In un lampo, Difesa contro le Arti Oscure diventò la lezione più amata. Solo Draco Malfoy e la sua banda di Serpeverde avevano qualcosa di sgradevole da dire sul professor Lupin.
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«Guardate un po' i suoi vestiti» ripeteva Malfoy in un sussurro quando passava il professor Lupin. «Si veste come il nostro vecchio elfo domestico».
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Ma nessun altro badava agli abiti lisi e rattoppati del professor Lupin. Le lezioni che seguirono furono interessanti quanto la prima. Dopo i Mollicci, studiarono i Berretti Rossi, piccole, malvagie creature simili ai goblin che si aggiravano ovunque vi fosse stato uno spargimento di sangue, nelle segrete dei castelli e nelle buche dei campi di battaglia deserti, in attesa di colpire con un randello chi si era smarrito. Dai Berretti Rossi passarono ai Kappa, tetre creature acquatiche che sembravano scimmie squamose, con mani palmate pronte a strangolare gli ignari nuotatori negli stagni.
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Harry desiderava solo che anche altri corsi fossero altrettanto piacevoli.
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Il peggiore di tutti era Pozioni. Piton in quel periodo era particolarmente vendicativo, e nessuno aveva dubbi sul perché. La storia del Mollìccio che aveva assunto le sue sembianze, e di come Neville gli aveva fatto indossare gli abiti di sua nonna, si era propagata per tutta la scuola alla velocità del fulmine. Piton non la trovò affatto divertente. I suoi occhi lampeggiavano minacciosi solo a sentir nominare il professor Lupin, e strapazzava Neville più che mai.
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Harry era arrivato a temere anche le ore che trascorreva nella torretta soffocante della professoressa Cooman, decifrando forme e simboli sbilenchi, cercando di ignorare gli enormi occhi dell'insegnante che si riempivano di lacrime tutte le volte che lo guardava. La professoressa Cooman non riusciva a piacergli, anche se gran parte della classe la trattava con un rispetto che sconfinava nella reverenza. Calì Patil e Lavanda Brown avevano cominciato a frequentare la torre all'ora di pranzo, e tornavano sempre con un irritante atteggiamento di superiorità, come se sapessero cose ignote agli altri. Avevano cominciato anche a parlare sottovoce quando si rivolgevano a Harry, come se fosse sul letto di morte.
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A nessuno piaceva davvero Cura delle Creature Magiche, che, dopo la prima lezione tutta emozioni e colpi di scena, era diventata estremamente tediosa. Hagrid sembrava aver perso la fiducia in se stesso. Ora passavano lezioni intere a imparare come badare ai Vermicoli, che probabilmente erano tra le creature più noiose del mondo.
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«Perché uno dovrebbe occuparsi di loro?» disse Ron dopo un'altra ora trascorsa infilando striscioline di lattuga giù per le gole viscide dei Vermicoli.
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All'inizio di ottobre, comunque, Harry ebbe qualcos'altro a cui pensare, qualcosa di così piacevole da compensare le lezioni insoddisfacenti. Si avvicinava la stagione del Quidditch, e Oliver Baston, capitano della squadra dei Grifondoro, un giovedì sera indisse una riunione per discutere le tattiche per il nuovo campionato.
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Una squadra di Quidditch era formata da sette giocatori: tre Cacciatori, il cui compito consisteva nel segnare i punti facendo passare la Pluffa (una palla rossa grande come un pallone da calcio) in uno degli anelli posti all'altezza di quindici metri alle due estremità del campo; due Battitori, provvisti di mazze robuste per respingere i Bolidi (due pesanti palle nere che sfrecciavano in giro cercando di colpire i giocatori); un Portiere, che difendeva le reti, e il Cercatore, che aveva il compito più difficile, quello di prendere il Boccino d'Oro, una pallina alata grossa come una noce la cui
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cattura poneva fine alla partita e guadagnava alla squadra del Cercatore centocinquanta punti extra.
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Oliver Baston era un corpulento ragazzo di diciassette anni che frequentava il settimo e ultimo anno a Hogwarts. C'era una sorta di quieta disperazione nella sua voce quando si rivolse ai sei compagni di squadra negli spogliatoi gelidi ai confini del campo di Quidditch già immerso nelle tenebre.
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«Questa è la nostra ultima possibilità la mia ultima possibilità di vincere la Coppa del Quidditch» disse camminando avanti e indietro. «Alla fine di quest'anno me ne andrò. Non avrò un'altra occasione. Il Grifondoro non vince da sette anni. Ok, siamo stati sfortunatissimi: prima gli incidenti, poi l'annullamento del torneo l'anno scorso...» Baston deglutì, come se il ricordo gli facesse venire ancora un groppo in gola. «Ma sappiamo anche che la nostra è la squadra migliore della scuola» disse, battendo col pugno sul palmo della mano, con l'antico bagliore fanatico negli occhi.
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«Abbiamo tre ottimi Cacciatori».
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Baston indicò Alicia Spinnet, Angelina Johnson e Katie Bell.
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«Abbiamo due Battitori imbattibili».
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«Piantala, Oliver, ci metti in imbarazzo» dissero in coro Fred e George Weasley, fingendo di arrossire.
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«E abbiamo un Cercatore che ci ha sempre portato alla vittoria!» ruggì Baston, fissando Harry con una sorta di furioso orgoglio. «E poi ci sono io» disse, come ripensandoci.
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«Anche tu sei molto bravo, Oliver» disse George.
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«Un diavolo di Portiere» commentò Fred.
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«Il punto è» continuò Baston, riprendendo a camminare avanti e indietro «che la Coppa del Quidditch avrebbe dovuto essere nostra negli ultimi due anni. Da quando Harry è entrato in squadra, ho pensato che ce l'avessimo in tasca. Ma non abbiamo vinto, e quest'anno è l'ultima possibilità che abbiamo di vedere il nostro nome inciso sul trofeo...»
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Baston era così abbattuto che perfino Fred e George si mostrarono comprensivi.
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«Oliver, questo è il nostro anno» disse Fred.
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«Ce la faremo, Oliver!» esclamò Angelina.
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«Ma certo» aggiunse Harry.
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Carica di determinazione, la squadra riprese gli allenamenti, tre sere la settimana. Il tempo era sempre più freddo e umido, le notti più buie, ma né fango né vento né pioggia potevano offuscare la meravigliosa visione di
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Harry che si immaginava finalmente nell'atto di vincere la grossa Coppa del Quidditch d'argento.
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Una sera dopo gli allenamenti Harry tornò nella sala comune del Grifondoro intirizzito e indolenzito, ma soddisfatto di com'erano andate le cose, e trovò la stanza pervasa da un ronzio eccitato.
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«Che cosa è successo?» chiese a Ron e Hermione, seduti in due dei posti migliori vicino al camino, intenti a completare delle mappe stellari per Astronomia.
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«Il primo finesettimana a Hogsmeade» disse Ron, indicando un cartello appeso alla vecchia bacheca. «Alla fine di ottobre. Per Halloween».
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«Ottimo» disse Fred, che aveva seguito Harry attraverso il buco del ritratto. «Devo andare da Zonko, sono a corto di Pallottole Puzzole».
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Harry si lasciò cadere in una sedia accanto a Ron, mentre il suo buonumore svaniva. Hermione parve leggergli nella mente.
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«Harry, sono sicura che la prossima volta potrai venire» disse. «E probabile che presto catturino Black, è già stato avvistato un'altra volta».
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«Black non è così sciocco da tentare qualcosa a Hogsmeade» disse Ron. «Chiedi alla McGranitt se puoi venire questa volta, Harry, la prossima chissà quando sarà...»
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«Ron!» esclamò Hermione. «Harry deve rimanere a scuola...»
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«Non può essere l'unico del terzo anno che non viene» disse Ron. «Chiedi alla McGranitt, dài, Harry...»
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«Sì, credo che lo farò» decise Harry.
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Hermione aprì la bocca per ribattere, ma in quel momento Grattastinchi le balzò in grembo. Dalla bocca gli penzolava un grosso ragno morto.
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«Deve proprio mangiarlo davanti a noi?» chiese Ron accigliato.
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«Bravo Grattastinchi, l'hai preso tutto da solo?» disse Hermione.
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Grattastinchi masticò lentamente il ragno, gli occhi gialli che fissavano Ron con insolenza.
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«Tienilo lì» disse Ron irritato, tornando al compito. «C'è Crosta che dorme nella mia borsa».
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Harry sbadigliò. Voleva andare a dormire, ma anche lui doveva completare la mappa stellare. Si tirò vicino la borsa dei libri, prese pergamena, inchiostro e penna, e cominciò.
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«Puoi copiare la mia, se vuoi» disse Ron, scrivendo il nome dell'ultima stella con un ghirigoro e spingendo il foglio verso Harry.
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Hermione, che disapprovava chi copia, strinse le labbra ma non disse niente. Grattastinchi continuava a fissare Ron senza battere ciglio, agitando
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la punta della coda cespugliosa. Poi, senza preavviso, balzò.
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«EHI!» ruggì Ron, afferrando la borsa, mentre Grattastinchi vi affondava gli artigli e cominciava a tirare e strappare con furia. «VATTENE, STUPIDO ANIMALE!»
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Ron cercò di sottrarre la borsa a Grattastinchi, ma il gatto vi rimase aggrappato, soffiando e graffiando.
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«Ron, non fargli del male!» strillò Hermione. Tutti seguivano lo spettacolo. Ron fece roteare la borsa, con il felino ancora saldamente ancorato, e Crosta volò fuori...
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«PRENDETE QUEL GATTO!» urlò Ron, mentre Grattastinchi si districava dai resti della borsa, sfrecciava sotto il tavolo e si gettava all'inseguimento di uno spaventatissimo Crosta.
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George Weasley cercò di bloccare il gatto, ma non ci riuscì; Crosta passò attraverso venti paia di gambe e s'infilò sotto un vecchio cassettone; Grattastinchi si immobilizzò, si appiattì e prese a sferrare zampate furiose sotto il mobile.
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Ron e Hermione corsero verso di lui; Hermione lo afferrò e lo portò via; Ron si gettò pancia a terra e, con grande difficoltà, tirò fuori Crosta prendendolo per la coda.
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«Guardalo!» disse infuriato a Hermione, facendole penzolare il topo davanti al naso. «È pelle e ossa! Tienigli lontano quel gatto!»
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«Grattastinchi non può capire!» disse Hermione con voce tremante. «Tutti i gatti danno la caccia ai topi, Ron!»
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«Quell'animale ha qualcosa di strano!» esclamò Ron, cercando di convincere un agitatissimo Crosta a tornare dentro la tasca. «Ha sentito che dicevo che nella mia borsa c'era Crosta!»
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«Oh, che sciocchezza» disse Hermione impaziente. «Grattastinchi ha sentito l'odore, Ron, altrimenti come avrebbe fatto a...»
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«Quel gatto ce l'ha con Crosta!» insistette Ron, ignorando i compagni che cominciavano a ridacchiare. «E Crosta era qui prima di lui, ed è anche malato!»
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Ron attraversò la sala comune, salì le scale e sparì nel dormitorio dei ragazzi.
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Il giorno dopo, Ron era ancora arrabbiato con Hermione. Quasi non le rivolse la parola per tutta la lezione di Erbologia, anche se lui, Hermione e Harry stavano lavorando insieme sullo stesso Puffagiolo.
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«Come sta Crosta?» chiese Hermione timidamente mentre spogliavano
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le piante dei loro grassi baccelli rosa e sgranavano i fagioli luminosi in un secchio.
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«È nascosto sotto il letto, e trema di paura» disse Ron arrabbiato, mancando il secchio e spargendo fagioli per tutto il pavimento della serra.
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«Attento, Weasley, attento!» esclamò la professoressa Sprite mentre i fagioli sbocciavano all'improvviso davanti ai loro occhi.
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Subito dopo avevano Trasfigurazione. Harry, che aveva deciso di chiedere alla professoressa McGranitt se poteva andare a Hogsmeade con gli altri, si unì alla coda fuori dalla classe pensando al modo migliore di sostenere la propria causa. Ma qualcosa all'inizio della fila lo distrasse.
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Lavanda Brown era in singhiozzi. Calì le teneva un braccio attorno alle spalle e spiegava qualcosa a Seamus Finnigan e a Dean Thomas, entrambi molto seri.
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«Che cosa è successo, Lavanda?» chiese Hermione ansiosa, mentre lei, Ron e Harry si univano al gruppo.
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«Ha ricevuto una lettera da casa stamattina» sussurrò Calì. «È il suo coniglio, Binky. E stato ucciso da una volpe».
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«Oh» esclamò Hermione. «Mi dispiace, Lavanda».
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«Dovevo aspettarmelo!» disse Lavanda in tono tragico. «Lo sapete che giorno è oggi?»
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«Mmm...»
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«Il sedici ottobre! 'Quella cosa che temi succederà il sedici ottobre!' Vi ricordate? Aveva ragione, aveva ragione!»
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Ora tutta la classe era riunita attorno a Lavanda. Seamus scosse la testa, compunto. Hermione esitò, poi disse:
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«Tu... tu avevi paura che Binky venisse ucciso da una volpe?»
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«Be', non necessariamente da una volpe» disse Lavanda, alzando gli occhi pieni di lacrime verso Hermione, «ma naturalmente avevo paura che morisse...»
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«Oh» commentò Hermione. Fece un'altra pausa. Poi riprese: «Binky era vecchio?»
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«N... no!» singhiozzò Lavanda. «E... era solo un cucciolo!»
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Calì strinse più forte il braccio attorno alle spalle dell'amica.
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«Ma allora, perché avevi paura che morisse?» chiese Hermione.
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Calì le rivolse uno sguardo torvo.
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«Be', cercate di vederla con un po' di logica» disse Hermione rivolta al resto del gruppo. «Voglio dire, Binky non è nemmeno morto oggi, è solo che a Lavanda la notizia è arrivata oggi...»
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Lavanda ululò.
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«...e non è possibile che se lo aspettasse, perché per lei è stata una brutta sorpresa...»
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«Non badare a Hermione, Lavanda» disse Ron ad alta voce. «A lei non importa niente degli animali degli altri».
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In quel momento, per fortuna, la professoressa McGranitt aprì la porta della classe. Hermione e Ron si stavano guardando in cagnesco, e una volta entrati presero posto ai due lati di Harry e non si rivolsero la parola per tutta la lezione.
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Harry non aveva ancora deciso che cosa dire alla professoressa McGranitt quando suonò la campana alla fine della lezione, ma fu lei ad affrontare l'argomento Hogsmeade per prima.
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«Un momento, prego!» esclamò a voce alta, mentre i ragazzi si preparavano a uscire. «Dal momento che siete tutti della mia Casa, dovete consegnarmi i permessi per andare a Hogsmeade prima di Halloween. Niente permesso, niente gita al villaggio, quindi cercate di ricordarvene!»
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Neville alzò la mano.
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«Mi scusi, professoressa, credo di aver perso...»
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«Tua nonna l'ha spedito direttamente a me, Paciock» disse la professoressa McGranitt. «A quanto pare, credeva che fosse più sicuro. Bene, è tutto, potete andare».
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«Chiediglielo adesso» sibilò Ron a Harry.
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«Oh, ma...» disse Hermione.
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«Dài, Harry» insistette Ron.
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Harry attese che il resto della classe se ne fosse andato, poi avanzò verso la cattedra. Era nervoso.
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«Sì, Potter?»
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Harry fece un gran respiro.
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«Professoressa, mio zio e mia zia... ehm... si sono dimenticati di firmare il modulo» disse.
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La professoressa McGranitt lo fissò al di sopra degli occhiali rettangolari, ma non rispose.
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«Quindi... ehm... crede che vada bene... voglio dire, va bene se... se vado anch'io a Hogsmeade?»
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La professoressa McGranitt abbassò lo sguardo e prese a riordinare i fogli sulla cattedra.
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«Temo di no, Potter» disse. «Mi hai sentito. Niente permesso, niente gita. È la regola».
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«Ma... professoressa, i miei zii... lo sa, sono Babbani, e non capiscono bene le cose di Hogwarts, i moduli, e tutto il resto» obiettò Harry, mentre Ron lo esortava ad andare avanti annuendo con vigore. «Se lei dice che posso andare...»
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«Ma io non lo dico» lo interruppe la professoressa McGranitt, alzandosi e infilando le carte riordinate dentro un cassetto. «Nel modulo è scritto chiaramente che a dare il permesso dev'essere un genitore o il tutore». Si voltò a guardarlo, con una strana espressione. Compassione, forse? «Mi dispiace, Potter, ma è la mia ultima parola. Meglio che ti sbrighi, o arriverai in ritardo alla prossima lezione».
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Non c'era niente da fare. Ron apostrofò la professoressa McGranitt con una serie di epiteti che infastidirono molto Hermione; quanto a lei, assunse un'espressione da 'meglio così' che irritò ancora di più Ron, e Harry dovette sopportare le chiacchiere allegre dei compagni che parlavano di quello che avrebbero fatto appena arrivati a Hogsmeade.
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«C'è sempre il banchetto» disse Ron a Harry, sforzandosi di tirargli su il morale. «Il banchetto di Halloween, la sera».
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«Si» commentò Harry cupo, «magnifico».
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Il banchetto di Halloween era sempre grandioso, ma avrebbe avuto un altro sapore se fosse arrivato a chiusura di una giornata a Hogsmeade con tutti gli altri. Niente di quello che dissero i ragazzi riuscì a consolare Harry. Dean Thomas, che era abile con la penna, si offrì di falsificare la firma di zio Vernon sul modulo, ma dal momento che Harry aveva già detto alla professoressa McGranitt che il permesso non era stato firmato, era del tutto inutile. Ron suggerì con scarso entusiasmo l'uso del Mantello dell'Invisibilità, ma Hermione fu irremovibile e gli ricordò che Silente aveva detto loro che i Dissennatori potevano vedere attraverso la stoffa. Quanto a Percy, riuscì a pronunciare le parole meno consolanti in assoluto.
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«Parlano tanto di Hogsmeade, ma te lo assicuro, Harry, non è come raccontano» disse serio. «Certo, il negozio di caramelle non è male, e L'Emporio degli Scherzi di Zonko è decisamente pericoloso, e sì, la Stamberga Strillante vale una visita, ma sul serio, Harry, a parte queste cose, non ti perdi proprio niente».
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La mattina di Halloween, Harry si svegliò con gli altri e scese a colazione completamente avvilito, anche se fece del suo meglio per comportarsi normalmente.
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«Ti porteremo un sacco di dolci di Mielandia» disse Hermione, profondamente dispiaciuta per lui.
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«Sì, un mucchio» ribadì Ron. Lui e Hermione alla fine avevano dimenticato la lite scatenata da Grattastinchi di fronte ai problemi di Harry.
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«Non preoccupatevi per me» disse Harry in un tono che sperava suonasse disinvolto, «ci vediamo al banchetto. Divertitevi».
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Li accompagnò fino all'ingresso. Mastro Gazza, il custode, era in piedi sulla porta e controllava i nomi di chi usciva su una lunga lista, scrutando i ragazzi uno per uno con sospetto e assicurandosi che nessuno sgattaiolasse fuori senza avere il permesso.
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«Resti qui, Potter?» gridò Malfoy, in fila con Tiger e Goyle. «Paura dei Dissennatori?»
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Harry lo ignorò e si avviò tutto solo su per la scalinata di marmo, attraversò i corridoi deserti e tornò alla Torre del Grifondoro.
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«Parola d'ordine?» chiese la Signora Grassa riscuotendosi da un pisolino.
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«Fortuna Maior» rispose Harry in tono distratto.
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Il ritratto si aprì e Harry entrò attraverso il buco nella sala comune. Era piena di studenti del primo e del secondo anno che chiacchieravano, e c'era anche qualche studente più anziano che evidentemente aveva visitato Hogsmeade tante di quelle volte da non trovarla più una novità eccitante.
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«Harry! Harry! Ciao, Harry!»
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Era Colin Canon, uno del secondo anno che provava una grande ammirazione per Harry e non perdeva occasione per rivolgergli la parola.
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«Non vai a Hogsmeade, Harry? Come mai? Ehi...» Colin guardò i suoi amici con impazienza, «perché non vieni a sederti qui con noi, Harry?»
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«Ehm... no, grazie, Colin» disse Harry, che non aveva voglia di star lì con decine di occhi avidamente puntati sulla sua cicatrice. «Devo... devo andare in biblioteca a fare una ricerca».
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Dopodiché non ebbe scelta: si voltò e riattraversò il buco del ritratto.
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«Perché mi hai svegliato?» gli disse brontolando la Signora Grassa mentre Harry si allontanava.
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Il ragazzo vagò scoraggiato in direzione della biblioteca, ma a metà strada cambiò idea; non aveva voglia di studiare. Si voltò e si trovò faccia a faccia con Gazza, che doveva aver appena congedato l'ultimo dei ragazzi in partenza per Hogsmeade.
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«Che cosa fai?» grugnì Gazza sospettoso.
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«Niente» disse Harry sincero.
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«Niente!» ripeté aspro Gazza, con le guance flosce che tremolavano. «Figuriamoci! Sei qui che vai in giro tutto furtivo... Perché non sei a Hogsmeade a comprare Pallottole Puzzole, Polvere Ruttosa e Vermi Sibilanti come quelle canagliette dei tuoi amici?»
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Harry scrollò le spalle.
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«Allora fila nella tua sala comune, è là che devi stare!» esclamò sgarbatamente Gazza, e rimase a guardare storto Harry finché il ragazzo non scomparve.
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Ma Harry non tornò nella sala comune; salì una scala, pensando vagamente di andare alla Gufaia a trovare Edvige, e stava percorrendo un altro corridoio quando una voce proveniente da una delle stanze disse: «Harry?»
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Harry tornò sui suoi passi per andare a vedere chi aveva parlato e scorse il professor Lupin sulla porta del suo studio.
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«Che cosa fai?» gli chiese, in un tono molto diverso da quello di Gazza. «Dove sono Ron e Hermione?»
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«A Hogsmeade» disse Harry, sforzandosi di suonare neutro.
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«Ah» disse Lupin. Studiò Harry per un attimo.«Perché non entri? Mi è appena arrivato un Avvincino per la prossima lezione».
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«Un che cosa?» chiese Harry.
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Seguì Lupin nel suo studio. Nell'angolo c'era un grande acquario pieno. Una creatura di un verde malsano con piccole corna sulla fronte schiacciava il muso contro il vetro, facendo delle smorfie e piegando le lunghe dita magre.
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«Un demone acquatico» disse Lupin, studiando l'Avvincino soprappensiero. «Non dovremmo avere problemi con lui, non dopo i Kappa. Il trucco è allentare la sua presa. Vedi che dita lunghe ha? Forti, ma molto fragili».
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L'Avvincino scoprì i denti verdi e poi sprofondò in un groviglio di alghe in un angolo.
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«Una tazza di tè?» chiese Lupin, cercando il bollitore con lo sguardo. «Stavo giusto per farlo».
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«Va bene» accettò Harry timidamente.
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Lupin batté il bollitore con la bacchetta e uno sbuffo di vapore si alzò istantaneamente dall'ugello.
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«Siediti» disse Lupin, togliendo il coperchio da un barattolo polveroso. «Ho solo del tè in bustine, temo, ma sospetto che tu ne abbia abbastanza di foglie di tè, no?»
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Harry lo guardò. Lo sguardo di Lupin ebbe un guizzo divertito.
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«Come fa a saperlo?» chiese Harry.
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«Me l'ha detto la professoressa McGranitt» rispose Lupin, porgendogli un tazzone sbeccato. «Non sei preoccupato, vero?»
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«No» disse Harry.
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Pensò per un attimo di raccontare a Lupin del cane che aveva visto in Magnolia Crescent, ma decise che era meglio di no. Non voleva che Lupin lo credesse un vigliacco, soprattutto perché il professore sembrava già convinto che non potesse affrontare un Molliccio.
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Parte dei suoi pensieri dovette leggerglisi in faccia, perché Lupin disse:
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«C'è qualcosa che ti preoccupa, Harry?»
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«No» mentì lui. Bevve un sorso di tè, osservando l'Avvincino che brandiva un pugno minaccioso contro di lui. «Sì» disse all'improvviso, posando la tazza sulla scrivania di Lupin. «Si ricorda il giorno che abbiamo sfidato il Molliccio?»
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«Sì» disse Lupin lentamente.
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«Perché non mi ha permesso di affrontarlo?» chiese Harry bruscamente.
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Lupin sollevò le sopracciglia.
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«Credevo che fosse ovvio, Harry» rispose sorpreso.
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Harry, che si aspettava che Lupin negasse, rimase interdetto.
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«Perché?» chiese di nuovo.
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«Be'» disse Lupin un po' accigliato, «ho pensato che se il Molliccio ti avesse visto, avrebbe assunto la forma di Voldemort».
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Harry lo fissò stupito. Non solo era l'ultima risposta che si sarebbe aspettata, ma Lupin aveva pronunciato il nome di Voldemort. L'unica altra persona che osasse farlo ad alta voce (a parte Harry) era il professor Silente.
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«Ovviamente mi sbagliavo» riprese Lupin, sempre molto serio. «Ma ho pensato che non era una buona idea che Voldemort si materializzasse in sala professori. Immagino che avrebbe seminato il panico».
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«Non stavo pensando a Voldemort» disse Harry con onestà. «Io... io pensavo a uno di quei Dissennatori».
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«Capisco» disse Lupin assorto. «Bene bene... sono colpito». Fece un piccolo sorriso quando vide la sorpresa sul viso di Harry. «Ciò rivela che quello di cui hai più paura è... la paura. Molto saggio, Harry».
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Harry non sapeva che cosa replicare, così bevve un altro sorso di tè.
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«Allora hai creduto che non ti ritenessi in grado di combattere il Molliccio?» chiese Lupin con perspicacia.
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«Be'... sì» disse Harry. All'improvviso si sentiva molto meglio. «Professor Lupin, lei sa che i Dissenatori...»
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Fu interrotto da qualcuno che bussava alla porta.
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«Avanti» disse Lupin.
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La porta si aprì ed entrò Piton. Aveva in mano un calice da cui saliva un fumo leggero, e si fermò alla vista di Harry, con gli occhi neri che si stringevano in due fessure.
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«Ah, Severus» lo salutò Lupin sorridendo. «Grazie mille. Puoi metterlo sulla scrivania?»
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Piton posò il calice fumante e fece scorrere lo sguardo da Harry a Lupin.
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«Stavo mostrando a Harry il mio Avvincino» spiegò Lupin in tono amichevole, indicando l'acquario.
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«Affascinante» disse Piton senza guardare. «Dovresti berla subito, Lupin».
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«Sì, sì» disse Lupin.
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«Ne ho fatto un paiolo» riprese Piton. «Se ne vuoi ancora».
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«Probabilmente ne prenderò dell'altra domani. Grazie mille, Severus».
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«Di niente» disse Piton, ma nei suoi occhi balenò un'espressione che non piacque a Harry. Uscì dalla stanza senza sorridere, guardingo.
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Harry osservò il calice, incuriosito. Lupin sorrise.
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«Il professor Piton è stato così gentile da prepararmi una pozione» disse. «Io non sono mai stato un granché a distillare pozioni, e questa è particolarmente complicata». Prese il calice e lo annusò. «Peccato che lo zucchero ne annulli i poteri» aggiunse, bevendone un sorso con un brivido di disgusto.
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«Perché...?» Harry esordì. Lupin lo guardò e rispose alla domanda lasciata a metà.
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«Mi sento un po' giù di tono» disse. «Questa pozione è l'unico rimedio. Sono molto fortunato a lavorare con un collega come Piton; non sono molti i maghi in grado di prepararla».
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Il professor Lupin bevve un altro sorso e Harry ebbe il folle istinto di strappargli di mano il calice.
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«Il professor Piton è molto attratto dalle Arti Oscure» esclamò.
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«Davvero?» disse Lupin, dimostrando solo un vago interesse, mentre beveva un'altra sorsata della pozione.
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«C'è chi dice...» Harry esitò, poi proseguì, irrefrenabile, «c'è chi dice che farebbe qualunque cosa per ottenere la cattedra di Difesa contro le Arti Oscure».
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Lupin vuotò il calice e fece una smorfia.
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«Disgustosa» dichiarò. «Bene, Harry, ora è meglio che torni al lavoro. Ci vediamo al banchetto, più tardi».
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«Va bene» disse Harry, posando il tazzone da tè.
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Il calice vuoto continuava a fumare.
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«Ecco qui» disse Ron. «Abbiamo preso tutto quello che potevamo».
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Una pioggia di caramelle dai colori brillanti si rovesciò in grembo a Harry. Era il tramonto, e Ron e Hermione erano appena apparsi nella sala comune, le guance accese dal vento freddo, con l'aria di chi ha appena trascorso la più bella giornata della sua vita.
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«Grazie» disse Harry, prendendo un pacchetto di minuscole Piperille nere. «Com'è Hogsmeade? Dove siete andati?»
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A quanto pareva, dappertutto. Da Mondomago Accessori magici, da Zonko l'Emporio degli Scherzi, ai Tre Manici di Scopa per bere una pinta di Burrobirra bollente e in molti altri posti.
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«E l'ufficio postale, Harry! Ci sono duecento gufi, tutti sugli scaffali, divisi per colore secondo la velocità che vuoi per la tua lettera!»
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«Da Mielandia hanno un nuovo tipo di caramello, c'erano gli assaggi gratis, eccone un pezzo, guarda...»
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«Forse abbiamo visto un orco, davvero, c'è di tutto ai Tre Manici di Scopa...»
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«Avremmo voluto portarti un po' di Burrobirra, sapessi come scalda...»
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«E tu che cos'hai fatto?» chiese Hermione ansiosa. «Hai fatto i compiti?»
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«No» disse Harry. «Lupin mi ha offerto il tè nel suo studio. E poi è entrato Piton...»
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Raccontò loro del calice. Ron rimase a bocca aperta.
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«Lupin l'ha bevuta?» esclamò. «Ma è pazzo?»
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Hermione guardò l'ora.
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«Meglio scendere, sapete, il banchetto comincia fra cinque minuti...» Corsero via attraverso il buco del ritratto e si tuffarono nella folla, continuando a parlare di Piton.
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«Ma se... insomma...» Hermione abbassò la voce, guardandosi intorno con aria nervosa, «se stava davvero tentando di... di avvelenare Lupin... non l'avrebbe fatto davanti a Harry».
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«Sì, può darsi» disse Harry mentre raggiungevano l'ingresso ed entravano nella Sala Grande. Era stata decorata con centinaia e centinaia di zucche piene di candele accese, un nugolo di pipistrelli veri svolazzanti e tantissime stelle filanti di un color arancione fiammeggiante, che guizzavano pigramente lungo il soffitto coperto di nuvole come luminosi serpenti d'ac
qua.
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Il cibo era delizioso; anche Hermione e Ron, che erano pieni da scoppiare di caramelle di Mielandia, si servirono una seconda porzione di tutto. Harry continuava a guardare verso il tavolo degli insegnanti. Il professor Lupin sembrava allegro e quanto mai in forma. Discuteva animatamente con il piccolo professor Vitious, l'insegnante di Incantesimi. Lo sguardo di Harry percorse tutto il tavolo e si arrestò su Piton. Era la sua immaginazione, o gli occhi di Piton dardeggiavano verso Lupin più spesso di quanto non fosse normale?
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Il banchetto si concluse con uno spettacolo offerto dagli spettri di Hogwarts. Balzarono fuori dai muri e su dai tavoli per fare un numero di volo in formazione; NickQuasiSenzaTesta, il fantasma di Grifondoro, riscosse un grande successo reinterpretando la scena della propria maldestra decapitazione.
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La serata era stata così piacevole che il buonumore di Harry non fu scalfito nemmeno da Malfoy, che urlò tra la folla, mentre uscivano dalla Sala Grande: «I Dissennatori ti mandano i loro più cari saluti, Potter!»
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Harry, Ron e Hermione seguirono il resto dei Grifondoro lungo il consueto percorso fino alla torre, ma quando raggiunsero il corridoio che finiva con il ritratto della Signora Grassa lo trovarono stipato di studenti.
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«Perché non entrano?» chiese Ron incuriosito.
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Harry cercò di guardare oltre la folla di teste davanti a lui. Il ritratto sembrava chiuso.
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«Fatemi passare, per favore» disse Percy, facendosi largo nella calca con aria d'importanza. «Che cos'è questo ingorgo? Non è possibile che abbiate dimenticato la parola d'ordine tutti quanti... scusate, sono il Caposcuola...»
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E poi il silenzio cadde sulla folla, a partire da chi era davanti, così che una corrente gelata parve dilagare per il corridoio. Percy disse, con voce improvvisamente aspra: «Qualcuno vada a chiamare il professor Silente. Subito».
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I ragazzi si voltarono; quelli nelle ultime file si alzarono in punta di piedi.
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«Che cosa succede?» chiese Ginny, che era appena arrivata.
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Un attimo dopo, ecco il professor Silente avanzare verso il ritratto. I Grifondoro si fecero da parte per lasciarlo passare, e Harry, Ron e Hermione si avvicinarono per vedere che cosa stava succedendo.
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«Oh, cielo...» Hermione afferrò Harry per un braccio.
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La Signora Grassa era sparita dal ritratto, che era stato lacerato con tanta
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violenza che il pavimento era coperto di strisce di tela; grossi pezzi erano stati strappati via.
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Silente diede una rapida occhiata al quadro distrutto e si voltò, incupito, mentre i professori McGranitt, Lupin e Piton lo raggiungevano di corsa.
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«Dobbiamo trovarla» disse Silente. «Professoressa McGranitt, la prego di andare da Mastro Gazza e di dirgli di cercare la Signora Grassa in tutti i quadri del castello».
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«Buona fortuna!» disse una voce ghignante.
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Era Pix il Poltergeist, che fluttuava sopra la folla, soddisfattissimo, come sempre quando qualcosa non andava per il verso giusto.
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«Che cosa vuoi dire, Pix?» gli chiese Silente con calma, e il ghigno di Pix si attenuò: non osava farsi beffe di Silente. Invece mise fuori una vocetta untuosa, non più gradevole della sua risatina beffarda.
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«Si vergogna, signor Capo, signore. Non vuole farsi vedere. È un vero disastro. L'ho vista correre dentro il paesaggio al quarto piano, signore, e nascondersi dietro gli alberi. Urlava qualcosa di terribile» disse allegramente. «Poverina» aggiunse, senza peraltro suonare convincente.
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«Ha detto chi è stato?» chiese Silente con calma.
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«Oh, sì, Capodirettore, signore» disse Pix con l'aria di uno che culla una bomba. «Sa, si è arrabbiato moltissimo quando lei non l'ha lasciato entrare». Pix fece una capriola e rivolse un ghigno a Silente di sotto in su, con la testa che spuntava tra le gambe. «Che caratteraccio, quel Sirius Black».
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