutti e sei la testa. La professoressa Umbridge, che occupava un letto di fronte a loro, teneva lo sguardo fisso al soffitto. Silente si era inoltrato da solo nella foresta per strapparla ai centauri; come ci fosse riuscito — come avesse fatto a riemergere dagli alberi insieme a lei senza nemmeno un graffio — nessuno lo sapeva, e di sicuro la Umbridge non l’aveva raccontato. Da quando era tornata al castello non aveva pronunciato una sola parola, almeno per quanto ne sapevano loro. Nessuno capiva che cosa aveva. I suoi capelli color topo, di solito impeccabili, erano arruffati e ancora pieni di ramoscelli e foglie, ma a parte questo sembrava in condizioni normali.
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«A sentire Madama Chips, è sotto shock» bisbigliò Hermione.
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«Secondo me sta solo tenendo il broncio» disse Ginny.
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«Però dà segni di vita, se fai così» aggiunse Ron, e schioccò piano la lingua in un clop-clop sommesso. La Umbridge si sedette di scatto e si guardò attorno frenetica.
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«Qualcosa non va, professoressa?» s’informò Madama Chips, affacciandosi dal suo ufficio.
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«No… no…» rispose la Umbridge e sprofondò di nuovo nei cuscini. «Devo aver sognato…»
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Hermione e Ginny soffocarono le risate nelle lenzuola.
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«A proposito di centauri» chiese ancora Hermione quando si fu ripresa, «chi è ora l’insegnante di Divinazione? Fiorenzo resterà?»
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«Per forza». Stavolta fu Harry a risponderle. «Gli altri centauri non hanno intenzione di riaccoglierlo».
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«A quanto pare, insegneranno sia lui sia la Cooman» aggiunse Ginny.
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«Però a Silente piacerebbe potersi sbarazzare della Cooman» disse Ron, attaccando la quattordicesima Cioccorana. «Sia chiaro, per me Divinazione è tutta inutile, e Fiorenzo non è molto meglio di lei…»
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«Come fai a dire una cosa del genere?» protestò Hermione. «In fondo, abbiamo appena scoperto che esistono vere profezie…»
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Il cuore di Harry batté più forte. Non aveva confidato a nessuno — né a Ron, né a Hermione, né a nessun altro — il contenuto della profezia. Neville aveva spiegato loro che la sfera si era rotta mentre Harry lo trascinava su per i gradini nella Camera della Morte, e lui non aveva aggiunto altro. Non ci teneva a vedere la loro espressione quando avesse rivelato che doveva diventare assassino o vittima, che non c’erano altre possibilità…
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«Peccato che si sia rotta» disse Hermione piano, scuotendo il capo.
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«Vero» concordò Ron. «Ma così nemmeno Voi-Sapete-Chi ha scoperto quello che diceva… Dove vai?» aggiunse, insieme sorpreso e deluso, vedendo Harry alzarsi.
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«Da Hagrid. È appena tornato, e gli ho promesso di passare a salutarlo e dirgli come state».
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«Oh, va bene» disse Ron, imbronciato, guardando la macchia di luminoso cielo azzurro al di là della finestra. «Vorrei tanto poter venire anch’io».
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«Salutalo da parte nostra!» gridò Hermione, mentre Harry si allontanava lungo la corsia. «E chiedigli come sta il… suo piccolo amico!»
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Uscendo Harry agitò una mano per mostrare che aveva sentito e capito.
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Il castello sembrava molto silenzioso, per essere domenica. A quanto pareva, erano tutti sul prato a godersi la fine degli esami e la prospettiva degli ultimi giorni di scuola liberi da ripassi e compiti. Percorse lentamente il corridoio deserto, guardando di tanto in tanto fuori dalle finestre; vide alcuni studenti svolazzare sopra il campo di Quidditch e qualcun altro che nuotava nel lago insieme alla piovra gigante.
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Non riusciva a capire se voleva o no stare in compagnia: ogni volta che era con qualcuno, desiderava stare solo; e ogni volta che era solo, desiderava stare con qualcuno. Tanto valeva andare a trovare Hagrid, visto che da quando era tornato non avevano ancora fatto una chiacchierata come si deve…
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Era appena giunto in fondo alla scala di marmo, nella Sala d’Ingresso, quando Malfoy, Tiger e Goyle emersero dalla porta sulla destra che conduceva alla sala comune di Serpeverde. Harry si bloccò; e così pure Malfoy e gli altri due. Gli unici suoni erano quelli che arrivavano dall’esterno, al di là del portone aperto: grida, risate, spruzzi.
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Malfoy si guardò attorno — chiaramente per controllare che non ci fossero insegnanti in giro — poi tornò a fissare Harry e gli disse a voce bassa: «Sei morto, Potter».
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Harry inarcò le sopracciglia.
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«Buffo» commentò. «Credevo che da morto avrei smesso di camminare…»
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Malfoy era più furioso che mai, e Harry provò una sorta di soddisfazione distaccata vedendo una smorfia rabbiosa contorcergli la pallida faccia aguzza.
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«La pagherai» disse Malfoy, con voce poco più forte di un sussurro. «Te la farò pagare per quello che hai fatto a mio padre…»
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«Tremo di paura» replicò Harry sarcastico. «Immagino che Lord Voldemort sia una bazzecola in confronto a voi tre… che cosa c’è?» aggiunse, perché sentire quel nome sembrava averli turbati. «Non sono grandi amici, lui e tuo padre? Non mi dirai che ti fa paura, eh?»
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«Ti credi in gamba, Potter» ringhiò Malfoy, facendosi avanti insieme a Tiger e Goyle. «Ma aspetta. Ti sistemerò io. Non puoi mandare mio padre in prigione…»
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«Mi pareva di averlo appena fatto».
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«I Dissennatori hanno abbandonato Azkaban. Mio padre e gli altri saranno fuori in un baleno…»
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«Sì, immagino di sì» sospirò Harry. «Ma ormai tutti sanno che razza di canaglie sono…»
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La mano di Malfoy volò verso la bacchetta, ma Harry fu più rapido: aveva estratto la sua prima che le dita di Malfoy riuscissero a infilarsi in tasca.
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«Potter!»
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La voce rimbombò nell’Ingresso. Piton era emerso dalla scala che portava nel suo ufficio, e vedendolo Harry provò un odio più intenso di quanto ne avesse mai provato per Malfoy… Qualunque cosa potesse dire Silente, non lo avrebbe mai perdonato… mai…
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«Che cosa fai, Potter?» chiese Piton, gelido come sempre, avanzando a grandi passi verso i quattro.
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«Sto tentando di decidere quale maledizione usare contro Malfoy, signore» rispose impassibile Harry.
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Piton lo fissò.
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«Metti via subito quella bacchetta» ordinò brusco. «Dieci punti in meno per Grifon…»
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Lanciò un’occhiata alle grandi clessidre e sorrise sprezzante.
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«Ah. Vedo che a Grifondoro non sono rimasti punti da togliere. In tal caso, Potter, dovremo…»
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«Aggiungerne qualcuno?»
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La professoressa McGranitt aveva appena finito di salire a fatica la scalinata che portava nel castello: in una mano stringeva una borsa di stoffa scozzese e nell’altra un bastone al quale si appoggiava pesantemente, ma per il resto sembrava in gran forma.
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«Professoressa McGranitt!» esclamò Piton, affrettandosi ad andarle incontro. «L’hanno dimessa dal San Mungo, vedo!»
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«Sì, professor Piton» annuì lei, facendosi scivolare dalle spalle il mantello da viaggio. «In pratica sono come nuova. Voi due: Tiger… Goyle…»
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In risposta a un suo gesto imperioso, entrambi strisciarono in avanti con aria imbarazzata.
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«Tenete» la professoressa McGranitt consegnò la borsa a Tiger e il mantello a Goyle, «portate queste cose nel mio ufficio».
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I due fecero dietrofront e salirono a passi grevi la scala di marmo.
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«Bene bene» disse la professoressa McGranitt, alzando lo sguardo verso le clessidre. «Penso che Potter e i suoi amici dovrebbero ricevere cinquanta punti ciascuno per aver avvertito il mondo del ritorno di Voi-Sapete-Chi! Che cosa ne dice, professor Piton?»
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«Come?» sbottò Piton, anche se Harry sapeva che aveva sentito benissimo. «Oh… be’… suppongo…»
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«Perciò fanno cinquanta punti l’uno per Potter, i due Weasley, Paciock e la signorina Granger» contò la professoressa McGranitt; mentre parlava, una pioggia di rubini cadde sul fondo della clessidra di Grifondoro. «E cinquanta anche per la signorina Lovegood, direi» aggiunse, e un certo numero di zaffiri cadde nella clessidra di Corvonero. «Ora, se non sbaglio lei voleva toglierne dieci al signor Potter, vero, professor Piton…? Perciò…»
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Alcuni rubini risalirono nel bulbo di sopra, lasciando comunque decisamente pieno quello di sotto.
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«Bene… Potter, Malfoy… con una giornata così bella dovreste essere fuori» proseguì vivacemente la professoressa McGranitt.
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Senza farselo ripetere, Harry infilò la bacchetta in tasca e puntò verso il portone senza degnare di un’altra occhiata Piton e Malfoy.
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Mentre attraversava il prato, diretto alla capanna di Hagrid, il sole rovente lo colpì come una fiammata. Molti studenti distesi sull’erba a prendere il sole, chiacchierare, leggere Il Profeta della Domenica e mangiare dolci alzarono lo sguardo al suo passaggio: alcuni lo chiamarono o lo salutarono, ansiosi di mostrare che anche loro, come Il Profeta, avevano deciso di considerarlo un eroe. Harry non rivolse la parola a nessuno. Non aveva idea di quanto sapessero degli avvenimenti di tre giomi prima, ma era riuscito a evitare le domande e preferiva che continuasse così.
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Subito, quando bussò alla porta della capanna e nessuno rispose, pensò che Hagrid fosse fuori, ma poi Thor sbucò al galoppo da dietro l’angolo e lo salutò con tanto entusiasmo da scaraventarlo quasi a terra. Hagrid era nell’orto a raccogliere fagioli corridori.
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«Tutto bene, Harry!» disse sorridendo quando lo vide avvicinarsi alla staccionata. «Vieni, vieni, che ci facciamo una tazza di succo di dente di leone… Come va?» gli chiese, mentre si sedevano al tavolo di legno davanti a due bicchieri pieni di succo ghiacciato. «Tu… ehm… stai bene, sì?»
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Dalla sua espressione preoccupata, era chiaro che non si riferiva alla salute fisica.
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«Sto bene» rispose in fretta Harry, ansioso di evitare l’argomento. «Allora, dove sei stato?»
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«Sulle montagne. Dentro una caverna, come Sirius quando…»
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S’interruppe, si schiarì la gola imbarazzato, guardò Harry e bevve una lunga sorsata di succo.
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«Comunque adesso sono tornato» concluse a disagio.
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«Tu stai… stai meglio» disse Harry, sempre deciso a non parlare di Sirius.
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«Eh?» Hagrid alzò una manona per tastarsi la faccia. «Oh… oh, sì. Be’, adesso Grop si comporta un sacco meglio, davvero. Sembrava proprio contento di rivedermi, sai? È un bravo ragazzo, sì… Chissà, magari posso trovarci un’amichetta…»
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In condizioni normali, Harry avrebbe tentato in tutti i modi di fargli cambiare idea: la prospettiva che un secondo gigante, magari ancora più violento e brutale di Grop, si stabilisse nella foresta era terrificante, ma al momento non aveva l’energia necessaria per mettersi a discutere. Desiderava di nuovo restare solo e per far prima trangugiò il succo a lunghe sorsate, quasi svuotando il bicchiere.
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«Adesso lo sanno tutti che dicevi la verità, Harry» osservò inaspettatamente Hagrid a voce bassa. «Le cose andranno meglio, no?»
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Harry scrollò le spalle.
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«Senti…» Hagrid si curvò sul tavolo verso di lui. «Conoscevo Sirius da più tempo di te… è morto in battaglia… è così che voleva andarsene…»
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«Non voleva affatto andarsene!» ribatté Harry rabbioso.
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Hagrid chinò il testone arruffato.
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«No, credo di no» disse piano. «Ma Harry… lui non era uno di quelli che stanno a casa e lasciano combattere gli altri. Non poteva mica perdonarsi se non veniva ad aiutar…»
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Harry si alzò di scatto.
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«Devo andare a trovare Ron e Hermione in infermeria» disse meccanicamente.
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«Oh». Hagrid era turbato. «Oh… va bene, allora, Harry… stai bene, e passa a trovarmi se hai un momen…»
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«Sì… d’accordo…»
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Harry andò rapido alla porta e la aprì; e prima che Hagrid avesse finito di salutarlo, era di nuovo fuori, nel sole. Ancora una volta i ragazzi lo chiamarono. Chiuse gli occhi per un momento, augurandosi che sparissero tutti… sarebbe stato bello riaprirli e trovarsi solo, sul prato…
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Pochi giorni prima — prima che gli esami finissero, prima dell’ultima visione inviatagli da Voldemort — avrebbe dato qualunque cosa perché tutti sapessero che diceva la verità, che Voldemort era tornato, che lui non era un bugiardo né un pazzo. Ma adesso…
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Per un po’ continuò a camminare intorno al lago, infine si sedette sulla riva, nascosto ai passanti da un groviglio di cespugli, e fissò l’acqua luccicante, riflettendo…
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Forse voleva stare solo perché dopo la conversazione con Silente si era sentito isolato da tutti. Una barriera invisibile lo separava dal resto del mondo. Era — era sempre stato — una creatura segnata. Ma fino ad allora non aveva mai capito che cosa volesse dire…
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Eppure, seduto sulla riva del lago, oppresso com’era dal dolore, con la perdita di Sirius ancora così fresca e recente, non riusciva a provare paura. Il sole splendeva, i prati erano pieni di studenti gioiosi e, pur sentendosi lontano da loro come se appartenesse a un’altra razza, gli era ancora difficile credere che la sua vita dovesse includere — o concludersi con — l’omicidio…
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A lungo rimase seduto con lo sguardo fisso sull’acqua, sforzandosi di non pensare al suo padrino, di non ricordare che una volta Sirius era crollato sulla riva di fronte, tentando di tenere a bada un centinaio di Dissennatori…
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Il sole tramontò prima che si rendesse conto di avere freddo. Si alzò e tornò al castello, passandosi una manica sulle guance bagnate.
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Tre giorni prima della fine della scuola, Ron e Hermione lasciarono l’infermeria del tutto ristabiliti. Hermione continuava a voler parlare di Sirius, ma Ron la zittiva ogni volta che lei ne pronunciava il nome. Quanto a Harry, non era ancora sicuro di voler affrontare l’argomento: i suoi desideri variavano con il suo umore. Ma di una cosa almeno era sicuro: per quanto avvilito fosse, di lì a pochi giorni, una volta tornato al numero quattro di Privet Drive, avrebbe sentito da morire la mancanza di Hogwarts. E anche se ormai sapeva perché doveva tornarci ogni estate, non per questo si sentiva meglio. Anzi, non aveva mai temuto tanto di farvi ritorno.
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La professoressa Umbridge lasciò Hogwarts il giorno prima della fine delle lezioni. Sgattaiolò fuori dall’infermeria all’ora di cena, nella chiara speranza di allontanarsi inosservata, ma purtroppo per lei incontrò Pix, che afferrò al volo l’ultima possibilità di obbedire a Fred e la inseguì allegramente fino al cancello, picchiandola un po’ con un bastone da passeggio, un po’ con una calza piena di gesso. Molti studenti corsero nella Sala d’Ingresso per assistere alla sua fuga, e i Direttori delle Case tentarono con scarsa convinzione di fermarli. Per la precisione, dopo qualche fiacca protesta la professoressa McGranitt tornò a sedersi al tavolo degli insegnanti esprimendo a gran voce il disappunto per non poterla inseguire personalmente dal momento che Pix le aveva preso il bastone.
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Arrivò l’ultima sera: quasi tutti avevano finito di fare i bagagli e stavano scendendo per il banchetto di fine anno, ma Harry non aveva nemmeno cominciato a preparare il baule.
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«Fallo domani!» disse Ron, in attesa accanto alla porta del dormitorio. «Muoviti. Muoio di fame».
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«Non ci metterò molto, va’ avanti…»
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Ma quando la porta del dormitorio si chiuse, Harry non si diede minimamente da fare. L’ultima cosa che desiderava era partecipare al Banchetto d’Addio. Temeva che nel discorso di fine anno Silente facesse qualche riferimento a lui. Di sicuro avrebbe parlato del ritorno di Voldemort, come già l’anno prima…
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Estrasse dal baule alcune vesti spiegazzate per sostituirle con altre piegate, e così facendo notò in un angolo un pacchetto incartato alla meno peggio. Che cosa poteva essere? Lo sfilò da sotto le scarpe da ginnastica e se lo rigirò fra le mani.
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Capì quasi subito che cos’era. Sirius gliel’aveva dato prima che lasciasse Grimmauld Place. «Voglio che lo usi se hai bisogno di me, intesi?»
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Si sedette sul letto e lo aprì. Ne cadde uno specchietto quadrato. Sembrava antico; di sicuro era sporco. Harry lo sollevò davanti al viso, e il suo riflesso gli restituì lo sguardo. Lo voltò. Sul retro, Sirius aveva scarabocchiato:
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Questo è uno specchio a doppio senso. Io ho l’altro. Se avessi bisogno di parlarmi, ti basterà pronunciare il mio nome: apparirai subito nel mio specchio, e io nel tuo. James e io li usavamo quando ci mettevano in punizione separati.
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Il cuore di Harry batté più forte. Quattro anni prima aveva visto i genitori nello Specchio delle Brame. E ora avrebbe potuto parlare di nuovo con Sirius, lo sapeva…
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Si guardò attorno per accertarsi di essere solo e risollevò lo specchio davanti al viso con mani tremanti. «Sirius» chiamò, con voce forte e chiara.
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Il suo respiro appannò il vetro. Sentiva l’eccitazione scorrergli nelle vene. Avvicinò ancora di più lo specchio al volto… ma il vetro appannato gli restituì solo il riflesso dei suoi occhi.
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Ripulì il cristallo e scandendo ogni sillaba ripeté: «Sirius Black!»
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Niente. Il viso frustrato che compariva nello specchio era ancora e sempre il suo…
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Sirius non aveva con sé lo specchio quando ha attraversato l’arco, sussurrò una vocina dentro la sua testa. Per questo non funziona…
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Rimase immobile un istante, poi scaraventò lo specchio nel baule, dove si infranse. Per un intero, meraviglioso minuto era stato convinto che avrebbe rivisto Sirius, che gli avrebbe parlato di nuovo…
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La delusione gli bruciava in gola; si alzò e prese a gettare alla rinfusa le sue cose nel baule, sopra lo specchio rotto…
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E poi lo fulminò un’idea… un’idea migliore di uno specchio… più grande, più importante… come aveva fatto a non pensarci… perché non l’aveva mai chiesto?
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Corse fuori dal dormitorio, giù per la scala a chiocciola, a stento si accorse di urtare contro i muri; attraversò di volata la sala comune vuota e il buco del ritratto, ignorando la Signora Grassa che gli gridò: «Il banchetto sta per cominciare, sai! Devi sbrigarti!»
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Ma lui non aveva intenzione di andare al banchetto…
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Com’era possibile che quel posto brulicasse di fantasmi tutte le volte che non ti servivano, e ora…
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Per quanto si affannasse a cercare, non vide nessuno, né vivo né morto. A quanto pareva, erano tutti nella Sala Grande. Davanti all’aula d’Incantesimi si fermò ansante, pensando sconsolato che avrebbe dovuto aspettare come minimo la fine del banchetto…
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Aveva ormai rinunciato a ogni speranza quando vide una forma trasparente fluttuare in fondo al corridoio.
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«Ehi… ehi, Nick! NICK!»
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Il fantasma si riaffacciò dal muro, e Harry vide lo stravagante cappello piumato e la testa pericolosamente dondolante di Sir Nicholas de Mimsy-Porpington.
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«Buonasera» lo salutò sorridendo il fantasma, mentre finiva di estrarre il resto del corpo dalla pietra. «Non sono l’unico assente, dunque? Anche se» e sospirò, «in un senso piuttosto diverso, naturalmente…»
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«Posso chiederti una cosa, Nick?»
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Una strana espressione comparve sul viso di Nick-Quasi-Senza-Testa mentre s’infilava un dito nella gorgiera rigida e la strattonava, evidentemente per guadagnare tempo. Lasciò perdere solo quando il collo semistaccato parve sul punto di cedere del tutto.
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«Ehm… proprio adesso, Harry?» chiese, sgomento. «Non potresti aspettare dopo il banchetto?»
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«No… Nick… ti prego. Ho bisogno di parlarti. Possiamo entrare qui dentro?»
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Aprì la porta dell’aula più vicina, e Nick-Quasi-Senza-Testa sospirò.
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«Oh, d’accordo» si rassegnò. «Non posso far finta di non essermelo aspettato».
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Harry tenne aperta la porta per lasciarlo passare, ma Nick preferì attraversare il muro.
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«Cos’è che ti aspettavi?» gli chiese Harry chiudendo la porta.
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«Che tu venissi a trovarmi» rispose Nick, fluttuando verso la finestra e guardando i prati sempre più bui. «Capita, a volte… quando qualcuno subisce una… perdita».
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«Be’…» disse Harry, rifiutandosi di cambiare discorso. «Avevi ragione. Sono… sono venuto a parlarti».
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Nick rimase in silenzio.
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«Il fatto è…» Harry trovava più difficile del previsto fare quel discorso, «insomma… tu sei morto. Però sei ancora qui, giusto?»
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Nick sospirò e continuò a guardare fuori.
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«È così, no?» insisté Harry. «Sei morto, però sto parlando con te… puoi girare per Hogwarts e tutto, non è vero?»
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«Sì» rispose a voce bassa Nick-Quasi-Senza-Testa. «Vado in giro e parlo, sì».
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«Quindi sei tornato, giusto?» lo incalzò Harry. «Chi muore può tornare. Sotto forma di fantasma. Non è costretto a sparire del tutto. Allora?» aggiunse impaziente, quando Nick continuò a tacere.
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Finalmente, dopo una lunga esitazione, Nick-Quasi-Senza-Testa si decise a dire: «Non tutti possono tornare».
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«Come sarebbe?»
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«Solo… soltanto i maghi».
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«Oh». Harry quasi rise di sollievo. «Allora è a posto… è di un mago che parlo. Quindi può tornare, no?»
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Nick voltò le spalle alla finestra e fissò Harry con aria mesta.
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«Non tornerà».
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«Chi?»
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«Sirius Black».
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«Ma tu l’hai fatto!» disse Harry, rabbioso. «Sei tornato… sei morto, ma non sei scomparso…»
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«Ai maghi è concesso di lasciare un’impronta di se stessi sulla terra, così che la loro ombra sbiadita continui a percorrere le stesse strade che calpestarono in vita. Ma solo pochissimi maghi scelgono di farlo».
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«Perché?» chiese Harry. «Ma non importa… a Sirius non importa se è una cosa insolita, tornerà, so che lo farà!»
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Ne era così convinto che si voltò verso la porta, certo, per un attimo, che avrebbe visto un Sirius perlaceo e trasparente, ma raggiante, attraversarla per venirgli incontro.
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«Non tornerà» ripeté Nick. «Lui è… andato avanti».
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«Come sarebbe, “andato avanti”?» incalzò Harry. «Avanti dove? E senti… che cosa succede, quando si muore? Dove si va? Perché non tornano tutti? Come mai questo posto non pullula di fantasmi? Perché?…»
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«Non posso rispondere» disse Nick.
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«Tu sei morto, no?» replicò Harry esasperato. «Chi può rispondere meglio di te?»
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«Io avevo paura della morte» sussurrò Nick. «Ho scelto di restare. A volte mi chiedo se non avrei dovuto… be’, questo non è né qua né là… in effetti io non sono né qua né là…» Sbottò in una risatina triste. «Io non so nulla dei segreti della morte, Harry, perché ho scelto questa meschina imitazione della vita. Credo che maghi istruiti svolgano approfondite ricerche sull’argomento nell’Ufficio Misteri…»
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«Non parlarmi di quel posto!» esclamò Harry.
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«Mi dispiace non esserti stato d’aiuto» disse gentilmente Nick. «Be’… adesso scusami… il banchetto, sai com’è…»
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E fluttuò fuori dalla stanza, lasciando Harry solo, a fissare senza vederla la parete che Nick aveva appena attraversato.
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Perdere la speranza di poter rivedere Sirius e parlare ancora con lui fu come perderlo di nuovo. A passi lenti, oppresso dal dolore, riattraversò il castello deserto chiedendosi se si sarebbe mai sentito di nuovo felice.
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Aveva svoltato l’angolo, imboccando il corridoio che portava al ritratto della Signora Grassa, quando vide qualcuno che attaccava un biglietto sulla bacheca appesa alla parete. Una seconda occhiata gli bastò per riconoscere Luna. Non c’erano nascondigli, ormai lei doveva averlo sentito arrivare, e comunque Harry non aveva la forza di evitare nessuno.
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«Ciao» lo salutò in tono vago Luna, allontanandosi dalla bacheca e voltandosi a guardarlo.
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«Come mai non sei al banchetto?» le chiese Harry.
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«Ho perso quasi tutte le mie cose» gli rispose tranquilla Luna. «La gente le prende e le nasconde, sai. Ma dato che è l’ultima sera, ho bisogno di riaverle, perciò ho messo un biglietto».
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Accennò alla bacheca, dove era affissa una lista di tutti i suoi libri e vestiti scomparsi, con la preghiera che le fossero restituiti.
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Harry si sentì invadere da una strana sensazione: un’emozione diversa dalla collera e dal dolore che lo attanagliavano dalla morte di Sirius. Gli ci volle qualche attimo per capire che era dispiaciuto per Luna.
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«Come mai ti nascondono le cose?» le chiese, accigliato.
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«Oh… be’…» Luna scrollò le spalle. «Credo che mi trovino un po’ strana. Certi mi chiamano “Lunatica” Lovegood, sai».
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Harry la guardò, e quella nuova sensazione di pietà s’intensificò fino a diventare quasi dolorosa.
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«Non è un buon motivo» disse deciso. «Vuoi che ti aiuti a ritrovarle?»
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«Oh, no» Luna gli sorrise. «Ricompariranno, succede sempre, alla fine. Era solo che volevo fare i bagagli stasera. Tu, piuttosto… come mai non sei al banchetto?»
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Harry scrollò le spalle. «Non me la sentivo».
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«No» disse Luna. I suoi occhi sporgenti, così stranamente nebulosi, lo scrutarono. «Immagino di no. L’uomo che i Mangiamorte hanno ucciso era il tuo padrino, vero? Me l’ha detto Ginny».
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Harry annuì con un gesto brusco, ma scoprì che per qualche motivo non gli dispiaceva parlarle di Sirius. Si era appena ricordato che anche Luna riusciva a vedere i Thestral.
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«Hai…» cominciò. «Voglio dire, chi… è morto qualcuno che conoscevi?»
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«Sì» rispose Luna con semplicità. «Mia madre. Era una strega straordinaria, ma aveva un debole per gli esperimenti e un giorno uno dei suoi incantesimi è andato male. Avevo nove anni».
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«Mi dispiace» borbottò Harry.
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«Sì, è stato terribile» disse Luna in tono disinvolto. «A volte pensarci mi fa sentire ancora molto triste. Però ho sempre papà. E in fondo non è come se non dovessi rivederla mai più, no?»
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«No?» chiese Harry, incerto.
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Luna scosse il capo, incredula.
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«Ma dài! Li hai sentiti anche tu, dietro il velo…»
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«Vuoi dire…»
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«Nella stanza con l’arco. Si nascondevano, tutto qui. Li hai sentiti».
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Si guardarono negli occhi. Luna sorrideva appena. Harry non sapeva che cosa dire né pensare: Luna credeva a cose tanto assurde… però anche lui aveva sentito i sussurri dietro il velo.
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«Sicura che non ti serva una mano per cercare le tue cose?» le chiese di nuovo.
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«Oh, no» rispose Luna. «No. Credo che andrò a mangiare il dolce e aspetterò che ricompaiano… succede sempre, alla fine… Be’, buone vacanze, Harry».
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«Sì… sì, anche a te».
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Luna si allontanò, e mentre la seguiva con lo sguardo Harry ebbe la sensazione che quel terribile senso di oppressione allo stomaco fosse un po’ diminuito.
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* * *
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Il giorno dopo, il viaggio sull’Espresso per Hogwarts fu movimentato sotto diversi punti di vista. Per cominciare, Malfoy, Tiger e Goyle — che evidentemente aspettavano da tutta la settimana l’occasione di colpire senza insegnanti fra i piedi — tesero un agguato a Harry mentre tornava dal bagno. E avrebbero forse avuto successo, se non lo avessero attaccato davanti a uno scompartimento pieno di membri dell’ES, che accorsero in suo aiuto. Quando Ernie Macmillan, Hannah Abbott, Susan Bones, Justin Finch-Fletchley, Anthony Goldstein e Terry Steeval finirono di usare l’ampia gamma di fatture e incantesimi che Harry aveva loro insegnato, Malfoy, Tiger e Goyle somigliavano a tre lumaconi strizzati nella divisa di Hogwarts; dopo di che Harry, Ernie e Justin li infilarono nella rastrelliera dei bagagli e li lasciarono lì a spurgare. «Muoio dalla voglia di vedere la faccia di sua madre quando scenderà dal treno» commentò soddisfatto Ernie, osservando Malfoy contorcersi sopra di lui. Non gli aveva mai perdonato i punti sottratti a Tassorosso nel breve periodo di gloria della Squadra d’Inquisizione.
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«Invece la mamma di Goyle sarà contenta» osservò Ron, giunto a vedere che cosa succedeva. «È molto più carino del solito… a proposito, Harry, è arrivato il carrello, e se vuoi qualcosa…»
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Harry ringraziò gli altri e tornò con Ron nel loro scompartimento, dove comprò un mucchio di Calderotti e Zuccotti di zucca. Hermione stava leggendo La Gazzetta del Profeta, Ginny completava un quiz sul Cavillo, e Neville accarezzava la sua Mimbulus mimbletonia, che durante l’anno era cresciuta parecchio e ora emetteva strani suoni soddisfatti quando veniva toccata.
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Harry e Ron passarono la maggior parte del viaggio giocando a scacchi magici, mentre via via Hermione leggeva ad alta voce qualche frammento del Profeta, fitto di articoli su come respingere i Dissennatori, tentativi del Ministero per rintracciare i Mangiamorte e lettere di gente isterica che sosteneva di aver visto Lord Voldemort passare davanti a casa quella mattina…
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«Non è ancora cominciata» sospirò tetra, chiudendo il giornale. «Ma non ci vorrà molto…»
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«Ehi, Harry» bisbigliò Ron, accennando alla porta a vetri che dava sul corridoio.
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Harry si voltò. Cho stava passando insieme a Marietta Edgecombe, che era imbacuccata in un passamontagna. Per un attimo i loro occhi s’incrociarono. Cho arrossì e continuò a camminare. Harry riportò lo sguardo sulla scacchiera in tempo per vedere il cavallo di Ron scacciare una delle sue pedine.
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«Come… ehm… come va fra voi due?» chiese Ron.
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«Non va» rispose sinceramente Harry.
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«Io… ho sentito che adesso esce con qualcun altro» disse incerta Hermione.
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Harry fu sorpreso di scoprire che quella notizia non gli faceva né caldo né freddo. Il desiderio di conquistare Cho apparteneva a un passato ormai scomparso; provava la stessa sensazione per molte cose che gli erano sembrate importanti prima della morte di Sirius… la settimana trascorsa dall’ultima volta che aveva visto il suo padrino sembrava infinitamente lunga; si stendeva attraverso due universi, quello con Sirius, e quello senza di lui.
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«Meglio per te, Harry» commentò Ron. «Insomma, è carina e tutto, ma a te serve una ragazza più allegra».
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«Probabilmente è abbastanza allegra con qualcun altro» replicò Harry con un’alzata di spalle.
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«Con chi esce, adesso?» chiese Ron a Hermione, ma fu Ginny a rispondergli.
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«Con Michael Corner» disse.
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«Michael… ma…» Ron si voltò a guardarla sbalordito. «Ma non ci uscivi tu?»
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«Non più» rispose Ginny decisa. «Non gli è andata giù che Grifondoro abbia sconfitto Corvonero a Quidditch; è diventato così musone che l’ho mollato, e lui si è precipitato a consolare Cho». Si grattò il naso con la piuma, rigirò Il Cavillo e cominciò a controllare le risposte esatte. Ron era raggiante.
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«L’ho sempre detto che era un idiota» disse spingendo la sua regina verso una tremante torre di Harry. «Hai fatto un affare. Basta che tu scelga… meglio… la prossima volta».
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Così dicendo, lanciò a Harry una strana occhiata furtiva.
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«Be’, ho scelto Dean Thomas, ti sembra meglio?» lo informò Ginny, distratta.
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«CHE COSA?» strillò Ron, rovesciando la scacchiera; Grattastinchi si lanciò all’inseguimento dei pezzi, mentre Edvige e Leo cinguettavano e tubavano, irritati.
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Il treno rallentò avvicinandosi a King’s Cross, e Harry si disse che non aveva mai desiderato meno di tornare a Privet Drive. Si chiese fuggevolmente che cosa sarebbe successo se si fosse rifiutato di scendere, se fosse rimasto seduto lì fino al primo settembre, quando il treno lo avrebbe riportato a Hogwarts. Ma quando infine il treno si fermò sbuffando, prese la gabbia di Edvige e si preparò a trascinare giù il baule, come al solito.
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Comunque, quando il controllore segnalò a lui, Ron e Hermione che potevano attraversare senza rischi la barriera magica fra la piattaforma nove e la piattaforma dieci, trovò una sorpresa dall’altro lato: un gruppo di persone che non si sarebbe mai aspettato di vedere.
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C’era Malocchio Moody, la bombetta inclinata a nascondere l’occhio magico che gli dava un’aria decisamente sinistra (la stessa, in effetti, che avrebbe avuto senza bombetta), le mani nodose strette sul pomo di un lungo bastone, il corpo avvolto in un ampio mantello da viaggio. Tonks era subito dietro di lui, i capelli rosa acceso scintillanti nel sole che entrava dai lucemari sporchi della stazione, un paio di jeans costellati di toppe e una sgargiante maglietta viola con la scritta Le Sorelle Stravagarie. Accanto a lei c’era Lupin, pallido, i capelli ingrigiti, un lungo pastrano logoro sopra un maglione e un paio di pantaloni trasandati. E davanti a tutti c’erano il signore e la signora Weasley, agghindati nel loro migliore stile Babbano, e Fred e George, entrambi con giubbotti nuovi fiammanti di uno squamoso materiale verde livido.
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«Ron, Ginny!» gridò la signora Weasley, e corse ad abbracciarli. «Harry, caro… come stai?»
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«Bene» mentì Harry, lasciandosi stringere anche lui in un abbraccio. Al di sopra della spalla della signora, vide Ron guardare l’abbigliamento dei gemelli con gli occhi sbarrati.
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«E questi che cosa sarebbero?» chiese, indicando i giubbotti.
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«Pelle di drago di prima qualità, fratellino» rispose Fred, dando uno strattone alla cerniera. «Gli affari vanno a gonfie vele, e così abbiamo deciso di farci un regalo».
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«Ciao, Harry» lo salutò Lupin, quando la signora Weasley lo lasciò andare per dedicarsi a Hermione.
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«Ciao. Non mi aspettavo… che cosa ci fate, tutti qui?»
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«Be’» rispose Lupin con un sorrisetto, «volevamo fare quattro chiacchiere con i tuoi zii prima che ti riportassero a casa».
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«Non so se è una buona idea» disse subito Harry.
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«Oh, io credo di sì» ringhiò Moody, che si era avvicinato zoppicando. «Sono quelli, Potter?»
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Accennò col pollice alle proprie spalle; a quanto pareva, l’occhio magico stava guardando attraverso la nuca e la bombetta. Harry tese il collo a sinistra per vedere le persone indicate da Malocchio, e scorse proprio i tre Dursley… con l’aria inorridita alla vista del suo comitato di accoglienza.
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«Ah, Harry!» esclamò il signor Weasley, voltando le spalle ai genitori di Hermione, che aveva appena salutato con entusiasmo e che ora abbracciavano la figlia a turno. «Allora… andiamo?»
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«Si, direi di sì, Arthur» replicò Moody.
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Lui e il signor Weasley precedettero il gruppetto attraverso la stazione, verso i Dursley, che sembravano aver messo le radici. Hermione si liberò con dolcezza dall’abbraccio della madre per unirsi a loro.
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«Buon pomeriggio» disse allegramente il signor Weasley a zio Vernon, fermandosi davanti a lui. «Forse si ricorderà di me… mi chiamo Arthur Weasley».
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Considerato che due anni prima il signor Weasley gli aveva praticamente demolito gran parte del salotto, Harry dubitava che zio Vernon se lo fosse scordato. E infatti lo zio assunse una più calda sfumatura color pulce e fissò il signor Weasley con occhi di fuoco, ma preferì non rispondere… in parte, forse, perché i Dursley erano in netta minoranza numerica. Zia Petunia sembrava insieme spaventata e imbarazzata: continuava a guardarsi attorno come atterrita all’idea che qualche conoscente potesse vederla in una simile compagnia. Quanto a Dudley, si sforzava di apparire piccolo e insignificante, con scarsissimo successo.
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«Volevamo fare quattro chiacchiere con voi a proposito di Harry» disse il signor Weasley, sempre sorridendo.
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«Sì» ringhiò Moody. «Su come lo trattate quando sta a casa vostra, per la precisione».
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I baffi di zio Vernon sembrarono rizzarsi per l’indignazione. Forse perché la bombetta gli diede l’errata impressione di avere a che fare con uno spirito affine, si rivolse a Moody.
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«Non mi risulta che sia affar loro quello che succede in casa mìa…»
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«Con quello che non ti risulta, Dursley, si potrebbe riempire un’enciclopedia» ringhiò di rimando Moody.
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«Non è questo il punto» intervenne Tonks, i cui capelli rosa parevano turbare zia Petunia più di tutto il resto, tanto che chiuse gli occhi per non guardarla. «Il punto è: se veniamo a sapere che trattate male Harry…»
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«…e non illudetevi, lo verremo a sapere…» aggiunse Lupin in tono affabile.
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«Sì» disse il signor Weasley, «se non gli lasciate usare il feletono…»
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«Telefono» lo corresse Hermione.
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«…sì, se ci arrivasse voce che Potter viene maltrattato in un qualunque modo, dovrete risponderne a noi» concluse Moody.
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Zio Vernon si gonfiò minaccioso. Per un attimo la sua dignità offesa parve superare perfino la paura che gli incuteva quel branco di svitati.
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«Mi sta forse minacciando, signore?» chiese, a voce così alta da far voltare i passanti.
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«Proprio così» rispose Malocchio, soddisfatto che zio Vernon avesse afferrato il nocciolo della questione tanto alla svelta.
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«Le sembro il tipo d’uomo che si fa intimidire?» latrò zio Vernon.
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«Be’…» Moody spinse indietro la bombetta per mostrare il sinistro, roteante occhio magico. Inorridito, zio Vernon fece un balzo indietro e urtò dolorosamente contro un carrello. «Sì, direi proprio di sì, Dursley» concluse Moody.
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Gli voltò le spalle e squadrò Harry da capo a piedi.
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«Allora, Potter… se hai bisogno di noi, facci un fischio. Se non riceviamo tue notizie per tre giorni di fila, manderemo qualcuno a controllare…»
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Zia Petunia soffocò un gemito. Era chiaro che stava pensando a quello che avrebbero detto i vicini se avessero visto tipi del genere risalire il vialetto.
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«Arrivederci, allora, Potter» grugnì Moody, stringendogli brevemente la spalla con una mano nodosa.
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«Abbi cura di te, Harry» disse piano Lupin. «Dacci notizie».
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«Harry, ti faremo venire via di lì appena possibile» sussurrò la signora Weasley, abbracciandolo di nuovo.
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«A presto, Harry» disse Ron, teso, stringendogli la mano.
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«A prestissimo» disse con intensità Hermione. «Promesso».
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Harry annuì. Non riusciva a trovare le parole per spiegare che cosa significava per lui vederli tutti schierati lì, al suo fianco. Invece sorrise, levò una mano in segno di saluto, si voltò e uscì dalla stazione, verso la via illuminata dal sole, con zio Vernon, zia Petunia e Dudley che arrancavano nella sua scia.
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