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Harry Potter e La Camera dei Segreti (3199 citazioni)
   1) Il peggior compleanno (95 citazioni)
   2) L'avvertimento di Dobby (126 citazioni)
   3) La Tana (183 citazioni)
   4) Alla libreria "Il Ghirigoro" (202 citazioni)
   5) Il Platano Picchiatore (196 citazioni)
   6) Gilderoy Allock (152 citazioni)
   7) Mezzosangue e mezze voci (172 citazioni)
   8) La festa di complemorte (190 citazioni)
   9) La scritta sul muro (211 citazioni)
   10) Il bolide fellone (180 citazioni)
   11) Il Club dei Duellanti (191 citazioni)
   12) La Pozione Polisucco (211 citazioni)
   13) Il diario segretissimo (211 citazioni)
   14) Cornelius Caramell (147 citazioni)
   15) Aragog (160 citazioni)
   16) La Camera dei Segreti (236 citazioni)
   17) L'erede di Serpeverde (192 citazioni)
   18) Un premio per Dobby (144 citazioni)
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Il bolide fellone


   Dal giorno del disastroso episodio con i Folletti della Cornovaglia Allock non aveva più portato in classe creature vive. Ora leggeva agli alunni brani dai suoi libri e a volte inscenava alcuni degli episodi più drammatici. In genere chiamava Harry a farsi aiutare in queste ricostruzioni; fino a quel momento Harry era stato costretto a recitare la parte di un contadino sempliciotto della Transilvania che Allock aveva curato per un Incantesimo Tartagliante, uno yeti incimurrito e un vampiro che da quando Allock gli aveva prestato le sue cure non era riuscito a mangiare nient’altro che lattuga.
    Durante l’ultima lezione di Difesa contro le Arti Oscure, Harry fu chiamato alla cattedra, questa volta per impersonare un lupo mannaro. Se non avesse avuto un’ottima ragione per non voler guastare l’umore di Allock si sarebbe rifiutato di farlo.
    «Un bell’ululato, Harry… proprio così… e poi, che ci crediate o no, gli sono piombato addosso… così… l’ho scaraventato a terra… così… con una mano sono riuscito a tenerlo fermo e con l’altra gli ho ficcato la bacchetta magica in gola. Poi ho raccolto le ultime forze e ho eseguito il difficilissimo Incantesimo Omosembiante. Lui ha emesso un lamento pietoso… forza, Harry… più forte… bene così… il pelo è scomparso, le zanne si sono ritratte e lui è tornato uomo. Semplice, e tuttavia efficace… E un altro villaggio mi ricorderà sempre come l’eroe che li ha liberati dal terrore degli attacchi del lupo mannaro, che si ripetevano tutti i mesi».
    La campanella suonò e Allock balzò in piedi.
    «Compiti a casa: comporre una poesia sulla sconfitta da me inferra al lupo mannaro Wagga Wagga! La migliore verrà premiata con una copia firmata di Magicamente io».
    Gli alunni cominciarono a uscire. Harry si precipitò in fondo alla classe, dove Ron e Hermione lo stavano aspettando.
    «Pronti?» bisbigliò Harry.
    «Aspettiamo che escano tutti» rispose Hermione nervosa. «Adesso…»
    Si avvicinò alla cattedra, tenendo stretto in mano un pezzo di carta. Harry e Ron la seguirono.
    «Ehm… professor Allock?» balbettò Hermione. «Volevo… prendere questo libro dalla biblioteca. Solo per una lettura propedeutica». Gli porse il pezzo di carta con la mano che le tremava leggermente. «Ma il fatto è che il libro si trova nel Reparto Proibito della biblioteca e quindi serve che un insegnante mi firmi l’autorizzazione… Sono sicura che mi aiuterà a capire quel che lei dice nel suo A spasso con gli spiriti a proposito dei veleni ad azione ritardata…»
    «Ah, A spasso con gli spiriti!» disse Allock prendendo il biglietto che gli tendeva Hermione e rivolgendole un grande sorriso. «Forse è il mio libro preferito. Le è piaciuto?»
    «Oh, sì!» esclamò Hermione con entusiasmo. «Cosi astuto il suo modo di intrappolare l’ultimo con il passino del tè…»
    «Bene, sono sicuro che nessuno troverà niente da ridire se offro un piccolo aiuto extra alla migliore studentessa della scuola» disse Allock con calore, tirando fuori un’enorme penna di pavone. «Carina, vero?» disse fraintendendo l’espressione disgustata sul volto di Ron. «In genere la uso per firmare i miei libri».
    Tracciò un’enorme firma tutta svolazzi e ghirigori e restituì il biglietto a Hermione.
    «Allora, Harry» disse Allock mentre Hermione ripiegava il biglietto e con dita tremanti lo riponeva nella cartella, «domani, se non sbaglio, si gioca la prima partita di Quidditch della stagione. Grifondoro contro Serpeverde, vero? Mi dicono che sei molto bravo. Anch’io giocavo come Cercatore. Mi chiesero di entrare nella Nazionale, ma ho preferito dedicare la vita a combattere le Forze Oscure. Se dovessi sentire il bisogno di allenarti un po’ privatamente, non esitare a chiedermelo. Sono sempre felice di trasmettere la mia esperienza a giocatori meno abili…»
    Harry fece un suono indistinto con la gola e si affrettò a seguire Ron e Hermione.
    «Non riesco a crederci» disse mentre tutti e tre contemplavano la firma sul biglietto. «E non ha neanche letto che libro volevamo».
    «Questo perché è un imbecille senza cervello» disse Ron. «Ma che ce ne importa! Abbiamo quel che ci serve».
    «Non è un imbecille senza cervello» lo rimbeccò Hermione alzando la voce mentre si avviavano quasi di corsa verso la biblioteca.
    «Solo perché ti ha detto che sei la migliore studentessa di quest’anno…»
    Entrando nel silenzio ovattato della biblioteca, abbassarono la voce.
    Madama Pince, la bibliotecaria, era una donna magra e irritabile che assomigliava a un avvoltoio denutrito.
    «De Potentissimis Potionibus?» ripeté sospettosa cercando di prendere il biglietto dalle mani di Hermione, che non voleva mollarlo.
    «Mi chiedevo se potevo tenerlo» disse in un soffio.
    «Su, dài» disse Ron strappandoglielo di mano e gettandolo alla Pince. «Ti procureremo un altro autografo. Allock è capace di firmare qualunque cosa che stia ferma abbastanza a lungo per dargli il tempo di farlo».
    Madama Pince mise il biglietto sotto la luce come se fosse decisa a scoprire un falso, ma la prova fu superata. Sparì tra gli alti scaffali e dopo un po’ tornò con un grosso libro ammuffito. Hermione lo ripose cautamente nella cartella e i tre ragazzi uscirono, cercando di non affrettare troppo il passo o di non avere l’aria colpevole.
    Cinque minuti dopo erano barricati di nuovo nel bagno ‘guasto’ di Mirtilla Malcontenta. Hermione aveva scartato le obiezioni di Ron spiegando che era l’ultimo posto dove chiunque sano di mente sarebbe andato, e che quindi potevano contare su una certa riservatezza. Mirtilla stava piangendo rumorosamente nel suo gabinetto, ma la ignorarono e lei fece altrettanto.
    Hermione aprì cautamente il tomo e tutti e tre si chinarono sulle pagine macchiate di umidità. Bastò un’occhiata per capire perché venisse custodito nel Reparto Proibito. Alcune pozioni avevano effetti raccapriccianti soltanto a pensarli e c’erano alcune illustrazioni molto sgradevoli, tra cui quella di un uomo che sembrava fosse stato rivoltato come un guanto, e di una strega sulla cui testa spuntavano numerose paia di braccia.
    «Eccola qua» disse Hermione emozionata quando ebbe trovato la pagina intitolata La Pozione Polisucco. Era illustrata con disegni di persone colte nell’atto di trasformarsi in qualcun altro. Harry sperò con tutto il cuore che l’artista avesse soltanto immaginato l’espressione di intenso dolore sui loro volti.
    «È la pozione più complicata che io abbia mai visto» disse Hermione mentre esaminavano la ricetta. «Mosche Crisopa, sanguisughe, erba fondente e centinodia» lesse quasi tra sé, scorrendo con il dito la lista degli ingredienti. «Bene, non è difficile procurarseli, sono nella dispensa degli studenti, possiamo prenderli da soli. Oh, guardate, polvere di corno di Bicorno: questo non so proprio dove andremo a pescarlo… pelle tritata di Girilacco: anche questo sarà complicato… e naturalmente, un pezzetto della persona nella quale desiderate trasformarvi».
    «Scusa, cos’hai detto?» chiese Ron con voce aspra. «Che significa ‘un pezzetto della persona nella quale desiderate trasformarvi’? Io non intendo bere niente che contenga le unghie dei piedi di Tiger…»
    Hermione proseguì come se non lo avesse sentito.
    «Di questo non dobbiamo preoccuparci, per il momento, perché sono ingredienti che vanno aggiunti per ultimi…»
    Ron, ammutolito, si voltò a guardare Harry, il quale era stato colto da un’altra preoccupazione.
    «Ti rendi conto di quante cose dovremo rubare, Hermione? Pelle tritata di Girilacco! Questa roba non si trova certamente nella dispensa degli studenti. Cosa faremo? Scassineremo il deposito privato di Piton? Non mi pare tanto una buona idea…»
    Hermione chiuse il libro con uno schiocco.
    «Sentite, se voi avete paura ad andare avanti, per me va bene» disse. Aveva due macchie rosso vivo sulle guance e gli occhi erano più accesi del solito. «A me non piace infrangere le regole, lo sapete bene. Ma penso che minacciare i figli dei Babbani sia molto peggio che preparare una pozione complicata. Ma se non vi interessa scoprire se è Malfoy, io vado dritta dritta da Madama Pince e le restituisco il libro…»
    «Non avrei mai creduto che sarebbe venuto il giorno in cui tu avresti cercato di convincere noi a violare le regole» disse Ron. «Va bene, facciamolo. Ma niente unghie dei piedi, d’accordo?»
    «Quanto ci vorrà per prepararla?» chiese Harry mentre Hermione, molto più contenta, riapriva il libro.
    «Bene, visto che l’erba fondente va raccolta con la luna piena e le mosche Crisopa vanno fatte cuocere a fuoco lento per ventuno giorni… direi che ci vorrà circa un mese, se riusciamo a procurarci tutti gli ingredienti».
    «Un mese?» esclamò Ron. «Per allora Malfoy potrebbe aver fatto fuori metà dei figli di Babbani!» Ma poiché Hermione stringeva di nuovo pericolosamente gli occhi, si affrettò a soggiungere: «Ma siccome è il piano migliore che abbiamo, io dico: avanti tutta!»
    Poi, mentre Hermione controllava se avevano via libera per uscire dal bagno, Ron bisbigliò a Harry: «Avremo meno problemi se domani riesci semplicemente a buttare giù Malfoy dalla sua scopa!»
    Sabato mattina Harry si svegliò di buon’ora e rimase a letto pensando all’imminente partita a Quidditch. Lo innervosiva il pensiero di quel che avrebbe detto Baston se il Grifondoro avesse perso, ma anche l’idea di dover affrontare una squadra che montava le più veloci scope da corsa reperibili sul mercato. Mai come in quel momento aveva desiderato battere i Serpeverde. Rimase mezz’ora steso a letto a rimuginare tutti questi pensieri, poi si alzò, si vestì e scese a fare colazione. Era presto, e nella Sala Grande trovò gli altri compagni di squadra del Grifondoro seduti intorno al lungo tavolo semideserto, taciturni e tesi.
    Sul far delle undici, tutta la scuola cominciò ad avviarsi allo stadio. Era una giornata umida e coperta, e nell’aria c’era odore di temporale. Ron e Hermione arrivarono di corsa per augurare buona fortuna a Harry che stava entrando negli spogliatoi per cambiarsi. La squadra indossò la tuta scarlatta dei Grifondoro e poi si sedette ad ascoltare, come di consueto, il fervorino di Baston prima della partita.
    «I Serpeverde hanno scope migliori delle nostre» cominciò, «inutile negarlo. Ma a cavallo delle nostre scope ci sono giocatori più valenti. Ci siamo allenati più di loro, abbiamo volato col sole e con la pioggia…» («Troppo vero» bofonchiò tra sé George Weasley. «Non ricordo di avere mai indossato vestiti completamente asciutti, da agosto fino a oggi») «…e gli faremo rimpiangere il giorno che hanno permesso a quello schifoso di Malfoy di comperarsi l’ammissione nella squadra».
    Con il petto gonfio per l’emozione, Baston si girò verso Harry.
    «Starà a te» gli disse, «dimostrargli che per essere un bravo Cercatore non basta avere un babbo coi quattrini. Metti le mani su quel Boccino prima di Malfoy anche a costo della vita, Harry, perché oggi dobbiamo vincere, dobbiamo assolutamente vincere».
    «Tanto per non metterti sotto pressione, Harry» commentò Fred strizzandogli l’occhio.
    Quando entrarono in campo furono accolti da un boato, soprattutto applausi, perché il Tassorosso e il Corvonero erano ansiosi di vedere battuto il Serpeverde, ma in mezzo alla folla, questi ultimi fecero sentire anche i loro fischi e le loro grida. Madama Bumb, l’insegnante di Quidditch, chiese a Flitt e a Baston di scambiarsi una stretta di mano, cosa che loro fecero lanciandosi occhiate velenose e stringendo un bel po’ più del necessario.
    «Al mio fischio» disse Madama Bumb, «tre… due… uno…»
    La folla esultò al decollo dei giocatori; i quattordici ragazzi si sollevarono nel cielo plumbeo. Harry volava più in alto di tutti, scrutando in cerca del Boccino.
    «Tutto bene, Sfregiato?» gli gridò Malfoy saettando sotto di lui come se volesse mostrare la velocità della sua scopa.
    Harry non ebbe il tempo di replicare. In quel preciso istante, un pesante Bolide nero gli si scagliò contro; lui lo evitò per un pelo, tanto che si sentì scarmigliare i capelli al suo passaggio.
    «Fuori uno, Harry» gli disse George sfrecciandogli accanto a tutta velocità con la mazza in resta, pronto a colpire il Bolide e rinviarlo ai Serpeverde. Harry lo vide centrarlo con un gran fendente in direzione di Adrian Pucey, ma a mezza strada il Bolide cambiò rotta e puntò di nuovo su Harry.
    Il ragazzo si abbassò prontamente per schivarlo e George lo colpì di nuovo con forza, in direzione di Malfoy. Ancora una volta il Bolide deviò come un boomerang, dirigendosi sparato sulla testa di Harry.
    Con uno scatto di velocità, Harry si precipitò verso l’estremità opposta del campo. Dietro di sé, sentiva il sibilo del Bolide. Che cosa stava succedendo? I Bolidi non prendevano mai di mira un solo giocatore, perché il loro compito era quello di disarcionarne il più possibile.
    Fred Weasley aspettava il Bolide all’altra estremità del campo. Harry lo schivò e Fred lo colpì con tutta la forza che aveva, dirottandolo.
    «E con questo è fuori uso!» gridò felice Fred. Ma si sbagliava. Come attratto magneticamente da Harry, il Bolide si scagliò di nuovo contro di lui e il ragazzo fu costretto ad allontanarsi a tutta velocità.
    Aveva cominciato a piovere; Harry sentì alcune gocce pesanti cadergli sul viso e schizzargli gli occhiali. Non aveva la minima idea di come se la stessero cavando i suoi compagni, fino a quando non udì Lee Jordan, che faceva la radiocronaca, annunciare: «I Serpeverde sono in vantaggio per sessanta a zero».
    La superiorità delle scope dei Serpeverde stava dando i suoi frutti, mentre il Bolide impazzito faceva di tutto per disarcionare Harry. Fred e George gli volavano talmente vicini che Harry non vedeva altro che un agitarsi di braccia e non riusciva a individuare il Boccino, figuriamoci acchiapparlo.
    «Qualcuno… ha manomesso… questo… aggeggio…» borbottò Fred colpendo violentemente il Bolide, che si era di nuovo lanciato a caccia di Harry.
    «Qui ci serve un intervallo» disse George cercando di fare un segnale a Baston e, al tempo stesso, di impedire al Bolide di spaccare il naso a Harry.
    Baston aveva colto il messaggio. Si udì il fischio di Madama Bumb e Harry, Fred e George si tuffarono verso terra, sempre cercando di evitare il Bolide impazzito.
    «Che succede?» chiese Baston quando la squadra del Grifondoro si fu riunita, mentre i Serpeverde facevano partire una bordata di fischi. «Ci stanno facendo a pezzi. Fred, George, dove eravate quando l’altro Bolide ha impedito ad Angelina di segnare?»
    «Stavamo sei metri sopra di lei, cercando di evitare che l’altro massacrasse Harry» disse George tutto arrabbiato. «Qualcuno lo ha truccato. Non ha lasciato in pace Harry neanche un attimo, per tutta la partita non ha inseguito nessun altro. I Serpeverde devono avergli fatto qualche incantesimo».
    «Ma dall’ultimo allenamento i Bolidi sono rimasti sempre chiusi a chiave nell’ufficio di Madama Bumb, e allora funzionavano bene…» disse Baston ansioso.
    Madama Bumb si stava avvicinando. Alle sue spalle, Harry vedeva la squadra dei Serpeverde fischiare e indicare dalla sua parte.
    «Sentite» disse Harry mentre lei si avvicinava, «se voi due mi volate intorno tutto il tempo, il Boccino lo potrò prendere soltanto se mi si infila dentro una manica. Tornate col resto della squadra e lasciate che me la cavi da solo con quell’aggeggio».
    «Non essere sciocco» disse Fred, «quello ti stacca la testa».
    Lo sguardo di Baston andava da Harry ai fratelli Weasley.
    «Oliver, è pazzesco!» disse Alicia Spinnett tutta arrabbiata. «Non puoi lasciare che Harry affronti quel coso da solo. Chiediamo un’indagine…»
    «Se ci fermiamo adesso perdiamo la partita!» disse Harry. «E non ci lasceremo certo sconfiggere dai Serpeverde solo per un Bolide impazzito! Su, Oliver, convincili a lasciarmi in pace!»
    «E tutta colpa tua» disse George risentito a Baston. «’Prendi il Boccino anche a costo della vita’. Non potevi dirgli una cosa più stupida!!»
    Madama Bumb era con loro.
    «Pronti a riprendere la partita?» chiese a Baston.
    Quest’ultimo colse l’espressione risoluta di Harry.
    «E va bene» disse. «Fred, George, avete sentito Harry? Lasciategli affrontare il Bolide da solo».
    Ora la pioggia cadeva più fitta. Al fischio di Madama Bumb Harry scalciò con forza sollevandosi in aria, e subito udì il sibilo che tradiva la presenza del Bolide alle sue spalle. Il ragazzo volò sempre più in alto. Descrisse ampie curve e scese a capofitto, si mosse a spirale, a zig-zag e si capovolse. Anche se lievemente stordito, riusciva a tenere gli occhi bene aperti. La pioggia picchiettava sui suoi occhiali e, quando Harry dovette fare una capriola per evitare un’altra picchiata feroce del Bolide, gli si infilò su per le narici. Da terra, gli giungeva l’eco delle risate della folla; si rendeva conto di essere molto ridicolo, ma il Bolide fellone era pesante e non poteva cambiare direzione rapidamente come lui. Cominciò a salire e scendere in picchiata lungo tutto il perimetro dello stadio, cercando di distinguere, attraverso il fitto lenzuolo di pioggia argentea, la porta del Grifondoro, dove Adrian Pucey stava cercando di superare Baston…
    Un sibilo vicino all’orecchio gli disse che il Bolide lo aveva mancato un’altra volta per un pelo; girò immediatamente e si diresse a tutta velocità dalla parte opposta.
    «Ti alleni per il balletto, Potter?» gli gridò Malfoy mentre Harry era costretto a fare una stupida piroetta a mezz’aria per evitare il Bolide. Harry volò via sempre con il Bolide alle calcagna, che lo tallonava a breve distanza. Poi, mentre si girava per lanciare uno sguardo carico d’odio a Malfoy, lo vide: eccolo li, il Boccino d’Oro. Era sospeso pochi centimetri sopra l’orecchio sinistro di Malfoy che, troppo impegnato a farsi beffe di lui, non se n’era accorto.
    Per un attimo, Harry rimase immobile, sospeso a mezz’aria, senza osare lanciarsi verso Malfoy per paura che lui alzasse gli occhi e vedesse il Boccino.
    WHAM!
    Era rimasto fermo un secondo di troppo. Il Bolide alla fine lo aveva colpito al gomito, e Harry sentì l’osso rompersi. Lentamente, stordito dal dolore bruciante, scivolò dal manico di scopa, fradicio di pioggia, e vi rimase aggrappato con un ginocchio mentre il braccio destro gli ciondolava inerte lungo il fianco. Il Bolide tornò indietro per sferrare un secondo attacco alla faccia di Harry, che lo schivò. Nella sua mente confusa, un’idea fissa: raggiungere Malfoy.
    Con la vista annebbiata dalla pioggia e dal dolore, si tuffò verso la faccia lucida e sogghignante di Malfoy e vide i suoi occhi sbarrati dal terrore: pensava che Harry volesse attaccarlo.
    «Cosa diavolo…» ansimò spostandosi dalla traiettoria.
    Harry staccò dal manico la mano rimasta, nel tentativo disperato di afferrare il Boccino; sentì le dita stringersi intorno al freddo metallo, ma ora si reggeva alla scopa soltanto con le gambe, e quando si lanciò a capofitto verso terra, cercando di non perdere conoscenza, la folla urlò di terrore.
    Con un tonfo e uno spruzzo, cadde sul terreno fangoso e rotolò giù dalla scopa. Il braccio rotto gli pendeva inerte, formando un angolo innaturale. Inebetito dal dolore, udì fischi e grida, come se venissero da una grande distanza. Si concentrò sul Boccino che teneva stretto in mano.
    «Ah» disse con un filo di voce, «abbiamo vinto».
    E svenne.
    Quando riprese i sensi era steso sul campo da gioco, con la pioggia che gli sferzava la faccia; qualcuno era chino su di lui. Vide un bagliore di denti.
    «Oh, no, lui no!» gemette.
    «Non sa quel che dice» commentò Allock a voce alta ai preoccupati giocatori del Grifondoro radunati attorno a lui. «Niente paura, Harry, adesso ti rimetto a posto il braccio».
    «No!» disse Harry. «Grazie, me lo tengo cosi…»
    Cercò di mettersi seduto, ma il dolore era terribile. Li vicino, sentì un clic che gli era familiare.
    «Non voglio una foto in questo stato, Colin» disse alzando la voce.
    «Stenditi, Harry» disse Allock in tono suadente. «È una magia semplicissima. L’ho usata un’infinità di volte».
    «Perché non posso andare semplicemente in infermeria?» chiese Harry a denti stretti.
    «Davvero, ha ragione, professore» disse Baston. Era tutto sporco di fango e non riusciva a non sorridere, anche se il suo Cercatore era rimasto ferito. «Gran colpo, Harry, veramente spettacolare, direi il migliore finora».
    Attraverso la fitta barriera di gambe che lo circondavano, Harry intravide Fred e George Weasley che cercavano di cacciare il Bolide in una scatola, ma quello opponeva ancora una fiera resistenza.
    «State indietro!» intimò Allock rimboccandosi le maniche dell’abito verde giada.
    «No… la prego, no…» disse debolmente Harry. Ma Allock stava già facendo roteare la bacchetta magica e un attimo dopo la puntò sul braccio del ragazzo.
    Harry avvertì una sensazione sgradevole che partiva dalla spalla e si diffondeva nel braccio, fino alla punta delle dita. Era come se il braccio gli si fosse sgonfiato. Non osò guardare quel che era successo. Aveva chiuso gli occhi e girato il viso dall’altra parte, ma i suoi peggiori timori dovevano essersi avverati perché le persone sopra di lui trattennero il fiato e Colin Canon cominciò a scattare foto all’impazzata. Il braccio non gli doleva più… ma nemmeno dava segno di essere ancora un braccio.
    «Ah!» esclamò Allock. «Sì, a volte può succedere. Ma l’importante è che le ossa non sono più rotte. Questo è quel che bisogna tenere presente. Perciò, Harry, vai su in infermeria — e… signor Weasley, signorina Granger, vorreste accompagnarlo? — e vedrai che Madama Chips sarà in grado di… ehm… rimetterti un po’ in sesto».
    Quando Harry si alzò in piedi si sentì stranamente sbilenco. Fece un respiro profondo e si decise a guardarsi la parte destra. E poco mancò che non svenisse di nuovo.
    Dalla manica spuntava quello che sembrava uno spesso guanto di gomma color carne. Cercò di muovere le dita. Niente.
    Allock non gli aveva saldato le ossa. Gliele aveva fatte sparire.
    Madama Chips non fu affatto contenta.
    «Avresti dovuto venire dritto filato da me!» lo redarguì sollevando lo squallido e floscio avanzo di quello che, soltanto mezz’ora prima, era stato un braccio perfettamente funzionante. «A riaggiustare le ossa ci metto un attimo… ma a farle ricrescere…»
    «Ci riuscirà, non è vero?» chiese Harry con la disperazione nella voce.
    «Certo che ci riuscirò, ma sarà doloroso» disse Madama Chips arcigna, lanciandogli un pigiama. «Dovrai passare la notte qui…»
    Hermione era rimasta ad aspettare dietro alla tenda che era stata tirata intorno al letto di Harry e Ron lo aiutò a infilarsi il pigiama. Ci volle un po’ per cacciare nella manica il braccio disossato e gommoso.
    «Di’ un po’, Hermione, come fai a difendere ancora Allock, eh?» chiese Ron da dietro la tenda mentre tirava fuori dal polsino le dita flaccide dell’amico. «Se Harry avesse voluto essere disossato, l’avrebbe chiesto».
    «Tutti possono sbagliare» rimbeccò Hermione. «E poi non fa più male, vero, Harry?»
    «E vero» rispose Harry, «ma non fa neanche niente altro».
    Quando si mise a letto, il braccio gli sbatacchiò di qua e di là, inutilizzabile.
    Hermione e Madama Chips si avvicinarono. Quest’ultima reggeva una grossa bottiglia con un’etichetta su cui era scritto ‘Ossofast’.
    «Preparati a una nottataccia» disse versandogli in un bicchiere il liquido fumante e porgendoglielo. «Far ricrescere le ossa è proprio una faccenda poco piacevole».
    E lo fu anche ingurgitare quell’intruglio. Mentre Harry lo mandava giù, gli bruciò la bocca e la gola, facendolo tossire e sputare. Sempre borbottando di sport pericolosi e di insegnanti inetti, Madama Chips si allontanò, lasciando a Ron e Hermione il compito di aiutare Harry a bere qualche sorso d’acqua.
    «Però abbiamo vinto» disse Ron, illuminandosi. «Tutto merito della tua parata. Avessi visto la faccia di Malfoy… sembrava pronto a uccidere!»
    «Voglio sapere come ha fatto a stregare quel Bolide» disse cupa Hermione.
    «Possiamo aggiungere anche questa all’elenco di domande che gli faremo quando avremo preso la Pozione Polisucco» disse Harry appoggiandosi sui cuscini. «Spero che sia meglio di questa roba…»
    «Con pezzetti di Serpeverde dentro? Vuoi scherzare?» disse Ron.
    In quel momento, la porta dell’infermeria si spalancò. Sporchi e fradici, i compagni di squadra del Grifondoro erano venuti a trovare Harry.
    «Un volo incredibile, Harry» disse George. «Ho visto Marcus Flitt prendersela con Malfoy. Gli diceva qualcosa sul fatto che aveva il Boccino sopra la testa e non se n’era accorto. Malfoy non aveva l’aria troppo felice».
    Avevano portato torte, dolci, bottiglie di succo di zucca; si radunarono intorno al letto e stavano per dare il via a quello che prometteva di essere un bel festino quando Madama Chips piombò come una furia gridando. «Questo ragazzo ha bisogno di riposo, gli devono ricrescere trentatré ossa! Fuori! Fuori, ho detto!»
    E Harry rimase solo, senza niente che lo distraesse dal dolore che gli trafiggeva il braccio inerte.
    Molte ore più tardi, nel cuore della notte, si svegliò all’improvviso ed emise un lieve gemito di dolore: ora il braccio sembrava come pieno di grosse schegge. Per un attimo pensò fosse stato quello a svegliarlo. Ma poi, con un brivido di orrore, si rese conto che qualcuno, nel buio, gli stava bagnando la fronte con una spugna.
    «Giù le mani!» disse ad alta voce, e poi: «Dobby!»
    Gli occhi a palla stralunati dell’elfo lo scrutavano nell’oscurità. Una grossa lacrima gli scorreva giù per il lungo naso a punta.
    «Harry Potter è tornato a scuola» bisbigliò tristemente. «Dobby aveva avvertito Harry Potter. Ah, signore, perché non avete dato retta a Dobby? Perché Harry Potter non è tornato a casa quando ha perso il treno?»
    Harry si sollevò sui cuscini e scansò la spugna.
    «Che cosa ci fai qui?» chiese. «E come fai a sapere che ho perso il treno?»
    Le labbra di Dobby tremarono e Harry fu colto da un improvviso sospetto.
    «Sei stato tu\» disse scandendo le parole. «Tu hai impedito che la barriera ci lasciasse passare!»
    «Proprio così, signore» disse Dobby annuendo vigorosamente, con le orecchie sbatacchiati. «Dobby si è nascosto e ha aspettato Harry e ha sprangato l’entrata, e dopo Dobby si è dovuto stirare le mani» — mostrò a Harry dieci lunghe dita bendate — «ma a Dobby non importava niente, signore, perché pensava che Harry Potter era salvo, e Dobby non si è neanche sognato che Harry Potter arrivasse a scuola per un’altra strada!»
    Si dondolava avanti e indietro, scuotendo l’orribile testone.
    «Dobby è rimasto così sconvolto quando ha sentito che Harry Potter era tornato a Hogwarts che ha fatto bruciare il pranzo del suo padrone! Dobby non aveva mai ricevuto una frustata come quella, signore…»
    Harry si appoggiò di nuovo sui cuscini.
    «Hai quasi rischiato di farci espellere, a me e a Ron» disse arrabbiato. «E meglio che tu sparisca prima che mi tornino a posto le ossa, Dobby, altrimenti ti strangolo».
    Dobby fece un debole sorriso.
    «Dobby è abituato alle minacce di morte, signore. Dobby ne riceve cinque volte al giorno, quando è a casa».
    Si soffiò il naso su un pizzo della lurida federa che gli faceva da vestito e aveva l’aria cosi patetica che Harry senti svanire la rabbia.
    «Perché indossi quel coso, Dobby?» chiese curioso.
    «Questo, signore?» chiese Dobby attorcigliando un altro pizzo della federa. «Questo è un segno della schiavitù dell’elfo della casa, signore. Dobby può essere liberato soltanto se il padrone gli regala dei vestiti veri, signore. La famiglia sta bene attenta a non passare a Dobby neanche un calzino, signore, perché altrimenti lui sarebbe libero di lasciare la casa per sempre».
    Si asciugò gli occhi gonfi e disse d’un tratto: «Harry Potter deve andare a casa! Dobby pensava che il suo Bolide bastasse a fargli…»
    «Il tuo Bolide?» disse Harry sentendosi montare di nuovo la rabbia. «Come sarebbe a dire, il tuo Bolide? Hai mandato tu quel coso ad ammazzarmi?»
    «Ammazzarla no, signore, ammazzare lei mai!» disse Dobby sconvolto. «Dobby vuole salvare la vita a Harry Potter! Meglio essere rimandato a casa, gravemente ferito, che rimanere qui, signore! Dobby voleva solo che Harry Potter si facesse abbastanza male da essere mandato a casa!»
    «E niente altro?» fece Harry arrabbiato. «Non penso che tu abbia l’intenzione di dirmi perché volevi rimandarmi a casa a pezzi, non è cosi?»
    «Ah, se solo Harry Potter sapesse!» gemette Dobby inondando di altre lacrime la sua federa cenciosa. «Se lui sapesse cosa significa per noi, per noi ultimi, per noi schiavi, per noi che siamo la feccia del mondo della magia! Dobby ricorda com’era quando Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato era al culmine del suo potere, signore! Noi elfi della casa eravamo trattati come vermi, signore! Naturalmente Dobby viene ancora trattato così, signore» ammise asciugandosi la faccia sulla federa, «ma in generale, per la gente della mia specie, signore, la vita è migliorata da quando lei ha trionfato su Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato. Harry Potter è sopravvissuto e il potere del Signore Oscuro si è infranto, ed è sorto un nuovo giorno, signore, e Harry Potter ha brillato come un raggio di speranza per quelli di noi che pensavano che i giorni Oscuri non avrebbero mai avuto fine, signore… E ora a Hogwarts stanno per accadere cose terribili, forse stanno già accadendo, e Dobby non può lasciare che Harry Potter rimanga qui ora che la storia sta per ripetersi, ora che la Camera dei Segreti è di nuovo aperta…»
    Dobby si raggelò, inorridito, poi afferrò la caraffa dell’acqua dal comodino e se la diede in testa, rotolando via. Un attimo dopo strisciava sul letto, gli occhi strabici, borbottando: «Cattivo Dobby, cattivissimo Dobby…»
    «Allora esiste una Camera dei Segreti?» sussurrò Harry. «E… dicevi che è stata già aperta una volta? Raccontami tutto, Dobby!»
    Dobby protese la mano verso la caraffa dell’acqua, ma Harry gli afferrò il polso. «Ma io non sono figlio di Babbani… come può la Camera dei Segreti rappresentare un pericolo per me?»
    «Ah, signore, non chieda altro, signore, al povero Dobby» balbettò l’elfo con gli occhi che si dilatavano nel buio. «Oscuri eventi si tramano in questo luogo, ma Harry Potter non deve essere qui quando accadranno. Torni a casa, Harry Potter. Torni a casa, Harry Potter, non deve immischiarsi in queste cose, è troppo pericoloso…»
    «Chi è, Dobby?» chiese Harry continuando a stringergli il polso per impedirgli di colpirsi di nuovo con la caraffa. «Chi l’ha aperta l’ultima volta?»
    «Dobby non può, signore, Dobby non può, Dobby non deve dire!» squittì l’elfo. «Harry Potter deve tornare a casa, signore, deve tornare a casa!»
    «Io non vado proprio da nessuna parte!» disse Harry risoluto. «Una delle mie migliori amiche è figlia di Babbani; lei sarà la prima della lista, se veramente la Camera dei Segreti è stata aperta…»
    «Harry Potter rischia la vita per i suoi amici!» mugolò Dobby in una sorta di estasi sconsolata. «Così nobile! Così valoroso! Ma lui deve salvarsi, deve, Harry Potter non deve…»
    Dobby si impietrì un’altra volta e le sue orecchie da pipistrello cominciarono a tremare. Anche Harry l’udì. Era il rumore di passi fuori nel corridoio.
    «Dobby deve andare!» ansimò l’elfo terrorizzato; si udì uno schiocco, e il polso che Harry stringeva svani. Harry ricadde pesantemente sul letto, con gli occhi rivolti alla porta buia dell’infermeria, mentre i passi si avvicinavano.
    Un attimo dopo, Silente entrava indietreggiando nella stanza, con indosso una lunga vestaglia di lana e una papalina da notte. Reggeva un’estremità di quella che sembrava una statua. Un attimo dopo apparve la professoressa McGranitt, sostenendo l’altra estremità. Insieme, depositarono la statua su un letto.
    «Chiama Madama Chips» bisbigliò Silente, e la McGranitt passò in fretta davanti al letto di Harry e scomparve. Harry rimase immobile, fingendo di dormire. Udì voci concitate e poi vide riapparire la professoressa McGranitt seguita da Madama Chips che si stava infilando un golf di lana sopra la camicia da notte. Udì un brusco respiro.
    «Che cosa è successo?» sussurrò Madama Chips a Silente, chinandosi sopra la statua stesa sul letto.
    «Un altro attentato» spiegò Silente. «Minerva l’ha trovato sulle scale».
    «Accanto a lui c’era un grappolo d’uva» disse la professoressa McGranitt. «Pensiamo che stesse cercando di sgattaiolare quassù per venire a trovare Potter».
    Harry si sentì come se gli avessero dato un pugno nello stomaco. Lentamente e con grande cautela, si sollevò di qualche centimetro per vedere la statua. Un raggio di luna batteva sul suo viso immobile.
    Era Colin Canon. Aveva gli occhi spalancati e le mani, ancora sollevate, reggevano la macchina fotografica.
    «Pietrificato?» chiese in un sussurro Madama Chips.
    «Proprio così» rispose la McGranitt. «Ma mi vengono i brividi al pensiero… Se Albus non fosse sceso di sotto per prendere una cioccolata calda chissà che cosa avrebbe potuto…»
    Tutti e tre rimasero a fissare Colin. Poi Silente si chinò e liberò la macchina fotografica dalla rigida stretta del ragazzo.
    «Pensate che sia riuscito a scattare una foto del suo aggressore?» chiese ansiosamente la professoressa McGranitt.
    Silente non rispose. Fece saltare il coperchio sul retro della macchina.
    «Per tutti i gargoyle!» esclamò Madama Chips.
    Uno sbuffo di vapore uscì con un sibilo dalla macchina fotografica. Harry, a tre letti di distanza, percepì l’odore acre della plastica bruciata.
    «Fuso» disse Madama Chips sorpresa, «tutto fuso…»
    «Che cosa significa questo, Albus?» incalzò la McGranitt.
    «Significa» le rispose Silente, «che la Camera dei Segreti è stata davvero di nuovo aperta».
    Madama Chips si mise una mano sulla bocca. La professoressa McGranitt fissò Silente.
    «Ma… Albus… insomma… chi?»
    «La questione non è chi» disse Silente con gli occhi posati su Colin. «La questione è come…»
    E, a quel che Harry poté vedere del viso in ombra della McGranitt, lei non aveva capito più di quanto avesse capito lui.
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