«Hagrid!»
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Harry si districò a fatica dai frammenti di metallo e cuoio che lo circondavano; cercando di rialzarsi affondò le mani in pochi centimetri di acqua fangosa. Non capiva dove fosse finito Voldemort e si aspettava di vederlo sbucare dall'oscurità da un momento all'altro. Qualcosa di caldo e bagnato gli colava lungo il mento e dalla fronte. Strisciò fuori dallo stagno e avanzò inciampando verso l'enorme massa scura di Hagrid.
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«Hagrid! Hagrid, di' qualcosa...»
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Ma la massa scura rimase immobile.
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«Chi è là? Potter? Sei Harry Potter?»
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Harry non riconobbe la voce maschile. Poi una donna urlò: «Sono precipitati, Ted! Precipitati nel giardino!»
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Gli girava la testa.
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«Hagrid» ripeté stolidamente, e gli cedettero le ginocchia.
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Quando si riebbe, era disteso a pancia in su sopra quelli che sembravano cuscini; il braccio destro e le costole gli facevano male. Il dente caduto era stato fatto ricrescere. La cicatrice in fronte gli pulsava ancora.
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«Hagrid?»
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Aprì gli occhi e scoprì di essere disteso sul divano di un salotto sconosciuto, illuminato da una lampada. Il suo zaino, bagnato e incrostato di fango, era sul pavimento. Un uomo biondo e panciuto lo osservava con espressione preoccupata.
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«Hagrid sta bene, ragazzo» disse l'uomo, «se ne sta prendendo cura mia moglie. Come ti senti? Qualcos'altro di rotto? Ti ho aggiustato le costole, il dente e il braccio. Sono Ted, fra parentesi, Ted Tonks... il padre di Dora».
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Harry si alzò a sedere troppo in fretta: gli esplosero mille luci davanti agli occhi e gli vennero la nausea e il capogiro.
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«V oldemort...»
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«Calma, ora» mormorò Ted Tonks. Gli posò una mano sulla spalla e lo spinse di nuovo contro i cuscini. «È stata una brutta caduta. Cos'È successo? Qualcosa è andato storto con la moto? Arthur Weasley ha esagerato come al solito, lui e le sue diavolerie da Babbani?»
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«No» rispose Harry, mentre la cicatrice gli pulsava come una ferita aper
ta. «Mangiamorte, un sacco... ci hanno inseguito...»
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«Mangiamorte? Come sarebbe, Mangiamorte? Credevo che non sapessero che ti trasferivano stanotte, credevo...»
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«Lo sapevano» tagliò corto Harry.
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Ted Tonks alzò gli occhi al soffitto, come se potesse attraversarlo con lo sguardo e vedere il cielo.
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«Be', ma i nostri incantesimi di protezione reggono, vero? Dovrebbero tenerli ad almeno cento metri di distanza in tutte le direzioni».
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Harry capì come mai Voldemort era sparito: era successo nel momento in cui la moto aveva varcato la barriera degli incantesimi dell'Ordine. Sperò solo che continuassero a funzionare: immaginò Voldemort in quello stesso istante, cento metri più su, che cercava di penetrare in una sorta di enorme bolla trasparente.
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Posò i piedi a terra; doveva vedere Hagrid con i suoi occhi per essere sicuro che fosse vivo. Si era appena alzato quando si aprì una porta e Hagrid la varcò a fatica, il volto coperto di fango e sangue: zoppicava un po' ma era miracolosamente salvo.
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«Harry!»
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Abbattendo due delicati tavolini e un'aspidistra, coprì in due passi la distanza che li separava e lo strinse in un abbraccio che rischiò di incrinare di nuovo le costole appena riparate. «Cavoli, Harry, com'È che hai fatto a uscirne vivo? Mi credevo che eravamo tutti e due andati».
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«Sì, anch'io, non posso crederci...»
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Harry tacque di botto; aveva appena notato la donna che era entrata alle spalle di Hagrid.
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«Tu!» urlò, e si ficcò la mano in tasca, ma era vuota.
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«Ecco la tua bacchetta, ragazzo» disse Ted, toccandogli il braccio con quella. «Ti era caduta vicino, l'ho raccolta io. E questa signora contro cui stai urlando è mia moglie».
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«Oh, io... mi dispiace».
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Man mano che si avvicinava, la somiglianza della signora Tonks con la sorella Bellatrix si affievolì: aveva i capelli di un morbido castano chiaro e gli occhi più grandi e più dolci. Tuttavia, assunse un'espressione piuttosto altera dopo l'esclamazione di Harry.
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«Che cosa è successo a nostra figlia?» chiese. «Hagrid ha detto che siete caduti in un'imboscata; dov'È Ninfadora?»
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«Non lo so» rispose Harry. «Non sappiamo cos'È successo agli altri».
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La donna e Ted si guardarono. Un misto di paura e senso di colpa atta
nagliò Harry; se qualcuno degli altri era morto, era colpa sua, tutta colpa sua. Aveva acconsentito al piano, dato i suoi capelli...
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«La Passaporta» esclamò, ricordando all'improvviso. «Dobbiamo andare alla Tana e scoprire... poi potremo mandarvi un messaggio, o... o lo farà Tonks, quando sarà...»
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«Dora starà benissimo, Dromeda» lo interruppe Ted. «Sa quello che fa, ha corso un sacco di rischi con gli Auror. La Passaporta è di qua» aggiunse, rivolto a Harry. «Parte fra tre minuti, se volete prenderla».
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«Sicuro» rispose Harry. Afferrò lo zaino e se lo gettò sulle spalle. «Io...»
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Guardò la signora Tonks. Avrebbe voluto scusarsi per l'apprensione in cui la lasciava e per cui si sentiva tremendamente responsabile, ma gli affiorarono alle labbra solo parole vuote e insincere.
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«Dirò a Tonks... a Dora... di mandarvi un messaggio, quando... grazie per averci rimessi in sesto, grazie di tutto. Io...»
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Fu lieto di uscire dalla stanza e di seguire Ted Tonks lungo un breve corridoio fino a una camera da letto. Hagrid, dietro di loro, si chinò per non battere la testa contro l'architrave.
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«Ecco, figliolo. Quella è la Passaporta».
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Il signor Tonks indicò una piccola spazzola d'argento sul tavolino da toilette.
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«Grazie» disse Harry, e vi posò un dito, pronto a partire.
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«Un momento» fece Hagrid, guardandosi intorno. «Harry, dov'È Edvige?»
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«È... l'hanno colpita» rispose Harry.
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Il peso dell'accaduto gli rovinò addosso: si vergognò di se stesso, le lacrime gli bruciavano gli occhi. La civetta era stata la sua fedele compagna, il solo profondo legame col mondo magico tutte le volte che era dovuto tornare dai Dursley.
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Hagrid tese la manona e gli assestò una dolorosa pacca sulla spalla.
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«Non importa» disse, burbero. «Non importa. Ha avuto una gran bella vita...»
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«Hagrid!» lo avvertì Ted Tonks, perché la spazzola si illuminò di azzurro vivo e Hagrid vi posò l'indice appena in tempo.
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Con uno strappo all'ombelico, come tirato da un amo e una lenza invisibili, Harry fu trascinato nel nulla. Vorticando in maniera incontrollabile, il dito incollato alla Passaporta, lui e Hagrid vennero scagliati lontano dal signor Tonks; qualche istante dopo Harry sentì i piedi che urtavano il suolo e cadde carponi nel cortile della Tana. Udì delle urla. Gettò via la spazzola
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che non brillava più, si alzò, ondeggiò appena, e vide la signora Weasley e Ginny scendere di corsa gli scalini della porta sul retro. Anche Hagrid era crollato al suolo nell'atterraggio e si stava rialzando faticosamente.
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«Harry! Sei quello vero? Che cos'È successo? Dove sono gli altri?» gridò la signora Weasley.
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«Come sarebbe? Gli altri non sono ancora tornati?» chiese Harry, ansante.
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La risposta si leggeva sul volto pallido della signora Weasley.
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«I Mangiamorte ci stavano aspettando» le raccontò Harry. «Ci hanno circondato appena dopo il decollo... sapevano che era per stanotte... non so cosa è successo agli altri. Ci hanno inseguito in quattro, siamo riusciti a scappare e poi ci ha raggiunto Voldemort...»
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Avvertì il tono di scusa nella propria voce, la supplica che capisse come mai non sapeva nulla dei suoi figli, ma...
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«Grazie al cielo voi state bene» lo interruppe lei, e lo strinse in un immeritato abbraccio.
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«Non è che hai del brandy, eh, Molly?» chiese Hagrid, un po' scosso. «A scopo medicinale?»
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Avrebbe potuto chiamarlo a sé con la magia, invece corse dentro la casetta storta, e Harry capì che non voleva farsi vedere in faccia. Guardò Ginny, che rispose subito alla sua tacita richiesta di informazioni.
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«Ron e Tonks dovevano tornare per primi, ma hanno perso la Passaporta, è arrivata senza di loro» spiegò, indicando una lattina arrugginita lì a terra. «E quella» e mostrò una vecchia scarpa da tennis «era di papà e Fred, dovevano essere i secondi ad arrivare. Tu e Hagrid eravate i terzi, e» controllò l'orologio «se ce l'hanno fatta, George e Lupin dovrebbero essere di ritorno tra un minuto».
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La signora Weasley ricomparve con una bottiglia di brandy, che diede a Hagrid. Lui la stappò e se la scolò in un sorso.
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«Mamma!» urlò Ginny, indicando un punto a qualche metro di distanza.
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Una luce azzurra si era accesa nel buio: diventò più grande e splendente e apparvero George e Lupin, girarono su se stessi e infine caddero. Harry capì subito che qualcosa non andava; Lupin sorreggeva George, svenuto, il volto coperto di sangue.
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Harry scattò in avanti e afferrò George per le gambe. Insieme a Lupin lo trasportò in casa, oltre la cucina, nel salotto, dove lo deposero sul divano. Quando la luce illuminò la testa di George, Ginny trattenne il fiato e Harry si sentì stringere lo stomaco: gli mancava un orecchio. Il lato della faccia e
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il collo erano coperti di sangue fresco, di un rosso spaventoso.
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La signora Weasley si era appena chinata sul figlio quando Lupin afferrò Harry per un braccio e lo trascinò rudemente in cucina, dove Hagrid stava ancora tentando di far passare la sua mole attraverso la porta di servizio. «Ehi!» esclamò quest'ultimo, indignato. «Mollalo! Molla Harry!»
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Lupin lo ignorò.
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«Quale creatura c'era nell'angolo la prima volta che Harry Potter entrò nel mio ufficio a Hogwarts?» chiese, scuotendo Harry. «Rispondi!»
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«Un... un Avvinano dentro un acquario, no?»
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Lupin lasciò andare Harry e si abbandonò contro un armadietto della cucina.
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«Che cos'È che avevi in testa, eh?» ruggì Hagrid.
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«Mi dispiace, Harry, ma dovevo controllare» spiegò Lupin, secco.
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«Qualcuno ci ha tradito. Voldemort sapeva che saresti stato trasferito stanotte e i soli che possono averglielo riferito erano direttamente coinvolti nel piano. Potevi anche essere un impostore».
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«Allora com'È che a me non mi controlli?» ansimò Hagrid, ancora incastrato nella porta.
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«Tu sei un Mezzogigante» rispose Lupin, guardandolo. «La Pozione Polisucco funziona solo con gli umani».
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«Nessuno dell'Ordine avrebbe mai detto a Voldemort che ci muovevamo stanotte» disse Harry; l'idea era rivoltante, non poteva credere che fosse stato uno di loro. «Voldemort mi ha raggiunto solo verso la fine, all'inizio non sapeva quale ero. Se fosse stato informato del piano, avrebbe saputo dall'inizio che io ero quello con Hagrid».
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«Voldemort ti ha raggiunto?» chiese Lupin con veemenza. «Che cos'È successo? Come hai fatto a fuggire?»
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Harry raccontò in breve che i Mangiamorte alle sue calcagna l'avevano riconosciuto come il vero Harry, avevano abbandonato la caccia e dovevano aver chiamato Voldemort, che era apparso appena prima che lui e Hagrid raggiungessero il rifugio di casa Tonks.
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«Ti hanno riconosciuto? Ma come? Cos'hai fatto?»
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«Io...» Harry cercò di ricordare; tutto quanto il viaggio era una macchia confusa di panico. «Ho visto Stan Picchetto... sai, il tipo che faceva il controllore sul Nottetempo? E ho cercato di Disarmarlo invece di... be', non sa quello che fa, no? Dev'essere sotto la Maledizione Imperius!»
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Lupin era sgomento.
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«Harry, il tempo di Disarmare è finito! Questa gente sta cercando di cat
turarti per ucciderti! Schianta, almeno, se non sei pronto ad ammazzare!» «Eravamo a centinaia di metri da terra! Stan non è in sé, e se io l'avessi Schiantato e fosse caduto, sarebbe morto esattamente come se avessi usato l'Avada Kedavra! L'Expelliarmus mi ha salvato da Voldemort, due anni fa» aggiunse Harry, con aria di sfida. Lupin gli ricordava Zacharias Smith, il sarcastico Tassorosso che lo aveva preso in giro quando lui aveva deciso di insegnare all'Esercito di Silente come Disarmare.
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«Sì, Harry» ribatté Lupin con doloroso ritegno, «e davanti a un gran numero di Mangiamorte! Perdonami, ma è stata una mossa molto insolita già allora, in pericolo di vita. Ripeterla stanotte davanti ai Mangiamorte che ti hanno visto in quella prima occasione o ne hanno sentito parlare è stato quasi un suicidio!»
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«Quindi secondo te avrei dovuto uccidere Stan Picchetto?» chiese Harry, adirato.
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«Certo che no» rispose Lupin, «ma i Mangiamorte... insomma, chiunque si sarebbe aspettato una reazione adeguata! L'Expelliarmus è un incantesimo utile, Harry, ma i Mangiamorte sono convinti che sia la tua firma, e io ti consiglio di non farlo diventare tale!»
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Lupin lo faceva sentire un idiota, eppure in Harry c'era ancora un residuo di sfida.
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«Non fulminerò la gente solo perché mi capita davanti» disse. «Lo lascio fare a Voldemort».
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La replica di Lupin andò perduta, perché Hagrid, riuscito finalmente a infilarsi in cucina, barcollò fino a una sedia e vi si abbandonò di schianto, facendola rovinare sotto il suo peso. Ignorando il misto di imprecazioni e scuse, Harry si rivolse di nuovo a Lupin.
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«George guarirà?»
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A questa domanda, tutta la frustrazione di Lupin verso Harry sembrò svanire.
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«Credo di sì, anche se non c'È modo di sostituire un orecchio tranciato da una maledizione...»
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Fuori si udì un rumore sordo di passi. Lupin si precipitò sulla porta; Harry superò con un balzo le gambe di Hagrid e sfrecciò nel cortile.
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Erano apparse due figure, e mentre Harry correva verso di loro le riconobbe: Hermione, che stava tornando se stessa, e Kingsley. Entrambi si reggevano a una gruccia piegata. Hermione si gettò tra le braccia di Harry, ma Kingsley non diede alcun segno di gioia. Oltre la spalla di Hermione, Harry lo vide levare la bacchetta e puntarla contro il petto di Lupin.
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«Le ultime parole che ci ha detto Silente?»
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«'Harry è la nostra speranza migliore. Fidatevi di lui'» rispose Lupin, tranquillo.
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Kingsley puntò la bacchetta contro Harry, ma Lupin intervenne: «È lui, ho già controllato!»
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«D'accordo, d'accordo!» disse Kingsley, riponendo la bacchetta sotto il mantello. «Ma qualcuno ci ha tradito! Lo sapevano, sapevano che era stanotte!»
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«Già» confermò Lupin, «ma a quanto pare non hanno capito che ci sarebbero stati sette Harry».
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«Bella consolazione!» ringhiò Kingsley. «Chi altri è tornato?» «Solo Harry, Hagrid e George».
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Hermione soffocò un gemito dietro la mano.
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«A voi cosa è successo?» chiese Lupin a Kingsley.
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«Cinque inseguitori, due feriti, forse uno abbattuto» snocciolò Kingsley, «e abbiamo visto anche Voi-Sapete-Chi: è arrivato a metà inseguimento ma è sparito subito. Remus, sa...»
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«... volare» concluse per lui Harry. «L'ho visto anch'io, ci ha inseguito».
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«Ecco perché se n'È andato... per inseguire voi!» esclamò Kingsley. «Non riuscivo a capire come mai fosse sparito. Ma che cosa lo ha indotto a cambiare bersaglio?»
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«Harry è stato un po' troppo gentile con Stan Picchetto» spiegò Lupin. «Stan?» ripeté Hermione. «Credevo che fosse ad Azkaban...»
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Kingsley scoppiò in una risata priva di allegria.
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«Hermione, evidentemente c'È stata una fuga di massa che il Ministero ha messo a tacere. Quando l'ho maledetto è caduto il cappuccio a Travers, un altro che dovrebbe essere dentro. Ma a voi com'È andata, Remus? Dov'È George?»
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«Ha perso un orecchio» rispose Lupin.
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«Perso un...?» gli fece eco Hermione con voce stridula.
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«È stato Piton» disse Lupin.
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«Piton?» urlò Harry. «Non me l'avevi detto...»
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«Gli è caduto il cappuccio durante l'inseguimento. Il Sectumsempra È una sua specialità. Vorrei poter dire di averlo ricambiato, ma sono riuscito a stento a tenere George sulla scopa dopo che è stato ferito: perdeva troppo sangue».
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Il silenzio cadde tra i quattro, che levarono gli occhi al cielo. Nessun movimento: le stelle li fissarono di rimando, senza battere ciglio, indiffe
renti, non oscurate da amici in volo. Dov'era Ron? Dov'erano Fred e il signor Weasley? Dov'erano Bill, Fleur, Tonks, Malocchio e Mundungus?
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«Harry, dammi una mano!» gridò Hagrid roco dalla porta in cui si era incastrato di nuovo. Lieto di avere qualcosa da fare, Harry lo liberò, attraversò la cucina vuota e tornò nel salotto, dove la signora Weasley e Ginny erano ancora affaccendate attorno a George. La madre aveva fermato l'emorragia e alla luce delle lampade Harry vide un foro netto al posto dell'orecchio.
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«Come sta?»
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La signora Weasley si voltò e disse: «Non posso farlo ricrescere, è stato tagliato dalla Magia Oscura. Ma poteva andare molto peggio... almeno è vivo».
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«Già» mormorò Harry. «Grazie al cielo».
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«C'È qualcuno in cortile?» chiese Ginny.
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«Hermione e Kingsley» rispose Harry.
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«Meno male» sussurrò lei. Si guardarono. Harry avrebbe voluto stringerla, aggrapparsi a lei; non gli importava nemmeno che ci fosse la signora Weasley, ma prima che riuscisse a farlo, dalla cucina si levò un gran baccano.
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«Ti dimostrerò chi sono, Kingsley, solo dopo aver visto mio figlio! Adesso fatti indietro, se ci tieni alla pelle!»
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Harry non aveva mai sentito il signor Weasley urlare così. Irruppe nel salotto, la pelata lucida di sudore, gli occhiali storti, Fred alle sue spalle, entrambi pallidi ma illesi.
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«Arthur!» gridò la signora Weasley fra i singhiozzi. «Oh, sia ringraziato il cielo!»
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«Come sta?»
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Il signor Weasley cadde in ginocchio accanto a George. Per la prima volta da che Harry lo conosceva, Fred era a corto di parole. Guardava a bocca aperta la ferita del gemello come se non riuscisse a credere ai suoi occhi.
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Forse ridestato dal rumore, George si mosse.
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«Come ti senti, Georgie?» sussurrò la signora Weasley.
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Le dita di George sfiorarono il lato della testa.
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«Romano» mormorò.
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«Che cos'ha che non va?» gracchiò Fred, terrorizzato. «Ha subito un danno al cervello?»
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«Romano» ripeté George, aprendo gli occhi e guardando il fratello.
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«Sai... mi sento un po' romano. Come il foro. Il foro, Fred, capito?»
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La signora Weasley singhiozzò più forte che mai. Un rossore tinse il volto pallido di Fred.
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«Patetico» disse a George. «Patetico! Con un mondo di battute possibili sulle orecchie, scegli romano?»
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«Ah, be'» ribatté George, sorridendo alla madre bagnata di lacrime. «Adesso almeno riuscirai a distinguerci, mamma».
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Si guardò intorno.
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«Ciao, Harry... sei Harry, vero?»
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«Sì» rispose Harry, avvicinandosi al divano.
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«Be', perlomeno ti abbiamo portato qui tutto intero» disse George. «Perché Ron e Bill non sono chini al mio capezzale?»
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«Non sono ancora tornati, George» rispose la signora Weasley. Il sorriso di George sbiadì. Harry fece cenno a Ginny di seguirlo fuori. In cucina, lei disse piano: «Ron e Tonks dovrebbero essere tornati, ormai. Non avevano tanta strada da fare; zia Muriel non abita lontano da qui».
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Harry tacque. Da quando era giunto alla Tana cercava di tenere a bada la paura, ma ora l'avviluppava, gli strisciava sulla pelle, gli pulsava nel petto, gli ostruiva la gola. Scendendo i gradini sul retro per uscire nel cortile buio, Ginny lo prese per mano.
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Kingsley stava misurando il terreno a grandi passi e ogni volta che si girava scrutava il cielo. A Harry ricordò zio Vernon che percorreva il salotto un milione di anni prima. Hagrid, Hermione e Lupin erano fianco a fianco e guardavano verso l'alto, in silenzio. Nessuno si voltò quando Harry e Ginny si unirono alla loro veglia silenziosa.
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I minuti si dilatarono in quelli che avrebbero potuto essere anni. Al minimo alito di vento tutti sussultavano e osservavano il cespuglio o l'albero fruscianti, nella speranza che un membro dell'Ordine sbucasse illeso tra le foglie...
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E poi una scopa apparve proprio sopra di loro e scese a terra...
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«Eccoli!» strillò Hermione.
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Tonks atterrò in una lunga scivolata schizzando terriccio e ghiaia. «Remus!» gridò. Smontò barcollando dalla scopa e si tuffò tra le braccia di Lupin. Lui era rigido, pallido, incapace di parlare. Ron, stordito, avanzò inciampando verso Harry e Hermione.
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«State bene» borbottò, poi Hermione gli volò addosso e lo abbracciò forte.
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«Credevo... credevo...»
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«Sto benissimo» la tranquillizzò Ron, battendole una mano sulla schiena. «A posto».
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«Ron è stato straordinario» disse Tonks con calore, separandosi da Lupin. «Meraviglioso. Ha Schiantato un Mangiamorte, dritto in testa, e quando miri a un bersaglio mobile in sella a una scopa volante...»
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«Sul serio?» esclamò Hermione, fissando Ron, le braccia ancora al suo collo.
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«Sempre questo tono sorpreso» si lagnò lui un po' contrariato, liberandosi dalla stretta. «Siamo gli ultimi?»
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«No» rispose Ginny, «stiamo ancora aspettando Bill e Fleur, e Malocchio e Mundungus. Vado a dire a mamma e papà che state bene, Ron...»
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E corse dentro.
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«Allora, cosa vi ha trattenuto? Cos'È successo?» Lupin sembrava quasi arrabbiato con Tonks.
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«Bellatrix» rispose Tonks. «Vuole me quasi quanto vuole Harry, Remus, ce l'ha messa tutta per uccidermi. Vorrei solo averla colpita, abbiamo un conto in sospeso. Ma di sicuro abbiamo ferito Rodolphus... poi siamo andati da zia Muriel, e abbiamo perso la Passaporta e lei si è agitata un sacco...»
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Un muscolo si contrasse nella mascella di Lupin. Annuì, ma sembrava incapace di aggiungere alcunché.
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«E a voi che cos'È successo?» chiese Tonks, rivolta a Harry, Hermione e Kingsley.
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Ripercorsero la cronaca dei loro viaggi, ma il prolungarsi dell'assenza di Bill, Fleur, Malocchio e Mundungus li opprimeva come una gelata, il suo morso ghiacciato sempre più difficile da ignorare.
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«Io devo tornare in Downing Street. Dovevo essere là un'ora fa» disse infine Kingsley, dopo un'ultima occhiata al cielo. «Fatemi sapere quando arrivano».
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Lupin annuì. Con un gesto di saluto agli altri, Kingsley si allontanò nel buio, diretto al cancello. A Harry parve di sentire un flebile pop quando Kingsley si Smaterializzò appena oltre i confini della Tana.
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I signori Weasley scesero i gradini di corsa, Ginny alle loro spalle. Tutti e due strinsero a sé Ron prima di rivolgersi a Lupin e Tonks.
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«Grazie» disse la signora Weasley, «per i nostri figli». «Non essere sciocca, Molly» ribatté Tonks all'istante. «Come sta George?» chiese Lupin.
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«Che cos'ha che non va?» intervenne Ron.
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«Ha perso...»
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Ma la frase della signora Weasley fu sommersa da un grido generale: era appena apparso un Thestral, che atterrò a pochi metri da loro. Bill e Fleur scivolarono giù dal dorso, arruffati ma illesi.
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«Bill! Grazie al cielo, grazie al cielo...»
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La signora Weasley corse verso di lui, ma Bill la strinse in un abbraccio senza calore. Guardò suo padre e aggiunse: «Malocchio è morto».
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Nessuno parlò, nessuno si mosse. Harry sentì qualcosa dentro di sé cadere, cadere e attraversare la terra, lasciarlo per sempre.
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«L'abbiamo visto» continuò Bill; Fleur annuì, il viso rigato dalle lacrime che luccicava al chiarore della finestra della cucina. «È successo appena dopo che siamo usciti dal cerchio: Malocchio e Mundungus erano vicino a noi, diretti a nord anche loro. Voldemort sa volare ha puntato dritto contro di loro. Mundungus si è fatto prendere dal panico, l'ho sentito strillare, Malocchio ha cercato di fermarlo, ma lui si è Smaterializzato. La maledizione di Voldemort ha colpito Malocchio in pieno volto, è caduto dalla scopa e... non abbiamo potuto fare niente, niente, ne avevamo addosso una mezza dozzina...»
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La voce di Bill si spezzò.
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«È chiaro che non potevate far niente» commentò Lupin.
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Rimasero lì a guardarsi. Harry non ci poteva credere. Malocchio morto; non poteva essere... Malocchio, così tenace, così coraggioso, così bravo a cavarsela...
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Alla fine tutti compresero, anche se nessuno lo disse, che era inutile restare ancora nel cortile, e in silenzio seguirono i signori Weasley dentro la Tana, nel salotto, dove Fred e George ridevano insieme.
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«Cosa c'È che non va?» chiese Fred, scrutandoli in volto. «Cos'È successo? Chi...?»
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«Malocchio» rispose il signor Weasley. «Morto».
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I sorrisi dei gemelli si trasformarono in smorfie spaventate. Nessuno sapeva che cosa fare. Tonks piangeva in silenzio dentro un fazzoletto: era molto affezionata a Malocchio, Harry lo sapeva bene, era la sua pupilla e la sua protetta al Ministero della Magia. Hagrid, seduto per terra nell'angolo dove c'era più spazio, si picchiettava gli occhi con il fazzoletto grande come una tovaglia.
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Bill andò alla credenza e prese una bottiglia di Whisky Incendiario e alcuni bicchieri.
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«Ecco» disse, e con un colpo di bacchetta distribuì dodici bicchieri pieni
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attraverso la stanza, tenendo il tredicesimo sospeso. «A Malocchio».
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«A Malocchio» ripeterono tutti, e bevvero.
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«A Malocchio» echeggiò Hagrid, un po' in ritardo, con un singhiozzo.
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Il whisky arse la gola di Harry: il bruciore parve rianimarlo, dissipando lo stordimento e l'impressione di irrealtà, con una sensazione di calore simile al coraggio.
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«Dicevi che Mundungus è sparito?» chiese Lupin, che aveva vuotato il suo bicchiere in un sorso.
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L'atmosfera mutò all'istante: adesso erano tutti tesi, guardavano Lupin, desiderosi che proseguisse e al tempo stesso spaventati per quello che avrebbe potuto dire.
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«So a cosa state pensando» disse Bill, «e ci ho pensato anch'io, perché sembrava che ci aspettassero, no? Ma Mundungus non può averci tradito. Non sapevano che ci sarebbero stati sette Harry, questo li ha confusi quando siamo apparsi, e se vi ricordate è stato proprio Mundungus ad avere l'idea. Perché non avrebbe raccontato il punto fondamentale del piano, allora? Io credo che sia stato preso dal panico, tutto qui. Non voleva venire, Malocchio l'ha costretto, e Voi-Sapete-Chi è andato dritto su di loro: chiunque si sarebbe spaventato».
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«Voi-Sapete-Chi ha agito esattamente come Malocchio aveva previsto» osservò Tonks, tirando su col naso. «Ha pensato che Harry viaggiasse con gli Auror più navigati ed esperti. Prima ha inseguito Malocchio, e quando Mundungus li ha traditi si è gettato su Kingsley...»
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«Sì, tutto justo» sbottò Fleur, «ma non spiega come fascevano a sapere che spostavàm Arrì questa notte, no? Qualcuno si è fatto sfujìr qualche cosa. Qualcuno ha rivelato la data a un estraneo. è la sola spiegasiòn: conoscevano la data, ma non il piano completo».
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Li scrutò tutti torva, con il viso ancora segnato dalle lacrime, come sfidandoli a contraddirla. Nessuno lo fece. A infrangere il silenzio erano solo i singhiozzi di Hagrid nascosto nel suo fazzoletto. Harry lo guardò: Hagrid, che aveva appena rischiato la vita per salvare la sua, Hagrid, a cui voleva tanto bene, di cui si fidava, Hagrid, che una volta aveva ceduto a Voldemort informazioni fondamentali in cambio di un uovo di drago...
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«No» disse forte, e tutti lo guardarono sorpresi: il Whisky Incendiario sembrava aver amplificato la sua voce. «Insomma... se qualcuno ha commesso un errore» continuò, «e si è lasciato sfuggire qualcosa, so che non aveva intenzione di farlo. E non è colpa sua» ripeté, sempre un po' più forte del normale. «Dobbiamo fidarci l'uno dell'altro. Io mi fido di tutti voi, so
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che nessuno in questa stanza mi venderebbe mai a Voldemort».
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Un nuovo silenzio seguì le sue parole. Lo stavano guardando tutti; Harry si sentì di nuovo scaldare, e bevve dell'altro whisky, tanto per fare qualcosa. Bevve pensando a Malocchio, che era sempre stato caustico sull'inclinazione di Silente a fidarsi degli altri.
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«Ben detto, Harry» commentò Fred, a sorpresa.
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«Aprite le orecchie, gente!» fece George scoccando una mezza occhiata a Fred, che mosse un angolo della bocca in un principio di sorriso.
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Lupin guardò Harry con un'espressione strana, vicina alla commiserazione.
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«Pensi che sia un idiota?» gli chiese Harry.
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«No, penso che tu sia come James» rispose Lupin. «Per lui sarebbe stato il massimo del disonore diffidare degli amici».
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Harry sapeva dove voleva arrivare Lupin: suo padre era stato tradito dal suo amico Peter Minus. Si sentì invadere da una rabbia irragionevole. Voleva ribattere, ma Lupin si voltò, posò il bicchiere su un tavolino e si rivolse a Bill: «C'È un lavoro da fare. Posso chiedere a Kingsley se...»
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«No» intervenne subito Bill, «lo faccio io, vengo io».
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«Dove andate?» chiesero Tonks e Fleur in coro.
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«Il corpo di Malocchio» rispose Lupin. «Dobbiamo recuperarlo».
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«Non può...?» cominciò la signora Weasley, con uno sguardo di supplica a Bill.
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«Aspettare?» concluse Bill. «Preferisci che lo prendano i Mangiamorte?»
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Nessuno parlò. Lupin e Bill salutarono e partirono.
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Gli altri crollarono su sedie e poltrone, tranne Harry, che rimase in piedi.
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La morte, improvvisa e definitiva, era con loro come una presenza. «Devo andare anch'io» disse Harry.
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Dieci paia di occhi esterrefatti lo guardarono.
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«Non fare lo stupido, Harry» ribatté la signora Weasley. «Cosa dici?» «Non posso restare qui».
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Si stropicciò la fronte: bruciava ancora; non gli faceva così male da più di un anno.
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«Siete tutti in pericolo finché resto qui. Non voglio...»
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«Ma non fare lo stupido!» strillò la signora Weasley. «Lo scopo di stanotte era portarti alla Tana sano e salvo, e grazie al cielo ha funzionato. Fleur ha accettato di sposarsi qui invece che in Francia, abbiamo organizzato tutto in modo da poter restare insieme e prenderci cura di te...»
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Lei non capiva; lo faceva stare peggio, non meglio.
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«Se Voldemort scopre che sono qui...»
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«Ma perché dovrebbe?» chiese la signora Weasley.
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«Ci sono una decina di posti in cui potresti essere ora, Harry» aggiunse il signor Weasley. «Non ha modo di sapere in quale ti trovi».
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«Non è per me che mi preoccupo!» sbottò Harry.
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«Lo sappiamo» rispose sottovoce il signor Weasley, «ma se te ne andassi, i nostri sforzi di stanotte sarebbero stati inutili».
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«Tu non ti muovi di qui» ringhiò Hagrid. «Cavolo, Harry, con tutto quello che abbiamo fatto per portartici?»
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«Già. Vogliamo parlare del mio orecchio?» aggiunse George, puntellandosi sui cuscini.
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«Lo so...»
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«Malocchio non avrebbe voluto...»
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«Lo so!» urlò Harry.
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Si sentiva accerchiato e ricattato: credevano che non sapesse che cosa avevano fatto per lui, non capivano che era proprio quella la ragione per cui voleva andarsene, perché non soffrissero ancora per colpa sua? Calò un lungo, imbarazzante silenzio. La cicatrice continuava a prudere e pulsare. Infine la signora Weasley chiese, per cambiare argomento: «Dov'È Edvige, Harry? Possiamo metterla di sopra con Leotordo e darle qualcosa da mangiare».
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Le viscere gli si strinsero come un pugno. Non poteva dirle la verità. Bevve il whisky rimasto per evitare di rispondere.
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«Aspetta solo che viene fuori che l'hai rifatto, Harry» disse Hagrid. «Gli sei scappato di nuovo, ce l'avevi addosso e l'hai respinto!»
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«Non sono stato io» ribatté Harry in tono piatto. «È stata la mia bacchetta. La mia bacchetta ha agito di sua volontà».
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Dopo qualche istante, Hermione disse dolcemente: «Ma è impossibile, Harry. Vorrai dire che hai fatto della magia senza volerlo; che hai reagito d'istinto».
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«No» insisté Harry. «La moto stava cadendo, non sapevo dov'era Voldemort, ma la bacchetta mi si è rigirata nella mano, l'ha trovato e gli ha scagliato un incantesimo che non ho nemmeno riconosciuto. Non avevo mai fatto apparire delle fiamme d'oro».
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«Spesso» intervenne il signor Weasley, «quando ci si trova in una situazione critica si riesce a produrre magia che non ci si era mai sognati. Succede anche ai bambini piccoli, prima che cominci il loro addestramento...»
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«Non è andata così» replicò Harry a denti stretti. La cicatrice gli bruciava; era arrabbiato e frustrato; detestava l'idea che tutti lo immaginassero dotato di un potere pari a quello di Voldemort.
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Nessuno disse nulla. Sapeva che non gli credevano. A pensarci bene, non aveva mai sentito parlare di una bacchetta che facesse magie da sola.
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Sentì una fitta violenta alla cicatrice; riuscì a stento a non lamentarsi ad alta voce. Borbottando che aveva bisogno di aria fresca, posò il bicchiere e uscì.
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Mentre attraversava il cortile buio, l'enorme, scheletrico Thestral alzò gli occhi, agitò le gigantesche ali da pipistrello e riprese a brucare. Harry si fermò al cancello che dava nel giardino e fissò le piante troppo cresciute, strofinandosi la fronte in fiamme e pensando a Silente.
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Lui gli avrebbe creduto, lo sapeva. Silente avrebbe saputo come e perché la sua bacchetta aveva agito da sola, perché Silente aveva sempre le risposte; sapeva tutto delle bacchette, aveva spiegato a Harry lo strano legame tra la sua e quella di Voldemort... Ma Silente, come Malocchio, come Sirius, come i suoi genitori, come la sua povera civetta, erano tutti andati dove Harry non avrebbe mai più potuto parlare con loro. Avvertì un bruciore in gola che non aveva nulla a che fare con il Whisky Incendiario...
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E poi, all'improvviso, il dolore della cicatrice schizzò alle stelle. Si tenne la fronte e chiuse gli occhi, mentre una voce gli urlava dentro la testa.
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«Mi avevi detto che usando la bacchetta di un altro avrei risolto il problema!»
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E nella sua mente esplose la visione di un vecchio emaciato, vestito di stracci, disteso su un pavimento di pietra, che urlava, un urlo terribile, prolungato, l'urlo di un dolore insopportabile...
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«No! No! Vi supplico, vi supplico...»
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«Hai mentito a Lord Voldemort, Olivander!»
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«No... Giuro di no...»
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«Hai cercato di aiutare Potter, di aiutarlo a sfuggirmi!»
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«Giuro di no... Credevo davvero che una bacchetta diversa avrebbe funzionato...»
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«Allora spiegami che cos'È successo. La bacchetta di Lucius è distrutta!» «Non capisco... il legame... esiste solo... tra le vostre due bacchette...» «Menzogne!»
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«Per favore... vi supplico...»
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E Harry vide la mano bianca levare la bacchetta e sentì il fiotto di rabbia malvagia di Voldemort, vide il vecchio fragile sul pavimento contorcersi
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per il dolore...
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«Harry!»
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Finì com'era cominciato: Harry stava tremando nel buio, aggrappato al cancello, con il cuore a mille e la cicatrice ancora formicolante. Gli ci volle qualche secondo per rendersi conto che Ron e Hermione erano al suo fianco.
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«Harry, torna dentro» sussurrò Hermione. «Non starai ancora pensando di andartene?»
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«Già, ti tocca restare» disse Ron, battendogli sulla schiena.
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«Stai bene?» gli chiese Hermione, ormai abbastanza vicina da guardarlo in faccia. «Hai un aspetto orrendo!»
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«Be'» rispose Harry, tremante, «probabilmente sto meglio di Olivander...»
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E raccontò loro quanto aveva visto. Ron ne fu sconvolto, Hermione semplicemente terrorizzata.
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«Ma doveva smettere! La cicatrice... non doveva farlo più! Non devi permettere che la connessione si riapra... Silente voleva che bloccassi la mente!»
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Quando lui non rispose, lei lo afferrò per il braccio.
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«Harry, sta prendendo possesso del Ministero, dei giornali e di mezzo mondo magico! Non lasciarlo entrare anche nella tua testa!»
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