La fine delle vacanze estive arrivò troppo presto per i gusti di Harry. Non vedeva l’ora di tornare a Hogwarts, ma il mese passato alla Tana era stato il più felice della sua vita. Gli riusciva difficile non invidiare Ron quando pensava ai Dursley e al benvenuto che doveva aspettarsi da parte loro, non appena avesse rimesso piede a Privet Drive.
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L’ultima sera mamma Weasley organizzò una cena sontuosa con tutte le pietanze preferite di Harry e, per finire, un budino di melassa da far venire l’acquolina in bocca. Fred e George conclusero degnamente la serata con uno spettacolo di fuochi d’artificio Filibuster inondando la cucina di stelle rosse e blu che rimbalzarono dal soffitto alle pareti per una buona mezz’ora. Infine, venne il momento di un’ultima tazza di cioccolata calda, e poi a letto.
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La mattina dopo ci volle la mano di dio per riuscire a partire. Si erano alzati al canto del gallo, ma non si sa come tutti avevano un mucchio di cose da fare. Mamma Weasley correva di qua e di là in cerca di calzini spaiati e di penne d’oca; nel trambusto, tutti si scontravano su e giù per le scale, mezzi svestiti e masticando panini, e poco mancò che il signor Weasley non si rompesse il collo inciampando in una gallina di passaggio mentre attraversava il cortile per caricare in macchina il baule di Ginny.
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Harry non capiva in che modo otto persone, sei grossi bauli, due gufi e un topo potessero entrare in una piccola Ford Anglia. Ma naturalmente non aveva fatto i conti con le modifiche speciali apportate dal signor Weasley.
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«Non una parola con Molly» bisbigliò quest’ultimo a Harry quando apri il bagagliaio e gli mostrò l’incantesimo che aveva fatto per allargarlo, così da farci entrare comodamente i bauli.
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Quando finalmente furono tutti in macchina, mamma Weasley dette un’occhiata al sedile posteriore, dove, comodamente seduti uno accanto all’altro, c’erano Harry, Ron, Fred, George e Percy e disse: «I Babbani ne sanno più di quanto noi non crediamo, non è vero?» Lei e Ginny si installarono sul sedile anteriore, che era stato allungato tanto da assomigliare a una panchina del parco. «Voglio dire, dal di fuori non si direbbe mai che questa macchina è così spaziosa, non trovate?»
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Il signor Weasley mise in moto e l’auto si avviò fuori del cortile. Harry si voltò a dare un’ultima occhiata alla casa. Ma non aveva fatto in tempo a chiedersi quando l’avrebbe rivista, che già erano tornati indietro: George aveva dimenticato la scatola dei suoi fuochi d’artificio Filibuster. Cinque minuti dopo, nuova brusca frenata nel cortile perché Fred doveva correre a prendere il suo manico di scopa. Avevano quasi raggiunto l’autostrada, quando Ginny, con uno strillo, disse di aver dimenticato il diario. Quando la ragazzina si fu di nuovo arrampicata in macchina erano decisamente in ritardo e gli animi si stavano surriscaldando.
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Il signor Weasley guardò l’orologio, poi sua moglie.
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«Molly, mia cara…»
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«No, Arthur».
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«Ma nessuno ci vedrebbe. Questo bottoncino qui è il Turbo Invisibile che ho installato… che ci farebbe sollevare… e poi voleremmo sopra le nuvole. Arriveremmo in dieci minuti e nessuno ne saprebbe niente…»
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«Ho detto di no, Arthur, non in pieno giorno».
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Arrivarono alla stazione di King’s Cross alle undici meno un quarto. Il signor Weasley attraversò di corsa la strada per procurarsi i carrelli portabagagli e poi, tutti insieme, si precipitarono in stazione.
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Già l’anno prima Harry aveva preso l’Espresso per Hogwarts. Il difficile era arrivare al binario nove e tre quarti, ben nascosto agli occhi dei Babbani. Per riuscirci bisognava passare attraverso la robusta barriera che divideva le banchine nove e dieci. Non faceva male, ma era un’impresa che richiedeva molta concentrazione perché i Babbani non si accorgessero che uno spariva.
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«Prima Percy» disse mamma Weasley guardando nervosamente il grande orologio della stazione, dal quale risultava che avevano soltanto cinque minuti per scomparire tutti quanti disinvoltamente attraverso la barriera.
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Percy spiccò una corsa e sparì. Seguirono il signor Weasley, Fred e George.
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«lo vado con Ginny, e voi due venite dietro di noi» disse mamma Weasley a Harry e a Ron, afferrando la mano della ragazzina e avviandosi. In un batter d’occhio erano scomparse anche loro.
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«Andiamo tutti e due insieme, abbiamo solo un minuto di tempo» disse Ron a Harry.
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Harry si assicurò che la gabbia di Edvige fosse ben fissata sopra al baule e portò il suo carrello di fronte alla barriera. Si sentiva perfettamente sicuro di sé; questo non era difficile come usare la Polvere Volante. Tutti e due i ragazzi si chinarono sull’impugnatura dei loro carrelli e si incamminarono verso la barriera, acquistando velocità. A pochi metri di distanza spiccarono una corsa e…
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CRASH.
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Entrambi i carrelli urtarono contro la barriera e rimbalzarono all’indietro. Il baule di Ron ruzzolò con un gran tonfo. Harry fu scaraventato a terra, la gabbia di Edvige rimbalzò sul pavimento consumato e l’uccello rotolò via, gridando tutto indignato. La gente lì vicino li guardava con tanto d’occhi e una guardia li apostrofò: «Ma cosa diavolo vi salta in mente?»
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«Abbiamo perso il controllo del carrello» ansimò Harry tastandosi le costole mentre si rimetteva in piedi. Ron fece una corsa a riprendere Edvige, a causa della quale il capannello di curiosi riuniti lì intorno aveva cominciato a inveire contro le crudeltà verso gli animali.
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«Perché non riusciamo a passare?» sibilò Harry a Ron.
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«Non lo so…»
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Ron si guardò disperatamente intorno. Una dozzina di curiosi li stava ancora osservando.
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«Perderemo il treno» bisbigliò Ron. «Non riesco a capire perché l’uscita si è sbarrata…»
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Harry alzò gli occhi sul gigantesco orologio con una sensazione dolorosa alla bocca dello stomaco. Dieci secondi… nove secondi…
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Portò avanti il suo carrello con cautela finché fu proprio contro la barriera e a quel punto spinse con tutte le sue forze. Il metallo rimase impenetrabile.
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Tre secondi… due secondi… un secondo…
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«È andata» disse Ron frastornato. «Il treno è partito. E se papà e mamma non riescono a tornare indietro? Hai mica qualche soldo dei Babbani?»
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Harry rise cupamente. «I Dursley non mi danno la paghetta da circa sei anni».
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Ron appoggiò l’orecchio contro la barriera gelida.
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«Non si sente niente» disse tutto teso. «E ora che facciamo? Non so quanto ci metteranno papà e mamma a tornare indietro».
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Si guardarono intorno. La gente li stava ancora osservando, soprattutto per via di Edvige che continuava a starnazzare.
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«Penso che è meglio se andiamo ad aspettarli in macchina» disse Harry. «Stiamo attirando troppo l’atten…»
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«Harry!» esclamò Ron con gli occhi che gli brillavano. «La macchina!»
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«Si, e allora?»
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«Possiamo volare con la macchina fino a Hogwarts!»
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«Ma io pensavo…»
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«Siamo bloccati, giusto? E a scuola ci dobbiamo andare, giusto? E anche i maghi minorenni sono autorizzati a fare magie se si tratta di una vera emergenza, articolo 19 o qualcosa di simile della Legge sulla Restrizione dei cosi…»
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Il panico di Harry si trasformò di colpo in euforia.
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«Tu sai farla volare?»
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«Non c’è problema» disse Ron girando il carrello verso l’uscita. «Su, andiamo! Se ci sbrighiamo riusciremo a seguire l’Espresso per Hogwarts».
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Si avviarono fendendo la folla di Babbani incuriositi, uscirono dalla stazione e raggiunsero la strada laterale dove era parcheggiata la vecchia Ford Anglia.
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Ron aprì il capiente portabagagli con qualche leggero colpetto di bacchetta magica. Caricarono di nuovo i bauli, misero Edvige sul sedile posteriore e salirono davanti.
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«Controlla che nessuno stia guardando» disse Ron accendendo il motore con un altro colpo di bacchetta magica. Harry sporse la testa fuori del finestrino: sulla via principale il traffico era sostenuto, ma la strada dove si trovavano loro era deserta.
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«Via libera» disse.
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Ron premette un bottoncino d’argento sul cruscotto. La macchina divenne invisibile e altrettanto accadde a loro. Harry sentiva vibrare il sedile, sentiva il motore, si sentiva le mani poggiate sulle ginocchia e gli occhiali sul naso, ma a quel che poteva vedere era diventato un paio di pupille fluttuanti a pochi metri da terra, in una squallida strada piena di macchine parcheggiate.
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«Partenza!» disse la voce di Ron alla sua destra.
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Il suolo e gli edifici anneriti su entrambi i lati si allontanarono man mano che l’auto si sollevava; nel giro di qualche secondo tutta Londra si stendeva ai loro piedi, fumosa e lucente.
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Poi ci fu uno scoppio e l’auto, Harry e Ron ritornarono visibili.
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«Oh!» esclamò Ron dando qualche colpetto al Turbo Invisibile. «È difettoso…»
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Entrambi lo presero a pugni. L’auto scomparve. Poi riapparve di nuovo.
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«Tieniti forte!» gridò Ron e premette il piede sull’acceleratore; si infilarono sparati nelle nuvole basse e dense come lana, e tutto diventò opaco e brumoso.
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«E ora?» disse Harry sbattendo gli occhi davanti alla massa di nuvole compatte che li avvolgeva da tutte le parti.
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«Dobbiamo trovare il treno per sapere in quale direzione andare» disse Ron.
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«Presto, giù in picchiata…»
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Scesero di nuovo sotto le nuvole e si guardarono intorno, perlustrando a terra.
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«Eccolo!» gridò Harry. «Là davanti, a destra!»
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L’Espresso di Hogwarts si snodava sotto di loro come un serpente scarlatto.
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«Rotta nord» disse Ron controllando la bussola sul cruscotto. «Molto bene, dovremo solo fare un controllo ogni mezz’ora circa. Tieniti forte…» e sparirono dentro le nuvole. Un attimo dopo, sbucarono in un trionfo di luce.
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Era tutto un altro mondo. Le ruote dell’auto sfioravano il mare di soffici nubi, il cielo era di un blu luminoso e infinito, sotto gli abbaglianti raggi del sole.
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«L’unica cosa di cui dobbiamo preoccuparci ora sono gli aeroplani» disse Ron.
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Si guardarono e scoppiarono a ridere e per molto tempo non riuscirono a smettere.
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Era come essere immersi in un sogno favoloso. Questo, pensava Harry, era certamente il modo migliore di viaggiare: tra mulinelli e torri di nuvole bianche come la neve, comodamente seduti in un’auto baciata da un sole caldo e luminoso, con un pacco di caramelle nel cassetto del cruscotto e la prospettiva di far morire d’invidia Fred e George quando fossero atterrati trionfalmente sul grande prato davanti al castello di Hogwarts.
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Controllarono regolarmente il percorso del treno, mentre volavano sempre più a nord, e ogni immersione sotto le nuvole mostrava loro un paesaggio diverso. A Londra, che fu ben presto lontana, si sostituirono i contorni nitidi dei campi verdi, che si avvicendavano alla brughiera selvaggia color violaceo, ai villaggi dalle chiese piccole come giocattoli, e alla vista di una grande città brulicante di automobili, come tante formiche dai mille colori.
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Ma dopo molte ore trascorse senza eventi degni di nota, Harry dovette ammettere che un po’ del divertimento era svanito. Le caramelle gli avevano messo una gran sete e loro non avevano niente da bere. Si erano tolti i maglioni, ma la T-shirt di Harry si appiccicava al sedile, e gli occhiali continuavano a scivolargli sulla punta del naso sudato. Le forme fantastiche delle nuvole non gli interessavano più, e pensava con nostalgia al treno che correva qualche miglio sotto di loro, dove una strega paffutella spingeva un carrello da cui si poteva comprare succo di zucca ghiacciato. Ma perché non erano riusciti a raggiungere il binario nove e tre quarti?
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«Non dovremmo essere molto lontani, non trovi?» disse Ron qualche ora più tardi con voce arrochita, mentre il sole cominciava a sprofondare dietro le nuvole che gli facevano da pista, colorandole di un rosa intenso. «Sei pronto per un altro controllo al treno?»
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L’Espresso era ancora sotto di loro e arrancava lungo il percorso tortuoso di una montagna coperta di neve. Sotto il baldacchino di nuvole era molto più buio.
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Ron premette il piede sull’acceleratore e tornarono a risalire, ma il motore cominciò a gemere.
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I due ragazzi si scambiarono un’occhiata nervosa.
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«Probabilmente è solo stanco» disse Ron. «Non ha mai percorso distanze di questo genere prima d’ora…»
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Ed entrambi finsero di non accorgersi del cigolio che andava aumentando, mentre il cielo si oscurava sempre più. Nel buio, cominciarono a spuntare le stelle. Harry si rimise il maglione, cercando di ignorare che ora i tergicristalli si muovevano debolmente, in segno di protesta.
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«Manca poco» disse Ron più alla macchina che a Harry. «Manca poco ormai» ripeté battendo nervosamente qualche colpetto sul cruscotto.
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Qualche minuto dopo, quando scesero nuovamente sotto le nuvole, dovettero aguzzare la vista per intravedere nelle tenebre un punto di riferimento noto. «Là!» gridò Harry facendo sobbalzare Ron e Edvige. «Davanti a te!»
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Contro il nero dell’orizzonte, alte sulla rupe che sovrastava il lago, si stagliavano le molte torri e torrette del castello di Hogwarts.
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Ma l’auto aveva cominciato a scuotersi e a perdere velocità.
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«Dài, su» la incitò Ron con fare persuasivo, dando una piccola scossa al volante, «dai, ci siamo quasi…»
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Il motore gemette. Da sotto il cofano uscivano sottili getti di vapore. Mentre volavano diretti verso il lago, Harry si aggrappò con tutte le forze ai bordi del sedile.
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L’auto ebbe un fremito sinistro. Guardando fuori dal finestrino, un miglio sotto di loro, Harry vide la superficie dell’acqua liscia, nera e cristallina. Le nocche di Ron erano bianche dallo sforzo di reggere il volante. L’auto tremò ancora.
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«E dài, su!» sbottò Ron.
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Sorvolavano il lago… il castello era davanti a loro… Ron pigiò sull’acceleratore.
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Ci fu un rumore di ferraglie, un crepitio e il motore si spense del tutto.
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«Oh!» esclamò Ron nel silenzio.
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Col muso in giù, la macchina cominciò a perdere rapidamente quota. Stavano precipitando e acquistavano velocità, dritti contro la massiccia muraglia del castello.
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«Noooooo!» gridò Ron sterzando vigorosamente. Evitarono per un pelo la muraglia di pietra nera e la macchina descrisse un grande arco, volteggiando sopra le serre, poi sopra l’orto e poi ancora più in là, sui prati bui, sempre perdendo quota.
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Ron abbandonò completamente il volante e tirò fuori dalla tasca posteriore la bacchetta magica.
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«FERMA! FERMA!» gridò colpendo il cruscotto e il parabrezza, ma la picchiata non si arrestò e il suolo sottostante gli veniva incontro vorticosamente.
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«ATTENTO A QUELL’ALBERO!» gridò Harry, cercando di afferrare il volante, ma troppo tardi…
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BANG!
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Con un tonfo assordante di metallo che si schiantava contro il legno colpirono il grosso tronco e piombarono a terra con un gran sobbalzo. Dal cofano accartocciato usciva vapore a fiotti; Edvige gridava di terrore; nel punto in cui Harry aveva battuto la testa si era formato un bernoccolo grosso quanto una palla da golf e, alla sua destra, Ron emise un gemito soffocato e lamentoso.
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«Stai bene?» si affrettò a chiedere Harry.
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«La mia bacchetta magica!» disse Ron con voce tremante. «Guarda la mia bacchetta magica!»
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La bacchetta si era spezzata praticamente in due; la punta ciondolava inerte, tenuta insieme da qualche scheggia di legno.
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Harry aprì bocca per dire che certamente a scuola avrebbero saputo aggiustargliela, ma non riuscì a pronunciare neanche una parola. In quel momento, infatti, qualcosa colpì l’auto dalla sua parte con la forza di un toro inferocito, scaraventandolo addosso a Ron, mentre un altro colpo altrettanto forte faceva tremare il tetto.
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«Che cosa succede?»
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Ron sussultò guardando attraverso il parabrezza e Harry si voltò appena in tempo per vedere un ramo grosso quanto un pitone che si abbatteva sull’auto. L’albero contro cui si erano schiantati era partito all’attacco. Aveva il tronco piegato in due e i suoi rami nodosi percuotevano ogni centimetro quadrato dell’automobile.
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«AAAH!» gridò Ron mentre un altro ramo contorto ammaccava malamente una portiera; ora il parabrezza tremava sotto la raffica dei colpi e un secondo ramo grosso quanto un ariete martellava furiosamente il tetto, che sembrava sul punto di sfondarsi.
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«Diamocela a gambe!» gridò Ron buttandosi di peso contro la portiera dalla sua parte; ma un attimo dopo era stato scagliato indietro tra le braccia di Harry da un pugno vigoroso sferratogli da un altro ramo.
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«Siamo spacciati!» gemette mentre il tetto cedeva; ma tutt’a un tratto il pianale dell’auto cominciò a vibrare: il motore si era riacceso.
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«Ingrana la retromarcia!» gridò Harry, e l’auto partì all’indietro come una freccia. L’albero stava ancora cercando di colpirli; udivano le sue radici scricchiolare come se avesse voluto svellersi dal suolo, e continuava a menare fendenti, mentre i ragazzi cercavano di mettersi in salvo.
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«Per un pelo!» ansimò Ron. «Bel colpo, macchinetta!»
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Ma l’auto era giunta ormai allo stremo. Con due schiocchi le portiere si spalancarono e Harry sentì che il suo sedile veniva sbalzato di lato. Poi non seppe più niente fino a quando si ritrovò sdraiato sul terreno umido. Alcuni tonfi sordi gli fecero capire che l’automobile stava sputando dal bagagliaio le loro cose; la gabbia di Edvige volò in aria e si spalancò; l’uccello ne uscì emettendo un grido stridulo e arrabbiato e volò via verso il castello senza voltarsi indietro. Poi, tutta ammaccata, scorticata e fumante, l’automobile si immerse rombando nell’oscurità, con le luci posteriori che lampeggiavano di collera.
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«Torna indietro!» le gridò Ron brandendo la sua bacchetta rotta. «Papà mi ammazzerà!»
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Ma quella scomparve con un ultimo sbuffo dal tubo di scappamento.
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«Certo che abbiamo avuto una bella fortuna!» disse Ron mestamente chinandosi a raccogliere Crosta, il suo topo grigio. «Di tutti gli alberi contro cui potevamo andare a sbattere dovevamo scegliere proprio quello che prende a schiaffi!»
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Si voltò a guardare l’annosa pianta che ancora agitava minacciosamente i suoi rami.
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«Dai» disse Harry con voce stanca, «è meglio che raggiungiamo la scuola…»
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Non fu proprio l’arrivo trionfale che avevano immaginato. Indolenziti, infreddoliti e pieni di lividi, presero i loro bauli e cominciarono a trascinarli su per il pendio erboso, verso i grandi portali di quercia dell’entrata principale.
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«Penso che la festa sarà già cominciata» disse Ron lasciando il baule davanti agli scalini dell’entrata e avvicinandosi con circospezione per guardare da una finestra vivacemente illuminata. «Ehi, Harry, vieni a vedere… è lo Smistamento».
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Harry lo raggiunse di corsa e insieme sbirciarono nella Sala Grande.
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Innumerevoli candele galleggiavano a mezz’aria sopra quattro lunghi tavoli riccamente apparecchiati; i piatti e i calici d’oro scintillavano. In alto, il soffitto incantato che rifletteva la volta celeste era tutto sfavillante di stelle.
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Attraverso il mare di cappelli neri a punta dell’uniforme di Hogwarts, Harry vide una lunga fila di allievi del primo anno dall’aria spaurita che stava facendo il suo ingresso. Tra questi c’era Ginny, riconoscibile per via dei capelli rossi marca Weasley. Nel frattempo la professoressa McGranitt, una strega occhialuta con i capelli raccolti in uno stretto chignon, sistemava il famoso Cappello Parlante su uno sgabello di fronte ai nuovi arrivati.
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Ogni anno quel millenario cappello, tutto rappezzato, consunto e lercio, assegnava i nuovi studenti ai dormitori delle quattro Case di Hogwarts (Grifondoro, Tassorosso, Corvonero e Serpeverde). Harry ricordava bene quando lo aveva indossato lui, esattamente un anno prima, ed era rimasto impalato, ad aspettare la sua decisione, mentre quello gli bofonchiava all’orecchio i suoi commenti. Per alcuni, spaventosi secondi aveva temuto che il cappello lo avrebbe assegnato a Serpeverde, la Casa da cui, più di qualsiasi altra, erano usciti streghe e maghi malefici… ma invece era stato assegnato a Grifondoro, insieme a Ron, Hermione e a tutti gli altri fratelli Weasley. Nell’ultimo semestre, Harry e Ron avevano contribuito a far vincere a Grifondoro la Coppa di fine anno, sconfiggendo Serpeverde per la prima volta dopo sette anni.
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In quel momento un ragazzo mingherlino dai capelli color topo era stato chiamato a indossare il cappello. Lo sguardo di Harry non si fermò su di lui ma si fissò sul preside, il professor Silente, che assisteva allo Smistamento seduto al tavolo delle autorità, con la lunga barba d’argento e gli occhiali a mezzaluna che brillavano sotto il riflesso delle candele. Seduto qualche posto più in là, Harry vide Gilderoy Allock, che indossava un abito color acquamarina. E all’estremità del tavolo c’era Hagrid, immenso e villoso, intento a bere avidamente dal suo calice.
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«Aspetta un po’…» momorò Harry a Ron. «C’è una sedia vuota, al tavolo degli insegnanti… Dov’è Piton?»
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Il professor Severus Piton era l’insegnante meno simpatico a Harry. E si dava il caso che Harry fosse lo studente meno simpatico a Piton. Crudele, sarcastico e sgradito a tutti, tranne agli studenti della sua Casa (Serpeverde), Piton insegnava Pozioni.
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«Forse è malato!» disse Ron tutto speranzoso.
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«Forse se n’è andato» disse Harry, «perché ancora una volta non è stato nominato insegnante di Difesa contro le Arti Oscure».
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«O magari è stato licenziato!» suggerì Ron con entusiasmo. «Voglio dire, tutti lo detestano…»
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«O forse» disse una voce glaciale alle loro spalle, «sta aspettando di sapere perché voi due non siete arrivati con il treno della scuola».
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Harry si voltò di scatto. Davanti a loro, con l’abito nero che svolazzava nella gelida brezza, stava Severus Piton. Era magro, con la pelle giallastra, il naso adunco e i capelli neri e untuosi che gli arrivavano alle spalle, e dal suo sorriso Harry e Ron intuirono di trovarsi in guai molto seri.
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«Seguitemi» intimò Piton.
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Senza osare guardarsi, i due ragazzi lo seguirono su per le scale e poi nell’enorme ingresso vasto illuminato da torce fiammeggianti. Dalla Sala Grande si diffondeva un delizioso profumo di vivande, ma Piton li sottrasse al tepore e alla luce e li condusse giù per una stretta scala di pietra che portava ai sotterranei.
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«Dentro!» ordinò aprendo una porta che si trovava a metà del gelido passaggio e facendo segno con la mano.
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Rabbrividendo, i due entrarono nell’ufficio di Piton. Sulle pareti spettrali erano allineati scaffali carichi di grossi vasi di vetro nei quali galleggiavano oggetti rivoltanti di ogni genere, di cui, al momento, Harry non voleva proprio sapere il nome. Il focolare era nero e vuoto. Piton chiuse la porta e si voltò a squadrarli.
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«E cosi» disse in tono mellifluo, «il treno non è degno di portare il famoso Harry Potter e il suo fedele compare Weasley. Volevamo fare un arrivo spettacolare, non è vero, signorini?»
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«No, signore, è stato per via della barriera a King’s Cross, che…»
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«Silenzio!» intimò Piton, gelido. «Che ne avete fatto della macchina?»
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Ron deglutì. Non era la prima volta che Piton dava a Harry l’impressione di saper leggere nel pensiero. Ma un attimo dopo, quando Piton aprì l’edizione serale della Gazzetta del Profeta, comprese tutto.
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«Siete stati visti!» sibilò Piton mostrandogli il titolo di testa: UNA FORD ANGLIA VOLANTE SCONCERTA I BABBANI. Cominciò a leggere ad alta voce: «’Due Babbani, a Londra, affermano di aver visto una vecchia automobile volare sopra la torre dell’ufficio postale… a mezzogiorno, a Norfolk, la signora Hetty Bayliss, mentre stava stendendo il bucato… il signor Angus Fleet, di Peebles, ha riferito alla polizia…’ sei o sette Babbani in tutto. Sbaglio o tuo padre lavora nell’Ufficio per l’Uso Improprio dei Manufatti dei Babbani?» chiese alzando lo sguardo su Ron con un sorriso ancor più maligno. «Per tutti i gargoyle… proprio suo figlio…»
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Harry ebbe come la sensazione di essere stato colpito allo stomaco da uno dei rami più grossi dell’albero impazzito. Se qualcuno scopriva che il signor Weasley aveva stregato l’automobile… a questo non aveva pensato…
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«Mentre ispezionavo il parco ho notato che un Platano Picchiatore, una pianta di valore inestimabile, sembra esser stato gravemente danneggiato» prosegui Piton.
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«Quell’albero ha fatto più male a noi di quel che…» sbottò impulsivamente Ron.
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«Silenzio!» intimò di nuovo Piton. «Con mio grandissimo rammarico, voi non appartenete alla mia Casa e la decisione di espellervi non compete a me. Ora vado a cercare qualcuno cui spetta questo felice compito. Voi restate qui».
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Harry e Ron si guardarono, bianchi come cenci. Harry non aveva più fame: ora si sentiva male. Cercò di non guardare un oggetto grosso e viscido che galleggiava in un liquido verde su uno scaffale dietro alla scrivania di Piton. Se Piton era andato a chiamare la professoressa McGranitt, responsabile del Grifondoro, la loro sorte non sarebbe stata certo migliore. Lei avrebbe potuto essere più giusta di Piton, ma era comunque estremamente severa.
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Piton tornò dieci minuti dopo e naturalmente con lui c’era la professoressa McGranitt. Sebbene Harry l’avesse vista arrabbiata in molte occasioni, o aveva dimenticato quanto potessero diventare sottili le sue labbra, o non l’aveva mai vista tanto in collera. Nell’entrare, la McGranitt levò in aria la sua bacchetta magica. Harry e Ron indietreggiarono, ma lei la puntò semplicemente sul caminetto spento, dove subito guizzò il fuoco.
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«Sedetevi» disse, e i due ragazzi raggiunsero due sedie accanto al focolare.
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«Spiegatevi» proseguì la McGranitt, con bagliori sinistri negli occhiali.
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Ron si lanciò nel racconto, cominciando dalla barriera della stazione che si era rifiutata di lasciarli passare.
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«…e quindi non abbiamo avuto altra scelta, professoressa, non potevamo prendere il treno».
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«Perché non ci avete mandato una lettera via gufo? Penso che tu abbia un gufo» chiese la McGranitt gelida, rivolgendosi a Harry.
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Harry ricambiò lo sguardo. Ora che lei lo aveva detto, sembrava la cosa più ovvia da fare.
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«Io… io non ci ho pensato…»
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«Questo» disse la professoressa McGranitt, «mi pare evidente».
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Si sentì bussare alla porta e Piton, che in quel momento sembrava più felice che mai, andò ad aprire. Era il preside, il professor Silente.
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Harry si sentì gelare il sangue nelle vene. Silente aveva un’aria insolitamente grave. Dall’alto del suo naso aquilino squadrò i due ragazzi e d’un tratto Harry desiderò di trovarsi ancora, insieme a Ron, sotto i fendenti del Platano Picchiatore.
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Seguì una lunga pausa. Poi Silente disse: «Siete pregati di spiegare perché lo avete fatto».
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Se avesse gridato sarebbe stato meglio. Harry non sopportava la delusione che si avvertiva nella sua voce. Per qualche ragione non riuscì a guardarlo negli occhi e quindi parlò fissando le sue ginocchia. Gli disse tutto, tranne il fatto che il signor Weasley possedeva un’auto stregata, facendo sembrare che a lui e a Ron era capitato per caso di trovare un’auto volante, parcheggiata fuori della stazione. Sapeva che Silente non l’avrebbe bevuta, ma il preside non fece domande sull’automobile. Quando Harry ebbe terminato il racconto continuò semplicemente a guardarli attraverso gli occhiali.
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«Andiamo a riprendere la nostra roba» disse Ron con un filo di voce.
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«Di che cosa stai parlando, Weasley?» tuonò la McGranitt.
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«Be’, penso che saremo espulsi, non è così?» disse Ron.
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Harry gettò una rapida occhiata a Silente.
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«Non oggi, Weasley» disse quest’ultimo. «Ma intendo ribadire la gravità di quel che avete fatto. Stasera scriverò alle vostre famiglie. Devo inoltre avvertirvi che se rifarete una cosa simile, non avrò altra scelta che espellervi».
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Fu come se avessero detto a Piton che il Natale era stato soppresso. Si schiarì la gola e disse: «Professor Silente, questi ragazzi si sono presi gioco del Decreto di Restrizione delle Arti Magiche tra i Minorenni, hanno danneggiato gravemente un antico e prezioso albero… senza dubbio, atti di questa natura…»
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«Sarà la professoressa McGranitt a decidere la punizione, Severus» disse con calma Silente. «Loro appartengono alla sua Casa e quindi la responsabilità è sua». Poi, rivolgendosi alla McGranitt: «Io devo tornare al banchetto, Minerva, devo dare alcuni annunci. Venga, Severus, c’è un dolce alla crema dall’aspetto delizioso che non voglio perdermi».
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Piton scoccò un’occhiata di puro veleno a Harry e Ron mentre veniva trascinato fuori del suo ufficio e i due rimasero soli con la professoressa McGranitt, che li stava ancora guardando come un’aquila inferocita.
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«Tu, Weasley, è meglio che vada in infermeria, stai sanguinando».
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«Non molto» disse Ron asciugandosi in fretta con la manica il taglio che aveva sopra l’occhio. «Professoressa, volevo vedere lo Smistamento di mia sorella…»
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«La Cerimonia dello Smistamento è terminata» disse la McGranitt. «Anche tua sorella è con i Grifondoro».
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«Oh, bene!» esclamò Ron.
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«E, a proposito del Grifondoro…» proseguì aspra la McGranitt, ma Harry la interruppe: «Professoressa, quando noi abbiamo preso la macchina, il semestre non era ancora iniziato e quindi… quindi in realtà al Grifondoro non dovrebbe essere tolto nessun punto, non trova?» e terminò la frase guardandola con ansia.
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La McGranitt gli lanciò un’occhiata penetrante, ma lui fu sicuro che avesse quasi sorriso. In tutti i modi, le sue labbra erano diventate meno taglienti.
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«Non toglierò punti al Grifondoro» disse, e Harry sentì il cuore farsi più leggero. «Ma entrambi sarete puniti».
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Era meglio di quel che Harry si sarebbe aspettato. Per quanto riguardava la lettera che Silente avrebbe scritto ai Dursley, non c’era da preoccuparsi: si sarebbero solo rammaricati che il Platano Picchiatore non lo avesse ridotto a una frittella.
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La McGranitt sollevò di nuovo la bacchetta magica e la puntò verso la scrivania di Piton. Con uno schiocco apparvero un vassoio di tramezzini, due calici d’argento e una caraffa di succo di zucca ghiacciato.
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«Mangerete qui e poi ve ne andrete direttamente al vostro dormitorio» disse. «Anch’io devo tornare al banchetto».
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Quando la porta si fu richiusa dietro di lei Ron emise un lungo fischio soffocato.
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«Pensavo di essere spacciato» disse afferrando un tramezzino.
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«Anch’io» commentò Harry prendendone uno a sua volta.
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«Ma ti rendi conto quanto siamo stati sfortunati?» disse Ron con la bocca piena di pollo e prosciutto. «Fred e George devono aver fatto volare quella macchina almeno cinque o sei volte e nessun Babbano li ha mai visti, a loro». Inghiottì e dette un altro grosso morso al tramezzino. «Ma perché non siamo riusciti a passare attraverso la barriera?»
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Harry si strinse nelle spalle. «Dobbiamo stare molto attenti a quel che facciamo, d’ora in poi» disse bevendo un sorso di succo di zucca ristoratore. «Quanto mi sarebbe piaciuto andare al banchetto…»
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«Lei non ha voluto farci pubblicità» disse saggiamente Ron. «Non vuole che gli altri pensino che arrivare con un’auto volante sia una prodezza».
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Quando ebbero mangiato quanti più tramezzini potevano (il vassoio tornava a riempirsi da solo) si alzarono e lasciarono la stanza, percorrendo il familiare tragitto fino alla torre dei Grifondoro. Il castello era immerso nel silenzio; sembrava che la festa fosse terminata. Oltrepassarono i ritratti brontoloni e le armature cigolanti, salirono le anguste rampe della scala di pietra e finalmente raggiunsero il passaggio dove si trovava l’ingresso segreto alla torre dei Grifondoro, dietro al quadro a olio della Signora Grassa nel suo vestito di seta rosa.
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«Parola d’ordine?» chiese lei quando si furono avvicinati.
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«Ehm…» disse Harry.
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Non conoscevano la parola d’ordine valida per il nuovo anno dal momento che non erano ancora stati presentati al Prefetto del Grifondoro, ma l’aiuto gli giunse quasi immediatamente. Udirono un passo affrettato dietro alle loro spalle e, voltandosi, videro Hermione che correva verso di loro.
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«Eccovi! Ma dove vi eravate cacciati? Sono girate le voci più assurde… c’è chi dice che siete stati espulsi perché avete avuto un incidente con una macchina volante».
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«Be’, non siamo stati espulsi» la rassicurò Harry.
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«Non vorrete mica dirmi che avete veramente volato fin qui?» chiese Hermione con un tono severo quanto quello della professoressa McGranitt.
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«Risparmiati la ramanzina» disse Ron impaziente, «e dicci la nuova parola d’ordine».
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«Colibrì» disse Hermione altrettanto impaziente, «ma non è questo il punto…»
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Ma le sue parole vennero interrotte da un’improvvisa raffica di applausi, quando il ritratto della Signora Grassa lasciò aperto il varco. Sembrava che l’intero dormitorio di Grifondoro fosse sveglio: erano tutti pigiati nella sala comune circolare, in piedi sopra i tavoli sbilenchi e sulle molli poltrone, in attesa del loro arrivo. Alcune braccia si tuffarono attraverso l’apertura lasciata dal quadro per tirare dentro Harry e Ron, e a Hermione non rimase che affrettarsi a seguirli.
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«Eccezionale!» gridò Lee Jordan. «Un vero colpo di genio! Che arrivo spettacolare! A bordo di una macchina volante dritta dritta sul Platano Picchiatore! Se ne parlerà per anni!»
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«Complimenti» disse un ragazzo del quinto anno con cui Harry non aveva mai parlato; qualcuno gli stava battendo sulle spalle come se avesse appena vinto una maratona. Fred e George si fecero largo per guadagnare la prima fila e dissero all’unisono: «Dite un po’, perché non ci avete chiamati?»
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Ron era paonazzo e sorrideva imbarazzato, ma Harry vide qualcuno con l’aria tutt’altro che allegra. Percy sovrastava alcuni ragazzi del primo anno, eccitatissimi, e sembrava assolutamente intenzionato a dargli una lavata di capo. Harry diede una gomitata nelle costole a Ron e accennò al fratello. Ron afferrò al volo.
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«Devo andare di sopra… sono un po’ stanco» disse, e insieme a Harry cominciò a farsi largo verso l’altra parte della stanza, dove si trovava la porta che conduceva alla scala a chiocciola e ai dormitori.
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«’Notte» disse Harry a Hermione che aveva messo su un cipiglio come quello di Percy.
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Riuscirono a guadagnare il lato opposto della sala comune, sempre accompagnati da sonore pacche sulle spalle, e poi, finalmente, raggiunsero la pace della scala a chiocciola. Salirono di corsa fino in cima e, come Dio volle, ecco la porta del loro vecchio dormitorio, che ora portava un’insegna con su scritto ‘Alunni del secondo anno’. Entrarono nella ben nota stanza rotonda, con i cinque letti a baldacchino circondati da tende di velluto rosso scuro e con le finestre alte e strette. I bauli erano già stati portati di sopra e posti ai piedi dei loro letti.
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Ron rivolse a Harry un sorriso colpevole.
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«Lo so che non mi sarei dovuto divertire tanto, ma…»
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La porta del dormitorio si spalancò ed entrarono i loro compagni del secondo anno, Seamus Finnigan, Dean Thomas e Neville Paciock.
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«Incredibile!» esclamò Seamus radioso.
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«Fantastico!» commentò Dean.
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«Strabiliante!» disse Neville reverente.
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Harry non poté resistere. Anche lui si sciolse in un largo sorriso.
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